L’insospettabile Grottaglie è lì, dietro le migliori del girone, ma –
soprattutto - ben al di là della soglia del terrore. E, a quasi un terzo del
cammino, il dato comincia a nutrirsi di attendibilità. Quattordici punti sul
campo e tredici in classifica diventano così il premio per la freschezza di un
gruppo cementatosi velocemente e che, per esplicita ammissione di molti dei
suoi protagonisti, si diverte: durante la settimana e la domenica. E sul quale,
evidentemente, incidono il lavoro e l’onestà intellettuale di Enzo Pizzonia,
tecnico di esperienza e buon senso che, tradizionalmente, riesce ad offrire il
meglio di sé nelle situazioni più complicate. Dove, ad esempio, occorre
sopperire con altri valori alle carenze di liquido o di organico: traendo da ciascuna
pedina a disposizione il meglio. Archiviata l’amarezza di Andria (zero a uno
sul campo della capolista), l’Ars et Labor incontra la Sarnese e la supera a
domicilio: non è, però, un successo agevole e neppure limpido. Anzi, per dirla
tutta, il match si definisce quando l’avversario subisce il secondo penalty e,
contestualmente, perde un uomo (l’estremo difensore Nobile interviene
fallosamente sul dinamico Facecchia, che però si sta allontanando dallo
specchio della porta): cioè, con un gol in più e con la superiorità numerica,
il Grottaglie può irrobustirsi e governare. L’avvio di gara, peraltro, è
leggermente affaticato. I salernitani leggono meglio determinate situazioni e
godono di migliore fluidità. Il vantaggio ospite è persino legittimo: e serve un
primo calcio di rigore per riacquisire l’equilibrio del risultato. Poi, il
corso della partita cambia decisamente. Il tre a uno finale, infine, è il
sigillo a una prestazione non irreprensibile, ma complessivamente intelligente.
In cui Faccini e soci capiscono ancora una volta di possedere le qualità per
poter badare a se stessi e, innanzi tutto, comprendono di dover necessariamente
aggrapparsi a quella quantità venuta meno nella prima mezz’ora di gioco. Senza
la quale qualsiasi formazione di quarta serie e, nello specifico, una squadra
come il Grottaglie, condannata dalle contingenze a inseguire la permanenza, non
potrebbe sopravvivere: è bene ricordarlo.
Parolevirtuali
Blog di approfondimento dei temi del calcio pugliese
lunedì 10 novembre 2014
domenica 9 novembre 2014
Il Barletta e Sesia respirano
Non è affatto male la partenza del Barletta. Otto punti, nelle prime sei
uscite di campionato, significano che l’obiettivo dichiarato è, in tempi di
primissime analisi, rispettato. E che qualche margine di lievitazione esiste.
Manca evidentemente qualcosa, alla squadra di Sesia: quel graffio in più, quel
guizzo che sa scardinare certe gare. E, altrettanto evidentemente, è largo e
lungo il percorso che serve a colmare il gap
con le concorrenti più titolate. Ma il club, dice chi sa, persegue
esclusivamente un campionato tranquillo. Coltivando l’idea di piazzare le
fondamenta per un progetto ancora più degno, da disegnare nel prossimo futuro.
Ottobre e la prima metà di novembre, però, finiscono per abbassare le
quotazioni del gradimento popolare: l’involuzione è evidente, le difficoltà di
interpretazione delle singole gare e di penetrazione emergono più vistose. Le
sconfitte si accumulano, la classifica si blocca, il cuscinetto di protezione
dalla fascia meno abbiente si riduce drasticamente, la piazza s’indispettisce e
il tecnico Marco Sesia si ritrova davanti ad una realtà scomoda. Tanto che la
società si affanna a ribadire la propria fiducia all’allenatore, almeno in un
paio di occasioni. Il derby con il Martina, al dodicesimo chilometro, rischia
di diventare così una pietra miliare del cammino del Barletta: ma la squadra,
questa volta, è pronta, vivace. Cerca la profondità e la trova immediatamente,
costringendo l’avversario a subire per mezz’ora. Dentro la quale si avvicina
spesso al vantaggio, spreca una conclusione dagli undici metri e,
successivamente, passa a condurre lo score.
Le intuizioni sono più chiare, il ritmo c’è. E, quando è tempo di concedersi
una pausa, la formazione di Ciullo ne approfitta per pareggiare il conto. Ma
dura poco: il Barletta è più compatto, più equilibrato: le dinamiche del match,
nel frattempo, si sono un po’ modificate, eppure il divario d’intensità è
sufficiente per spiegare l’ennesimo imbarazzo difensivo del Martina e il
sigillo del nuovo vantaggio adriatico. Vince il Barletta, perché è sempre
dentro la partita, o quasi. E perde il Martina, assente per gran parte dei
novanta minuti. Tutto regolare, dunque. Per Sesia e i suoi, un rifornimento di ossigeno,
graditissimo. E, di contro, una raccomandazione a non rilassarsi: non tutti gli
avversari, cioè, dispongono di una retroguardia sciagurata come quella a
disposizione di Ciullo. I progressi vanno verificati: appena possibile.
domenica 2 novembre 2014
Martina, un punto è meglio che niente
Adesso, il Martina viaggia più tranquillo. Sette
punti in tre match, gli ultimi in ordine cronologico, sono ossigeno e tanto
buon umore. Conquistati contestualmente, va detto, all’improrogabile
rinnovamento tattico della formazione di Ciullo, transitata felicemente da un
4-2-4 carico di insidie e di dubbi ad un meglio spendibile e più rassicurante
4-3-3. Poi, il successo più recente, quello di Torre Annunziata, distribuisce quel
quoziente di autostima che, nel corso della stagione, viene sempre utile. E
che, ovviamente, certifica la fine di quel periodo di emergenza e di pessimismo
che Amodio e soci sembravano ormai condannati a dover frequentare senza una
reale prospettiva di rimedio. Anche per questo, dunque, la gara con il Melfi
appare un’occasione concreta per agganciare i vagoni della metà classifica. Ma
il Martina, tornato a calcare l’erba del Tursi,
decolla con fatica, sintonizzandosi a primo tempo inoltrato. L’avvio è pigro,
moscio. L’assenza dello squalificato Arcidiacono si avverte abbastanza. La
manovra non sgorga e la quantità difetta. Però, la squadra s’industria e, alla
distanza, si organizza: finendo per crescere e per impossessarsi delle
operazioni. La concentrazione sotto porta, magari, resta un problema: passare
in vantaggio si potrebbe, più di una volta. E, invece, riemergono certi spettri
del passato recente: Patti, puntato da Caturano, va in difficoltà e lo atterra.
Penalty e, soprattutto, espulsione: poco prima dell’intervallo, questa è una
notizia scomoda. Bleve, certo, rimedia e, nell’arco di sette giorni,
neutralizza il secondo calcio di rigore. Ma l’inferiorità numerica resta. Così
come, del resto, resiste lo spirito della gente di Ciullo: che, oltre tutto, a
fronte dell’ingresso obbligato di un altro difensore (Caso), decide di non
rinunciare a nessuna delle sue pedine avanzate. Il Martina, cioè, mantiene per
un po’ la supremazia nel mezzo, perseguendo il vantaggio con sufficiente
dedizione: eppure gli equilibri, sul campo, non sono più gli stessi e,
soprattutto, l’intensità del gioco si abbassa velocemente. Serve, dunque, un
centrocampo più folto e presente, che assista lo scacchiere soprattutto in fase
di non possesso: e, dunque, Di Risio va a rilevare l’esterno di punta Carretta.
Quanto basta per avvicinarsi ad un’antica verità: se la partita non può essere
vinta, è assolutamente conveniente non perderla. E anche questo è un progresso.
lunedì 20 ottobre 2014
Taranto, rincorsa premiata. Ma il Monopoli se la cerca
Il Taranto, in trasferta, sa farsi rispettare. Con i suoi limiti e le sue
grazie. Perché sembra disegnato per giocare. E, se sul prato di casa i
riscontri sono parziali (tre pareggi su tre, sin qui), lontano dallo Iacovone i punti arrivano copiosi
(vittoria a Vallo della Lucania e Francavilla, un punto a Brindisi e, proprio ieri, pari a
Monopoli). Il percorso dell’ultimo match, però, è sdrucciolo, insidioso. La
gente di Favo, dietro, si perde due volte e, quindi, rincorre il risultato sino
al minuto novantacinque, quando monetizza al meglio i timori di un avversario
che, sin dall’avvio della ripresa, rinuncia a giocare. Finendo per chiudersi maldestramente
e per punirsi. Come ad Andria, sette giorni prima, il Monopoli cade sui titoli
di coda: ma questa volta c’è dolo e non ci sono troppe attenuanti. La squadra
di Passiatore se la cerca, punto. E gli jonici ringraziano, finalizzando
all’ultima palla un assedio che, da principio, non asfissia la difesa di casa.
Ma che, alla distanza, turba Esposito e soci. Senza timori, il Taranto fa la sua gara. Impostando, ma anche lasciando
giocare. Procurandosi soluzioni e scoprendosi (il Monopoli si avvicina al
vantaggio in un paio di occasioni). Guadagna rapidamente spazi, altrettanto
rapidamente li perde. Confronto aperto, si dice in casi come questo. Anche
perché, probabilmente, due moduli speculari (4-2-4 in fase di possesso) aiutano
ad allargare l’orizzonte. C’è spazio in abbondanza, poco prima della mezz’ora, per
Cortese: palla al secondo palo, l’intervento di Mirarco è difettoso e la
formazione adriatica passa a condurre lo score.
Il Taranto, toccato nell’intimo, non reagisce con convinzione, né con saldezza:
lo svantaggio, cioè, spersonalizza la squadra. Anzi, è proprio il Monopoli a
insistere e a bissare dagli undici metri (Murano si trova solo di fronte a
Mirarco, penalty ineccepibile). Match chiuso, sembra di capire. Intanto, però, il
Taranto della seconda frazione di gioco è ancora vivo. O, meglio ancora, motivato.
Il Monopoli, invece, abbassa densità e tensione, limitandosi ad assistere e
speculando sui due gol in più. La traduzione è facile, al di là delle parole:
gli ospiti cominciano a stringere e i biancoverdi a sudare. E a tutelarsi
ancora: l’ingresso di un difensore (De Luisi, per la punta Manzo) stravolge lo
scacchiere ideato da Passiatore. L’idea di modellare la difesa con cinque
uomini, però, trasmette alla squadra la paura del successo e una sete di
estrema conservazione del due a zero. Il messaggio è preciso, immediatamente leggibile:
sulle tribune e in campo. E, sùbito dopo, rafforzato dalla sostituzione di
Cortese (per il tatticamente più accorto Russo). Eppure, il Taranto non incide
come vorrebbe, malgrado disponga ormai stabilmente del campo e del comando
delle operazioni, oltre che di un atteggiamento strategico molto propositivo
(ora è 3-4-3). Ci pensa, comunque, il guardasigilli Turi a riaprire
compiutamente la gara, con un intervento errato sulla conclusione di
Pambianchi: due a uno e fase finale assolutamente in bilico. L’epilogo, già
raccontato, premia il collettivo che prova a dotarsi di una dimensione,
castigando quello che deve ancora imparare a conoscersi e a gestirsi, al di là
dei problemi di personale (le assenze riducono il ventaglio delle soluzioni). E
che, ora, si ritrova a dover perseguire un obiettivo tutto nuovo, mai
considerato sin qui: la salvezza. Gran brutta botta, per il Monopoli.
domenica 19 ottobre 2014
Non è mai troppo tardi
Il Martina cambia modulo e i punti arrivano. Non senza alcune
controindicazioni già abbondantemente analizzate, ma arrivano. Coach Ciullo,
aspramente minacciato dai risultati e dai pericoli dell’esonero, rivisita quel
tanto che serve per aiutarsi: fuori una delle quattro pedine avanzate, dentro
un centrocampista in più. Operazione semplice, scontata. E attesa: da qualche
settimana, ormai. Non è mai troppo tardi, però. Dal match consumato in casa
della Lupa Roma, la settimana scorsa, sboccia un punto niente male: anche
perché l’avversario è di caratura. La squadra subisce qualcosa, ma non troppo.
E, soprattutto, appare più coperta, più affidabile. L’avversario non brilla, ma
nel mezzo si gestiscono meglio alcune situazioni e dietro si soffre meno. La
sfida con l’Aversa, sette giorni dopo, si trascina il sapore del confronto
diretto e l’etichetta della gara della controprova. La rivisitazione tattica
(ora lo scacchiere è sintonizzato sul 4-3-3) non impedisce al Martina di
accelerare sugli out e di reperire
profondità. La formazione allestita dal tecnico di Taurisano, per mezz’ora,
gioca e affonda come sa, provando a imporre i propri ritmi. Tutto lavoro che
conduce direttamente al vantaggio siglato da Montalto, peraltro dalla
distanza.. E che serve ad Arcidiacono immediatamente dopo (il direttore di
gara, tuttavia, invalida il raddoppio). Il campo, per intenderci, parla
apertamente a favore di Amodio e soci, più vivaci ed essenziali. L’Aversa,
appena può, fraseggia: la penetrazione, tuttavia, è saltuaria. Ma, al di là di
una classifica difficile anche per i casertani, si intravede qualcosa di buono,
dal punto di vista della manovra. Come dire: scherzare è vietato. Ma anche
abbassare la tensione. Fisiologicamente, del resto, il Martina deve pure
rifiatare un attimo e, a parità di quantità, il confronto resta decisamente
molto aperto. Anzi: i campani prendono lentamente campo, arrivando
all’intervallo con un po’ di quotazioni in più. Riacquisire certi ritmi, cioè,
non è facile. E la squadra di Ciullo ci ha abituati a decompressioni evidenti,
a match ormai avanzato. La ripresa è più affaticata e, infatti, l’Aversa ne
approfitta, pareggiando dopo il primo quarto d’ora. L’ennesimo schiaffo,
allora, spinge il Martina a rimediare: questa volta, peraltro, c’è anche tempo
sufficiente per recuperare il vantaggio, che Montalto regala dagli undici
metri. Lo stesso Montalto triplica poco più avanti, chiudendo il confronto.
Anche perché i normanni, alla distanza, si rivelano complessivamente
inconsistenti. Soddisfazione per il primo successo stagionale a parte, il
fastidio della permeabilità difensiva resta (niente e nessuno potrà cancellare
i limiti strutturali e individuali). Ma sembra cambiato qualcosa, all’interno
del l’ingranaggio: e il Martina, di sicuro, adesso è meno esposto. Preferiamo,
però, non sbilanciarci oltre e attendere ancora: due indizi non costituiscono
ancora una prova. Ma la sensazione che il Martina abbia perso almeno un mese
prima di capire uno dei suoi mali, quella sì, resiste.
venerdì 17 ottobre 2014
Brindisi, svolta rapida
Problemi anche per Castellucci. Il Brindisi non si accosta al successo
neppure dopo il cambio di panca: pari al Fanuzzi
prima, contro il Taranto, e sconfitta poi, a Potenza. E sì che la squadra,
adesso, appare più ordinata o, semplicemente, più operaia in mezzo al campo.
Comunque, più equilibrata. In Lucania, peraltro, le circostanze si accaniscono:
fallire un penalty al novantacinquesimo è frustrante. Anche se il provvedimento
arbitrale appare estremamente generoso. Il percorso che separa, cioè, la certezza
dall’incertezza è ancora tortuoso: e qualcuno, sull’Adriatico, comincia
compiutamente a pensare che neppure questo sia l’anno giusto per riappropriarsi
del professionismo. E che, in fondo, il collettivo costruito senza parsimonia
in estate non è poi così affidabile come in tanti (troppi, quasi tutti) avevano
pronosticato. La classifica, brutalmente, consegna una prospettiva grigia: il
Brindisi è appena un passo oltre le quart’ultime, già sufficientemente lontano
dal leader Gallipoli che perde a San
Severo, ma che recupererà quei tre punti a tavolino, molto presto. E se, poi,
si allenta la verve di gente come
Molinari (cinque centri nella prima parte del torneo) o Croce, a cui sono
legate gran parte delle speranze popolari, gli umori s’imbruniscono ancora. E
ancora: patron Flora è inciampato in un problema di salute personale. E con la
salute non si scherza. Se ne parlava da un po’, in città: e, in queste ore, è
arrivata la conferma ufficiale. Il presidente deve farsi da parte: la
comunicazione al sindaco Consales è da considerarsi un atto dovuto, di prassi.
Ci sarebbe, però, una cordata pronta a rilevare le quote e, si dice, a
rispettare il progetto di partenza. E si conosce persino il nome di quello che
potrebbe diventare il nuovo numero uno del sodalizio di via Brin: Mino
Distante, già principale finanziatore del Francavilla, fino a poche stagioni
addietro. Di sicuro, intanto, l’avventura di Flora si conclude molto prima del
previsto. O forse no, come puntualizzano i più maligni. Molto prima del
responso finale, molto prima anche di dicembre, che è quel mese in cui si
rischia qualche conto e si analizzano un po’ di cose, in cui si investono
risorse nuove oppure si depotenzia la programmazione, liberando qualche big. Il passaggio di consegne
societario, magari, sarà indolore: ed è l’augurio migliore per la città che
tifa. Escamotage o no, il pallone
brindisino sarebbe mentalmente preparato al concetto di ripartenza, come se
nulla fosse accaduto. Con la consapevolezza di essersi fatto trovare pronto, al
momento giusto. Non accadeva da anni: e ne prendiamo felicemente atto.
lunedì 13 ottobre 2014
La trazione anteriore dell'Andria
Il vantaggio immediato spinge l’Andria. E il derby
con il Monopoli si configura come una discesa abbastanza comoda. Matera
finalizza sotto porta il primo affondo: bastano tre minuti per modellare la
partita più agevole. Il collettivo di Favarin è rapido e incisivo: pedala e
possiede profondità. Con il pallone tra i piedi, la Fidelis scrive una manovra
spesso interessante. Dalla quale, poi, qualcosa di insidioso sgorga sempre. Malgrado,
complessivamente, difetti la continuità di espressione. L’avversario, per un
po’, deve rincorrerlo: almeno sino al momento in cui decide di ragionare meglio
e di più e, dunque, di rintuzzare (Gori, ad esempio, è più presente in entrambe
le fasi, se valutiamo le ultime prestazioni personali). La crescita della gente
di Passiatore, peraltro, è certificata pochi secondi prima dell’intervallo,
quando il calcio franco firmato da Manzo supera Masserano. Più avanti, il match
si fa più scorbutico: il Monopoli si cala assai bene nel ruolo e l’Andria ne
soffre. Di qua cominciano a mancare lucidità e spunti. Di là, si alimentano
ardore e sacrificio. L’assetto tattico della Fidelis, così, si sfilaccia e gli
ospiti ne approfittano, raddoppiando. Il risultato, tuttavia, non tiene:
Moscelli accelera e Olcese colpisce: esattamente quando Favarin inserisce un
altro attaccante (Lattanzio) per il mediano Piccinni. Paradossalmente, è con il
4-2-4 che l’Andria recupera determinati equilibri. Ritagliandosi gli sforzi per
il forcing finale, che confluisce
nella marcatura del successo, realizzata proprio con l’ultima palla giocabile.
Il Monopoli è colpito nell’intimo e, da quelle parti, la contestazione verso
certi provvedimenti arbitrali è forte. La Fidelis, però, si arrampica su un possesso palla
più evidente e su un atteggiamento largamente propositivo. Anche perché questa
sembra una squadra obbligata, per caratteristiche, a fare la partita e non a
subirla. Favarin, è evidente, sarà chiamato a lavorare ancora sulla fase di non
possesso: anche se l’idea di D’Agostino davanti alla difesa, sperimentata in
corso d’opera, non appare affatto male.
lunedì 6 ottobre 2014
Il Grottaglie bussa alla porta del campionato
Assemblato a campionato già partito e varato senza troppi allenamenti nelle gambe. Eppure, il Grottaglie è cresciuto e cresce ancora. Sorprendendo, se analizziamo dettagli e contingenze. Il pari di Brindisi, al di là delle distrazioni degli adriatici, andava considerato un indizio ancora flebile, ma anche un messaggio di speranza. E l’altro pari, quello del D’Amuri contro la Scafatese, una settimana dopo, un segnale di continuità. Ma l’affermazione di Monopoli, al netto dell’inferiorità numerica dell’avversario (in dieci per tre quarti di match) e dell’autolesionismo della formazione di Passiatore, è la certificazione di una lievitazione dell’impianto affidato alle cure di Enzo Pizzonia e delle potenzialità di un gruppo che si sta definendo e completando, ma soprattutto fortificando. L’Ars et Labor, cioè, c’è. E può concorrere per centrare l’obiettivo della permanenza. Che lo stesso trainer si sente di poter promettere se l’elenco a sua disposizione verrà presto innervato da un’altra punta (è, comunque, appena rientrato Manzella, già utilizzato nel corso della passata stagione) e da un’altra pedina di difesa. L’ultima uscita è un’alchimia di ordine tattico, di carattere e di pragmatismo: nessun effetto speciale, ma dentro ci sono sacrificio e furbizia. Cementati, è chiaro, dagli episodi e dalle modalità di una gara un po’ particolare. In cui il Grottaglie prova a bloccare il Monopoli, riuscendoci per quasi mezz’ora: con quel rombo di centrocampo che non si risparmia e che, quando serve, si allinea e si allarga. Poi, però, dopo essersi cercati, i padroni di casa si trovano e passano in vantaggio, sembrando di poter disporre del match. E, invece, così non è: Salvestroni è inutilmente e platealmente falloso a metà campo. L’espulsione ci sta. E, alla distanza, peserà. Sì, alla distanza. Non immediatamente. Perché, anzi, in dieci il Monopoli è persino più brillante. Malgrado Passiatore sia costretto a schierare Laboragine: appena ritesserato e, per questo, senza troppi minuti nelle gambe. Tanto che, a metà ripresa, Manzo e soci potrebbero chiudere il conto. Anzi, Esposito raddoppia pure, ma il direttore di gara invalida per un offside da verificare. Nel suo momento migliore, tuttavia, la formazione di casa inciampa nell’eccessiva sicurezza o, magari, nella supponenza. Di sicuro, nell’errore fatale. E’ la svolta: il Grottaglie ringrazia e pareggia. Intuendo, a questo punto, di potersi prendere tutto. Quello che deve succedere accade in un brevissimo arco di tempo: e i due gol di Bongermino, sin lì un po’ isolato, scrivono la storia di una partita che la gente di Pizzonia intasca con cinismo e risolutezza. Quello che serviva per cominciare a ribellarsi ad una sentenza già scritta. C’è ancora un campionato da giocare e giocarsi: questa sì che è una notizia interessante.
domenica 5 ottobre 2014
Martina, ora si fa dura
I tempi di attesa e di tolleranza popolare si riducono. Per il Martina e
per il tecnico Ciullo: che, malgrado le disavventure recenti, anche contro la Vigor Lamezia, non rinuncia al
4-2-4. Ma Carretta è veloce a siglare il punto del vantaggio. Ancora una volta,
la squadra parte bene, accumulando credito. Lasciando, tuttavia, giocare un avversario senza
particolari pretese, in campionato, ma che sa uscire alla distanza, in virtù di un calcio semplice e immediato, ma anche ragionato E che si ritaglia lentamente i propri
spazi. L’anticipo del sabato è un match aperto, a dispetto di una supremazia
territoriale martinese anche abbastanza marcata: per una buona mezz'ora e più. L’assetto difensivo dei
padroni di casa, piuttosto, è lo stesso di sempre: permeabile. E,
evidentemente, il segno è malvagio, conoscendo i precedenti. E conoscendo i
protagonisti. Kalombo, ad esempio: un ragazzo più che discreto quando attacca.
E assolutamente improponibile, in fase di non possesso, sui terreni della C. Il fallo di mani del coloured è persino comico. E il pareggio
vigorino, dal dischetto, è la degna conseguenza. La storia, in sostanza, si ripete noiosa: davanti si crea, dietro si distrugge. Nella ripresa, anzi, il
Lamezia raddoppia: la linea mediana di Ciullo non sa arginare, come in passato,
la pressione avversa: i laterali alti non accorciano, i centrali possiedono un passo lento e arrancano. E là dietro la sofferenza si trasforma puntuale in
agonia. Il Martina, peraltro, a svantaggio avvenuto si spegne, si disunisce. Difettano
persino gli spunti individuali dei più vivaci. E la gara si esaurisce prima del
previsto, tra amarezza e imprecazioni. Adesso, è ovvio, il tecnico – che già
viveva ore fastidiose – rischia seriamente. Non ci meraviglieremmo se, in
settimana, dovessero arrivare notizie cattive che lo riguardano. Ciullo, del
resto, in questo periodo non si è neppure aiutato troppo, intestardendosi su un
modulo che non proteggeva il gruppo e che non ha protetto neppure lui stesso.
Al di là dello spessore (basso, nelle retrovie) di certe pedine a propria disposizione. Ne siamo
consapevoli, comunque: rivedere l’assetto e offrire alla squadra più copertura
non significa automaticamente risolvere ogni disagio. Però, riteniamo pure che
all’allenatore spetti anche il compito di porre il collettivo sempre nella migliore
delle condizioni possibili. Cosa che, evidentemente, in quasi due mesi di
campionato, non è avvenuta.
mercoledì 1 ottobre 2014
Brindisi, è il momento di Castellucci
La caduta di Andria vale la panchina di Marcello Chiricallo. Non sarebbe potuto
accadere il contrario, del resto. Nel senso che il provvedimento era, sin dal
novantesimo, largamente atteso. Il tecnico, già minacciato dai risultati e da
patron Flora, se ne va. Impossibile restare al timone del Brindisi, dove arriva
Ezio Castellucci, tecnico esperto, anche se non proprio abituato alle dinamiche di
questo girone di quarta serie. Certo, davanti ai microfoni, Chiricallo dice il
giusto: complessivamente, in casa della Fidelis, la squadra non si spiega male:
ma nel mezzo è un po’ molle e dietro si ritrova in difficoltà. Quattro gol (a
tre) sono troppi. Ed è la classifica (magrissima, considerate le previsioni) a
disegnare la situazione. Semmai, sorprende un dato: che, cioè, proprio un
collettivo affidato sin qui ad un allenatore molto attento alla fase di non
possesso si ritrovi infiacchita di fronte a problematiche di natura difensiva.
Ma tant’è: il pallone non smette mai di sorprendere. Sorprende, invece, la
decisione di rifugiarsi negli schemi di un trainer, diciamo così, più
coraggioso. Nonostante, vale ripeterlo, i disagi non alberghino nella trequarti avversaria o in zona di
finalizzazione. Ma si sa: in questi casi, la prima idea è quella di arare il
terreno e ripartire. Con equilibrio. Quell’equilibrio che, sulle zolle
nevralgiche del campo, la campagna di rafforzamento estiva non ha saputo
evidentemente garantire.
lunedì 29 settembre 2014
Gallipoli, la vetta è legittima
E’ squadra operaia, il Gallipoli. Un collettivo in cui ognuno, nessuno
escluso, coopera con l’altro. E in cui tutti si pongono al servizio del gruppo.
Una squadra che corre, si applica. Che sa sfruttare bene le corsie laterali.
Abbastanza rapida, quando occorre assaltare l’avversario. Destinata a durare
nel tempo, oppure no: non possiamo prevederlo. Ma, in questo momento,
legittimamente al potere del girone appulocampano di serie D. A punteggio
pieno. Il quarto successo stagionale arriva sull’erba di casa: la formazione di
Volturo si libera pure del Monopoli, facendosi bastare il gol siglato nel cuore
della prima frazione di gioco da Tedesco, attaccante ancora integro che
accorcia, pressa, fa salire la squadra e assicura movimento e movimenti. E lo score finale, se vogliamo, è persino
bugiardo, perché troppo stretto. Demerito, evidentemente, anche di un
avversario che, nel match, non entra mai. E che mai offre l’impressione di
poter raddrizzare la situazione. Che approccia la gara con morbidezza
eccessiva, perdendo il confronto nel mezzo (il dinamismo del solo El Kamch non
è sufficiente: in un 4-2-4 serve più sacrificio, da parte di tutti) e sulle
fasce, dove dettano legge Presicce e Negro. Mancano, al Monopoli, soprattutto i
suoi big, che si dimenticano di
prendersi le responsabilità del caso. Ma la gente di Passiatore delude anche
sotto pressione, dimostrando di soffrire le folate dell’avversario, che affonda
puntualmente. Forse, pure l’assenza fisica in panchina del tecnico (squalificato)
incide: manca la sua tensione vigile, la sua voce martellante. Il Gallipoli,
intanto, è lì, davanti a tutti. E con un vantaggio di tre punti sulla seconda,
ovvero la Fidelis Andria.
Numeri di spessore relativo, ma sempre indicativi. Ovvio, adesso viaggiare a
fari spenti si fa molto più difficile. Però, questa sembra una realtà che
alberga lontano dalla supponenza. Sin qui, è un particolare che è servito non
poco. Conservando questo spirito, oltre tutto, il Gallipoli potrà giocarsela
con tutti per un po’ di tempo ancora. E mettersi in prima fila per vedere come
andrà a finire.
domenica 28 settembre 2014
Martina, disavventure in serie
Concesso: il calendario, con il Martina, è stato
decisamente scontroso, sin qui. Per aver piazzato sulla strada della squadra di
Ciullo la Salernitana,
una delle due attuali capolista del girone meridionale di terza serie, il Foggia, la
Juve Stabia e il Catanzaro, formazioni di
livello medio alto (almeno se consideriamo gli organici: per il resto, possiamo
parlarne) e, proprio ieri, nell’anticipo pomeridiano, il Benevento. Che poi è
l’altra battistrada del campionato. Davvero niente male. Unica eccezione,
diciamo così, l’Ischia: effettivamente modesto, per quanto visto al Tursi. Da quest’angolazione, allora, i
soli due punti collezionati in sei gare rattristerebbero ugualmente, senza
però destare troppo scandalo. Cioè: certe difficoltà entrerebbero di diritto
nel preventivo di un gruppo allestito in ritardo e velocemente, quasi in
prossimità dell’avvio di torneo. Però, l’incapacità cronica di arrestare
l’avversario appena la pressione si intensifica e l’abitudine ad entrare in
confusione anche quando il match sembra ben saldo tra i piedi di Amodio e soci
continua a castigare la manovra – spesso intrigante – e le buone intenzioni di
un collettivo frizzante per larghi tratti e dopo, all’improvviso, timido e
involuto. Il Martina tiene sino ad un certo punto: poi, la condizione fisica
scade. E l’assetto si sfalda. La gente di Ciullo, evidentemente, comincia a
patire la controparte e, forse, anche se stessa. Si perde, si ritrae, smarrisce
molte certezze. E concede: troppo. Senza quei maledetti quarti d’ora finali,
sarebbe in alto. E, invece, la classifica è già amara. La prestazione
infrasettimanale contro la Juve Stabia,
ad esempio, è lo specchio delle contingenze: il vantaggio di due gol e la superiorità
numerica di un uomo non bastano. Così come non basta l’ora di calcio non brillantissima,
ma concreta, di Benevento: anche nel Sannio, prima o poi, il gol esce. Il
Martina, puntualmente, subisce nella fase più delicata della partita: quando
diventa particolarmente disagevole rimediare. Caricando il suo tecnico di
ulteriori tensioni e attenzioni. La tifoseria, nel frattempo, sembra aver già scovato il
colpevole: malgrado il coach di Taurisano possa vantare attenuanti non
generiche. Non ultima, l’inaffidabilità di alcune pedine: insistiamo su questo.
Tuttavia, Ciullo potrebbe anche cominciare a ripensare il modulo: il 4-2-4
adottato sin dal primo match è coraggioso e interessante, ma non assicura la copertura
necessaria: il dato è incontrovertibile. Magari, un centrocampista in più, a
presidio di una difesa spesso incerta, potrebbe giovare. Al costo dell'esclusione di una delle
quattro pedine avanzate, ovviamente. La salvezza, peraltro, passa attraverso
piccoli e grandi accorgimenti come questo. E la salvezza deve rimanere il primo
e l’unico obiettivo. Com’è giusto che sia.
sabato 27 settembre 2014
La settimana difficile del Brindisi
La settimana più difficile del Brindisi arriva
presto, all’alba della stagione. Nasce dalle cattive emozioni di un pareggio
indigesto (tre a tre a casa propria, di fronte all’ancora poco attrezzato - e
allenato - Grottaglie, innervato di forze fresche solo alla vigilia del match)
e cresce parallelamente alle notizie che sgorgano attorno alla squadra (il
tecnico Chiricallo è minacciato di esonero, Chiricallo si dimette, i suoi giocatori
lo salvano). La situazione, comunque, non si evolve. Perché resta congelata, a
disposizione degli eventi che seguiranno: la trasferta di domani, quella di
Andria, per intenderci. E, soprattutto, il risultato che garantirà. Del resto,
il Brindisi edificato per vincere, senza se e senza ma, non ammette amnesie,
intralci, delusioni. E il presidente Flora non vuole attendere. Vincere si
deve, necessariamente. E la partenza è
già fortemente penalizzante. Per la classifica (quattro punti in tre uscite) e
per la qualità del calcio dettato (squadra pesante, manovra mai totalmente
sbocciata, sindrome di appagamento al parziale che non si conferma al
novantesimo). Ma il Brindisi, è vero, è un collettivo composito e anche
fragile, sotto alcuni aspetti: quello psicologico, prima degli altri. Obbligato
ad imporsi e, innanzi tutto, da modellare sul massimo comun divisore della
qualità dei suoi singoli. Quella qualità dei singoli che, in casi come questi,
finisce per scontrarsi inevitabilmente con le differenti personalità di un
gruppo importante. Mentre l’integrità dello stesso gruppo, assemblato in
diversi momenti del mercato, continua ad essere minacciata dall’ingaggio di
nuove pedine. Ma, forse, è il momento che il Brindisi, al di là dell’affidabilità
di certe scelte, cominci seriamente a lavorare sulle forze di cui dispone,
piuttosto che sondare nuove strade e confondere ulteriormente il già labile
progetto tattico.
martedì 23 settembre 2014
La sorpresa Gallipoli
Il girone più difficile della D non riconosce il
Brindisi, costruito per stravincere. Bacchetta un po’ l’Andria e, semmai, promuove
il Bisceglie e il Taranto, pur senza affidare loro la leadership. La capolista, per il momento, è un’altra. La capolista
è il Gallipoli. Il neopromosso Gallipoli. Allestito con uno sguardo al
portafoglio da una struttura societaria infiacchita da certe dinamiche estive.
Ma il calcio è così: chi è atteso, spesso delude. E chi viaggia a fari spenti,
talvolta, emerge. Nessuno, prima dello start,
avrebbe scommesso sulla formazione jonica, ammettiamolo tranquillamente. Noi
tra gli altri. Nessuno avrebbe pronosticato tre successi in tre match: due
lontani da casa e uno, conseguito al Bianco,
contro la formazione più corazzata dell’intero lotto, ovvero il già citato
Brindisi. Però, il dato è sostanzialmente corretto: perché la squadra si è
ambientata velocemente al campionato e perché le pedine a disposizione di
Volturo, trainer arrivato a stagione già avviata, sembrano propedeutiche al
progetto. Pur non vantando, Tedesco a parte, un pedigrée lussuoso. Senza dimenticare un particolare: chi comincia
bene, guadagna entusiasmo e si rassoda più facilmente. Il Gallipoli precede
tutti e molti già gli assegnano il ruolo che, dodici mesi addietro, fu del
Marcianise. Potrebbe andare così, oppure no. Ma il pallone ci ha abituati a
determinate situazioni e non ci meraviglieremmo di nulla, se dovesse essere
così. Intanto, però, le basi per riscuotere il premio stabilito, ovvero la
permanenza, ci sono. L’atteggiamento operaio, del resto, in questa quarta serie
pagherà puntualmente: e questo Gallipoli coniuga spirito di sacrificio e
concretezza. Una lezione che qualche concorrente più quotato – ma anche più
distratto – dovrà digerire. Anche se, tra un mese o tra cinque o sette, la
formazione salentina non dovesse più veleggiare in acque alte. Il principio
vale a prescindere. Al di là di una preparazione atletica più o meno pesante. E
della possibilità economica di ciascun club: che, a metà del cammino,
sovvertirà molti equilibri. Come nel campionato passato. Come sempre.
lunedì 22 settembre 2014
Martina, il sospetto diventa certezza
Scricchiolava profondamente, l’assetto difensivo del
Martina. Squagliatosi sotto i colpi della Salernitana. In pochi minuti. Ed a
Catanzaro, una settimana dopo, non era andata per niente meglio: malgrado la
prima parte di gara, da considerarsi largamente positiva. Anche in Calabria, la
formazione di Ciullo si era garantita per metà match personalità e crediti:
puntualmente ceduti appena i padroni di casa avevano accelerato il ritmo e,
soprattutto, verticalizzato. Mettendo a nudo l’incapacità della mediana, più abile
ad appoggiare e a proporsi, di fare filtro e di coprire la terza linea. E,
ovviamente, quelle dell’intero pacchetto arretrato: svagato, lento e – per
questo - ripetutamente costretto al fallo, ultima chance di chi è puntato e saltato con illogica abitudine. E,
allora, con zero punti in tre match, non c’è più spazio per amnesie e distonie:
Al Tursi scende l’Ischia, collettivo
modesto, anche abbastanza remissivo. Sicuramente più digeribile dell’orario di
gioco: mezzogiorno e mezzo è roba da autolesionisti del pallone. Ciullo, anche
per esigenze contingenti (squalifiche) rivede lo scacchiere: fuori Caso e
Samnick (il coloured, probabilmente,
è ancora acerbo per ricoprire il delicato ruolo di centrale di difesa) e dentro
Memolla, schierato a sinistra (Patti scala al centro). Non c’è neppure
Montalto, davanti: e la sua predisposizione a lavorare per la squadra si
avverte. La manovra del Martina, però, è sufficientemente frizzante, almeno quando
la palla è tra i piedi. La verve e la
rapidità di esecuzione degli esterni è immutata, anche se la progressione è
discontinua, complice l’atmosfera afosa. Ma, soprattutto, l’Ischia si arrocca
in 5-4-1 che, alla distanza, rischia di devitalizzare la proposta di Amodio e
soci, di ingabbiare Magrassi, terminale offensivo di giornata, e di appiattire
la gara. Gli isolani non stuzzicano il Martina, preferendo nicchiare. Il gol
può piovere solo su calcio piazzato. E così è: il sigillo è di Patti. Dopo
l’intervallo, il trainer campano cambia il volto del proprio scacchiere,
azzardando il 4-2-4. Ma Caruso, subentrato a Pellecchia (meno appariscente del
solito, oggettivamente più disposto al sacrificio) sfrutta un’esitazione
grossolana di Alan e raddoppia. Confuso, l’Ischia fatica a risvegliarsi e la
scarsa qualità non lo soccorre: così il
Martina può governare tranquillo. Per una volta, dietro, si vive in
tranquillità. Sembra fatta, cioè. Almeno sino a quando De Giorgi, nuovamente in
difficoltà, non commette fallo da penalty. Dagli undici metri, Ciotola riapre
la gara. Tornano, all’improvviso, tutti gli incubi. La gente di Ciullo comincia
a cedere, l’avversario si riorganizza in tempo. E, ancora Ciotola, a recupero
inoltrato, crocifigge il Martina, ancora incapace di coprirsi. Due a due,
contestazione finale del pubblico e morale bassissimo: arriva solo un punto,
che aggrava le sensazioni. Il problema fondamentale rimane. Anzi, si
ingigantisce, considerato lo spessore dell’avversario. E’ questione di singoli,
evidentemente. Ma, anche di reparto. La fase difensiva è inadeguata: era un
semplice sospetto, adesso è una certezza. E, senza correttivi, si affonda:
questo è palese.
lunedì 15 settembre 2014
Bisceglie, troppo facile. Grottaglie, è dura
Il Grottaglie prova a ribellarsi all’ineluttabilità
degli eventi, alla noia di un campionato già scritto, ancora prima di nascere.
E, per il campionato approcciato male (caduta pesante a Francavilla sul Sinni:
uno a cinque), si irrobustisce con qualche pedina più spendibile: Faccini,
Pisano e Prete, per fare nomi. Trovando, al contempo, l’assenso di Vincenzo
Pizzonia, tecnico sin qui non troppo entusiasta della situazione e che, proprio nel corso di questa settimana, firma la pratica di
tesseramento per poter occupare la panchina. Ma sembra comunque dura, troppo
dura. Il calendario, oltre tutto, non soccorre: al D’Amuri, dall’altra parte del campo, spunta il Bisceglie dei big
e delle ambizioni. Immediatamente frustrate, forse, dal match di esordio (pari
interno col Potenza, vantaggio sprecato), ma sempre vive e legittime. Il
calcio, però, è anche una somma di indicazioni, molto spesso. E il vantaggio
veloce degli stellati (Zotti su calcio franco) non stupisce. Indirizzando da
sùbito una partita già segnata. A parte Gallaccio, Anaclerio e Gambuzza, De
Luca utilizza il meglio di cui dispone: in mezzo al campo, con Lanzillotta, c’è
Guadalupi: come dire, l’atteggiamento è altamente propositivo. Il 4-2-3-1 di
partenza, del resto, si nutre della facilitazione di molti compiti e, appena
scocca il decimo minuto, pure del sigillo della tranquillità. Due a zero di
Patierno e partita praticamente congelata. L’Ars et Labor non possiede sostanza
e neppure troppa grinta. Magari, neanche eccessiva convinzione. Al 13’ i gol del Bisceglie sono
già tre: non c’è molto altro da aggiungere. Da adesso in poi, si gioca soltanto
per dovere. Gli ospiti giostrano in scioltezza, il Grottaglie assiste
impotente. Patierno sciupa un paio di palle invitantissime, ma non c’è danno. I
ritmi, peraltro, assecondano la squadra che sta stravincendo, costringendo a
rinviare qualsiasi altra analisi ad un appuntamento più credibile. Finisce uno
a quattro, anche perché gli ospiti si moderano: e per la gente di Pizzonia è
uno schiaffo che non ne agevola il processo di crescita. Un processo che resta strettamente
legato, si intende, ad un eventuale piano di rafforzamento. E pure robusto. Non
sappiamo, tuttavia, da quali risorse supportato. In caso contrario, sarà
un’agonia. Lenta e lacerante.
lunedì 8 settembre 2014
Il Martina illude, la difesa non regge
L’esuberanza, il sacrificio, il podismo. Quella manovra più
diretta, coraggiosa, a tratti irruenta e irriverente. Il Martina gioca di più
della Salernitana, vagamente timida, per un tempo (il primo) e per la prima
metà della ripresa. E, ad un certo punto, si ritrova davanti per gli effetti di
una magia di Pellecchia, sistemato nel 4-2-4 come seconda punta, con poco più
di un quarto di match da gestire e salvaguardare. Ma la qualità dei campani
stipata in panchina si aggiunge a quella già sistemata sul campo: la reazione
della formazione di Menichini è possente, autoritaria. Lo schiaffo ricevuto,
probabilmente, si rivela particolarmente salutare. E l’assetto difensivo
pensato da Ciullo (scelte obbligate, sia chiaro), sin lì sufficiente per
l’incapacità dell’avversario di verticalizzare o affondare, si squaglia sotto
il peso di una pressione chirurgica. In pochi minuti, la Salernitana si prende
il campo, acquista in densità e denuda i difetti del Martina, costringendolo
all’affanno, stringendolo e assediandolo. Negro, entrato per garantire anche
alla sua squadra un 4-2-4 affidabile e incisivo, cambia il corso del gioco e
apre un nuovo capitolo. De Giorgi, a destra, va in difficoltà, commette fallo e
lascia la squadra in dieci. Immediatamente dopo, a sinistra, Tomi è costretto a
offrire ai granata il penalty della svolta, trasformato da Calil. In mezzo al
reparto di presidio, il giovane Samnick ammette di non poter coordinare strategie
e dinamiche. La
Salernitana sa, invece, che adesso può vincere e accelera
ancora: fallisce almeno tre occasioni da gol e, un minuto prima del
novantesimo, intasca i tre punti. Riscattando quella partenza un po’ anonima:
intrisa di giropalla, ma cieca. E confinando
il Martina in fondo alla classifica, da solo. E anche un po’ irritato. Ma
consapevole dell’esigenza di dover velocemente integrare alcuni tasselli
contrattualizzati recentemente: primo tra tutti, il centrale Fabiano, che il tecnico vorrebbe utilizzare stabilmente dietro.
La terza serie accoglie formazioni di caratura notevole, soprattutto in fase di
possesso: la Salernitana
è un esempio, non un’eccezione. Occorrerà tutelarsi.
sabato 6 settembre 2014
Grottaglie, buio denso
Salvare il campionato, ancor prima
che cominci. In attesa di affidare titolo sportivo e squadra (si fa per dire:
per il momento, continua a lavorare un gruppo di ragazzi senza mestiere e senza
una guida tecnica certa e definitiva) a chi, meglio dell’attuale staff
dirigenziale, potrebbe reggere economicamente blasone e speranze. A chi, per la
verità, si è anche affacciato, spaventandosi non poco del quadro finanziario
del club. E rinviando, al momento, ogni decisione in merito: un’operazione
tattica che, oggi, sembra l’anticamera della fuga. Il Grottaglie sta morendo,
questa è la verità. Ma, stoicamente, il presidente D’Amicis e il suo entourage provano ad allargare i tempi
della resa: spedendo, appunto, quella manciata di ragazzi verso l’esordio di un
campionato che potrebbe, peraltro, interrompersi presto. E assai bruscamente. A
Francavilla, il primo match è, cioè, assicurato. Di fronte ad una delle
formazioni più solide dell’intero girone, il risultato di domani sembra già
abbondantemente sbarrato: non c’è storia, non ci sarà storia. Il divario è
netto, incolmabile. Bypassato il
punto di penalizzazione per un’eventuale rinuncia, però, il problema resta per
intero: non è detto che il Grottaglie possa ripetere l’impresa di presentarsi.
Ricalcando, a meno di un anno di distanza, il tramonto del Nardò: che, in
realtà, galleggiò un paio di mesi, prima di inabissarsi. Con quei ragazzi,
specifica il club, viaggerà anche il tecnico Pizzonia, che non ha ancora
firmato il tesseramento e che, quasi certamente, non andrà in panchina: come è
già accaduto in Coppa, contro il Potenza (sei a zero a domicilio). E che pure
si era eclissato, non più tardi di un paio di settimane fa. La stagione
dell’Ars et Labor nasce male: neppure prima del campionato appena trascorso e
di quelli precedenti la situazione era così oscura, deteriorata. Ma la speranza
resiste, ancora per un po’. Giusto il tempo che servirà a Tonio Bongiovanni ed
Elisabetta Zelatore, già massimi responsabili del calcio (e del volley)
tarantino per consegnare l’ultima risposta. Però, certe cifre antiche mai
sanate sono un macigno troppo ingombrante. I campionati passano, i giocatori e
i tecnici si accontentano (o zittiscono), le salvezze si collezionano, una
dietro l’altra: ma, alla fine, i conti non tornano e riemergono. E’ la
puntualità della matematica, sono le certezze del pallone.
venerdì 5 settembre 2014
Taranto, speranze deluse: sarà ancora D
Una buona notizia: il campionato di
D sta per cominciare. Dopodomani, per la precisione. Così, almeno, cominceremo
a fare a meno di previsioni di calcolo, conteggi variabili, verbali di
agibilità, domande di ripescaggio, rinunce e regolamenti applicati per
convenienza. Questa storiaccia molesta delle promozioni a tavolino ci ha abbastanza
infastidito, sinceramente. Concetto valido per tutte le categorie: la B (il Novara non va bene, la
Juve Stabia neppure, il Pisa soccombe al fotofinish e, allora, affiora il
Vicenza, che inciampa nel realismo della gente comune), la C (che, solo da oggi, a torneo
già avviato, possiede la sua sessantesima concorrente) e la D (il Rieti presenta il ricorso
e sorpassa nell’ultima ora utile il Sondrio, che però ha già preparato valige e
squadra per la quarta serie). Ovvio, non ci costruiamo labile e patetiche
illusioni: della questione, purtroppo, si continuerà a discorrere ancora a
lungo: nelle aule di un tribunale, sportivo o civile, e sulle colonne dei
giornali, dei siti web, ovunque. Però, se non altro, si parte anche in D: con
tutti gli effettivi. Anche con il Taranto. Che, nell’enorme intrigo, ci è
entrato da protagonista: seppur in ritardo. Rinunciando, prima, a regolarizzare
la domanda, per una transizione societaria dilatatasi nei tempi e, dunque, per
una serie di operazioni tecnicamente difficili da mettere assieme in pochissime
ore. E, infine, ritrovandosi a inseguire il ripescaggio per la riapertura della
corsa (con il Vicenza in B, si è spalancato un nuovo spazio nel girone
settentrionale di terza serie), al fianco di Akragas – la meglio posizionata,
secondo la graduatoria generale di merito stilata in estate, ma priva di un
impianto a norma – e il premiato Arezzo. Quell’Arezzo che riesce a superare
indenne lo scoglio di una pratica creduta, almeno sui due Mari, carente sotto
un paio di angolazioni (lo stadio e il settore giovanile). E, probabilmente,
anche ben sponsorizzato dal pericolo di dover altrimenti inserire un club del
sud profondo nel girone più settentrionale d’Italia: un’eventualità che avrebbe
causato comprensibili fastidi, più che scompensi. Ma, in definitiva, anche la
società piazzata più avanti, rispetto al Taranto, nella classifica delle
ripescabili: se ci pensate bene, per quella gara di playoff vinta allo Iacovone a maggio. Immaginate, allora, i
rimpianti che si stanno coagulando in riva a Mar Piccolo. E quelli dell’Akragas
(e della Correggese): che, invece, alla lotteria di fine campionato sono
arrivati sino in fondo. Inutilmente. Tra un rimpianto e l’altro, allora, questa
serie D può salpare. Con il Taranto che dovrà attendere tempi migliori, dopo
una stagione di ulteriore rodaggio. Oppure attrezzarsi, per potersi misurare
con le più ambiziose del girone. Perché, così com’è oggi, non offre troppe
garanzie.
giovedì 4 settembre 2014
Bisceglie, una squadra per la categoria
Il grande impegno dopo il
disimpegno. Canonico ci ha abituati così. Prospettando un’altra fuga, rivedendo
la decisione e, infine, rilanciando. Nel segno della continuità, sul solco
delle ambizioni che non tramontano mai. Vuol dire che a Bisceglie, ancora una
volta, l’idea fondamentale è quella di battagliare per un obiettivo importante
come la serie C che, sul prato del Ventura,
ha transitato troppi anni fa, ormai. Un paio di mesi sono scivolati faticosamente
e tutto sembrava compromesso: persino il titolo sportivo. Invece, sistemati
alcuni particolari con l’amministrazione comunale, a metà estate si è riaccesa
la fiamma: il presidente, incassata l’impossibilità di ambire al Bari, si è
riaffezionato al progetto originario. Nuovo investimento, nuovo roster di partenza: confezionato con
acquisti che, oggi, prima ancora dell’avvio del campionato di serie D,
definiremmo mirati, più propedeutici alla stagione che il club stellato si
prefigge di ritagliarsi (il riferimento alle esperienze precedenti è
assolutamente voluto). Il nuovo trainer De Luca, assai stimolato nel seppellire
l’ultimo torneo consumato sulla panchina del Monopoli e l’onta
dell’allontanamento a lavori in corso, si ritrova a dover plasmare under interessanti e over di comprovato mestiere (due nomi su
tutti: Zotti e Lanzillotta, che l’allenatore castellanese ha già incrociato
proprio a Monopoli, ma anche Gambuzza, Lanzolla, l'ultimo acquisto Anaclerio, lo stesso Lacarra). Gente che, sul campo, fa della personalità una qualità
imprescindibile. Proprio il Bisceglie, anche e soprattutto in virtù di questo,
si candida sin da ora a contrastare il passo della più titolata del girone
appulocampano, il Brindisi di Flora e Chiricallo. Come l’antipasto della Coppa
Italia (scontro diretto, domenica scorsa: Bisceglie avanti, Brindisi eliminato)
sembrerebbe confermare. Malgrado sappiamo molto bene quanto poco sia
attendibile il pallone d’agosto, ma anche quello della competizione tricolore.
E nonostante lo stesso De Luca, con sagacia, si dedichi a opportuni esercizi di
realismo e di buon senso: nella speranza, magari, di allontanare quel po’ di
pressione che si sta lentamente creando attorno alla squadra. Un collettivo
completo, che ci piace. E che sembra piacere a più di un osservatore esterno.
Appostato, come accennavamo, un gradino appena sotto il Brindisi, in sede di
pronostico. Ma una formazione, attenzione, assolutamente di categoria. E’ un
dato pesante, non dimentichiamolo.
mercoledì 3 settembre 2014
Il Lecce e i fantasmi del passato
Terzo anno consecutivo di C: e
sembra già un’antipatica abitudine. Ma il Lecce, in terza serie, ci è
interamente dentro. E dovrà necessariamente adattarsi, una volta per tutte. E
sgomitare, soffrire. Più di prima. Anche perché, se il tempo passa invano, il
rancore aumenta. E si alimenta il pessimismo, così come la pressione, la
tensione, il nervosismo. Si riparte e, fortunatamente, si riparte con gli
stessi presupposti del campionato appena trascorso e di quello ancora
precedente: per vincere. Non ci sono fraintendimenti che reggano: anche in
questa occasione, la famiglia Tesoro punta alla prima piazza. La sola che dà il
diritto a partecipare alla prossima serie B. La questione playoff, del resto,
da questa stagione è molto più complicata: con tre gironi e quattro promozioni
complessive, capirete immediatamente il motivo. L’assalto alla promozione, poi,
è una faccenda che riguarda un gruppo di candidate davvero niente male:
dettaglio che non tranquillizza per niente. Si riparte per vincere: anche in
mezzo alle polemiche. La società e l’amministrazione comunale non si
risparmiano il fuoco incrociato, che bene non fa all’umore dell’ambiente. Anche
se l’opinione pubblica ritiene la squadra, riveduta e corretta in estate,
sufficientemente temprata. Ecco, la squadra: esordisce sull’onda emotiva della
sua qualità, sboccia sul bagaglio tecnico dei singoli e comincia a nutrirsi
degli episodi: ad Aprilia, che ospiterà l’intero torneo della matricola Lupa,
terza realtà del calcio romano, il Lecce forza immediatamente il risultato e,
in qualche modo, prenotando il primo successo di un lungo cammino. Ma, alla
distanza, riemergono certi limiti appartenuti alle formazioni di ieri ed
avant’ieri. Miccoli e soci non sanno governare il parziale, non si dispongono a
blocco unico e disperdono la chance.
Vince la Lupa,
in rimonta: ed è sùbito malumore. L’estro e la giocata, più o meno isolata, non
bastano: come sempre. Il Lecce, piuttosto, ammette i primi scompensi di
continuità. Troppo presto, ovviamente, per esprimersi: ma le ultime esperienze
maturate nel Salento ammoniscono e allarmano, diciamolo pure. Il passato
recente, inevitabilmente, incide. E, ancora più tenacemente, inciderà:
soprattutto se la traiettoria della formazione dello squalificato Lerda non
dovesse coincidere con il solco delle ambizioni. La gente che tifa potrebbe non
essere troppo disposta a perdonare e ad attendere: il pericolo è anche questo.
E fa male doverlo sottolineare già dopo soli novanta minuti di calcio vero. E
di Lecce ancora distante dalla realtà del campionato. E, forse, di nuovo
esuberante di pedine pregiate, ma anche sconosciute ai campi della C.
martedì 2 settembre 2014
Bari, spirito immutato
Il Bari, la sgroppata esaltante del
finale di stagione – quella appena passata – e i segreti del suo successo, al di
là del mero risultato guadagnato sul campo: playoff senza promozione finale.
Roba di metà giugno scorso. Adesso, però, si sta disegnando una storia tutta
nuova. In cui palcoscenico ed attori sono cambiati. Cominciando da Gianluca
Paparesta, timoniere di un travaso storico: quello che conduce dal lunghissimo
regno dei Matarrese a una società gestita con un nuovo profilo manageriale,
lontana dai pericoli sofferti nel recentissimo passato (l’antica Associazione
Sportiva, sommersa dai debiti, infatti, non esiste più) e, raccontano i più maligni,
ancora avvolta dal mistero dei finanziatori (chi sono, dove sono, sono legati
all’ormai potentissimo Lotito oppure no?). Passando da Stefano Antonelli,
incaricatosi del peso non indifferente di surrogare l’abbandono del vecchio ds
Angelozzi, mente pratica dell’ultimo Bari. Transitando da Denis Mangia, tecnico
rampante che si trascina l’alto gradimento di Arrigo Sacchi, ma ormai titolare
di una certa esperienza sulla panchina (Varese, Palermo, Under 21, Spezia). E
sostituto designato della coppia Alberti-Zavettieri: che, magari, altrove
sarebbero stati riconfermati senza indugi: per la bontà del lavoro sbrigato e
per il riscontro tangibile ottenuto. Per arrivare a qualche protagonista della
squadra che si sta consolidando: Stevanović, Stoian, De Luca,
Rossini, Ligi, Wolski, Minala, Donnarumma, Gomelt, Donati e altri ancora.
Protetti, intanto, dal blocco conservato
(Sabelli, Galano, Sciaudone, Calderoni, Romizi, Guarna, lo stesso Defendi).
Senza dimenticare Caputo: un acquisto vero e proprio, malgrado non lo sia, in
realtà. Un attaccante che, smaltita la lunga squalifica, si fa trovare pronto,
monetizzando bene rabbia e motivazioni. E che, di fatto, inaugura il campionato
di questo Bari. La vittoria contabilizzata sabato a Chiavari, casa della neopromossa Entella, parte
dalla sua firma, a cui si affianca il sigillo di Galano, a match quasi
esaurito. Ma il successo in Liguria è, senza volersi soffermare sullo spessore
dei singoli, il prodotto di un atteggiamento ancora spavaldo e genuino. Questo
collettivo, ad una prima analisi, sembra cioè aver ereditato la mentalità di
quello che l’ha preceduto. La squadra osa e trova. Imposta e rifinisce. In
certi scampoli di match, anzi, il compito diventa persino facile: lo ammette
senza perifrasi pure il tecnico avversario. Ed è proprio questo, forse, il
dettaglio che deve insospettire. Mangia, così, attende la controprova e fa bene. Ma, se lo spirito
del gruppo è immutato, confidare nel domani è perfettamente lecito. La spinta
della gente sugli spalti, oltre tutto, ci sarà ancora. Come nel rush finale di un campionato fa.
lunedì 1 settembre 2014
Monopoli e San Severo, primi indizi utili
La Coppa Italia,
come tradizione, distribuisce i primi indizi. E le impressioni ricavate
spingono ad approvare l’approccio alla stagione del Monopoli. Al di là del
risultato (tre a uno sul San Severo e passaggio automatico al secondo turno
della competizione, dove adesso dovrebbe incrociare il Francavilla), la
formazione curata da Passiatore si sforza – riuscendoci – di perseguire una
manovra fitta, dove la palla resta a terra, il più possibile ordinata. Malgrado
l’impatto con la gara risulti un po’ pesante, lento. Anzi, da sùbito, sembra
più pronto l’avversario: il 4-1-4-1 pensato dal tecnico dauno De Felice si
modifica solo ed esclusivamente quando si punta la porta avversaria e i due
laterali in mediana (l’interessante Mastrangelo, un ’95, e Ferrante) salgono.
Il giovane San Severo (c’è anche un ’97, dietro: si tratta di Galullo,
tecnicamente un po’ acerbo, ma fisicamente dotato e in possesso di buona personalità)
ci mette spensieratezza e coraggio. L’idea tattica si sviluppa principalmente
attorno alle verticalizzazioni che cercano il maturo Carminati, nutrendosi
della quantità di Dell’Aquila e della vivacità di un altro under interessante, il laterale basso Cicerelli. Quanto basta per
preoccupare l’esperienza del pacchetto arretrato del Monopoli: a cui, peraltro,
il giovane portiere Pino non riesce a garantire totale tranquillità. La
formazione di casa (si fa per dire: il neutro
è quello di Fasano: il Veneziani è
ancora sottoposto a lavori di maquillage)
s’industria per architettare un calcio più cerebrale: ma El Kamch si accosta
alla gara con un po’ di ritardo e Gori deve ancora sbocciare (lo farà alla
mezz’ora). Il vantaggio ospite, dopo diciotto minuti, ha il sapore dello
schiaffo morale e, allora, il Monopoli (4-2-4 in fase di possesso) si
sveglia. Murano, uno che possiede lo spunto, il fisico, la progressione,
discreti mezzi tecnici e che, soprattutto, sa interagire con la squadra,
rimedia immediatamente. Assieme a lui, lievita anche il compagno di reparto
Manzo, che si lascia apprezzare più in fase di ultimo passaggio, piuttosto che
nel ruolo di finalizzatore (e, comunque, il terzo sigillo del match porterà in
calce la sua firma). Come detto, con il passare dei minuti, Gori si impossessa
delle chiavi della mediana e, nel frattempo, la terza linea si assesta. Ma,
soprattutto, piace la catena di destra: Russo (‘96) scende con autorità e,
nonostante si perda in un paio di occasioni, garantisce sostegno continuo e verve; il più avanzato Difino (’95), corre,
suggerisce e, appena può, conclude. Il Monopoli, trovate le coordinate giuste e
i colpi dei singoli, raddoppia prima dell’intervallo e triplica in apertura di
ripresa, chiudendo virtualmente il match con anticipo largo. Rischiando,
peraltro, di dilagare appena il San Severo si affloscia atleticamente. De
Felice, oltre tutto, a metà gara ringiovanisce ulteriormente la base difensiva
con Pepe (tre under su quattro, orchestrati
dal navigato Campanella): alla distanza, cioè, la differenza di mestiere e di
caratura globale si sente tutta. La gente di Passiatore, così, si guadagna un
po’ di consensi che garantiscono morale, alimentando l’entusiasmo della piazza.
Logico, però, che la prestazione positiva debba finire per essere inquadrata nel
contesto: giusto per non accarezzare illusioni che potrebbero rivelarsi
ingannevoli. E che le possibilità del Monopoli debbano quanto prima essere
verificate di fronte ad una squadra più esperta e più longeva. Due
caratteristiche che la volontà del San Severo non è riuscita a consegnare a se
stesso e al campionato che sta per partire.
domenica 31 agosto 2014
C unica, il primo derby è del Foggia
Il ripescaggio rallenta i tempi di inserimento nel
cuore della stagione. E il Martina, burocraticamente ammesso alla terza serie
nazionale, si costruisce e si completa in netto ritardo. Slitta la
preparazione, si concentra il lavoro quotidiano: e qualcosa va tralasciato,
inevitabilmente. Eppure, l’esordio di Coppa non è male, complessivamente: la
presenza di alcune pause e l’assenza di certi movimenti non impediscono alla
formazione allestita da Palomba e Ciullo di resistere degnamente al più rodato
Matera, che comunque avanza verso il secondo turno della competizione. Il
campionato, una settimana dopo, conferma determinati segnali che offrono il
coraggio necessario per affrontare l’avventura, ma il risultato è amaro. Il tre
a due di Foggia, peraltro, aiuta ad avvicinarsi psicologicamente alla realtà di
un girone, quello meridionale, mediamente competitivo e più che discretamente
assortito: che il Martina approccia con difficoltà, ritrovandosi sotto di due
gol dopo soli venticinque minuti di gioco. Anche per questo, il peso specifico
del gol di Pellecchia (uno che verrà utile nel 4-2-4 che il tecnico sta
cercando di organizzare e plasmare) è alto: perché il match si riapre
immediatamente. La formazione di Brescia, però, è atleticamente più tonica e
qualche distonia in fase di presidio non le preclude la strada. La terza
marcatura dauna arriva agli albori della seconda frazione di gara, finendo
forse per appagare prima del tempo i languori di Agnelli e soci: di questo, del
resto, si lamenterà a cose fatte Totò Ciullo, pronto a sottolineare
l’incapacità della sua squadra di approfittare del calo di tensione avversario.
Arcidiacono, tra i pochi sopravvissuti dello scorso campionato, lavora tanto e
bene. Poi, un penalty trasformato da Montalto a metà ripresa sembra
riavvicinare il Martina alla mèta del pari: l’onda d’urto, tuttavia, è debole.
E, in più, il Foggia mantiene la lucidità che serve per scollinare verso il
successo, rischiando poco. E sforzandosi, anche nei momenti meno brillanti del
match, di mantenere un atteggiamento
propositivo. Che, probabilmente, finisce per solleticare Iemmello, artigliere
arrivato di recente e sul quale il tecnico intende puntare apertamente. Non solo
per le qualità realizzative (suo il sigillo che sblocca lo score, al minuto quindici, e sua la conclusione che destabilizza la difesa ospite in occasione del tre a uno firmato da Cavallaro), ma anche per quella propensione a
gestire il pallone e a far salire il collettivo. Un collettivo obbligato, però,
a lavorare ancora molto: anche sull’intensità.
domenica 3 agosto 2014
Martina, bentornato in C
L’attesa silenziosa, certe volte, paga. Forse, solo perché i
requisiti per riemergere ci sono tutti. Come il palazzo del calcio, al momento
opportuno, certifica: rispettando le attese della piazza e ricollocando
burocraticamente il Martina dov’era, prima della retrocessione. Magari,
soltanto perché la strada è già sufficientemente segnata da argomentazioni
forti (lo stadio a norma, l’assenza di una massa debitoria preoccupante, i
trascorsi sportivi) che vanno semplicemente sostenuti da un’operazione
diplomatica robusta e tenace. Se ne parlava da tanto. E, alla fine, arriva: il
ripescaggio nella nuova terza serie zittisce tutte assieme le preoccupazioni
dell’ambiente (per le incognite che spesso si accodano ad un insuccesso
ottenuto sul campo e per l’apparente immobilismo di un’estate vissuta a
controllare il traffico) e il malanimo avvampato e mai sopito ai tempi della
gestione Cassano. Quando la
Fiorentina bypassò
il Martina, conquistando la B
a tavolino. E, più tardi, quando il vecchio patron decise di decapitare il
pallone in Valle d’Itria. Inutile girare troppo attorno, però: la rapidità di
esecuzione dei lavori di miglioria all’impianto di via della Sanità si sono
rivelati decisivi. Così come le garanzie assicurate da un blocco societario
ricompattatosi in fretta, con intelligenza. Pericolo serie D evitato, allora.
In quarta serie, diciamolo chiaramente, sarebbe stata tutta un’altra storia. Da
riappaltare con pazienza e con moneta contante: tanta. Da affrontare con un
certo fastidio e, probabilmente, scarse prospettive (altri club di quarta serie
sono avanti col lavoro e, invece, il nuovo Martina va ancora formato, anche se
il tecnico Cullo avrà certamente disegnato due programmi e due organici di
massima, uno per la C
e uno per il campionato interregionale). Ecco, in D il Martina si sarebbe
allineato con motivazioni limitate e ambizioni ridotte: un campionato di
transizione, per capirci. In terza serie, invece, sarà sufficiente salvarsi: e,
con tre retrocessioni su venti squadre, si può fare, muovendosi con oculatezza.
Pur partendo con un certo ritardo sui tempi. Perché, parlandoci chiaro, anche
questa volta sarà molto più agevole aggirare la retrocessione in D che
pianificare l’assalto alla C. Come accade da un po’ ormai. Sembrerà strano e,
chissà, lo è davvero. Ma è assolutamente così. Fidatevi.
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