giovedì 31 gennaio 2008

La scommessa del nuovo Martina

Il Martina che verrà è davvero un altro Martina. Il nuovo diesse Evangelisti ha dirottato in Valle d'Itria diversi volti nuovi: quanto, cioè, il budget non facoltosissimo della società e il mercato suplettivo (finalizzato, oltre tutto, rincorrendo avidamente i tempi) hanno permesso. E, credeteci, è già qualcosa. O più di qualcosa. Volti rampanti (escludendo Larosa e Leone, magari) e, immaginiamo, anche affamati: che, oggi, non possono ragionevolmente offrire troppe garanzie di salvezza (della squadra). Ma solo impegno e, riteniamo, entusiasmo. Arrivano di fretta per ricostruire un progetto già avviato ed interrotto, che il trainer Camplone dovrà fortificare con perizia, sacrifici, buon senso e la collaborazione: dei protagonisti del campo e, evidentemente, della gente. Le controindicazioni, chiariamo, ci sono e sono evidenti, sin d'ora: Il nuovo gruppo non può godere di una preparazione comune, nè potrà contare - nelle prossime settimane - su un tessuto tattico affidabile. La scommessa è lanciata, ma è una scommessa ardita, scomoda. Meglio rendersene conto. Solo un particolare potrà (e dovrà) consolare e sostenere: il calcio, a Martina, ora possiede almeno un futuro. Un futuro prossimo, ma pur sempre un orizzonte. L'alternativa sfiorata (l'affossamento) resta e resterà un punto da cui ripartire: in attesa che la squadra trovi i tempi, i modi e gli argomenti per combattere. E, magari, trovarsi.

mercoledì 30 gennaio 2008

Cosa disturba il Monopoli?

L’incertezza di Gela arriva in un periodo un po’ così. In cui il Monopoli alterna qualità di prestazioni e risultati, forse anche disturbati da troppi affari di mercato: in entrata e in uscita. In cui slittano voci fastidiose, ampliate dal desiderio, neppure tanto sommerso, di qualcuno (De Santis, appena trasferitosi ad Andria; Cardascio, De Sanzo) di voler continuare la stagione altrove. In Sicilia, al di là di tutto, la prova della gente guidata da Lello Sciannimanico è lacunosa, sotto il profilo caratteriale. In campo, c’è tanto Gela e poco Monopoli. Fuori, si addensa qualche nube. Meglio sottolineare certi dettagli adesso: quando la classifica è ancora salda. E meglio industriarsi per prevenire un eventuale dolore futuro. Non ci si può sempre e solo affidare alle difficoltà altrui. Non può convenire: le concorrenti ai playoff potrebbero, infine, quadrarsi. E il Monopoli deprimersi. Perchè, se esiste qualche problema sotterraneo, potrebbe deflagare. Più o meno improvvisamente.

Verso la maturità

Il derby premia il Fasano e, dicono le cronache, incensa le intuizioni tattiche di Pettinicchio, un allenatore che ha vissuto giorni agitati, neppure troppo tempo addietro, ma concretamente difeso dalla società, che ne ha testardamente blindato la panca – almeno due volte - con decisioni forse anche impopolari. Cade, invece, il Brindisi, che – quando sembra quadrarsi definitivamente - riesce a smentirsi con puntualità sùbito dopo, perdendo quella profondità nel gioco e quella brillantezza di fondo ultimamente raggiunte. Si impone, probabilmente, la squadra che crede più e meglio nel successo: quella che, di fronte ad avversari quotati e tecnicamente più dotati, risce a razionalizzare la propria manovra e ad offrire qualcosa (o molto) anche sotto il profilo dell’intensità. Al “Curlo” si sono piegati, nell’ordine, il Bitonto, il Barletta e, appunto, il Brindisi: evidentemente, non può trattarsi di semplici coincidenze. Riesce difficile comprendere, piuttosto, dove scivoli – in altre circostanze – la personalità della squadra. Che, ora, è chiamata a rispondere ad un test di maturità. A mostrarsi collettivo adulto. Applicando, cioè, il concetto di continuità: perché non è mai conveniente vivere esclusivamente di sprazzi, anche pregiati.

martedì 29 gennaio 2008

Noicattaro, adesso è dura

L’atteggiamento del Noicattaro, da principio, è morbido. E la gara, mancando di ritmo e densità, sembra appiattirsi. La manovra nojana, tradizionalmente trasportata dalla verve e dalla tecnica di Zotti, risente dell’intorpidimento del suo singolo più appprezzato. Di contro, la Vibonese sa intensificare le ripartenze, passando in vantaggio. Al quale la formazione di Bitetto reagisce con un calcio più istintivo e meno razionale, che spesso genera palle lunghe, facilmente abbordabili dall’avversario. Il penalty fallito ad inizio della ripresa, poi, sfibra gli ardori di Zotti e soci – apparsi, infine, svuotati e rassegnati - e i calabresi si impongono con trasparenza. La nuova caduta del Noicattaro sul terreno amico si sintetizza così. E anche con le parole del presidente Tatò, a fine gara: «Le gambe non rispondono. Interverremo sul mercato di riparazione: serve gente che possiede voglia e carattere». Il messaggio è chiaro. Diretto soprattutto a chi resta.

lunedì 28 gennaio 2008

Tutto secondo programma

Tutto secondo programma: un programma studiato e, infine, applicato. Un programma anche parecchio tortuoso, gravido di curve pericolose (il deragliamento è apparso vicino, al di là delle finzioni, comunque fortemente propedeutiche al progetto di partenza), di rischi e di contraddizioni. Contraddizioni verbali, se non altro. Giustificate, magari, dall’esigenza di dover depistare l’opinione pubblica o di confondere le idee altrui. Senza badare a quanto potessero apparire le proprie. Ma, tant’è: il Martina si è snellito (anche troppo) nell’organico, risolvendo i vincoli contrattuali di parecchi suoi dipendenti, operando qualche altra cessione e alleggerendosi di cospicue spese di gestione. Salvando, però, il rapporto con il suo allenatore, Camplone: che, a questo punto, ritirerà la minaccia delle dimissioni, rimanendo sulla panca. Il club, nel frattempo, ha anche avvertito la piazza: cioè, spaventandola. E chiarendo che la fine del calcio in Valle d’Itria è, al momento, soltando sospesa. Nel senso che la situazione è in stand-by: la squadra sarà - nei limiti del possibile - rafforzata (l’intervento del nuovo operatore di mercato, Evangelisti, è finalizzato alle operazioni da effettuare in sede di mercato di riparazione, che chiude il 31 gennaio) e, quindi, proverà a strappare una coraggiosa e niente affatto scontata salvezza. In attesa, tuttvia, di ulteriori eventi: magari, un rinnovamento societario, puntualmente incoraggiato dal patron Cassano e dal presidente Chiarelli. E, chissà, anche dal mantenimento della terza serie nazionale. Ovviamente, però, continuare a gestire il Martina comporterà nuove spese: l’organico va risistemato e nessuno arriverà gratuitamente. Ma, se l’infinita questione si è risolta, può andare anche bene così: del resto, Cassano e Chiarelli volevano sbarazzarsi dell’intero apparato costruito da Pitino e Pellegrino. Riuscendoci, di fatto. Ma perdendo anche tempo e partite (contro Juve Stabia e Lucchese) preziose. L’augurio, dunque, è che i calcoli si siano rivelati esatti. E che i pochi giorni di calciomercato rimasti siano sufficienti a ricostruire. E, soprattutto, a ricostruire un Martina affidabile. Che poi è il dettaglio più importante: quello che distribuirà torti e ragioni.

domenica 27 gennaio 2008

Regolarità e contestazioni

La regolarità è l’antidoto migliore all’equilibrio roccioso del campionato di B. Regolarità che il Lecce ha pienamente recuperato, sostenendo e fortificando la sua classifica. Senza migliorarla: ma solo per l’abilità altrui (Bologna e Chievo insistono). Dal Salento arrivano, però, buone notizie: la squadra gestita da Papadopolo ha ripreso a produrre assiduamente e a segnare copiosamente (tre gol al Frosinone, questo pomeriggio), giostrando con personalità e appoggiandosi alla sua ormai consacrata capacità di ottenere da se stessa il meglio, anche di fronte a prestazioni non troppo brillanti, dal punto di vista estetico. E proprio questo particolare rischia di diventare un problema: non sul campo, dove l’atteggiamento redditizio si traduce in punti pesanti. Soprattutto se, come dicevamo, assistito da tranquillizaùnte regolarità. Il problema, piuttosto, si trasferisce fuori dal campo, dove sembra crescere l’attrito tra una fetta di tifoseria e il tecnico. Che, dopo la terza segnatura, ha platealmente contestato i contestatori, ingaggiando un duello verbale tutt’altro che morbido. Segnale, questo, che potrebbe minare l’armonia del gruppo, invelenendo l’ambiente leccese. Che, come chiunque, ama il buon calcio. E che, contemporaneamente, dovrebbe pure salvaguardare i propri interessi. Esattamente quello che dovrebbe volere la società: chiamata, a questo punto, a mediare. Quindi, a intervenire.

Galderisi, approccio in umiltà

La nuova pausa, esageratamente ravvicinata alla precedente, stoppa antipaticamente il campionato di C1 (a proposito: era proprio necessaria?). Se avvantaggerà, tuttavia, il Foggia, che riparte con Galderisi in luogo di Campilongo e che, innanzi tutto, necessita di riorganizzarsi. Mentalmente, tecnicamente (anche Cardinale è partito: destinazione Pescara) e tatticamente. Il nuovo coach, anzi, sta già studiando. Dimostrando entusiasmo (un ingrediente scontato, in certi frangenti) e anche umiltà. Nell’accettare senza riserve e senza superiorità un dvd recapitatogli da un gruppo di sostenitori: con il quale potrà ripercorrere le tappe esterne della squadra, mai troppo convincente fuori dallo “Zaccheria” (gara di Sassuolo a parte, agli albori del torneo). E nel distribuire le prime dichiarazioni. Ad esempio: «Il mercato? Prima voglio rendermi conto dei giocatori di cui dispongo». E poi: «Non mi permetterei mai di rilasciare giudizi sull’operato di un collega, soprattutto quando non conosco molte cose». Cartolina destinata a Campilongo, chiaramente. E che gireremmo, forzando la situazione, ad Antonio Conte, tecnico del Bari, ultimamente assai aspro (o spocchioso?) con il suo predecessore Materazzi e, ancora prima, offensivo nei confronti dell’Avellino, avversario recente. I vizi antichi, evidentemente, non evaporano mai: l’allenatore ha ereditato la lingua del giocatore. Questa volta, però, manca la robustezza politica e la protezione della Juventus. La provincia è un’altra cosa. Come l’educazione: Galderisi, almeno, lo sa.

sabato 26 gennaio 2008

Un problema in più, un pensiero in meno

La Caf emette l’ultimo verdetto: sconfitta a tavolino e tre punti alla Massese. Per il Taranto è un problema in più e, paradossalmente, un pensiero in meno. Davanti, ora, c’è solo il futuro e nessun’altra distrazione. Rimangono, tuttavia, altre controindicazioni: ad esempio, le incognite sul futuro dello stadio (occorre intervenire sulla struttura, l’amministrazione comunale non può) e, dunque, del calcio sui due Mari. Poi, c’è l’umore discontinuo del suo massimo dirigente, Luigi Blasi, e il suo rapporto (insanabilmente?) deteriorato con una larga fetta di ambiente (tifoseria, opinione pubblica e stampa). E, ancora, continua a divampare la guerra santa tra informazione, controinformazione e psuedo-informazione. Particolare importante: le parti schierate non circumnavigano più i fatti, ma adesso li determinano. E potremmo continuare: il tecnico Cari, per dirne una, possiede sempre meno estimatori. Sicuramente tra la gente e gli opinionisti, forse anche all’interno dello spogliatoio. La squadra non ha ancora assimilitato i dettami tattici, si involve puntualmente e, quando si risveglia, si esprime autonomamente, fuori dagli schemi, inseguendo il proprio istinto e il proprio patrimonio tecnico, scollegato da qualsiasi progettualità (è accaduto a Gallipoli, è storia). Di più: va ancora appianata la situazione che gravita attorno al nome di De Liguori (autoesiliatosi e pronto a cambiare maglia) e anche quella che interesssa Cejas (nebulosa, oscura). E, se diversi protagonisti del campo hanno navigato nel mare dell’insoddisfazione, altri hanno masticano amaro e costituiscono adesso una minaccia (Barasso, nuovamente preferito a Faraon in base al concetto di buon vicinato e di convenienza mediatica). Altri ancora, infine, avrebbero probabilmente preferito traslocare in altre piazze: e, invece, proseguiranno l’avventura sullo Jonio. Piaccia o non piaccia. Può bastare?

giovedì 24 gennaio 2008

Francavilla, una storia pugliese

La storia del risveglio del Francavilla possiede radici fortemente pugliesi. Spieghiamo: il nuovo leader (in coabitazione con il Corato) del girone unico di Eccellenza regionale nasce con l’ambizione della serie D e una matrice fortemente calabrese. Calabrese è il suo direttore sportivo (Maglia) e calabrese è il tronco della formazione allora affidata ad Andrea De Gregorio. Gli investimenti, come sempre, ci sono (il massimo dirigente del club, Mino Distante, non si risparmia mai). I risultati no. La classifica è anonima e le previsioni oscure. La rivoluzione porta alla pugliesizzazione della formazione, che passa sotto la guida tecnica di Mino Francioso da Brindisi. Nel frattempo, Maglia è andato via da un po’: sostituito nei compiti, più che nella forma, dal team manager Mimmo Nocente, prodotto locale che può contare sull’appoggio di Giuseppe Negro, Mimmo Cannalire e Gianni Milone. Gente, cioè, che conosce la realtà di casa propria. La campagna di smantellamento e di riappaltamento dell’organico è progressiva, ma non eccessivamente dispendiosa. Segno che le intuizioni, talvolta, possono anche prescindere dalla mera potenza economica. E che la conoscenza degli uomini del campo è una ricetta sempre valida. Utile, nello specifico, a superare negli scontri diretti tutte le squadre più accreditate (Bisceglie, Copertino, Casarano e Corato) e ad azzerare il disavanzo accumulato. E, ovviamente, a guadagnare il ruolo scomodo di nuova favorita nella corsa verso la quinta serie.

Galderisi: per un Foggia meno solo

Il Foggia, adesso, è proprio solo. Riacquista il passo giusto battendo la Pro Sesto, ma il pubblico lo abbandona. Rumorosamente. La protesta, la prima vera protesta di un campionato sdrucciolo, è organizzata. Ovvero, svincolata dalle pieghe del match: che, per inciso, non aiuta ad ammorbidire i toni. Anzi, la prova imperfetta finisce per rafforzare la contestazione. Il bersaglio primo è Campilongo, un tecnico che non ha mai raggiunto un livello di feeling accettabile con la tifoseria. Ma, a seguire, cori e striscioni si abbattono su Riccardo Di Bari, il diesse, e sul presidente Capobianco. Neanche la campagna di rafforzamento (sin qui costituita dagli ingaggi del brasiliano De Paula, già in gol, e Mancino, ex Martina) tranquillizza la piazza, che sembra aver autonomamente optato per l’avvicendamento in panchina e dietro la scrivania delle strategie di mercato. Alla proprietà, allora, non resta che adeguarsi, dopo tenace resistenza: liberandosi di Campilongo, avvicendato da Galderisi al termine dell’intenso vertice serale di lunedì, e poi anche di Di Bari. Risoluzioni forse improcastinabili e, chissà, anche opportune: al Foggia potrà servire. Magari a sentirsi meno solo. E a ritentare la strada mai trovata.

mercoledì 23 gennaio 2008

Quattro concetti e un presente sofferto

Gianfranco Chiarelli si esprime nuovamente attraverso gli schermi televisivi. E si sofferma essenzialmente su quattro concetti. Sottolineando, innanzi tutto, la propria solidarietà nei confonti di Giovanni Cassano, ormai ex fornitore ufficiale del calcio a Martina, contestato apertamente in tribuna da una frangia di tifoseria durante la gara persa di fronte alla Lucchese. Soliderietà a cui si aggiunge la nostra: perché Cassano – e chiunque altro – deve sempre e comunque poter coltivare il il diritto di interrompere un sovvenzionamento e nessuno può fregiarsi della possibilità di contestare la decisione. Né di ragionare con il denaro altrui: questione di democrazia. Chiarelli, poi, esclude nuovamente la possibilità che Cassano possa rivedere il concetto: anzi, la contestazione di domenica scorsa rende, se possibile, tutto più difficile. Incontrovertibile, naturale. Terzo: Evangelisti non è stato contattato per essere utile alla causa (mercato di gennaio), ma l’incontro (avvenuto ultimamenrte) tra l’avvocato martinese e il diesse ha radici esclusivamente professionali (vertenza economica tra un ex tesserato e la sua vecchia società, il Taranto?). Di fatto, però, Evangelisti non ha mai smentito certe voci: confermando, piuttosto, qualcosa. Quarto: i mali del Martina possiedono nomi e cognomi. E Chiarelli parla chiaramente dell’ex direttore sportivo (Pitino) e dello staff tecnico che ha preceduto la gestione di Camplone. La gente, di questo, si era già accorta, molto tempo fa, inaugurando un periodo di lotta dura. Non riusciamo a capire, però, perché la società, anche a lungo, abbia giustificato l’operato di Pellegrino, Pitino e della sua corte: lasciando i protagonisti ai propri incarichi per un periodo sufficientemente esteso. I conti non tornano.

Ombre da vertice

Calcio ruvido e poca qualità. Il derby di Barletta decreta il controsorpasso e riporta il Bitonto ad inseguire. Poteva accadere, è successo. A vantaggio della squadra, quella di Chiricallo, che riesce a segnare, ma non ad incrinare un equilibrio sostanzialmente inalterato: dentro e, soprattutto, fuori la gara. E a vantaggio dell’Aversa, che riduce il gap dalla prima posizione (attualmente, quattro punti contro i nove del recente passato): cioè l’avversario che più sta godendo delle alterne vicende delle due battistrada. Calcio ruvito e molte pressioni corrosive. Proprio Chiricallo, a fine match, distribuisce concetti sinistri, facendo ipotizzare “un periodo di pausa” (immaginiamo ponderato nel tempo) in contrapposizione alle valutazioni eccessivamente critiche della piazza nei confronti della società e, di riflesso, della squadra (sarebbe stata prevista, in caso di mancata vittoria sul Bitonto, una contestazione massiccia). Traducendo, dimissioni che, il giorno dopo, non trovano tuttavia conferma. Restano, invece, le parole stizzite – dirette anche ad una parte della dirigenza - e qualche ombra. E un certo disagio che, evidentemente, affiora con forza. Perché, ancora una volta, l’abitudine a non pazientare e la presunzione di credersi impermeabili alla forza degli avversari si rivelano cattivi consiglieri. Di più: nemici potenti. Che, a Barletta, non hanno trovato ancora antidoti efficaci. Malgrado le esperienze di un passato ancora vicino.

martedì 22 gennaio 2008

Il tempo sta scadendo

Pronostico rispettato. La Lucchese supera il giovane e rattoppato Martina, ma non passeggia. Anzi, la “Berretti” rafforzata dai superstiti di Camplone risponde, prova a resistere e, persino, illude. Cadendo con onore. Cedendo con dignità. Piegandosi senza spezzarsi. Arrendendosi, ma lottando. Issandosi sulla sua qualità più evidente: l’orgoglio. L’orgoglio di un gruppo che si ostina ad attendere segnali e a promettersi speranze. Il premio, però, non è il pareggio. Il premio è l’applauso sincero tributatogli dalla gente, a fine match. E la considerazione dell’opinione pubblica. Un premio che non produce frutti tangibili, che non aiuta la classifica. E che amplia l’esigenza di ribellarsi ad un destino che sembra scritto e forse lo è, anche se le parole di conforto provano ancora a rincorrersi. Il trentuno gennaio, intanto, si avvicina: e quello è il giorno in cui il destino potrà dirsi praticamente già compiuto. Il giorno in cui, lo ha detto e ribadito, il tecnico abbandonerà l’incarico, se dal buio non scaturiranno bagliori. Perché già lo avranno fatto i superstiti della squadra che fu. E perché non saranno arrivati i ricambi della speranza. Intanto, però, le ore passano veloci. E il tempo sta scadendo.

Quotazioni in ribasso

Il contenimento puro del Venosa imbriglia il Grottaglie. Il cui torto è lasciarsi trasportare da una manovra innervata di discontinuità, ma anche supportata da una non troppo soddisfacente varietà di soluzioni offensive. L’onesta pressione lucana sui portatori di palla, cioè, basta ad annacquare le idee degli uomini di Del Rosso che, innegabilmente, si arenano ormai troppo spesso sul terreno di casa. Proprio lì, dove servono la qualità individuale e la personalità. La prestazione di Francavilla, l’altra domenica, al di là del risultato, aveva rassodato antiche convinzioni: e, invece, i dati oggettivi raccontano un’altra verità. A gennaio, le quotazioni dell’Ars et Labor sembrano sensibilmente calate. Tanto da insidiare la prospettiva dei playoff, nuovo obiettivo dichiarato del Brindisi, formazione in cui cominciano ad inserirsi anche i sudamericani (Milozzi segna due volte). Ma, sulla strada del Grottaglie, un dettaglio comincia a pretendere una riflessione: oggi la squadra difetta sul capitolo ricambi. Non un particolare di dimensione ridotta. Ma pure un dato oggettivo.

domenica 20 gennaio 2008

Bari, il disagio cresce

Il Bari non sa smentirsi. Piuttosto, sa solo ampliarsi il disagio, con disarmante precisione. E non gli basta neppure trovare due gol di vantaggio. Perchè, a vincere, è il Chievo, in virtù di un organico, di un temperamento e di un umore migliori. Ma anche perchè un solo quarto d'ora di calcio vero (o mezz'ora, è lo stesso) non può essere sufficiente a riscattarsi, ad allontanare le insidie e i brutti pensieri. Il cambio di panca (Conte per Materazzi), peraltro, sembra non aver apportato solidi benefici, neanche dal punto di vista psicologico. E il cammino, adesso, si fa particolarmente tortuoso: poi, la prossima trasferta di Pisa non tranquillizza affatto. Il nuovo infortunio, però, potrebbe accelerare la definizione di quelle operazioni di mercato in cui il diesse Perinetti sembra attivamente immerso. Ma, nel presente buio del Bari, c'è anche una buona notizia: Santoruvo ha ritrovato il gusto del gol. Che potrà servire a ritrovare il feeling con la gente. Purchè il ragazzo di Bitonto abbia ritrattato l'idea di espatriare.

sabato 19 gennaio 2008

La prima panca di Bitetto

Dunque, l'eredità di Giusto è nella figura rampante di Vito Bitetto, ex team manager nojano che occupa la prima panchina della sua carriera. Non male, davvero. Ma chi attendeva, da parte del club, una decisione che prediligesse un tributo all'esperienza, sarà rimasto deluso. E sì: il pericolante Noicattaro, alla prima avventura tra i professionisti, forse avrebbe dovuto puntare anche sul mestiere del nuovo nocchiero, oltre che sul polso sicuro. Soprattutto in virtù di certe voci antipatiche, quelle che - negli ultimi tempi - hanno definito lo spogliatoio particolarmente inquieto. La sceltà, però, è Bitetto: scelta, magari, obbligata (dall'indisponibilità comunicata da altri tecnici) e che, tuttavia, andrà verificata sul campo. Sperando che sia quella più felice: un eventuale errore potrà rivelarsi fatale.

Gallipoli, il derby del futuro

Un derby è un momento particolare: anche se non trasuda storia e tradizione. Ma il derby di domenica – al “Bianco” scende il Taranto – può diventare, per il Gallipoli, il match della consapevolezza definitiva. Consapevolezza del proprio status di pretendente alla B, delle proprie potenzialità (ancora parzialmente inespersse: la squadra di Bonetti, fuori casa, non sa farsi ancora rispettare come sul terreno amico), delle proprie prospettive. Psicologicamente, il match potrebbe diventare il carburante necessario per prepararsi al rush finale. Rush finale che il presidente Barba ha saputo condire con nuove motivazioni: intervenendo con risolutezza e respingendo bruscamente (e in maniera convincente) le insidie del calcio mercato di riparazione, che avrebbe voluto privare il Gallipoli di qualche protagonista (Di Gennaro, soprattutto: cioè il suo miglior realizzatore). Il club jonico non cede nessuno: e non solo perchè non avverte il bisogno economico di farlo. Il progetto - piuttosto - procede e, anzi, si rafforza: una questione di principio, sicuramente. Ma anche un segnale importante. Diretto alla squadra e alla gente.

venerdì 18 gennaio 2008

Quelle voci di corridoio

Le voci di corridoio circolate il mese scorso, magari, non mentivano. Il Martina, cioè, veleggiava nel mare della crisi, ma cavalcandola. Progettando un’epurazione di massa di dipendenti (i calciatori, costretti a rescindere il contratto o a trovarsi una nuova destinazione) e facilitando il contenimento dei costi di gestione. Operazioni, del resto, puntualmente avvenute. L’epurazione, certo, avrebbe poi superato le proporzioni previste: o forse no. Questione di angolazioni. Ma il fine sarebbe stato raggiunto. A costo di rischiare un’altra crisi, quella di nervi. E di perdere lo scontro diretto di Castellamare di Stabia, affrontato con la formazione “Berretti”. Eppure, l’eventualità (rifondare i quadri tecnici e poi ricostruire: la migliore possibile, se vogliano) era stata superata nei fatti dalla realtà: perché, appunto, proprio venerdì scorso il club di via D’Annunzio avrebbe consigliato i pochi superstiti del gruppo di Camplone a rinunciare al match contro la Juve Stabia. Innervosendo (e non poco) il trainer. Ma quelle voci di corridoio, ora, tornano prepotentemente attuali: non si spiegherebbe, altrimenti, la decisione di spedire a Benevento, per l’impegno di Coppa Italia, anche Bedin, Falzone, Armenise, Gambuzza, Guariniello e Pirchio. Cioè i superstiti. E non si spiegherebbe neppure il contatto avuto dal presidente dimissionario Chiarelli con Luca Evangelisti, direttore sportivo appena liberato dal Taranto. Che, per la cronaca, ha confermato la trattativa. Pensandoci bene, però, sono parecchi i dettagli oscuri. E confessiamo di capirci poco. Ma crediamo che anche i massimi vertici societari (o gli ex massimi vertici societari? Ci piarebbe acclararlo) abbiano attraversato ore confuse, fornendo versioni sempre diverse e controverse. Poco male, però, se la confusione dovesse essersi davvero diradata. E se alcune questioni fossero state infine limate. Di fronte al baratro, anche questi sono dettagli. E le incertezze, in certi casi, si possono perdonare più facilmente. Intanto, però, abbiamo imparato a non fidarci. E attendiamo sviluppi. Con o senza l’intercessione di sindaci, ex sindaci e la benedizione di Pellegrino, allenatore della prima ora.

mercoledì 16 gennaio 2008

Pericolo di assuefazione

Diciamolo: l’impressione è che il Monopoli, da un po’ di tempo, abbia smarrito l’ardore. E che si stia spegnendo il fuoco sacro dell’ambizione. Traducendo, sembra che – ultimamente – la squadra di Sciannimanico stia soffrendo di un progressivo calo di tensione. Anche se sarebbe ragionevole pensare il contrario. E anche se, a Melfi, nell’ultima puntata del campionato, ha saputo persino esprimersi con personalità, passando in vantaggio e sfiorando il successo (arenatosi, peraltro, a match praticamente concluso). La lista delle occasioni sperperate, intanto, si allunga: e solo il deciso livellamento del torneo e la scarsa abitudine a ripetersi delle concorrenti ai playoff (Cisco, Catanzaro, Marcianise) riducono il pericolo di ritrovarsi seriamente braccati e minacciati. Mentre, davanti, Benevento e Pescina si sono ormai affezionate all’idea di disputarsi il podio più importante senza dover badare a scomode intrusioni. La terza piazza del Monopoli, dunque, appare più o meno blindata. E, probabilmente, è questo il punto. Ed è questo il problema: l’eccessiva sicurezza e, di contro, la conclamata impossibilità ad ambire a qualcosa di meglio potrebbero diventare il nemico peggiore. Che si chiama assuefazione ad una condizione contingente. Ovvero, ad una classifica teoricamente già acquisita.

L'ultima stazione di Giusto

Pino Giusto e il Noicattaro si separano. L’esonero del tecnico segue l’occasione sprecata sull’erba di casa contro il Cassino, ma la soluzione estrema firmata dalla società si costruisce nel tempo, scolpita dai risultati modesti e da una produzione calcistica ultimamente assai deficitaria. E malgrado le migliori intenzioni di Tatò, già polemicamente diviso dalla tifoseria per la fiducia rinnovata (più volte) al nocchiero barese. Il tempo, però, è scaduto. E, nel frattempo, la squadra non ha imparato a prescindere dalle intuizioni di Zotti (domenica assente), né ha saputo raggiungere una quadratura duratura, cioè una fisionomia precisa in grado di rappresentare un riferimento. Il Noicattaro, oltre che involuto, ora appare anche scarico, appesantito fisicamente: tanto da allarmare palesemente la società. Che ha creduto, infine, di ovviare al problema con la decisione più semplice. Giusto si congeda e, intanto, coltiva un rimpianto: non aver potuto disputare, nel momento di forma migliore della stagione, il confronto diretto con la Scafatese sul proprio campo, coperto dalla neve. Un eventuale successo avrebbe potuto, chissà, modificare il percorso di Moscelli e soci. O, almeno, semplificarlo. Ma, forse, è un dettaglio che vale poco. Come il garbo, segno distintivo della persona. Un particolare che, sul campo, non aiuta. E che, talvolta, può persino frenare.

La disillusione dell'Andria

Talvolta, nelle pieghe del match, l’Andria sa anche distribuire buone giocate, scambi veloci ed esteticamente godibili. Attorno, però, non c’è la prestazione globale e il risultato finale è ampiamente deludente (sconfitta interna con la Scafatese: è accaduto domenica). Deludente perché arriva in coda a un momento d’illusione. Certificando il mancato raggiungimento del concetto di continuità. Il secondo tempo, poi, va cancellato: soprattutto per le modalità con cui viene governato il vantaggio. E per le difficoltà riscontrate nel pacchetto arretrato, ancora largamente permissivo. Eppure, confidiamo ancora nella lievitazione delle prospettive della squadra, che può appoggiarsi su diverse pedine di livello. Purchè non si distragga nuovamente sull’onda dell’ottimismo facile, che avrebbe persino configurato la rincorsa ai playoff. La realtà, invece, consiglia di mirare unicamente alla salvezza, che è un obiettivo oggettivamente raggiungibile. Ma non per questo scontato.

A margine: la notizia dell'esonero del tecnico andriese Franco Dellisanti arriva dopo la pubblicazione di quanto sin qui scritto. E ci sorprende. Non poco. E non solo perchè al coach viene accordato pochissimo tempo per riparare a una situazione deterioratasi già prima del suo arrivo. Ma anche perchè - lo ribadiamo - restano evidenti alcuni piccoli segnali di crescita del collettivo, almeno sotto certi aspetti. Che, probabilmente, non saranno sufficienti: ma che, intanto, sono indicativi e itineranti. Il club non ha voluto attendere: è una scelta. Oppure, è successo qualcos'altro. In luogo di Dellisanti, ora, potrebbe arrivare Palumbo, tecnico dal carattere ruvido, ma di solide basi calcistiche. Una persona seria che sa lavorare e che non ama i compromessi. E che, su certe questioni, non transige. Un professionista che, ne siamo certi, chiederà quello che pretendeva Dellisanti: i rinforzi.

martedì 15 gennaio 2008

Fasano, preoccupazioni ritrovate

Il Fasano, ormai è noto, si sfiata di fronte all’avversario organizzato, che pressa e riduce gli spazi, che si difende alto. L’abitudine diventa una conferma con la prestazione di ieri. La Viribus Unitis, migliore di quanto illustri la classifica, emargina senza apprensioni la formazione affidata a Pettinicchio, condannandola ad un approccio di gara difettoso, a una gestione della palla poco fluida e a una rappresentazione zoppa. L'abnegazione di Rufini, in mezzo al campo, non può puntellare sempre e comunque la manovra. E la fantasia è un ingrediente che, quando manca, si sente. Soprattutto se l'assortimento offensivo (Radicchio più Escobar) non garantisce una minaccia costante (e, infatti, è appena arrivato un rinforzo, D'Aniello). Sembra che i sommesi si chiudano, ma così non è: piuttosto, governano la gara con sicurezza, senza nemmeno lasciare alla squadra di casa un possesso di palla corposo. E piazzando, nella seconda parte del match, due gol che riconsegnano al Fasano quasi tutte le preoccupazioni recentemente accantonate.

domenica 13 gennaio 2008

Il Lecce frena

Il Messina frena il Lecce: lo insegue, lo stringe, lo limita. E il Lecce sbuffa, travaglia, galleggia. Valdes, dagli undici metri, infine, lo stoppa e lo disarciona. Il penalty sprecato è una condanna al pareggio sull’erba di casa, che farà rianimare i detrattori di Papadopulo e del suo calcio mirato, concreto, essenziale, mai spettacolare. Questa volta, però, viene a mancare il risultato, che tuttavia non può e non deve denutrire le ambizioni del club salentino, né mortificare il cammino della squadra. Anche se la prestazione, nel suo complesso, non l’autorizza a ritenersi impermeabile ai disagi del campionato e, perciò, alle critiche. Sembra che la lunga sosta abbia influito sullo stato di forma del Lecce, invece assai brillante prima dello stop. Ma nessuno può garantirsi una regolarità assoluta: non in serie B. Non in questa seria B.

Bari, segnali antichi

Segnali incrociati, ma ancora sbiaditi. E molta sofferenza. Il Bari di Antonio Conte addiziona note liete (la reazione a svantaggio acquisito, il sorpasso temporaneo sull’Avellino) e le tradizionali amnesie: in mezzo al campo e anche in fase di presidio. Forse, dentro l’ingranaggio, ora c’è maggiore convinzione e una porzione di cattiveria in più. Che, magari, appare e scompare. Ma resistono i problemi di sempre, conseguenza diretta di un quoziente tecnico e di un assemblaggio di uomini che non si allineano alle esigenze del campionato di B. E si confermano anche le delusioni. In Irpinia piove l’ottava sconfitta del torneo (3-2), che legittima il secondo tempo più fluido dei padroni di casa. E che, di contro, punisce le reticenze del Bari. Al quale non possono, evidentemente, bastare la soluzione del rapporto con Matereazzi e l’entusiasmo del cambiamento, né il vigore (o le scelte vigorose) del nuovo tecnico. Chiarissimo, peraltro, sin dai primi giorni sull’Adriatico: la tranquillità passa attraverso il lavoro (non dovrà mancare, mai) e – inevitabilmente – il mercato suppletivo. Certe volte, i buoni propositi non servono, se mal assistiti. Nel calcio, lo sappiamo, non si inventa niente.

Il Martina si smonta

Il Martina è sempre più prosciugato. Il virus della rescissione del contratto si propaga, allargando la preoccupazione. L'organico a disposizione di Camplone è sempre più magro, più indifeso. E la strada verso il futuro, semmai ci sarà, diventa un tratturo di schegge. La fuga sembra il prologo della fine: di tutto. La società non c'è più e non c'è più nemmeno la squadra. Ma c'è ancora un campionato teoricamente aperto, ma soffocato dalla recessione. Dopo Iennaco, Arias, Musca, Mancini, Ligori, Cazarine, Bruno, Moresi, Nielsen, Castiglia e Guariniello, parte anche Mancino: uno che possiede piedi buoni e che, a Martina, non ha riscosso la fiducia che avrebbe meritato. Con lo stesso Camplone, ma anche con Pellegrino e il suo predecessore Pensabene. Trovando un minimo di conforto solo in Brini, nell'ultima parte del campionato passato. Mancino è, con Bruno, una perdita vera, più dolorosa delle altre. Continuamo a ritenere che avrebbe potuto contribuire attivamente al progetto di salvezza: giocando, magari, nel proprio ruolo, quello a ridosso delle punte. Dove quasi mai ha potuto giostrare in due anni. Un motivo in più, chissà, per abbandonare la Val d'Itria.

sabato 12 gennaio 2008

Il Foggia e il pédigrée

Il mercato di riparazione del Foggia è verbalmente trafficato. Ma le parole non si traducono automaticamente in attività concreta. Talvolta, occorre attendere, temporeggiare, valutare, intenerire le pretese altrui. Ma l’elenco degli arruolabili di Campilongo, suggerisce il campionato, va necessariamente ritoccato. La convinzione, peraltro, si allarga nei pensieri della gente, che sta già mugugnando. E protestando: con messaggi pubblici tracciati sui muri del perimetro dello stadio “Zaccheria”. L’immobilismo, dunque, preoccupa il tifoso: che, sembra di capire, attende l’ufficializzazione di qualche rinforzo, possibilmente dotato di cognome importante. Quello che al Foggia attuale, cioè, potrebbe pure non servire. Perché la squadra, oggi, sembra essere soprattutto sprovvista di qualche pedina propedeutica al progetto impostato in estate: e che sappia assicurare concretezza ed equilibrio, prima ancora di esibire il pédigrée. Del resto, i cognomi pregiati non sono mancati, sin dall’inizio del torneo: da Del Core a Plasmati, da Cardinale a Delli Carri, da Mounard (ormai piazzato altrove, destinazione Sorrento) ad Ignoffo. Anche se il risultato (parziale) è un centroclassifica anonimo e frustrante.

giovedì 10 gennaio 2008

Parlare e pentirsi

Premessa: certe parole possono piacere o non piacere. E, anche nel calcio, chi parla può imbattersi in disavventure di percorso. E, quindi, pentirsi. O essere indotto al pentimento: dalle circostanze o, meglio ancora, dalle convenienze. E' persino facile, talvolta, rimediare: basta smentire. Premessa seconda: il Taranto è un magma di situazioni. Da almeno vent'anni. E, soprattutto, di questi tempi. La vita, dentro e fuori il rettangolo di gioco, non è agile. E neppure tranquillissima. Il complicato quadro societario e il ventaglio ampio di difficoltà, poi, consigliano il club di via Umbria a contenere i malumori, le esuberanze, i pensieri. E le parole, ovviamente. E non sorprende se Barasso, un titolare che potrebbe anche aver perso il posto (Faraon, il suo sostituto, para felicemente) dichiara che preferirebbe collocarsi altrove. Nè ci sorprende, ventiquattr'ore dopo, sapere che lo squallido giornalismo ha navigato a piacimento nelle idee altrui, riportando il falso. Perchè, se permettete, conosciamo un po' l'ambiente. E, in particolare, chi gestisce il calcio sui due Mari. Ovvio, nessuno potrà suggerirci se la verità alberga da una parte o dall'altra: anzi, non lo sapremo mai. Di più: non conosciamo personalmente nè Barasso, nè l'operatore dell'informazione che ha raccolto lo sfogo. Ma ci illudiamo di aver indovinato com'è andata veramente. E la solidarietà professionale, questa volta, non c'entra.

La pressione corrode il Bitonto?

La pressione corrode. Il Bitonto, per esempio. Emersa nel silenzio, sfruttando le debolezze delle avversarie più titolate, la formazione di Zunico non regge con continuità alle sollecitazioni forti che investono chi deve condurre il campionato. E inciampa ancora, riconsegnando il primato del girone H di serie D al Barletta, caratterialmente più corazzato ed evidentemente meglio impermeabilizzato alle fibrillazioni della piazza. Che pure non mancano: anzi. La sconfitta (teoricamente evitabilissima) di Giugliano consegna, tuttavia, un Bitonto con poca personalità e troppo tenero. Non bastano neppure le iniezioni tecniche di dicembre (i nuovi acquisti non hanno saputo o potuto incidere) e, inoltre, torna a circolare un vecchio sospetto: il gruppo sembra dipendere, molto più del previsto, dalle intuizioni del suo singolo più dotato, l'argentino Buttazzoni. Che, è certo, adesso incide meno che nel recente passato. La gente, però, si è già abituata a sognare: e certi segnali non sono pienamente confortanti.

martedì 8 gennaio 2008

E chiarezza sia. Prima della notte

«Il disimpegno della famiglia Cassano è definiivo. Chi è interessato al Martina si faccia avanti. Non voglio che si continui a creare illusioni nell’opinione pubblica: il disagio è irreversibile. Mi appello all’imprenditoria cittadina, ma anche a quella del comprensorio: affinchè si possa, innanzi tutto, salvare la categoria, da sùbito». Gianfranco Chiarelli, presidente dimissionario, parla dai teleschermi e chiarisce – inequivocabilmente, questa volta – i contorni della questione. Dicendo quello che non avremmo voluto ascoltare. Il Martina, dunque, smobilita. Adesso, anche ufficialmente. Cercheremo, tuttavia, di capire come reagirà la truppa di Camplone, ma crediamo di conoscere già le risposte. L’orgoglio può nutrire le idee, ma non per sempre. E non senza certezze economiche: perché, ovviamente, il disimpegno è già reale. E non è necessario attendere la prossima estate per rendersene conto. Il problema vero (o quello peggiore) è un altro, però: è assai arduo, sin d’ora, individuare compratori. Intanto, un esponente politico (l’ex sindaco Conserva) auspica un ripensamento di Cassano: e questo significa che è a conoscenza di un preciso piano maturato nelle segrete stanze del club. E che, dunque, oltre le dichiarazioni, un margine di soluzione esiste. Oppure, che – al di là di un’ingenua speranza – non c’è domani. Ma solo l’agonia.

lunedì 7 gennaio 2008

Brindisi, torna il buon umore

Il Brindisi, per ora, si accontenti dei progressi della manovra, della solidificazione di certe geometrie. E del ritrovato buon umore. Il resto (candidatura forte ad un piazzamento nei playoff), magari, verrà. Giusto: non c'è continuità di risultati, come conferma il pareggio casalingo contro il Francavilla. Ma l'atmosfera sembra meno tesa di un tempo. Dentro del campo e, innanzi tutto, fuori. E poi abbiamo l'impressione che Massimo Silva, tecnico pratico e paziente, stia lavorando bene, in profondità. Potendo contare, evidentemente, su un elenco di disponibili più ricco e, probabilmente, più assortito. Di Giulio, ex professionista di ottima reputazione, sembra entrato nella parte, cioè nella filosofia del campionato. E, soprattutto, sembra assicurare organizzazione tattica. La squadra, anche per questo, appare più consapevole e meglio motivata. I rinforzi ancora indisponibili (il brasiliano Júnior Baia, il cileno Kettlun e l'argentino Milozzi) autorizzano, almeno teoricamenbte, a sperare in una lievitazione generale definitiva. E anche l'ultimo acquisto (l'under Lenti, liberato dal Grottaglie) suggerisce una più agevole ruotazione degli uomini negli schemi. Di più: l'Aversa (contro ogni previsione) zoppica e Boccolini rischia l'esonero. Il Gragnano non acquisisce ancora un passo marcato. L'Ischia non è un avversario irreprensibile. E il quarto posto, oggi, dista appena quattro punti, per fare un esempio. Le disavventure del passato, è chiaro, devono insegnare e consigliare: e, a Brindisi, si sono succedute con impeccabile frequenza. Ma, per il momento, si può confidare. Senza caricare i toni e gonfiare l'attesa.

Un passo indietro. O due

A proposito di chiarezza: Martina sembra Taranto. Anche se le situazioni sono diverse. Avevamo salutato, appena qualche giorno addietro, le intenzioni di Giovanni Cassano: che, nella sostanza, aveva rassicurato la gente, promettendo di intervenire nuovamente sui bilanci societari (leggasi copertura dei costi degli stipendi arretrati di squadra e staff tecnico) dopo aver snellito l'organico. Avevamo, peraltro, inseguito i dettagli della cronaca. Ma la cronaca quotidiana, adesso, racconta del nuovo deterioramento dei rapporti tra dipendenti e proprietà: e la prova è la cancellazione dell'amichevole che il Martina avrebbe dovuto giocare ad Andria questo pomeriggio. Il motivo, secondo i più informati, è semplice: si chiama sciopero. Si addensano, dunque, altre nubi nere e tornano i cattivi pensieri. Che siamo nuovamente costretti a registrare. Qualcosa sta accadendo o accadrà. E non pretendiamo di conoscere i particolari delle strategie di nessuno. Ma azzerare il già esile rapporto di fiducia con le gradinate non può giovare. Meglio, invece, cominciare a raccontare la verità. Tutta la verità. Anche se nasconde un lato maligno: al quale non si rimedia.

domenica 6 gennaio 2008

Lascia. Anzi, raddoppia

Lascia. Anzi, ritratta. Anzi, vende. Anzi, raddoppia. Luigi Blasi cavalca l'onda lunga delle emozioni e dalle emozioni si fa frenare e poi trascinare. Il futuro prossimo del Taranto è soprattutto nei suoi pensieri e, attualmente, non è ancora definito. Le ultime indiscrezioni rivelano che il presidente è tornato a credere nelle possibilità del calcio jonico e nel ricompattamento dell'ambiente (ricordiamo, però: parliamo del Taranto e di Taranto, dove nulla è scontato e nulla è profondamente logico). Cioè, sembra che il broncio si stia liquefacendo. E, allora, si parla nuovamente di mercato. In entrata. Anche se De Liguori vuole emigrare e non si è ripresentato a ferie ultimate. Anche se le voci di cessioni eccellenti continuano a rincorrersi. Anche se siamo pronti a prendere atto di nuove smentite, nuovi malumori, nuove strategie, nuovi indizi, nuove attese. Blasi, probabilmente, vuole solo intimorire la piazza e abbattere l'opinione pubblica dell'opposizione. O, magari, cerca di spiazzare la città. Oppure, più semplicemente, sta guadagnando tempo: utile per decidere. In attesa di fare chiarezza. Sempre che il futuro del calcio dei due Mari sia chiaro almeno a lui.