mercoledì 30 aprile 2008

Senza ipocrisia

Non c’è l’aritmetica, ma c’è una ragionevole certezza. Il Foggia sprinta e raggiunge il circolo dei playoff. La gara con il Monza è diretta saldamente, lucidamente. Tranquillamente. Malgrado il turn over operato da Galderisi, che saggia le motivazioni e la disponibilità di risorse energetiche di tutti, riscontrando un indice di attenzione e un quoziente di reattività gratificante. Malgrado la risposta pronta del Foligno (che, adesso, è il quarto della classifica) e il pari apparentemente prezioso del Padova a Cremona. Il Foggia, sia chiaro, contro i brianzoli non si spreca e non rischia. Più semplicemnete, governa la situazione. E continuerà a farlo anche a Terni. Dove serve il pari che arriverà puntuale. Perché il punto è buono anche per la Ternana: esattamente quello che manca per regalarsi la salvezza. Inutile nascondersi la verità: la divisione della posta è già scritta. Come ammette e sottoscrive Galderisi, negli spogliatoi, immediatamente dopo la fine dell’ultimo match. Il coach salernitano è persona seria, genuina. E non si nasconde dietro le parole di circostanza, evasive e plastiche, retoriche e ipocrite. La realtà (piacevole) è questa. E non ci saranno eroi da sacrificare sull’altare dell’incoscienza.

martedì 29 aprile 2008

Manfredonia, serenità e coraggio

I conteggi erano esatti: con le difficoltà diffuse e irrisolte, le incertezze puntuali (due pareggi recenti a domicilio, maturati avventurosamente), il morale acciaccato, il vigore ultimamente ritrovato dagli avversari di sempre e il calendario che premeva minaccioso (due trasferte insidiosissime e uno scontro diretto – domenica prossima, contro il Verona - sul terreno amico), il Manfredonia appariva oggettivamente il candidato principale alla retrocessione diretta: quella che non passa per l’uscio dei playout. Al di là di ogni lodevole ottimismo. La sconfitta di Sassuolo, oltre a consegnare i modenesi alla serie B, sembra affossare i dauni: che, per continuare a sperare nella salvezza, dovranno necessariamente vincere, tra cinque giorni. Con un paio di gol di disavanzo. Senza, così, dover attendere il responso del match in cui la Paganese, uscita felice dal campo di Cava dei Tirreni, affronterà il Cittadella. E senza dipendere neppure dal Lecco, impegnato dalla Cremonese. Impresa niente affatto agevole, dunque. Le pecche caratteriali dell’organico affidato a Pensabene non avrebbero potuto solleticare speranze migliori, del resto. E l’impostazione del lavoro societario ammettevano, sin dall’inizio, la possibilità di un incrocio di rischi, puntualmente avveratosi. Come a metà del cammino, però, non ci permettiamo di aggredire le finalità del progetto giovane di Pavone. Un progetto ancora degno di rispetto: non abbiamo cambiato idea. Anche se, pensandoci bene, un paio di pedine di sicura esperienza, innestate sin dall’inizio, avrebbero potuto fronteggiare qualche situazione delicata. Ovvio, non esiste una controprova, ma solo una sensazione. E una realtà che andrà affrontata con coraggio e serenità: domenica prossima, sul campo. E, eventualmente, da lunedì: tra consuntivi e nuovi preventivi.

Grottaglie bello, Brindisi pratico e furbo

Succede di imbattersi in un risultato che inganna. Non per qualche artificio di chi vince, ma per la quantità e anche per la qualità (di manovra) di chi perde. E succede che la concretezza, quasi sempre, sconfigga il fraseggio. Davanti al suo pubblico il Grottaglie ha, del resto, imparato a proporsi con personalità. L’approccio generoso e vivido alla gara e il ritmo impresso al derby di ieri, poi, non sembrano mentire. Anzi: la formazione di Del Rosso pare intenzionata a chiudere il campionato inseguendo il solco della crescita, testimonianza trasparente di una condizione atletica ancora invidiabile. Neanche il gol, il primo gol del Brindisi (del brasiliano Júnior Bahia, uno che conosce i tempi di inserimento, la malizia e la porta), deprime l’Ars et Labor. Ma il raddoppio di Kettlun, un cileno essenziale e robusto, devia sensibilmente la logica di una partita in cui il Grottaglie pensa, cuce e agisce. E dove gli adriatici, furbi e freddi, attendono, rintuzzano e colpiscono, interpretando correttamente le coordinate del fuorigioco. Ma la sfida regionale più bella della stagione piace anche per l’abilità dei tarantini di non disperarsi, di non afflosciarsi, di crederci sempre. Anche sullo zero a tre. O sull’uno a tre, score che ridiscute le postazioni dei playoff. Che il Grottaglie visto nel derby merita senza condizioni. E che il Brindisi torna a puntare. Senza quotazioni altissime, in sede di pronostico: anche e soprattutto considerando il prossimo impegno, fissato in casa, contro il Pomigliano. Sì, solo a puntare: davvero un’incongruenza, per il materiale tecnico a disposizione di Silva. Oltre ogni luogo comune.

lunedì 28 aprile 2008

Lecce, c'è bisogno di tutti

Il Bologna, ora, è dietro. Ma davanti c’è ancora l’Albinoleffe: un punto appena, ma sempre davanti. Possono cambiare gli avversari, non il prodotto. E il Lecce continua ad inseguire. Dunque, a confidare. La trasferta di Ravenna conforta: per l’utilità del risultato e per quel dato importante che resiste. La difesa salentina, cioè, resta la meno battuta dell’intero torneo di B. Uno dei presupposti da cui ripartire: senza dimenticare, tuttavia, che il Lecce è tornato a fidarsi di se stesso appena la propria artiglieria pesante ha riacquistato vigore e continuità. E tre gol, quelli distribuiti in Romagna, sembrano la controprova dell’autorevolezza della candidatura a uno dei due posti migliori della graduatoria. Tre gol nuovamente accompagnati da un atteggiamento, non solo tattico, che lascia trasudare la personalità del collettivo, recentemente incrinata da un periodo opaco. Tre gol: uno dei quali firmato da Boudianski, rinforzo del mercato di gennaio verso il quale si era coagulato molto interesse e che, sin qui, si era ritagliato uno spazio non eccessivamente ampio. Tre gol: uno dei quali (bello, astuto) timbrato da Abbruscato, che sembra schiacciare qualche malumore personale. Tre gol: uno dei quali disegnato, direttamente dal dischetto, da Valdez. Proprio da chi, ultimamente e sempre dagli undici metri, aveva rallentato la corsa del Lecce. Una squadra che, soprattutto adesso, necessita dell’apporto di tutti.

domenica 27 aprile 2008

Prove tecniche di Real Bari

Dal Real Madrid al Bari. Esattamente il cammino inverno intrapreso, per esempio, da Antonio Cassano. Radiomercato è già satura di proposte, consigli, idee, disegni. E sussurra il nome di Lorenzo Sanz, già padrone del club più ambito e rispettato del globo, accostandolo al Bari. Sì, al Bari. Dunque, si vocifera che Matarrese potrebbe ricevere a breve termine una proposta di acquisto del pacchetto di maggioranza della società di via Torrebella. Improvvisamente tornata appetibile, ma risvegliatasi un po' scossa dopo la strana trattativa imbastita dai monegaschi targati Stancarone, non troppo tempo addietro. La fonte della notizia è sufficientemente autorevole; il resto è una storia da vagliare, soppesare, filtrare. E, eventualmente, solidificare. Sanz, però, poco più di un anno fa, sembrò avvicinarsi sensibilmente al Parma e poi si dileguò. Sull'Adriatico, magari, qualcuno comincerà a compiacersi. Intanto, è buffo pensare a quanto sia strano il pallone di casa nostra. E a quel poco che è bastato per risvegliare l'interesse attorno al Bari. Due o tre mesi di calcio più convincente e una metà classifica di fulgido anonimato. Cose che si apprezzano quando la vita è defluita pericolosamente sull'orlo del burrone. Ora, però, attendiamo tutti Sanz. Purchè, alla fine, non fugga, come a Parma. Meritandosi la pañolada: toccata anche a lui, sulle rive del Manzanares.

sabato 26 aprile 2008

Andria, chi deve rifletta

L’Andria è l’incrocio di diversi problemi e di troppi equivoci. Il più evidente: nasce per imporsi, ma si scopre immediatamente fragile. Perchè si trascina nomi importanti, che diventano inadeguati a perseguire un obiettivo che, nel frattempo, è cambiato. Non più la promozione, ma la salvezza. L’insofferenza dirigenziale, poi, genera decisioni drastiche: quattro allenatori per una stagione ancora incompiuta. E troppe anime che guardano la situazione con approcci differenti. Anche quando il sentiero più giusto sembra essere stato individuato, a metà campionato. Intanto, la squadra affonda, risucchiata anche dalla Scafatese. L’ultimo e infamante gradino della classifica, adesso, fa paura. Si concretizza dopo il derby di Noicattaro, perduto senza troppo battagliare. Sì, la squadra ora affidata alle cure di Loconte non rintuzza, assiste. Senza ardore. L’avversario spinge, l’Andria arranca e si accartoccia. Anzi, lo score è persino bugiardo: un solo gol di disavanzo è persino incongruo. E il pensiero ritorna a quella serenità recuperata sotto la gestione Dellisanti. Quando, davanti, c’era un torneo da rivalutare, ancora aperto. Ancora ammiccante. A quel periodo in cui la ricostruzione appariva lenta e laboriosa, ma possibile. A qualcuno, invece, non bastò. Occorreva dichiaratamente riabbonarsi al sogno sopito della promozione, affrettare i tempi. La salvezza sembrava un obiettivo minimo, insignificante. E il tecnico fu costretto ad abbandonare l’incarico, schiacciato da valutazioni errate e dall’altrui supponenza. La strada per riemergere fu riasfaltata. Oggi, invece, il campionato ha asfaltato l’Andria. A cui non basta neppure invocare la mancata solidarietà delle direzioni arbitrali. Dietro un penalty non segnalato o un’espulsione più o meno gratuita c’è anche e soprattutto un retroterra di presunzione. Chi deve, rifletta.

giovedì 24 aprile 2008

Il Martina e l'escamotage all'italiana

La possibilità di evitare la retrocessione diretta già metabolizzata e di riagganciare contestualmente i misteri dei playoff svanisce tra la delusione. Comprensibile. Il Martina, adesso, è davvero in C2. Non gli basta la penalizzazione (otto punti) comminata dalla Commissione Disciplinare al Lanciano per imperfezioni documentali all’atto dell’iscrizione estiva al campionato tuttora in corso. Sarebbe servita, piuttosto, una pena più severa, quella che anche in Abruzo si attendevano: la rimozione coatta all’ulimo posto. E solo quella. Invece, la speranza sgombra a vantaggio della realtà. Il club di via D’Annunzio dovrà necessariamente farsene una ragione. E incontrare la volontà di ripartire. Perché non sempre ci si può affidare ai problemi altrui. Una cosa, però, non quadra: il Lanciano è riconosciuto colpevole (c’è la penalizzazione, appunto) di aver prodotto carte false per ottenere il passaporto ad un torneo che, altrimenti, gli sarebbe stato negato. Scongiurando, di fatto, il pericolo dell’estinzione o, nel migliore dei casi, dell’inserimento in una categoria inferiore. Come da regolamento. Approfittando compiutamente, dunque, del suo comportamento fraudolento. Senza del quale, va ribadito, non avrebbe potuto partecipare a questa C1. E, per questo, è stato condannato: con un provvedimento, però, che sa di compromesso forzato. L’unica pena comprensibile sarebbe stata una sanzione diciamo pure retroattiva. Il Lanciano avrebbe dovuto rinunciare a quanto ottenuto artatamente, ingiustamente. Punto e basta. Pagando sino in fondo. Il precedente, così, è creato: dunque, da qui in avanti, potrà liberamente presentare documentazioni taroccate. L’iscrizione al campionato sarà garantita. Poi, sarà sufficiente pagare un tributo minimo: che, magari, comprometterà il cammino, ma che non lo escluderà. E’ il classico escamotage all’italiana. Un vero e proprio caso di condono. Il Martina, allora, può legittimamente ritenersi offeso. E anche defraudato. E non solo il Martina: ma il calcio tutto.

mercoledì 23 aprile 2008

Il sipario su una storia triste

Il campionato di Eccellenza (la regular-season, almeno) si interrompe qui. E finisce anche la tragicomica avventura della Leonessa Altamura: che, contro il Bisceglie, all’ultimo chilometro, colleziona la duecentonovantanovesima marcatura sofferta in trentaquattro incontri. Svanisce la tortura dell’umiliazione e, con lei, anche il coinvolgimento mediatico creatosi attorno alle disgrazie di un gruppo di dopolavoristi (nel senso migliore del termine) del pallone. Sinceramente, ci sentiamo sollevati. Perché questa speculazione nazionalpopolare ci aveva un po’ stancati. Come ci aveva stancato quell’informe evoluzione di telecamere e di network, attirati da tanto folklore a buon mercato. Da oggi in poi ne faremo a meno, per fortuna. E rinunceremo volentieri anche a Schillaci, che scende dal palcoscenico dorato del Mondiale appositamente reclutato per lenire la sete di una produzione televisiva, immediatamente prima che cali il sipario. L’ultimo capitolo un po’ volgare di una storia che va etichettata per quella che è: triste.

Il veleno alla coda

Torniamo sul Gallipoli. Perché le ore, di fronte allo Jonio, sono calde e astiose. Ed è tempo di bilanci, imbastarditi da un epilogo inatteso: la via dei playoff, cioè, è ormai quasi impraticabile. Diretta conseguenza degli ultimi due mesi sghembi, incerti. E del passo stanco della squadra nella gestione Patania. A proposito: Bonetti, l’ex trainer, riprende la parola, sei partite dopo la risoluzione del contratto. Svelando particolari mai ascoltati o liberamente trattati dalla stampa prima di adesso, ma ampiamente conosciuti dal sottobosco calcistico e dalla tifoseria gallipolina. E si riaccende una polemica antica, quella tra l’allenatore bresciano e il diesse Pagni, accusato di aver fomentato il malcontento della piazza, di aver intralciato il lavoro del coach. Niente di nuovo: Pagni non amava Bonetti. E Bonetti non amava Pagni: Retaggio, probabilmente, delle motivazioni alla base dell’ingaggio, l’estate scorsa. E di una palese e reciproca diffidenza, alimentata da differenti orientamenti e diversi modi di vedere il pallone. I malumori, ovviamente, esplodono a campionato compromesso, investendo di striscio anche Patania. «Una vittima di Pagni, come me», sentenzia Bonetti. Travolto, questo sì, da un vortice maligno: malgrado la sicurezza pubblicizzata sin dal primo giorno di lavoro in Salento. Un vortice, peraltro, ampliato da limiti caretteriali (dei protagonisti del campo), da intimi dissapori, da dichiarazioni avventate e da errori di valutazione (e questo è un particolare che si scopre o si riconosce sempre dopo, comunque troppo tardi). Barba, intanto, promette la robusta revisione dell’organico. Forse, sin da sùbito. Ma, a questo punto, rischia anche Pagni. Che potrà possedere tutti i torti, oppure qualsiasi ragione. Ma che resta il primo sconfitto. Battuto dai risultati. Quelli che erano arrivati. E che poi si sono dileguati: più o meno contemporaneamente al cambio di panchina.

martedì 22 aprile 2008

I sospetti e i dati dimenticati

Quando i giochi vanno a chiudersi e le rivalità inventate dal campionato si esasperano, sgorgano dubbi, sospetti, accuse più o meno velate, spifferi maligni, insinuazioni. Fioriscono le congetture, le voci di piazza si amplificano. Succede anche a Barletta, dove l’inseguimento prodigioso e il recente sorpasso in classifica realizzato dall’Aversa è stato vissuto (e continua ad essere vissuto) malissimo. E, inftti, il trainer Chiricallo, in coda alla gara di domenica passata, lascia trasparire tutta la propria diffidenza: rivendicando la vittoria virtuale già conseguita dal Barletta, al di là di quello che sarà il responso finale. Giurando, però, di inseguire ancora il successo, magari al foto-finish: che andrebbe ad assommarsi al primo. Varcando la metafora, il coach sparge sull’Aversa qualche litro di veleno. Non entreremo nel merito, non ci interessa: chi dovrebbe farlo, sulla base di compiti istituzionali di vigilanza, potrà cercare la verità. Tuttavia, Chiricallo dimentica un dato incontrovertibile: che, ad un certo punto del cammino, l’Aversa viaggiava undici punti dietro il Barletta. E che il Barletta si è piegato sotto il peso delle sue insicurezze e delle sue debolezze. Delle quali anche Chiricallo è responsabile. E senza le quali l’avversario non avrebbe potuto costruire l’impalcatura della sua probabile promozione in C2. Né con meriti propri, né con operazioni illecite.

All'improvviso l'ottimismo

E adesso il Martina freme, in attesa. Attende che il Lanciano, già economicamente fallito, venga dichiarato colpevole di indebita partecipazione a questo campionato di C1. Che la giustizia sportiva (anzi, la Commissione Disciplinare) potrebbe punire con la retrocessione all’ultimo posto del girone, cioè con la C2 burocratica. Ovviamente, in sostituzione della squadra di Florimbj, penalizzata invece dal campo. Il Martina attende le disgrazie altrui, ma l’occasione è ghiotta per dolersene. E oggi dovrebbe conoscere il suo futuro prossimo. Indissolubilmente legato a quello più remoto. Quindi, con la prospettiva (concreta, pare) di ritrovarsi inconsapevolmente ai playout: per giocarsi la permanenza , all’improvviso. Con la forza dell’ottimismo. Con l’ottimismo di chi non possiede nulla da perdere. Con quell’energia nuova che la lievitazione tecnica e tattica emersa nelle ultimissime settimane offre. Con l’apporto psicologico di una prestazione (quella di avant’ieri, di fronte al Gallipoli) che, nell’eventaulità degli spareggi per la salvezza, consentirebbe persino di coltivare qualche ambizione. Considerate, soprattutto, le difficili condizioni generali di squadre come il Potenza e la stessa Massese, due delle tre candidate (l’altra è la Sambenedettese) ad occupare il quint’ultimo gradino del girone. Quello che designerebbe, per intenderci, il confonto diretto con il Martina. Che, adesso, spera. Senza farne mistero. Sfidando anche la scaramanzia. Ma, di fronte al buio del baratro, questo è un peccato che si può anche perdonare.

Si sgretola il Gallipoli

Il Gallipoli indispettisce oltre i limiti del lecito, delle assenze di giornata e della comprensione. Più che deludere, si sgretola. Nella trasferta infelice di Martina non alza mai i toni, fatica ad accelerare. Quindi perde, senza attenuanti. E’ arrugginito, timido, consunto, persino impacciato. E troppo vulnerabile in fase di filtro e di non possesso. Dunque, anche nervoso. Più tonico l’avversario. Più orgoglioso. Più lucido. Anche quando sembra essersi allungato, scucito. Esattamente quando, a metà della ripresa, la formazione di Patania sembra essersi impadronita dalla linea mediana, alzando il proprio baricentro. Questione di pochi minuti: poi tutto torna come prima. Nel match, allora, c’è abbastanza Martina. Ma il Gallipoli non vi entra affatto. La tifoseria jonica, probabilmente, prevede ogni cosa e non segue neppure la squadra in Valle d’Itria, risparmiandosi un’amarezza in più. E il declino (non solo psicologico, ma anche fisico, tecnico e tattico) di una squadra che ha terminato di concersi garanzie. E, ragionevolmente, anche il suo campionato.

I trucchi del mestiere

Il Bari (pari ammirevole e assai legittimo a Bologna) gioca anche per il Lecce, ma il Lecce non gioca per se stesso. Mancando un’altra occasione importante, sprecando la possibilità di azzerare il gap di classifica. Recuperando, anzi, un punto da un match diventato sin da sùbito troppo ostico, anche e soprattutto per i pregi altrui: perché non possiamo dimenticare le occasioni costruite e poi disperse sabato dal Pisa. Tiribocchi e compagni si scuotono in ritardo, provano anche il forcing, ma la prova è complessivamente imperfetta: nelle operazioni di presidio e non solo. Papadopulo, davanti ai microfoni, si ritiene defraudato, ma altrettanto può dire Ventura, coach toscano: la verità è questa. Non è detto, però, che il Bologna possa considerarsi immune da critiche o, peggio, dagli assalti della concorrenza. Anzi. E, allora, al Lecce conviene insistere. Anche perché gli scontri diretti, spesso indigesti, sono quasi finiti (va consumato l’ultimo, contro l’Albinoleffe). Magari, servirà la concentrazione dei tempi migliori. Quella che i vertici societari vorrebbero ritrovare, contravvenendo i giudizi del tecnico. Che, evidentemente, preferisce salvaguardare l’autostima della squadra. Sono i trucchi del mestiere.

lunedì 21 aprile 2008

Lacarra illude il Grottaglie

Attesa e contropiede non portano punti. E il momento felice del Grottaglie si esaurisce a Torre Annunziata, nell’anticipo televisivo del sabato. Gli jonici graffiano subito con Lacarra, assistono e poi si fanno raggiungere e superare, delegando la circolazione di palla e l’iniziativa al Savoia. Che, diciamola tutta, possiede un portiere (Masullo) protagonista sicuro nei frangenti essenziali, quando la squadra di Del Rosso si stizzisce e si ribella: sull’uno a uno, oppure sul due a uno e anche sul tre a due. Savoia che, tuttavia, dispone pure di un’esigenza più decisa, di una fame più evidente. Il Grottaglie, ancora, si autocondiziona e si autocondanna con una parte centrale della ripresa un po’ tollerante, cioè un po’ imballata. Lasciando praticamente il terzo posto del girone al Bitonto. Contro il quale sembra destinato a confrontarsi nel girone di scorta dei playoff: ovvero il traguardo più reale, sin dall’inizio del torneo. Quello che riflette senza inganni l’impegno e la qualità complessiva di una formazione sempre nella condizione di decollare. E sempre costretta ad accontentarsi. Conservando il sorriso, però.

domenica 20 aprile 2008

Ventiquattr'ore di rabbia

Avrebbe voluto stupire con decisioni speciali, di effetto sicuro. Ha urlato ed è tornato indietro. Dovrà accontentarsi di un mero riflesso mediatico. Che servirà a poco: perché la squalifica (del campo) rimane e i playoff (anche se a porte chiuse) restano una dura realtà. E la rabbia, se si agita ancora, potrà confluire dove si incrociano i tacchetti. Lì, magari, sarà utile davvero. Euprepio Leone è il presidente del Manduria, punito dalla giustizia sportiva per i fatti (aggressione all’arbitro successivamente smentita e, comunque, inseguimento e minacce) che accompagnarono le ore immediatamente successive al match perso dalla squadra di De Pasquale a domicilio contro il Tricase, qualche tempo fa. Ed è un presidente adirato: perché, dice, la sanzione dell’interdizione del proprio terreno di gioco è eccessiva. Per questo, aveva minacciato (anzi, annunciato) la rinuncia ai playoff, legittimamente conquistati (si partirà tra due domeniche, il primo incontro è fissato a Galatina). Onestamente, non ci avevamo creduto. E, infatti, appena il giorno dopo, Leone ha ritrattato. Il Manduria, ai playoff, si presenterà regolarmente: perché non è mai congruo farsi male da soli. Incazzati sì, autolesionisti mai: elementare. Nel frattempo, il club messapico si è fatto sentire. E si è sfogato. Omaggiando il campionato di Promozione di un po’ di folklore. Che non influenzerà nessuno: né gli avversari, né il Palazzo, né pallone che rotola sull’erba. Pazienza, abbiamo scherzato.

venerdì 18 aprile 2008

Arbitra il Bitonto

I migliori propositi sono liquefatti, da diverso tempo. E le motivazioni potrebbero difettare. Il Bitonto della nuova gestione Altamura non rincorre più il campionato: il terzo posto è quasi assicurato e non potrà neanche avvalorarsi, di qui alla fine della regular season. I playoff, poi, sono ancora distanti un mese: e, per quello che potranno servire, andranno valutati più avanti. La squadra che, ultimamente, sembrava aver recuperato brillantezza e sicurezza, ad Ischia è caduta di fronte ad avversario più determinato e, soprattutto, sotto il peso dell’inutilità manifesta dell’ultimo scorcio di stagione. Il suo coah che, caratterialmente, è un combattente vero, probabilmente non avrà gradito. Ma tant’è. Magari, potrà sentirsi rasserenato il Fasano: che, proprio domenica prossima, fa visita a Buttazzoni e compagni. E, magari, anche il Gragnano, che incrocerà il Bitonto sette giorni dopo. Quel Gragnano che, proprio assieme al Fasano, è una delle formazioni maggiormente indiziate dalla classifica ad occupare la quint’ultima posizione della graduatoria, che conduce ai playout. Dunque, il Bitonto – teoricamente – può arbitrare la lotta per la salvezza. Ma non solo: perché, all’ultimo chilometro, riceverà l’Aversa: che, presumibilmente, potrebbe aver bisogno della vittoria per festeggiare l’accesso alla C2. Anche se, in questo momento, è possibile qualsiasi soluzione alternativa. Al di là di ogni valutazione futura, tuttavia, il ruolo della formazione barese sembra sin d’ora altamente delicato (per gli altri, innanzi tutto). Anzi, essenziale. Perché Fasano e Barletta (l’unico concorrente dell’Aversa, cioè) potrebbero (o dovrebbero) dipendere anche dai suoi umori, dai suoi stimoli, dalle sue gambe e dalla sua testa. Ed è affascinante pensare che, dai piedi e dalle idee del Bitonto, possano passare una parte delle chances del clan di Chiricallo, che gli sviluppi del torneo avevano seriamente posto in contrapposizione (eufemismo) con la formazione che fu di Zunico. Non sappiamo, intanto, quali siano i sentimenti che animano o che potranno animare la gente di Barletta. E neppure quella di Aversa. Ma il Bitonto può corposamente contribuire a decidere molte storie intricate del girone appulocampano di D. E tutto dipenderà dal suo approccio mentale agli eventi, evidentemente.

Il Taranto che non conoscevamo

Convivono dettagli non trascurabili dietro la lievitazione rassicurante del Taranto che aspira dichiaratamente ad un piazzamento importante all’interno della griglia dei playoff. E che, se non fosse inciampato nelle intemperanze della sua stessa gente prima, durante e dopo la gara di andata contro la Massese, potrebbe seriamente puntare alla promozione diretta. Per esempio, la squadra gestita da Cari sembra essersi liberata di quell’umoralità destabilizzante, di quell’istintività dannosa che, spesso, in passato, l’aveva resa un po’ anarchica. Traducendo, il Taranto potrebbe aver assimilato qualche insegnamento: ora sa anche calcolare, misurare, controllare. Cioè governare la situazione, con freddezza. Il successo ottenuto sulla Lucchese dice (o conferma) anche questo. E dice pure che il Taranto, finalmente, ha cominciato a leggere ogni partita. Non solo spunti isolati e schizzi di calcio: ora si intravede pure la sostanza, il mestiere, il progetto. Requisiti giunti lentamente, faticosamente. Ma arrivati: meglio tardi che mai.

mercoledì 16 aprile 2008

La notte del Gallipoli

Ferito e mortificato. Il Gallipoli, progressivamente, si sfarina. In dirittura d’arrivo. Cala l’intensità, cala l’appetito: i playoff si allontanano, perfidi. Fatica a ritrovarsi, la formazione di Patania. Che, affidandosi ad una ripresa più sensata, lineare e vigorosa, ricuce solo parzialmente lo strappo del primo tempo, condotto con ritmi deboli. Il pareggio che schizza dal match con il Pescara, però, non assolve completamente un protagonista antico del campionato, che lentamente si spegne. Il tecnico, intanto, si arrampica sulle giustificazioni di convenienza (l’assenza della fortuna, però, non c’entra): l’impressione, piuttosto, è che il Gallipoli si sia un po’ consumato. Mentalmente. Tradito dall’insufficiente dimestichezza nella gestione dei momenti che contano e dall’approccio quasi sempre difettoso con le partite in campo avverso. Due elementi che, alla distanza, hanmno privato il collettivo di sicurezza e serenità. Adesso strranieri anche sul sintetico amico, dove una volta si costruiva la casa del sogno. Un sogno allontanatosi improvvisamente: senza chiedere il permesso. Approfittando della cattiva gestione degli ultimi due mesi: in cui la società, la tifoseria e la squadra possiedono qualche fetta di responsabilità. Sin troppo arbitrariamente e frettolosamente addossate a Bonetti.

Lacrime sull'Andria

Lacrime sull’Andria. Quelle del presidente Attimonelli e pure di qualche protagonista del campo. Lacrime che scendono in coda al pareggio raccolto domenica da un Marcianise già in doppio svantaggio e in difficoltà. A suggellare l’ennesima occasione distrutta, la nuova incertezza che minaccia sempre meno velatamente la salvezza, a piegare ulteriormente un morale flebilissimo. L’Andria si interroga ancora e ancora si lamenta: questa volta vanno valutate le pieghe di un penalty non assegnato, che Vadacca e compagni sono costretti a rivendicare. Niente di nuovo, però, perché l’intervento arbitrale si assomma a qualche altra distonia precedente. Ma, al di là degli episodi, bruciano quei due gol di vantaggio sacrificati. Infastidisce una tenuta caratteriale che, evidentemente, continua a non offrire garanzie di affidabilità. Dispiace quell’ingenuità (l’espulsione di Spinelli) che si assomma alle ingenuità di tante altre situazioni: che, assieme, legittimano la precarietà della classifica. E ferisce quel sentimento di impotenza che sembra doversi affacciare sulla squadra. Che, a proposito, è stata abbandonata – a poche ore dal match – anche dal suo nocchiero Palumbo, il terzo della stagione (adesso c’è Loconte, che si è seduto sulla panca già avant’ieri). Non sappiamo neppure perché il tecnico venosino si sia disimpegnato: lo stesso Palumbo non ha commentato. Né ha rimediato la società. E gli operatori locali dell’informazione non si sono preoccupati di indagare. O, se lo hanno fatto, hanno ritenuto più conveniente non divulgare le motivazioni del divorzio. Forse perché compromettenti: per il buon nome del calcio andriese o per la reputazione di qualcuno. Intanto, un’idea ce la siamo costruita: ricordando la ruvidezza e l’idiosincrasia al compromesso di Palumbo è persino facile.

martedì 15 aprile 2008

Lucida incoscienza, presentimenti e disperazione

L’arroganza tecnica che forza il risultato e il mestiere applicato nei novanta minuti sembrano aprire all’Aversa le porte della C2. Bastonando i ritagli di speranza del Barletta e complicando il sentiero già abbastanza tortuoso del Fasano. Che, di fronte ai normanni, fatica a competere. A volte, tuttavia, qualche minuto di recupero serve a riagganciare il senso di una partita già svanita. E, a volte, serve anche la lucida incoscienza di un portiere all’assalto della porta altrui. Accade tutto velocemente, tra presentimenti e frenesia. Fortunato, guardasigilli della squadra di Ortega, vede il tempo liofilizzarsi in una sconfitta piccante e decide di tagliare il campo, di partire alla ricerca dell’impresa impossibile. Che il suo trainer, persino, gli sconsiglia. Ma lui ci prova igualmente, occupando una posizione defilata, ai limiti dell’area, dove il vento è meno caldo. E dove la volontà è destinata ad annacquarsi. E, invece, il calcio franco di mastro Rufini è maldestramente deviato da Robustelli, il portiere dell’Aversa: il pallone, così, arriva sul sinistro di Fortunato. Diagonale più lento che rapido, ma sufficientemente preciso: e gol, decisivo e beffardo. Accade tutto all’improvviso. Accade tutto per il bene del campionato, che non perde interesse. Per il bene del Barletta, un po’ meno depresso di prima. E per il bene del Fasano, che non si rassegna allo score e ai playout. Che si agita ancora. Sulla scia dei presentimenti di Fortunato, ventenne che si carica una responsabilità, vincendo la sfida. E sulla scia della disperazione.

L'avventura continua

Gli attacchi beceri e la contestazione feroce che avvolgono, inquietano e abbruttiscono il Modena incoraggiano e spingono il Lecce. E’ innegabile. Ma il Lecce sa pure catturare il momento, cioè passare a condurre il match quando l’immunità psicologica dell’avversario è fortemente debilitata (l’autorete buffa di Perna conferma). Ed emergono i meriti di Tiribocchi (che torna a segnare, sei partite dopo) e soci, abili a capitalizzare le congiunzioni felici del calendario: perché Chievo e Bologna si incrociano tra loro e il pareggio provvede a accorciare il disavanzo tra i salentini e le concorrenti più ispirate. Il collettivo di Papadopulo, allora, invita la gente a scommettere ancora sulle proprie qualità e sulle proprie prospettive. Anche se la battaglia è sempre più dura. Intanto, però, l’ultima tornata di campionato restituisce quotazioni di maggior peso. E poi diversi singoli sembrano aver riacquisito la brillantezza di un tempo. Di più: sgomita forte anche la continuità di Valdes, limitato per anni da una imperfetta autogestione del talento. Il cileno, anzi, si candida nel ruolo di capopopolo ispirato. E l’avventura continua.

lunedì 14 aprile 2008

Il Bari sa quel che vuole

Tutto vero e confermato: il nuovo Bari sa scovare continuamente gli stimoli, possiede una propria dimesione, gioca sempre e contro chiunque. E insegue il risultato, ornamento senza ormai grande peso specifico. Non importa che il Brescia (affrontato sabato l’altro) viva motivazioni avvincenti sulla strada della A. E non importa che lo Spezia (battuto ieri in casa) debba cercare di spendere gli ultimi spiccioli di aggressività per conservare la categoria. Il Bari sa quel che vuole: l’onore di una fine di campionato nobilissima, la costruzione di una base solida da sfruttare il prossimo anno, il gioco su cui saldare certi languori lungamente sopiti. E lo ottiene. Comincia a diventare simpatico alla propria gente, il Bari. E anche questo è un obiettivo raggiunto. Più importante del gioco. Più importante di una classifica nettamente rivalutata. Più importante, almeno per ora, di un onore schiaffeggiato da amarezze infinite. Chissà, intanto, che ne pensano a Bologna, dove il Bari si recherà a breve. Il Lecce, silenziosamente, osserverà. Confidando nel nemico dichiarato.

domenica 13 aprile 2008

Il Taranto sfida il calendario

Il Taranto sfugge definitivamente dalla sua condizione di anonimato stagnante a cui sembrava essersi abituato. E, vincendo largamente a Massa, conquista la terza piazza, emettendo segnali importanti e prontamente spendibili. Ovviamente da confrontare con la manifesta debolezza della Massese, ormai inghiottita dal vortice della recessione. E caricandosi, però, di nuovo entusiasmo. Da condividere con una tifoseria che, sin da domani, tornerà a frequentare lo “Iacovone”, pronto a riaprire (la punizione della giustizia sportiva è ormai completamente scontata). E da miscelare con la freschezza della condizione atletica. Ecco, l’entusiasmo: ovvero l’ingrediente che, in questo periodo della stagione, potrebbe disegnare la differenza tra chi cresce (il Taranto, appunto, ma anche il Pescara) e chi soffre (Salernitana, Ancona, Crotone, Gallipoli, Crotone: cioè tutta la concorrenza per la B o quasi). Non è mai troppo tardi: e il Taranto, al foto-finish, è dentro la storia di questo campionato. Per meriti propri, acquisiti senza fretta (tra i quali una rivisitazione corretta dell’organico, completato a gennaio), e vistosi demeriti altrui. Ma, soprattutto, la gente guidata da Cari offre la sensazione di crederci seriamente. Nonostante non disponga di un calendario troppo agevole: e sì, perché adesso piovono tre sfide dirette (contro la Lucchese a domicilio, domenica prossima; Crotone e Ancona in trasferta) nello spazio di quattro settimane. Tre modi per capire se questo Taranto è diventato davvero adulto.

sabato 12 aprile 2008

Le occasioni (perdute) del Brindisi

«Vergogna». L’intervento duro di Simone Pietroforte, diesse del Brindisi, coinvolge la squadra (franata pure a Somma Vesuviana) e anche se stesso. Che della squadra, revisionata in corsa, è il costruttore. «Vergogna». Perché perdere si può. Ma perdere così, senza ribellarsi all’avversario, è incomprensibile. E frustrante. Perché rinunciare persino ai playoff (il Brindisi, attualmente, è di nuovo fuori dalla porta) è infamante: per i nomi e i cognomi ai quali può affidarsi Silva, tecnico che si è presentato bene, ma che – alla distanza – non è riuscito a corazzare e incattivire un organico ancora inaffidabile, troppo spesso sfilacciato, molto spesso svagato. «Vergogna». Perché Pietroforte altro non può commentare. Prima di comunicare ai giocatori chel’erogazione degli stipendi è sospesa. Perché il presidente Barretta è infuriato. E con la squadra non vuol più dialogare. Quella squadra sempre sul punto di esplodere e poi immancabilmente denigrata dai risultati e dalle prestazioni,.che non sa decollare. E che sta sperperando quelle possibilità di costituire le fondamenta del Brindisi che verrà, quello del prossimo torneo. Il Brindisi che vuole la C e che dovrà ritentare il salto. Il Brindisi che avrebbe dovuto continuare a essere quello di Silva, a cui sembrava legato un progetto. Progetto ora destinato, si dice, ad abbinarsi ad un altro nocchiero: già si parla di Chiancone, uno che, in Puglia, ha già vinto. Precisamente, a Martina: promozione dalla C2 alla C1. E, al suo fianco, quella volta, c’era Pietroforte.

giovedì 10 aprile 2008

Il Barletta è sgonfio

Niente più sarà come prima. Il Barletta litiga con il campionato e anche con la sua gente. Questa volta in maniera netta, ruvida. Perche, nettamente e ruvidamente, crolla in casa propria, davanti al miglior profilo psicologico del Pomigliano, team di categoria ravvivato dalla prospettiva playoff. Complicando il suo cammino futuro: prossimo e remoto. Si sgretola l’assetto di squadra, si sgretola la personalità del collettivo, si sgretola il sogno della C2. Vince la paura. Una paura che arriva da lontano: da quell’insicurezza coltivata nei due ultimi mesi, passati a registrare il progressivo inaridimento delle idee e il progressivo recupero dell’Aversa. Recupero temuto, preventivato, atteso: anche su queste colonne. Ma non solo. Scritto ancor prima di materializzarsi. Quasi ineluttabile. Perchè, diciamola tutta, il Barletta ha sentito di poter perdere il campionato, prima del tempo. E i casertani di vincerlo. Certo, tre punti sotto (dopo aver occupato lungamente la vetta della classifica, anche con undici lunghezze di vantaggio sui campani) possono significare poco: anche se la stagione si sta consumando e l’ora dei verdetti si avvicina. Ma, in questo frangente, significano molto. O quasi tutto. Tre punti, è chiaro, sono ancora recuperabili. Soprattutto se l’Aversa, domenica, inciamperà a Fasano: dove, sin qui, tutte le formazioni più attrezzate si sono arrese. Ma irrecuperabile sembra la tranquillità interiore dell’ambiente barlettano e, ovviamente, della formazione gestita da Chiricallo, uno dei più criticati. Come irrecuperabile sembra, per logica, una stagione creduta diversa. Ma la logica, spesso, non sposa il calcio. E, allora, attendiamo ancora per conoscere la verità finale. Ma non ci costruiamo illusioni. Perché, al di là dell’Aversa e del Fasano, questo Barletta è sgonfio. Proprio come il morale di una città intera. Che, adesso, rischia di pagare un contraccolpo devastante. Non adesso: ma in estate, quando – nella peggiore delle ipotesi - occorrerà ripartire. Con idee chiare e nuovi programmi vincenti.

L'ostacolo dell'Andria

Osservando con attenzione, l’entourage dell’Andria non bestemmia, quando parla di circostanze penalizzanti. A Gela (ennesima sconfitta, di misura, a dieci minuti dalla fine) il penalty che promuove i siciliani è palesemente ingiusto: e questo, va detto per onestà, non è il primo caso esageratamente avverso. Invertendo, però, le motivazioni della sconfitta, il prodotto non muta. Anzi, la classifica peggiora: perché la formazione di Palumbo, ormai, viaggia solo due punti davanti Sangiuseppese (in fortissima difficoltà, tanto da aver nuovamente cambiato guida tecnica, nel corso della settimana) e Valdisangro (formazione sanguigna, in ascesa), ovvero chi occupa l’ultima posizione della graduatoria del girone C di C2. Arricchendosi, peraltro, di una controindicazione in più: l’Andria, lo dicono le circostanze, continua a denunciare il disagio di appartenere al lotto delle squadre indiziate alla retrocessione, in prima o seconda battuta. Non è un collettivo, cioè, mentalmente e tecnicamente adatto a battagliare per salvarsi. Né, nel tempo, si è abituato al ruolo. Un ostacolo in più, evidentemente. Che, almeno, le concorrenti dirette non saranno costrette a saltare.

mercoledì 9 aprile 2008

Martina, cinque domande sul futuro

La matematica certifica quello che sapevamo già. Il Martina è in C2. Ed un ciclo sufficientemente felice si è estinto. Ingloriosamente. E dolorosamente. Ma il calcio è anche questo. E va perdonato. Come va perdonata una squadra realizzata in fretta, due mesi prima della retrocessione formale, un mese prima dell’interruzione di ogni speranza concreta, un mese dopo l’apertura di credito verso la versione precedente (quella assemblata da Camplone e già sgravata di diverso materiale umano, che però aveva cominciato a carburare, ottenendo il successo in casa della Sangiovannese, antica concorrente diretta all’ultimo posto). Una squadra delegittimta dalla situazione contingente e dall’estrema pericolosità del progetto di restaurazione: ancor prima di partire. Così come va perdonato Carlo Florimbj, il suo nocchiero coraggioso che ha provato (riuscendoci in parte, va detto) a restituire un briciolo di dignità alla sua truppa e al blasone di una società adirata (anche legittimamente) dagli umori della piazza, ma anche dichiaratamente confusa nel momento più delicato della stagione. Ma ritornare ad analizzare il passato recente non serve, o serve poco. Meglio, piuttosto, al di là di quanto potrà accadere al Lanciano, su cui pende la minaccia di una retrocessione d’ufficio, cercare di individuare il futuro. Condizionato, soprattutto, dalla conferma ufficiale del disimpegno di Cassano, il maggior finanziatore del club. Le domande che transitano, al momento, sono essenzialmente cinque: cioè, troverà il patron compratori dal provato interesse (ma non siamo particolarmente ottimisti) per il calcio in Valle d’Itria? Altrimenti, iscriverà ugualmente la squadra (mantenendone il titolo sportivo) al prossimo torneo di quarta serie? Oppure investirà di tutte le problematiche il sindaco di Martina? E, se dovesse convincersi della necessità di mantenere il titolo sportivo, si sorreggerà a un progetto di autentica emergenza oppure a una programmazione giovane (ma solida e convinta, cioè pianificata e sponsorizzata da operatori fidati o meritevoli della massima fiducia)? Oppure, più semplicemente, la retrocessione è solo l’alba di un tramonto irreversibile?

martedì 8 aprile 2008

Un punto di serenità

Quarantacinque minuti di calcio sorpreso e intimidito da uno svantaggio immediato, in cui la manovra – compressa dall’avversario – fatica a ramificarsi. E altri cinque, i primi della ripresa, spesi a rincorrere un pareggio che non stona e che, alla fine, deve appagare. Ancorchè nobilitati da un calcio franco furbo, profondamente studiato. Il Monopoli notturno del posticipo di Cassino colleziona un altro punto e guarda avanti, accontentandosi nel momento migliore (quando rischia di passare ancora) e senza potersi troppo vantare di una prestazione innervata di spunti, ma non di bagliori e assiduità. Il match è sdrucciolo, ma la postazione in zona playoff si rassoda: la trasferta laziale, allora, può intendersi come una tappa di trasferimento verso gli spareggi per la promozione. Meglio che niente: un approvvigionamento costante possiede sempre i suoi vantaggi. E l’incrocio diretto con la Vigor Lamezia, tra cinque giorni, può fondarsi sul principio della serenità.

Contestazioni e dintorni

Vito Tisci crede in una conduzione moderna della Federcalcio di Puglia, che presiede da ormai tre stagioni. E crede pure alla convenienza della vicinanza fisica al calcio regionale, alle sue società, ai suoi protagonisti. Assicurando, domenica dopo domenica, il suo personale contributo sui campi: senza distinzione di aree geografiche e di categoria. E’ la sua politica. E’ il suo modo di prestare attenzione, di condividere e, certo, anche di monitorare il territorio, le esigenze, le situazioni. Di questo va dato atto. Eppure, sempre più spesso, proprio sui campi, Tisci incontra tensioni, contestazioni. Come domenica passata, a Casarano: non la prima. E, probabilmente, neppure l’ultima. Contestazioni dirette, più che alla persona, alla figura istituzionale. Oppure no. Che, generalmente, fioriscono dal malcontento popolare verso la classe arbitrale: una classe arbitrale che Tisci e la Federcalcio, di fatto, non controllano. Né possono controllare: per definizione. Ma la rabbia e la cattiva conoscenza delle norme accecano sempre e comunque. Il concetto di vicinanza del presidente al calcio giocato, intanto, rischia di provocare paradossalmente uno scollamento sempre più ampio tra la base e il vertice del comitato pugliese. Ovviamente, a Tisci non consiglieremo mai di modificare le linee del percorso, di limitare le apparizioni, di rivedere la propria politica. Ma cominciamo a nutrire il sospetto che sia costretto a frenarsi, a diradare il proprio viaggio attraverso il pallone di Puglia. Violentando la sua stessa testardaggine. E sarebbe una sconfitta: di Tisci, della società, del calcio di casa nostra. Di tutti.

Noicattaro, vittoria con riserve

Il Pescina è sfigurato dalle assenze e, perciò, demotivato e anche eccessivamente remissivo. E’ un dato di fatto, inconfutabile. Meglio per il Noicattaro, a cui servirebbero semplicemente la volontà della disperazione e un ritmo serrato, per superare gli abruzzesi. La squadra di Bitetto e Loseto, in realtà, sa accelerare, ma spesso indugia e si concede troppe pause. Nessuna paura, però: le buone intenzioni sono sufficienti a vincere un match, quello di ieri, che si poteva solo vincere: come chiarito sin dai primi accordi dello spartito. Infatti, Caputo apre il risultato e Moscelli lo cementa, già nel corso del primo tempo. Annullando il gap dell’assenza pesante di Zotti e dignificando gli accorgimenti tattici operati per l’occasione (Samgirardi, De Santis, Linardi e Di Meo siedono in panca). Poi, infine, c’è una novità: il Noicattaro gestisce quasi bene il doppio vantaggio sino alla fine, perché l’avversario decurta solo il disavanzo, senza colmarlo. E allora: per raggiungere la salvezza urge ancora qualcos’altro, risultati a parte. Ad esempio, una conferma robusta contro avversari più concentrati e credibili. A seguire, un calcio più convinto. Infine, una razione di rabbia in più. Però, se non altro, adesso si respira: e un briciolo di serenità in più non guasterà. Anche se, forse, la consapevolezza di dover puntare soprattutto su se stessi per agganciare i vagoni dei playout non è ancora un concetto completamente assorbito. No: da qui in poi, il Noicattaro non potrà sostenersi esclusivamente sull’arrendevolezza altrui.

lunedì 7 aprile 2008

Il Lecce morde ancora

C’è la reazione. E c’è la prestazione. Il Lecce torna a mordere, ricandidandosi con fermezza nella lotteria della promozione. Il Cesena è piegato in meno di una frazione di gioco, la prima, dove l’undici curato da Papadopulo si dota di quella rabbia e di quella decisione scomparse a Grosseto, non più di una settimana addietro, ma anche di un calcio più fluido, più aggressivo e più diretto. Diretto al risultato, ovviamente. Cioè: se era lecito, ultimamente, coltivare dubbi sul futuro della squadra, oggi l’apprensione si stempera un po’. Malgrado, in fondo, non sia cambiato troppo: né in classifica, né nell’universo degli umori di un torneo ancora aperto e sempre più selettivo. In contravvenzione, va sottolineato, ad ogni logica, alla sua stessa storia e alle previsioni più ottimistiche. Una serie B così livellata (in alto) non la ricordiamo affatto, nel più o meno recente passato: qualità mancata persino nella scorsa stagione, nonostante la presenza contemporanea di Juventus, Napoli e Genoa. Come confermano, del resto, i numeri. E i partcolari. Uno per tutti: il Lece, proprio ieri, ha eguagliato il primato delle vittorie ottenute in un singolo campionato (diciotto, già sufficienti per conquistare la massima divisione nel 1999, per esempio). Campionato che, però, non è ancora finito. Anzi, che è tuttora vivo, pulsante. E pronto a chiedere sempre di più.

domenica 6 aprile 2008

La domenica del Francavilla

Domani Francavilla e il Francavilla riabbracceranno la serie D. Diciassette anni dopo l'ultimo campionato in quinta serie. Manca, per l'aritmetica certezza, solo un punto: e ci è difficile pensare che non arriverà. In casa, di fronte al Noci che non può chiedere nient'altro al suo torneo. Malgrado un flessione recente, eppure evidente: dettata dal dispendio energetico degli ultimissimi mesi e, forse, anche dalla sicurezza di aver ammansito la nutrita concorrenza prima del tempo. Nonostante la (contenuta) delusione per un proseguimento in Coppa Italia svanito dagli undici metri, a pochi secondi dalla fine del match: giusto mercoledì scorso, sul proprio sintetico, a favore dei campani del Volla. Ma c'è una promozione da festeggiare: dopo un girone di ritorno carismatico e denso. Dove spicca la rivoluzione tecnica fiorita a metà del cammino, quando la leadership sembrava lontana, troppo lontana. Ed emerge il lavoro di un coach, Mino Francioso, che ha saputo gestire un collettivo numericamente folto. E, ovviamente, anche quello della società. A proposito: l'ultima esperienza in D portava il marchio di Mino Distante, presidente costretto dalle curve del cammino ad abbandonare il timone. E anche questo successo è tiimbrato da Distante: uno che possiede passione e, soprattutto, mezzi. Questa volta, magari, sufficienti per fortificare il traguardo conseguito. E per continuare a sognare: chissà. Francavilla, però, è una piazza calcisticamente effervescente, da sempre. E non ci meraviglieremmo di un futuro appetitoso. Anche per questo, lo stadio verrà presto sottoposto al maquillage: buon segno. Diciassette anni, macchiati anche dall'assenza del calcio in una città di trentacinquemila abitanti e transitati persino per la Terza categoria, vanno archiviati anche con qualche speranza. E salutati da qualche implicita promessa.

sabato 5 aprile 2008

Il Foggia va veloce

Dicevamo del derby che arriva. E della buona salute del Foggia, che dopodomani esaminerà le possibilità di sopravvivenza del Manfredonia. Quel Foggia che, dietro, ha imparato a preservarsi e che, in fase di possesso, già da un po’ riesce a essere costantemente affamato. Adesso, peraltro, sembra essersi rivalutato anche il blasone ingiallito di Umberto Del Core, tre volte a segno nell’ultima fatica di campionato, quella casalinga contro il niente affatto arrendevole Foligno di Bisoli. In cui coach Galderisi ha impostato la manovra sulla velocità, non rifiutando di utilizzare il concetto di ripartenza: dote evidentemente utile pure sul terreno amico, ma destinata a pagare soprattutto in trasferta. Dove il Foggia aveva sin qui accusato il notevole ritardo in classifica (prima del cambio di conduzione tecnica), poi parzialmente recuperato. Da quando il trainer salernitano ha avvicendato Campilongo, però, la squadra è transitata felicemente da Cittadella, Pagani (due vittorie) e Cremona (pareggio ricco di realizzazioni), stoppandosi solo a Verona. E questa è storia, sintetizzata dalla freddezza delle statistiche, comunque largamente spendibili. Già nel derby di fronte all’Adriatico.

venerdì 4 aprile 2008

Fasano, avanti adagio

Avanti adagio. Il Fasano è ancora spaurito e perplesso. E il disorientamento è un male che si combatte nel tempo. Chiedere troppo alla squadra, in questo momento, non è consigliato. La trasferta di Matera non sbriciola le ultime fette di ottimismo, ma non annega neppure tutti i propositi. Un punto, cioè, serve per continuare a galleggiare, in attesa che la gestione tecnica di Ortega sappia iniettare più lucidità, più sicurezza e più personalità ad un collettivo provato e ancora abbastanza spento. Che neanche in Lucania, in casa di un avversario impalpabile e congestionato da troppe problematiche interne, ha saputo impossessarsi della stuazione o imporre le proprie idee. Subendo il meno possibile e ribattendo con timidezza: segnale inequivocabile di un disagio persistente e di una condizione generale che chiedono nuovo lavoro e nuove applicazioni. Il pareggio è buono per proseguire e provare a ricompattarsi, niente di più e niente di meno. Ma che può scoprirsi inutile, se il Fasano non guadagnerà profondità e aggressività, per esempio. E che si è già rivelato insufficiente a riavvicinare i propri supporter, ancora particolarmente critici dopo (e anche durante) il match. In una piazza dove, tradizionalmente, la gente che tifa custodisce un peso specifico non indifferente. E dove il Fasano, per salvarsi, dovrà pensare anche a ricucire un rapporto diventato pericoloso.

giovedì 3 aprile 2008

La gioventù del Manfredonia si ribella

La gioventù imbarazzata del Manfredonia si ribella. Dimostrando che, dentro di sè, c’è persino del buono. E di potersi costruire anche un risultato importante, prestigioso. Che il cattivo momento del Venezia, battuto in Laguna, non può deprezzare del tutto. Sarà stata la disperazione. Oppure avrà inciso la rabbia. Ma il successo di domenica è il frutto legittimo di una prestazione lineare, precisa, consapevole. Utilissimo, oltre tutto, a riscavare un solco più rassicurante da Paganese e Verona, cioè a distanziare l’ultima piazza, che vuol dire C2 diretta. E a preparare con migliori risorse mentali il derby che verrà contro il Foggia, ovvero la squadra più convincente del momento. Chiaro, i playout sono ormai il traguardo più appetibile e di meglio non è lecito sperare. Ma, se la lievitazione del collettivo è davvero realtà, si schiariscono diverse nubi. E, se la freschezza è un patrimonio conquistato, si può pure cominciare a ragionare. Ragionare, peraltro, significherà soprattutto gestire il vantaggio su chi insegue, senza preoccuparsi troppo del resto, cioè di ostacolare il Lecco che viaggia avanti. A questo punto, non è insensato cercare di garantirsi innanzi tutto il minimo, piuttosto che rischiare. Anche perché questo Foggia fa paura e il derby è molto più di un’insidia seria. E poi perché il calendario sembra non dedicare tributi alla fantasia: il Manfredonia, più tardi, dovrà recarsi a Cremona e, quindi, anche a Sassuolo. E, all’ultimo capitolo della regular-season, riceverà proprio il Verona. Ci sono tutti gli elementi per capire che, novanta su cento, il destino si disegnerà proprio allora.

mercoledì 2 aprile 2008

Gallipoli, il trend di sempre

Provare la propria forza e, talvolta, dilagare sul sintetico di casa non basta ad assolvere le ambizioni del Gallipoli. Che, puntualmente, lontano da casa continua a pagare. Come a San Benedetto, per esempio. E questa volta, peraltro, non è neppure logico accusare le distonie caratteriali del collettivo, se è vero che recupera due gol di svantaggio, prima di cedere definitivamente (tre a due). Le statistiche, però, non mentono: la squadra, in trasferta, sa raccogliere – dall’inizio del torneo a oggi – otto punti (un successo e cinque pareggi, oggettivamente pochissimo per assaltare la serie B). Per intenderci, uno in più di Martina (ultima in graduatoria) e Sangiovannese (penultima). E due in meno della Juve Stabia (terz’ultima). Molto più probabilmente, invece, i disguidi nascono in fase di non possesso, nelle stanze segrete del reparto arretrato, meno riparato dalla pressione altrui quando non è possibile aggredire l’avversario. Che, al “Bianco”, qualcosa deve concedere e, a domicilio, è obbligato a incidere. Gli indizi ci sono e sembrano ormai evidenti: materia di approfondimento per Patania, che ha da poco rilevato la panca di Bonetti. Senza che il trend abbia assorbito variazioni sostanziali. Appunto.

martedì 1 aprile 2008

Barletta, indecisioni fatali

Rapido, veloce, sgusciante. Ispirato e motivato. Nella sua migliore versione stagionale, il Grottaglie imprime al derby il proprio ritmo, graffia, aggredisce, fa circolare (tanto e anche bene) la palla. E il Barletta, quasi sorpreso, si arrende. Tradito da Liccardi, il suo portiere. E da un avversario superiore. Almeno ieri. Neppure il gran lavoro di Romano in fase di ripiegamento riabilita la squadra di Chiricallo, che cerca anche di reagire: ma la presenza tra le linee dell’argentino Chiesa, alla distanza, infastidisce oltre misura la capolista: talvolta persino generosa, ma inchiodata da un risultato (tre a zero) pesante, asfissiante. Persino umiliante. E raggiunto da un Aversa più regolare. E sì, perché la leadership del girone H della D, adesso, si divide in due, confermando certi presentimenti nati e cresciuti ultimamente. L’Aversa che, ora, è la formazione preferita dai pronostici, perché psicologicamente più forte, mentalmente più affidabile. Complessivamente più tonica. I casertani potrebbero, però, pagare la rincorsa (dodici punti di svantaggio dalla vetta rimediati in tempi brevi): la speranza, sull’Adriatico, è questa. Ma i segnali non sono affatto incoraggianti. Intanto, il confronto finale tra giocatori e pubblico, in fondo al match di Grottaglie, prolunga il sentimento di fiducia popolare: che poi, in realtà, possiede il sapore di una fiducia a termine. E il Barletta comincia ad avvertire la tensione, la paura. Con cui dovrà abituarsi a convivere: da sùbito.