lunedì 30 giugno 2008

L'ultimo consiglio di Pagni

La sensazione era esatta. E non ci ingannavamo. Mai, del resto, avremmo creduto alla dichirazione di sconfitta pronunciata da Barba. Mai avremmo ceduto alle frasi di rabbia del presidente. E mai avremmo confidato nelle pieghe minacciose di certe parole. Barba non è un personaggio arrendevole, che si piega in fretta. Il progetto del Gallipoli non si è esaurito ed è il suo progetto. Che non può derogare dal suo ideatore. Barba resta dov’è. E proseguirà il cammino. Cercando di migliorare il deludente piazzamento del campionato appena consumato. Se, nel frattempo, sorgeranno aiuti dalla comunità imprenditoriale gallipolina, potrà operare con maggior convinzione. Altrimenti, farà da solo. Dopo i manifesti e le assemblee cittadine, segmenti inutili di un’estate passata a pensare. E a bluffare. La gente, sullo Jonio, si rinfranca, in attesa del tecnico che sta per essere ingaggiato. Proprio mentre si accomiata Danilo Pagni, diesse emigrato a Sorrento. Che ha già idealmente salutato la folla e anche Barba, regalandogli pure un consiglio: quello di ignorare quanti lo circondano, spingendolo spesso a sbagliare. Più o meno lo stesso concetto che dettò coach Bonetti, qualche mese prima. Il presidente, è chiaro, sarà libero di accettarlo oppure no. Se lo farà, tuttavia, non dovrebbe perderci nulla. Perché, se le risorse economiche destinate al club sono sempre e solo sue, potrà permettersi di decidere e deliberare senza l’intervento esterno di alcuno. Pensandoci attentamente, il consiglio di Pagni non è malvagio. E, oltre tutto, è gratuito.

domenica 29 giugno 2008

L'ostacolo della carta d'identità

La carta d'identità può ostacolare. Danilo Rufini e Marco Pisano, ad esempio. Ovvero due delle attrazioni del Fasano del torneo ormai archiviato. Due singoli di un mosaico da rivedere e rilanciare, di un collettivo da ridiscutere e, appunto, ringiovanire: ai quali la gente si era dichiaratamente affezionata. Per la verace predisposizione a sacrificarsi sul campo, per l'abitudine consolidata di difendere la maglia. Con i gomiti, se necessario. Sembravano titolari inamovibili, Rufini e Pisano. Anche nel Fasano che sta per ripartire. E così, invece, non è. Franco D'Amico, ex presidente e attuale diesse, chiude la porta. Anche a chi (Rufini) aveva temporaneamente accettato di accollarsi rischi suplettivi in un momento storico particolarmente sofferto dell'ultimo campionato, rilevando la panchina scomoda sùbito dopo la gestione-Pettinicchio e prima dell'ingaggio di Ortega. Inutile aggiungere che la tifoseria, già infastidita dal protrarsi delle pratiche del passaggio di proprietà del club (i nuovi padroni si intuiscono, ma non si vedono ancora), non ha gradito il gesto. Che rientra nel grappolo delle operazioni strategiche del vertice societario: partorite, immaginiamo, al culmine di un'analisi accurata. E che, però, stona un po'. Soprattutto perchè il Fasano sembrava avvertire l'esigenza di aggrapparsi a qualche punto di riferimento, prima di riaccendere il motore. Purchè, ovviamente, emrga in tempo il nuovo organigramma della torre di controllo: è questo, cioè, il punto nodale. Al di là delle carte d'identità, che spesso possono ingannare. O fuorviare. E al di là delle rimasterizzazione della squadra: che, adesso, attendiamo molto giovane e molto vivace. Il sacrificio di Rufini e Pisano dovrà servire a questo. O no?

sabato 28 giugno 2008

Putignano risorge. Due volte

Putignano è una città (commercialmente vivace e anche gradevole) di ventimila residenti. O poco meno. E ricorda un passato calcistico rispettabile: farcito da qualche campionato vissuto in serie D, quando la C non era frazionata in due segmenti, e da pochi tornei di Interregionale. Da qualche tempo, però, deglutiva amaro: poca Promozione e molta Prima Categoria. Quel che serve, cioè, per galleggiare. In attesa di momenti più felici. Poco sèguito popolare e una struttura obsoleta (lo stadio, malgrado il recente maquillage) non avevano, del resto, invogliato alcun imprenditore a investire e programmare il rilancio del pallone nella terra del Carnevale. All'improvviso, invece, Putignano guadagna in pochi giorni d'estate due squadre nel campionato di Eccellenza regionale. Che è poi una piattaforma credibile (e dispendiosa) per riallacciare un certo discorso. Sì, due. Perchè, in quest'angolo di Puglia, si trasferiscono altrettante realtà divenute altrove un po' scomode: il Noci e il Molfetta. Con tutto il rispetto, tuttavia, a Putignano non si avvertiva la necessità di due club di pari livello in un campionato sufficiente importante come la premier league dei dilettanti. Detto tra noi, alle beghe di campanile crediamo sempre meno. E preferiamo la sostanza. Che, nel calcio, determina i risultati. E non crediamo neppure alla sana competizione cittadina. Il caso, piuttosto, ci sembra chiaro: e questo è uno svilimento di risorse. Niente di più e niente di meno.

venerdì 27 giugno 2008

Taranto, come non detto

Come non detto. Il Taranto resta a Blasi. Per ora, almeno. Al di là delle sue reali intenzioni. Le sensazioni, evidentemente, erano errate. Oppure erano drogate le prospettive di accordo tra le parti e le proiezioni di una tifosria fiduciosa e già sollevata. Oppure, ancora, gli auspici di tutti non si erano compiutamente confrontati con il parametro del prezzo. Comunque, Salvatore Graniglia, sponsor del club e compratore per un giorno, non accetta le condizioni (tra i tre e i quattro milioni per il cento per cento del pacchetto azionario) e si ritira dalla trattativa. Con garbo. E quel che sembrava non diventa. Resta Blasi, dunque: ancora assai imbronciato. Anzi, di più. Anche con lo stesso Graniglia. E ormai sempre più lontano dagli intimi sentimenti della gente. O, se non altro, mediaticamente scollato dalla città. Restano pure i problemi, ci mancherebbe: una squadra da riedificare, un rapporto con l'amministrazione comunale da restaurare, uno stadio da assistere e curare. E, ovviamente, resta il Taranto: senza un padrone tuttora convinto della convenienza di continuare a possederlo. Senza un futuro trasparente. Senza un'identità precisa. Senza un programma tracciato. Ancora senza un allenatore, dopo il saluto di Cari. Senza metà degli effettivi di un organico disfattosi dopo l'amarezza dei playoff. Senza una sede sociale e senza dipendenti, appena liberati. Senza il sostegno morale dei supporters, nuovamente avviliti e confusi. E, da quarantott'ore, senza uno sponsor: Graniglia, dicevamo, si è disimpegnato. Completamente.

giovedì 26 giugno 2008

Monopoli, pericolo scongiurato

Pericolo scongiurato. A Monopoli s'impone il buon senso. Nella speranza che generi il buon governo. E, cosa più importante, il Monopoli continua ad esistere. I Ladisa mantengono la proprietà del club, affittato - diciamo così - alla gestione Mesto. In virtù del sacro concetto di sinergia. Garantisce Giovanni Manzari, diesse indigeno con molta reputazione da spendere nella propria città. Ovviamente, al suo fianco, c'è Geretto, compagno di diverse avventure. Il nuovo coach, adesso, può reinventarsi la squadra. Molti protagonisti dello scorso campionato sono già partiti o partiranno; altri arriveranno. Il travaso societario è meno indolore di quanto si temesse: perchè fondamentale si rivela l'operazione giudiziosa della proprietà. Tessuta al buio, quasi improvvisamente. E anche la mediazione delle istituzioni si dimostra efficace. Qualche volta succede. La stagione nuova è ufficialmente avviata. Ed è confortante sapere che c'è un futuro. Dove, sicuramente, occorrerà penare o digrignare i denti. Al momento opportuno, sarà sufficiente ricordarsi di un'estate bagnata dall'ansia. E, quindi, tollerare. Questa volta è andata bene. Anzi, benissimo. Accade sempre meno spesso.

mercoledì 25 giugno 2008

Blasi, tra cuore e affari

Esistono due alternative di conduzione di un club. Due filosofie di gestione. E due categorie di presidenti. Entrambe degne. Da una parte, uomini passionali sono tifosi più o meno dichiarati: anche se il contingente, anno dopo anno, si riduce numericamente. E drasticamente. Il secondo schieramento è animato da manager consumati: fedeli al concetto di azienda, sempre più strettamente avvinghiato alle cose del pallone. Luigi Blasi si presentò a Taranto agitando molto populismo, tradizionalmente gradito alla tifoseria, e divulgando pensieri calorosi. Affrettandosi, immediatamente dopo, a pubblicizzare il suo modello di calcio, dove marketing e convenienze economiche beneficiano della precedenza assoluta. Un modello a cui, nei fatti, l'imprenditore manduriano si è sempre rapportato, ispirato. Forse, anche per questo, Blasi non ha mai assorbito la fiducia totale della piazza. Al di là dei risultati conseguiti: che nessuno può permettersi di cancellare. Troppe volte, poi, Blasi ha veleggiato mediaticamente (e maliziosamente?) tra gli istinti del capopopolo vittima di un sistema e quelli del manger un po' freddo e distaccato. Inseguendo la convenienza. E questo, probabilmente, ha acuito una certa distanza tra il presidente e i suoi detrattori, cioè una larga fetta della città. Prima degli ultimi playoff, ad esempio, il maggior azionista del club di via Umbria era un sostenitore bollente e appassionato, un caudillo dei sentimenti e della tarantinità. Come un anno prima: ai tempi di altri playoff. E, sùbito dopo, a promozione sfumata, un patron distaccato. Giustamente, ma anche esageratamente preoccupato della vicenda-"Iacovone". E di uno stadio, trasformatosi in pretesto, il cui pieno recupero non può e non deve oltrevarcare i diritti (e i reali bisogni) dei cittadini di una municipalità straziata dalle recenti esperienze politiche. Blasi, cioè, ha nuovamente tradito il personaggio confezionato artificiosamente nei giorni felici. Svelando il suo dna, il suo vero volto. Nessuna eresia, ci mancherebbe. E nessun reato, sia chiaro. Certe scelte ci stanno. Ma, per la gente, si è trattato di un peccato di cui tener conto. Ora, Blasi sta cedendo una delle sue aziende, il Taranto, a Graniglia, tarantino residente a Roma. Preparandosi ad eclissarsi dalla storia calcistica cittadina. Forse, anche brutalmente. Sicuramente, in maniera fredda. Nel rispetto, appunto, del personaggio. Quello vero. Anche per questo, probabilmente, la gente che abita tra i due Mari se ne farà velocemente una ragione. Senza troppo rimpiangerlo, magari. Malgrado il calcio jonico debba necesseriamente riconoscergli qualcosa. In attesa del nuovo (Graniglia, dicevamo) che avanza. Con metodi, sembra, più rilassati. O meno aggressivi. Esattamente quelli utilizzati da Blasi: che avevano cominciato a stancare gli innamorati del pallone e, più in generale, la collettività che pensa. O che possiede una coscienza critica.

martedì 24 giugno 2008

Manfredonia, il momento dei programmi

Il Manfredonia bocciato dal'ultimo campionato di C1 e riaffidato alla storia della quarta serie possedeva un programma. Un progetto. Naufragato, magari. Seppur non totalmente: almeno se proviamo a guardare oltre la mera evidenza del risultato del campo. Un progetto, cioè, definito. E rispettabile. Ma anche il Manfredonia che sta faticosamente ripartendo necessita di un progetto. Che segua il solco di quello già abbozzato (probabile), oppure che delimini la frontiera della discontinuità (molto difficile). Comunque, di un progetto definito che, al momento, non intravediamo. E di cui non si sente argomentare. Un progetto, a questo punto, esiziale. Proprio adesso, in un periodo storico deturpato dallo scoramento e da un flusso di esitazioni comprensibili. Forse, è il momento di cominciare a tracciarlo. Compiutamente, prgamaticamente. E di parlarne.

lunedì 23 giugno 2008

Papadopulo, addio senza rancori

Oltre il traguardo, la separazione. Morbida. Papadopulo e il Lecce si salutano. Senza incrociare le spade. Persino strano, conoscendo il carattere sanguigno del coach. Ma la distanza, evidentemente, si era scoperta un solco troppo profondo, che annienta anche qualsiasi rancore. Distanza programmatica, più che economica. Legata agli uomini (del campo e dello staff tecnico), più che al contratto. Punto e a capo. Intanto, sta per essere assoldato Mario Beretta. Il nuovo stratega arriva da Milano. O, se preferite, da Siena, dove ha operato bene. Anzi, benissimo. Beretta è un uomo garbato che si fida del suo lavoro e del buon senso e che si trascina orgoglioso anni di gavetta silenziosa. Come il suo predecessore, non è ossessionato da uno schema rigido, ma - anzi - ama navigarci dentro e attorno. Modificandolo, all'occorrenza. Perchè il calcio è vario e va affrontato con elasticità. E, come Papadopulo, Beretta dovrà soddisfare un programma ambizioso e anche gravoso. Che non si chiama promozione, ma salvezza. Il nuovo tecnico, peraltro, raccoglie un'eredità pesante come qualsiasi altra. Eppure, l'impronta lasciata dal collega che parte è marcata. Malgrado un rapporto non sempre fluido tra l'ex allenatore e l'ambiente. Che alla fine, però, gli ha dedicato il giusto tributo di stima. La serie A, Papadopulo, dovrà riconquistarla altrove, allora. Anche con la forza della convinzione di averla meritata. Convinzione che ci sentiamo di condividere. Auguri.

domenica 22 giugno 2008

Martina, nessuno si scuote. Neppure la gente

Non lo abbiamo dimenticato: i termini per le iscrizioni al campionato di C2 stanno scadendo. E, ovviamente, a Martina si contano i giorni, le ore e i minuti. Senza che si riesca a progettare una soluzione. O a verificare un ventaglio di alternative. Peggio: nessuno sembra scuotersi. Neppure la tifoseria, emotivamente distante. E fredda, perché demotivata. Sotto traccia, lo vogliamo credere ancora, potrebbe muoversi qualcosa, prima che sia troppo tardi: e questo - solo questo - giustificherebbe la distanza: sinonimo di serena attesa, dunque?. Ma, se così non fosse, il dettaglio diventerebbe grave. Ancora più grave, poi, è quello che si sussurra: i supporters, soprattutto quelli organizzati, avrebbero ricevuto (da chi?) l’assicurazione di un impegno. Cioè: a C2 svanita, esisterebbe chi si accolla il fastidio (e, forse, anche il disonore) di sistemare (e gestire) il Martina nel campionato regionale di Eccellenza. Sempre che la Federcalcio regionale accetti la candidatura (e, onestamente, ci sembra di avvertire una certa resistenza). Meglio che niente, certo. Ma il silenzio è assordante. E i presagi particolarmente cattivi. Diranno: nessun problema, si riparte. Credendo, magari, che l’Eccellenza è solo una formalità. O un’incombenza passeggera. Così non è, invece. La premier league di Puglia, piuttosto, è un campionato vero, e non da oggi. Dove, da sempre, si spendono soldi veri. Tanti soldi. Utili per vincere, ma troppo spesso inutili: ovvero, quando non si vince. Quindi, abbastanza spesso. Diciamolo, in giro: qualcuno potrebbe non saperlo. Né sospettarlo.

sabato 21 giugno 2008

Tempi duri. Anche a Monopoli

Sono tempi duri. Per molti. Anche a Monopoli. La questione societaria, per esempio, non è ancora risolta. I fratelli Ladisa lasciano, o forse no. L’amministrazione comunale potrebbe aver individuato un percorso alternativo che passa da qualche altro imprenditore, o forse no. E, nel frattempo, si dedica alla ristrutturazione del “Veneziani”, la casa di una società che si avvicina al suo terzo torneo di C2, o forse no. Di certo, un possibile compratore (Marseglia) si è dileguato. Magari, i Ladisa potrebbero ripartire. E delegare altri più avanti, a torneo in corso. Favorendo il ricambio fisiologico, che al momento è fisiologicamente acerbo. Ma non ne siamo poi così sicuri. E, allora, attendiamo fiduciosi. E la fiducia sgorga da quella tranquillità che ha inseguito la tempesta: i Ladisa non tuonano più. E questo è il patrimonio più evidente su cui la gente, adesso, può contare. Basterà? Forse no. Ma i tempi sono quelli che sono. E ce lo faremo bastare.

Il Brindisi ci riprova

Dunque: i fratelli Barretta mantengono il Brindisi e, anzi, rilanciano. Allargando la famiglia. Non possedevamo dubbi: il malcontento ampiamente pubblicizzato a maggio dal vertice societario era parte integrante del copione. E poi, magari, bastava ricevere qualche assicurazione istituzionale per riaccendere la fantasia o la passione. E per ripartire. Nel frattempo, Simone Pietroforte ha lasciato la carica di responsabile delle strategie di mercato. E, da pochi giorni, è ufficialmente operativo il suo sostituto, Aldo Sensibile, figura di prestigio ed esperienza. Le trattative imbastite sono già diverse: anche se molto del Brindisi dell'ultima fase del campionato appena sfumato sarà opportunamente preservato. Giusto così: il mosaico va solo perfezionato, non cancellato. E la ristrutturazione globale, probabilmente, non pagherebbe. Sensibile, peraltro, ha argomentato con chiarezza: la C2 non è scontata, ma è l'obiettivo. Senza se e senza ma. E, per questo, sta sondando alcune soluzioni tecniche di qualità, ovviamente gradite a Massimo Silva, coach confermato. Del resto, è (e sarà) necessario puntare sulla qualità. Crediamo, però, che non andrebbe sottovalutato lo spessore caratteriale di chi arriverà. Il dato non è trascurabile, in serie D. Campionato in cui, nel momento più delicato, neanche due mesi fa, al Brindisi sono macati ingredienti irrinunciabili come gli attributi. Meglio ricordarlo: per non sbagliare ancora.

giovedì 19 giugno 2008

Grottaglie, avanti adagio

Ciraci abbandona e, con lui, parte anche il ds Borsci. E il Grottaglie torna interamente a Pino Settanni, il patron che ama delegare la presidenza. La risoluzione del rapporto era ormai scontata, ma (almeno apparentemente: tuttavia, non custodiamo motivi per dubitarne) si consuma senza sollevare polemiche e arrecare traumi. La vita continua: anche se, inevitabilmente, il club sarà obbligato a ridimensionare il ventaglio dei propri desideri. Sempre che non arrivino nuovi stimoli, ovvero nuovi finanziatori pronti ad affiancare chi c’è gia. Nessun problema, però: a Grottaglie si può vivere tranquillamente (e onorevolmente) anche galleggiando in serie D. Che poi è la collocazione più esatta per la realtà cittadina e la dimensione più credibile per la storia della società. Senza offesa alcuna. Sognare costa e, oltre tutto, nel dna del sodalizio è ormai radicata l’esigenza di valorizzare quanto si crea in casa: malgrado la cura del settore giovanile, ultimemente, sia stata allentata un po’. Di più: la passione popolare si racconta in qualche centinaia di presenze domenicali, sui gradoni del “D’Amuri”: quanto basta per non avventurarsi troppo. Grottaglie, piuttosto, è un esempio di come fare calcio a queste latitudini, in questa categoria. Da anni. E non ci dispiacerebbe di riapprezzarlo ancora (e a lungo) per la sua peculiarità più evidente. Privarsi delle ambizioni, certo, può essere triste. Molto più triste, invece, sarebbe il ricordo di un’esperienza felice e svanita sotto la pressione degli appetiti. A Grottaglie, comunque, si ragiona. E ogni pericolo è valutato attentamente. Anche se la saggezza può immalinconire qualcuno.

mercoledì 18 giugno 2008

Foggia, una pagina nuova

L'accordo ufficiale tra il Foggia e Raffaele Novelli, coach rampante che ama lavorare con giocatori motivati dalla gioventù e dalla prospettiva di crescere, è un messaggio trasparente, inequivocabile. In Capitanata, la pagina è definitivamente girata. La spesa, da qui in poi, sarà limitata. Il club opererà sul mercato, ma con oculatezza. E si sgraverà di vecchi contratti e vecchi cognomi. Il Foggia si rinnoverà, puntando su forze da sgrezzare, o quasi. Su gente che vuole arrampicarsi. Rischiando, ovviamente. E, probabilmente, rinunciando un altro anno alla scalata verso la B, che è poi il pensiero unico dell’ambiente tutto. Inseguendo, magari, quel progetto sposato dal Manfredonia, dodici mesi fa. Manfredonia che affidò la conduzione tecnica proprio a Novelli: a cui non bastarono buoni propositi e coraggio per salvare la panchina, a campionato non ancora completamente compromesso. Il Foggia, ovviamente, progetta un epilogo diverso da quello della formazione sipontina: e, per questo, confiderà in una gestione meno sfacciata di quella ipotizzata da Pavone. Cioè: i giovani vanno bene, purchè si incrocino con una dose di esperienza che li faccia lievitare. Comunque, è tutta un’altra storia. Del resto, il recente divorzio da Galderisi implicava un’inversione di strategia. Che non sottintende, però, un temuto depauperamento delle basi economiche del club, come il presidente Capobianco ha voluto opportunamente sottolineare: e questo è un dettaglio gradito. Foggia, però, non è Manfredonia. E, soprattutto, andranno tenuti in debita considerazione gli umori della piazza. Che, in una città di solida tradizione calcistica, contano. E come. Soprattutto, quando i conti si sviluppano anche al botteghino. La società, allora, dovrà lavorare con decisione, convinzione, rigore. Da sùbito, ma sino in fondo. Senza cadere nel fossato dei ripensamenti, che sono più perigliosi di una progettazione innovativa. Ovvero, senza cedere alle pressioni. Che, prima o poi, pulseranno: garantito. E tappandosi le orecchie. Il vecchio Sud è tana di passioni e fuoco sacro. E sul pallone, si sa, non si transige.

Il Fasano attende il suo domani

Dicevano: il Fasano si rinsalderà. La struttura societaria si allargherà. E la cooperazione amplierà la sensazione di sicurezza. Parole e auspici di un mese fa, o poco meno. Promesse e dichiarazioni ufficiali di venti giorni addietro. Il programma di rilancio e potenziamento del club appariva scontato, addirittura già approvato e sottoscritto. E si moltiplicavano i nomi di un comitato di presidenza praticamente definito. Invece, tre settimane dopo, le voci di corridoio non abbracciano alcuna certezza. La definizione del passaggio di proprietà, anzi, è tuttora bloccata. Meglio: aggiornata, rinviata. Una volta dopo l'altra. Lello Di Bari, primo cittadino e presidente uscente, assicura però che, in questi giorni, il Fasano conoscerà i suoi nuovi padroni. Forse due, forse tre, forse quattro. Intanto, le ipotesi cominciano a pretendere chiarezza e concretezza. E cominciano a necessitare i fatti. Il rischio di perdersi si sta materializzando: e la piazza se ne sta accorgendo, inquietandosi. Nel migliore dei casi possibili, si è già persa qualche mezz'ora preziosa. Certo, poco male: ma solo se, in settimana, tutto sarà più limpido. La fiducia popolare, tuttavia, si è deprezzata in fretta e circolano cattivi pensieri. E crederci si fa progressivamente sempre più difficile.

lunedì 16 giugno 2008

La vittoria del Lecce. E di Papadopulo

Parliamone: il Lecce è in A. Cavalcando con agilità, proprio davanti al traguardo. E sorvoliamo su quegli ultimi venti minuti di ieri, nella sfida che vale una stagione. E' in A, ancora una volta. Legittimando il diritto di appartenza del club alla nobiltà del calcio naziomale. E legittimando i meriti di un campionato intero. E' in A, testardamente. Perchè è testardo il Lecce che insegue e sorpassa e poi insegue ancora per dieci mesi sfioriti in un derby amarissimo. Perchè è testardo il Lecce di questi playoff aggressivi e imperiosi. Perchè è testarda la squadra che mai smette di confidare in se stessa. Perchè è è testardo il suo nocchiero esperto, che sa dove e come navigare. Il Lecce è in A. E il verdetto, in coda ai giochi, sembra corretto. Non solo per i numeri (ingombranti) di una regular season poderosa e vanificata solo dall'altrui prestanza. Non solo per il pregio della regolarità, ingrediente raro nel menu della B. E che, difficilmente, abbandona chi la utilizza. Non solo per qualità riconosciuta dell'organico allestito nel tempo e rafforzato a gennaio. Non solo per la mentalità matura di un collettivo che raramente ha fallito. E che, quando lo ha fatto, ne ha pagato ogni conseguenza. Sino in fondo. E non solo per il suo calcio pragmatico e assuefatto alle necessità di un torneo dispendioso e infido come quello di seconda serie. Il Lecce è in A. Premiando i suio stessi sforzi. Ricollegandosi ad un certo discorso bruscamente interrotto due anni addietro. Per ribadire che il suo apparato societario è ancora goloso di notorietà. E che la temporanea (o apparente) sazietà era una semplice necessità organizzativa, un periodo di riflessione finalizzato al rafforzamento delle fondamenta del programma. Il Lecce è in A. Ed è la vittoria di tutti. Anche del calcio pugliese, sin qui evidentemente ammaccato dagli accadimenti di una stagione sdrucciola. Di tutto il calcio pugliese, che può felicitarsi di questo alloro, l'unico che possa amaltire le tossine da retrocessione (di Andria, Martina e Manfredonia) e le inquietudini da sogni infranti (a vario livello: di Foggia, Taranto eBarletta, ad esempio). Sì, il Lecce è in A. Ed è pure la vittoria (o la vendetta) di Giuseppe Papadopulo. Spesso (o molto spesso) censurato da tifoseria e opinione pubblica per un calcio non sempre brillante e, a volte, sparagnino. E per qualche concetto bagnato di verità, anche scomode. Cioè, di buon senso. E' la vittoria (o la vendetta) di un tecnico anche criticato su basi opinabili, eppure solide. Ma troppe volte pretestuosamente.

domenica 15 giugno 2008

Il Barletta riparte. Rapidamente

Il Barletta riparte. Rapidamente, anche: malgrado le delusioni sappiano, quasi sempre, arrugginire la volontà. E riparte da Chiricallo: il tecnico barese conserva la panchina, nonostante l'infelicità diffusa per una stagione distrutta da un paio di mesi orribili. Provando a riaccarezzare quel progetto di scalata verso la C. E la società, si dice, dovrebbe sollecitamente prestagli ampio soccorso, appaltando i lavori di miglioria da effettuare su un organico sufficientemente quadrato, ma scopertosi caratterialemente più fragile di quanto sospettato. Le operazioni, dunque, sono cominciate: insospettabilmente, forse. Segno evidente che l'impasse psicologico abbattutosi sulla piazza (e, ovviamente, anche sul club) dopo il campionato e gli stessi playoff è stato evidentemente gestito con serenità e razionalità. I tempi del processo di rimotivazione, allora, sembrano essere stati abbattuti: e immaginiamo che non sia stato affatto semplice tuffarsi tra le onde della ripianificazione.

sabato 14 giugno 2008

Notizie antiche sul futuro del Taranto

I tempi sono necessariamente maturi. Per parlare chiaro. Ovvero, per non nascondersi. Cioè, per non camuffare le intenzioni. Dopo il silenzio stizzito, Blasi comunica che il Taranto è in vendita. Che il suo ciclo può anche ritenersi concluso. Certo, la notizia è antica: nel senso che il Taranto, già in inverno, era a disposizione di un eventuale compratore. Quel messaggio, in realtà, assomigliava ad una provocazione. Meglio, ad una minaccia. Il presidente, di fatto, restò dov'era. Così come è vero che nessunò avanzò proposte o il desiderio di rilevare il club. Blasi, dunque, riattualizza la provocazione. Che, forse, oggi vale qualcosa di più. Istigata, è ovvio, dagli esiti maligni della finale dei playoff, quella di domenica passata. Nuova provocazione o no, però, va dato atto a Blasi di non aver consumato invano giorni che potrebbero servire, più avanti. Il Taranto, quello che verrà, qualunque esso sia, non può attendere. E il tempo non va sprecato. Sia che Blasi bluffi ancora. Oppure che non lo faccia.

venerdì 13 giugno 2008

La facilità del Lecce e i momenti inopportuni

Sembra addirittura tutto facile. Vittoria a Pisa, conferma (in casa) nel ritorno, nuovo successo a Bergamo. Il Lecce sprinta felice e scavalca ogni ostacolo del percorso playoff, mirando assai concretamente alla promozione. E, comunque, più di quanto qualsiasi osservatore avrebbe osato pronosticare. Sembra tutto facile: ma, sicuramente, non lo è. Solo che la lucidità mentale e le prove caratterialmente ineccepibili del complesso gestito dall'esperienza e dal realismo di Papadopulo complicano puntualmente i disagi attuali delle concorrenti: arrivate in fondo al viale con un affanno sconosciuto, in precedenza. Il Lecce, invece, no. Il Lecce appare vaccinato alla tensione, muscolarmente ancora affidabile. Gara dopo gara. E non importa chi giochi. Se Diamoutène, rientrato dal Mali, sia disponibile oppure no. E non importa quale atteggiamento strategico adotti il tecnico: a Bergamo, meroledì sera, è riemersa la difesa a quattro. Che non ha modificato la resa. E neppure importa se, agli orobici, siano stati tributati un paio di quarti d'ora di circolazione di palla, che è sinonimo di supremazia territoriale, ma non di miglior perizia balistica. Come è ormai abitudine, il Lecce attende, tampona, frappone i suoi equilibri e confida nelle virtù realizzative dei suoi attaccanti. E, se non bussa Titibocchi, provvede Abbruscato. Papadopulo, poi, possiede sempre i ricambi per accelerare. Mutari rileva Budyanski, accrescendo la vivacità del collettivo. Che, alla fine, soffre quanto è legittimo soffrire. Anzi, pensandoci bene, assai poco. Il coach, semmai, sbuffa di più davanti a microfoni e stilografiche, quando occorre confrontarsi con la stampa. Perchè inopportunamente (e ingenerosamente) sta soffiando il vento di Gianpiero Ventura, che radiomercato vorrebbe trasferire da Pisa al Salento. Papadopulo, piuttosto, vorrebbe proseguire il lavoro in Puglia. Soprattutto adesso, che la serie A è indiscutibilmente vicina. Una domanda, intanto, sorge spontanea: ma è proprio questo il momento di parlare di cambi di panca, prossimi ed eventuali? E, innanzi tutto: a chi conviene?

giovedì 12 giugno 2008

Ma lo stadio non diventi un pretesto

Il Taranto: impossibile trascurarlo, evitarlo. E non amarlo: perché ci offre quotidianamente l’occasione di scrivere, di esistere. Dunque: Blasi, adesso, tace e per lui parla Galigani, il direttore generale del club. Che riporta esattamente quanto, a questo punto, ci attendevamo di ascoltare. Cioè: al di là della delusione della promozione mancata e del contraccolpo psicologico che ne deriva, il futuro della società (e la volontà del suo caudillo) sono indissolubilmente legati alle condizioni precarie (e alla loro evoluzione) dello stadio Iacovone. Traduzione: senza struttura (leggasi: senza accordo sulla gestione dell’impianto, alle condizioni del Taranto), non esiste più il progetto e non è praticabile l’ipotesi di riorganizzarsi e ripartire. Forse, le parole non sono proprio quelle. Ma il senso sì, ci sembra. D’accordo, il problema-Iacovone è esistito e, sicuramente, resiste. Anche se il sindaco della città bimare, Stefano, ha confermato che i lavori di ammodernamento proseguiranno nei tempi previsti. D’accordo, uno stadio sicuro e affidabile significa serenità interiore, marketing e diritti pubblicitari da sfruttare. E, ovviamente, un’affluenza sugli spalti più copiosa: anche se la media, playoff esclusi, parla di quattromila unità a partita, più o meno. D’accordo, Blasi è un imprenditore e l’azienda calcio necessita di certezze. E non può rinunciare a un punto di riferimento essenziale come la casa: ciò che lo stadio è per una società sportiva. Ma gradiremmo, per onestà intellettuale, che lo stadio non diventi lo strumento fittizio di un’eventuale soluzione di continuità dell’èra-Blasi. Cioè di una decisione che il presidente ha il diritto di prendere, se lo ritiene opportuno. Senza, però, cavalcare le cause. O pilotarle. Blasi può lasciare il Taranto, ne ha facoltà. E nessuno può impedirglielo. Ma solo ringraziarlo per quanto assicurato sin qui e per quanto ottenuto sul campo (una salvezza in C2, una promozione in C1, una semifinale playoff l’anno scorso e una finale dodici mersi dopo). Blasi, però, non può confondere i propri desideri e le proprie legittime aspirazioni con i diritti. Non in un momento (come questo) particolarmente delicato per la città. Né utilizzare un pretesto per legittimare le proprie intenzioni.

Sognando la C2

I giorni passano, gravidi di presagi. E tutto appare immobile. Il Martina è sempre lì, distante, senza anima, spento e logoro. Con i suoi rancori e il suo futuro interamente da dodificare. E poi, semmai, da ripianificare e reinventare. Con il suo diritto all’iscrizione al prossimo torneo di C2 (da regolarizzare: ma non è ancora detto, né scritto, che qualcuno sia disposto a definire l’operazione) e con il pericolo dell’estinzione da scongiurare. In tempi brevi, ovviamente: diciamo entro la fine del mese. Anzi, qualche giorno prima. Cassano, il suo regista e il suo sostenitore finanziario, non ha più commentato: ma le parole già usate bastano per preoccuparsi concretamente. Cioè, non c’è domani. Perché, dopo di lui, non c’è nessuno. Nessuno che telefoni ai commercialisti che potrebbero agevolare la burocrazia dell’eventuale passaggio di consegne. Ma l’immobilità esagerata, paradossalmente, lascia transitare nei cuori e nella fede uno spiraglio, una dose di ossigeno, una speranza. Proviamo a sognare: Cassano è un galantuomo che ha consumato con perizia scenica la sua vendetta personale, che è pure una vendetta mediatica. Scuotendo la piazza e riguadagnando con abilità imprenditoriale uno spessore contrattuale assai solido (cioè, di fronte al nulla, anche il poco è molto). Trovando gli argomenti adatti per fissare e dettare, all’occorrenza, le proprie condizioni. Quelle del contenimento delle spese e di un galleggiamento placido nei mari della quarta serie. O quasi. Condizioni che possono essere accettate o rigettate. Ma che l’ambiente, a questo punto, accetterebbe: pur senza gioire. Poi ci svegliamo. E, magari, è tutto come prima. Ma il sogno stoico è quello che ci resta. Ovvero la cronistoria di un incubo riuscito.

mercoledì 11 giugno 2008

Un anno vissuto pericolosamente

Il presidente Blasi, dicevamo, è abbattuto e svuotato. E, a Taranto, comincia a circolare la preoccupazione di ritrovarsi nelle acque limacciose di sempre. Dove il progetto s’inarca e sfugge e l’urgenza di rialzarsi e riavviarsi sfiorisce nei malumori, nelle ripicche, nelle polemiche e nelle incomprensioni. La città e il calcio cittadino, da sempre, subiscono il peso del passato, vivono disperatamente il presente e non coltivano il futuro: abbiamo le prove e allarmarsi è lecito. In realtà, nulla è scritto e il presidente poco o niente ha detto, a B appena sfumata. Qualcosa, però, ha lasciato intendere. E certe sfumatore verbali, in riva a Mar Piccolo, possiedono un valore. Che, ovviamente, andrà verificato: con qualche timore. Nel frattempo, il Taranto arresosi ai playoff comincia a decomporsi: radiomercato informa che Marco Cari lascia la panca dello Iacovone per tentare la promozione ad Arezzo. Siglando l’interruzione di un rapporto, quello con il club di via Umbria, oggettivamente solido: dettaglio non trascurabile, considerati certi disguidi di comunicazione non troppo lontani nel tempo che avevano strattonato con forza il legame tra diverse aree tecniche e il vertice societario. Il coach di Ciampino, ad Ancona, detta le ultime frasi da nocchiero di una squadra afflitta, ma orgogliosa del suo cammino: riabbracciando ostinatamente la storia triste del match interno con la Massese (quei tre punti persi bruciano ancora, ma non abbiamo la controprova del loro effettivo riflesso sul verdetto finale) e argomentando di un campionato vissuto pericolosamente sull’orlo degli sfratti, delle porte chiuse, delle limitazioni al flusso tifoso, delle incomprensioni e dei problemi diffusi. Ingredienti inoppugnabili, di cui va dato onestamente atto. Che – e forse Cari non lo sospetta neppure – gli verranno probabilmente utili in seguito, ma altrove. Dove il trainer di Ciampino potrà esibire una corazza efficace (quella dell’esperienza sullo Jonio) e combattere pericoli e nemici con l’energia di anticorpi potentissimi. Un anno a Taranto - se Cari non lo ha capito (ma noi crediamo di sì) se ne accorgerà, prima o poi – vale quanto quattro o cinque campionati recitati ad altre latitudini. E, da questo spicchio di Puglia, l’uomo e l'allenatore potranno ritenersi convinti di aver imparato abbastanza. Questo glielo garantiamo.

lunedì 9 giugno 2008

La C1, adesso, scotta

Nè la cabala, nè il campo. Niente spinge il Taranto verso la B, miraggio nebuloso da quindici anni. L'idiosincrasia da playoff (tre partecipazioni, tutte vane) regge ancora. Quesa volta, la gente che ama la squadra dei due Mari torna sfiduciata da Ancona, dove non c'è Pastore (primo presagio oscuro) e dove Mastronunzio morde a match appena aperto (episodio comprensibilmente vincolante). E dove, tuttavia, l'orgoglio del collettivo pulsa. Nel doppio confrono, peraltro, non mancano neppure la quantità e il sacrificio. Difetta, piuttosto, il gol: l'unico ingrediente indispensabile per scardinare il vantaggio originario dei marchigiani, blindati dal secondo posto ottenuto in regular season e dalla comprensibile (e, ieri, forse anche indisponente) prudenza. Difetta il gol, prerogativa che, da un po', sembrava accompagnare fedelmente il Taranto e che aveva assistito la scalata alla classifica (tra gennaio e maggio) e anche le semifinali per la promozione. Anzi, il gol (di Plasmati) arriva a gara praticamente già chiusa e a discorso oggettivamente archiviato, inutile e beffardo. Inutile e beffardo perchè, appena più tardi, Guarna (guardiano attento della porta dell'Ancona) nega il pareggio che darebbe accesso ai supplementari e ad un'altra razione di speranza. Il Taranto, però, fa quello che può, arrivando sino in fondo. E di questo sarà consapevole. Il tecnico Cari è amareggiato e infastidito, ma sereno. Ed è serena la sua truppa. E' accigliato, invece, Blasi, presidente dalla parola abitualmente fluviale che fugge dai microfoni. E' accigliato ed ermetico. O troppo deluso: tanto da insinuare certi dubbi nel domani. Magari, passerà. Ma la rabbia schiuma e la C1, adesso, scotta.

domenica 8 giugno 2008

Una favola senza morale. E senza risposte

Il contatto virtuale (e, forse, neppure quello: un sms non aperto o non ricevuto non può esserlo) tra Lorenzo Sanz e Vincenzo Matarrese è solo l’ultima favola estiva. Buona a concentrare le attenzioni sul Bari, questo sì. Buona a rivitalizzare le chiacchiere della gente. Buona a colorare gli umori della folla. Buona a vivacizzare le colonne di un giornale. E buona a far sapere che il Bari è ancora un club appetibile: da chi ce l’ha e da chi non ce l’ha. Al di là delle intenzioni di rilevare o apparire soltanto. Al di là delle intenzioni di abbandonare o riprogettare. La trattativa tra l’ex presidente del Real Madrid e l’attuale padrone della società di via Torrebella muore prima di cominciare. Travolta, se non dai sopsetti, dalle diffidenze. E da certe ruggini ancora recenti, che sporcano il pedigrée di mediatori e portavoci. Ostacolata da troppi difetti di comunicazione: insoliti, in questi tempi sacrificati alla sete di comunicazione. Liquefatta tra dichiarazioni più o meno felpate, frasi mozzate (e, comunue, mai dirette), appuntamenti sfuggenti e mai consumati. Di fatto, Sanz e Matarrese non si vedono e non si sentono. Giocano le intenzioni, vere o presunte. Si agitano i malumori. Ma il confronto non c’è. Abbattuto da un iter burocratico un po’ irrituale e persino suggestivo. Come in certe favole calcistiche. Dove, in fondo, non c’è una morale, ma solo la notizia. Il Bari, cioè, resta nelle mani di chi c’era. Continuando a gardare avanti. Per esempio, ad una programmazione nuovamente aggressiva: appena abbozzata, ma già convincente. Con la notizia, però, fatichiamo a trovare la risposta (o le risposte) che cercavamo alla vigilia di un incontro solo lontanamente sfiorato: Sanz avrà voluto davvero comprare? E Matarrese davvero vendere? Scavando, però, la risposta potrebbe persino emergere. Ognuno, anzi, potrà costruirsi la sua. Noi, che non siamo così presuntuosi, invece non la azzardiamo. Abbiamo capito troppo poco. O abbastanza.

Galderisi e il Foggia, un saluto senza rancore

Quattro mesi di corsa e rincorsa, rampanti e sguscianti. E poi un saluto franco, senza rancore. Galderisi saluta Foggia e il Foggia saluta il nocchiero di una rinascita sfiorata. Le strade si dividono. Il tecnico culla le ambizioni che Pescara gli ha assicurato, assieme ad un contratto – immaginiamo – discretamente generoso. E il club deve smaltire gli eccessi di due stagioni impervie, le ultime, ma ugualmente dispendiose. Nessuna possibilità di incontrarsi ancora: il divario si è improvvisamente ampliato. Innanzi tutto, tra la domanda e l’offerta: dell’ingaggio e della proposta programmatica. Il Foggia, si dice, vuole ringiovanirsi. E risparmiare qualcosa. La controindicazione probabile è, vista così, l’impoverimento del potenziale tecnico attuale e, dunque, delle prospettive. Elementi che, emotivamente, cominciano ad allarmare l’ambiente. L’anno che verrà potrebbe non essere un anno da protagonisti: meglio saperlo, per abituarcisi all’idea. Ma, se l’alternativa è davvero la minaccia del collasso, meglio così. Il problema, come sempre, sarà spiegarlo alla gente. Ma occorre provarci. Anche se certi argomenti non si ramificano mai nel terreno della passione, che non riconosce recessioni e prudenza. Il momento storico soffocato del calcio di Puglia, tuttavia, dovrebbe cominciare a insegnare qualcosa. E gli affanni di piazze come Manfredonia, Andria, Martina e Monopoli potrebbero iniettare il dono della pazienza. Anche se non abbiamo decodificato sino in fondo lo stato di salute reale del Foggia. Evidentemente, però, qualche problema esiste. Altrimenti, non si spiegherebbero gli ultimissimi sviluppi della questione-Galderisi. O, almeno, le motivazioni dell’interruzione di un rapporto felice.

venerdì 6 giugno 2008

Risparmioso ed efficace Lecce

La robustezza collettiva. La saldezza di un atteggiamento tattico accorto e persino risparmioso. La perizia interpretativa. La firma puntuale di Tiribocchi, artigliere che sa rispondere all'appello. Quattro fotografie del Lecce versione playoff. A Pisa, in gara uno, il messaggio è chiaro. Ed il successo di mercoledì sera può considerarsi sufficientemente limpido. Anche se non eccessivamente brillante, sotto il profilo dello spettacolo puro. Però, sulla finale per la promozione, ora c'è un'ipoteca ragionevole. Su ci non è lecito cullarsi: i toscani, fuori casa, hanno edificato molte delle proprie fortune stagionali. Ma alle quale è giusto ispirarsi. Traendo sensazioni piacevoli. La formazione di Papadopulo, a regular season conclusa con animo imbronciato, hanno dimostrato di non aver smarrito lo spirito, nè le motivazioni migliori. Mantenendo integre fiducia e tonicità, attenzione e scaltrezza. E chiarendo, una volta di più, che sotto la scorza spessa dell'organico, esiste anche un progetto profondo e duraturo. Domenica, nei novanta minuti del match di ritorno, il Lecce dovrà semplicemente conservare il vantaggio del gol fatturato all'Arena Garibaldi e, se possibile, attingere nuovi elementi di consapevolezza del proprio potenziale. Perchè immaginiamo che si stia configurando lo scontro (finale) con il Brescia: quello più duro, ma anche l'epilogo più ovvio e più pertinente.

giovedì 5 giugno 2008

Trattative per il Bari. Sul filo delle verifiche

Erano solo voci. Adesso, è una notizia. Lorenzo Sanz, già numero uno del club più prestigioso – il Real Madrid -, vuole il Bari. Sì, il Bari. Del quale sembrano accorgersi un po’ tutti, da qualche tempo. Anche l’informazione. Anche la tifoseria. Anche la famiglia Matarrese. Sanz vuole il Bari: e, per farlo, ha attivato un mediatore di fiducia, quello Stancarone al quale si confidarono, appena l’anno scorso, un paio di imprenditori monegaschi, frettolosamente liquefatti dall’evoluzione di una trattativa mai seriamente decollata. Ma, al di là di Stancarone – che, invece, non incontra la fiducia di Matarrese – la candidatura di Sanz appare più autorevole. Proprio ora, in un momento storico più lucido, più invitante. In cui Conte stabilisce le strategie tecniche per il campionato che verrà e il diesse Perinetti si è impegnato a non deluderlo. E in cui Matarrese ha benedetto le ritrovate ambizioni, soprattutto. Comunque, pare che si discuta. O che si cominci a discutere. Attendiamo sviluppi. E un paio di verifiche. La prima: Sanz è davvero convinto di approdare sulle rive sabbiose del calcio italiano? Il precedente tentativo di scalata al pacchetto azionario di una società di casa nostra (il Parma) racconta di troppi anfratti angusti. Di impegni non saldati e di caparre perse. La seconda: la famiglia Matarrese è realmente disposta, dopo trent’anni di patriarcato, ad abbandonare il Bari?

Taranto, fiducia nella precarietà

Nella logica delle previsioni, la rinuncia forzata a Cutolo avrebbe potuto inficiare. Anche e soprattutto sotto il profilo della strategie applicate al campo. E così è stato. E anche la squalifica di Cejas non tranquillizava. Il pari del Taranto in finale playoff (gara uno) si trascina a queste motivazioni ineluttabili, ma si spiega pure con la lucida organizzazione e l’astuta opera di contenimento attivo dell’Ancona, tatticamente esperto e tecnicamente integro. E poi con la prestazione stessa degli uomini di Cari: generosi e decisi in apertura di match e sul finire della gara. Ma ovviamente incapaci di mantenere ritmo e forcing per tutti i novantasette minuti (recupero compreso) di gioco. Il Taranto, diciamo così, ha preparato la sua gara. E l’ha condotta, sino a quando è stato possibile o sostenibile. L’avverasrio, però, c’è stato e si è fatto anche sentire. Nessun l’assedio jonico, però. Oltre tutto, il terminale offensivo (Plasmati) ha spesso sofferto problemi di equilibrio e coordinazione. Alla fine, è chiaro, il Taranto ha sbattuto addosso ad una partita differente da quella ipotizzata. O, più semplicemente, sognata. Ottenendo un risultato che, inutile nascondersi, decurta le ambizioni. Perché, al di là delle larga e colorita fiducia manifestata dal presidente Blasi, dalla squadra e dell’ambiente tutto, la serie B sembra essersi discretamente allontanata. Domenica prossima, tuttavia, nel retour match di Ancona, Pastore e compagni sono esentati dal pensare, calcolare. Applicarsi alla ricerca di un solo risultato (la vittoria) è, cioè, l’unico vero vantaggio che resiste nella precarietà del regolamento e della situazione contingente. Ma servirà un Taranto estremamente coraggioso. E dotato di attributi. La fiducia nelle proprie qualità deve sopportare il collettivo: senza distrarlo. O, peggio, fuorviarlo.

martedì 3 giugno 2008

Ultimi ritagli di calcio triste

Se il Barletta e l’Alghero si giocano il passaggio alle semifinali nazionali dei playoff, l’Angolana è la terza forza che assiste senza poter più partecipare alla festa. Terza forza scomoda: soprattutto per la formazione di Chiricallo. Perché gli abruzzesi decidono di assentarsi o poco più. Di lasciare, cioè, la vittoria (e la qualificazione) ai sardi, opponendo la flebile forza di una formazione giovanissima, ovvero privata delle energie dei titolari. Risoluzione, questa, moralmente censurabile e materialmente vincolante: malgrado siano proprio i pescaresi a passare (paradossalmente) in vantaggio, prima di cedere. E malgrado, in questi casi, siano le motivazioni spiegate sul campo a scrivere il risultato: molto più degli uomini. Traducendo, con l’organico al completo, l’Angolana avrebbe potuto perdere ugualmente. Lasciando brindare lo stesso l’Alghero. Il buon gusto, però, avrebbe evitato polemiche di cui non se ne sentiva assolutamente l’urgenza. Oltre tutto, per un’appendice che potrebbe rivelarsi utile, anche se non ne siamo ancora totalmente certi. E ci avrebbe risparmiato un caso in più di calcio intristito. Il problema vero, intanto, è uno: a simili storie ci stiamo lentamente abituando. E persino il disappunto del Barletta ha sollevato scarso rumore. Non sappiamo se per un’assuefazione (del Barletta stesso) ai disagi di percorso o se per un’assuefazione (di tutti noi) ad un pallone malaticcio e scalfito nei costumi.

lunedì 2 giugno 2008

Bari, è già domani

Antonio Conte pretende sino in fondo spessore e sentimenti e il Bari si adegua. Il due a due di Verona, casa del Chievo, è prezioso unicamente sotto il profilo dell’immagine, che la squadra tutta ha tenacemente rivalutato nell’ultimissima parte della stagione. Rincorre e aggancia, il Bari. La prima volta e anche la seconda. Preparando idealmente il cammino all’anno che verrà. In cui, senza timore di dichiararlo, il club e lo stesso tecnico ripongono infinite aspirazioni. Anche per questo, sin da adesso, si parla compiutamente di mercato. E, per questo, il coach comincia a dettare le sue condizioni: «Stiamo già lavorando per allestire una squadra che si nutra di gente di sostanza, prima ancora che di nomi e cognomi. I rinforzi che verranno dovranno possedere caratteristiche precise, propredeutiche al modulo di gioco che voglio attuare. Se vogliamo essere protagonisti, non si prescinde da questi passaggi». Parole chiare, in linea con il personaggio. Parole chiare: che, da tempo, non si ascoltavano sull’Adriatico. A Bari è già domani. Al di là delle volontà di Santoruvo, della partenza scontata di Lanzafame, dell’acquisizione definitiva di Marchese e di qualsiasi altra operazione di rafforzamento. Intanto, però, il Bari cambierà abbastanza, se non molto. Conte ha già consegnato a Perinetti, il diesse, la lista degli acquisti e non nasconde di aver disegnato un elenco degli effettivi ricco di novità. Il domani non può soffrire l’influenza del passato. Anche questo è un segnale. Anche questo è un dato oggettivo. Anche questo è uno spunto di riflessione. Da cui strappare qualche promessa.

Lecce, grazie lo stesso

Fine dei giochi duri della regular-season. Il Bologna regola il Pisa e resta secondo. Il Lecce incrocia e sconfigge il Vicenza, ma continua a navigare appena più sotto, aggrappandosi a quel terzo gradino che è posizione privilegiata in proiezione playoff. Non attendevamo sconvolgimenti particolari, dall’ultima tappa di B. E, intimamente, non ci speravano neppure Papadopulo e la sua gente. L’ultimo assalto alla promozione diretta affonda nell’amarezza, che forse è un’amarezza in parte già metabolizzata. Ma che, sul fondo, resiste tenace: con il tratto somatico del Bari e il ghigno del recente ed infelice derby. Di fatto, decisivo. E, allora, ecco gli spareggi d’estate. Quelli che nessuno può guidare o prevedere, ma solo affronatre, rispettare e temere. E, nei limiti del possibile, gestire. Gli spareggi a cui il Lecce arriva con la consapevolezza di essere, ma anche di poter pretendere da se stesso. In virtù di una mentalità tignosa e di un organico ricco e importante. Spareggi, peraltro, da cui diffidare: perché l’appendice è un torneo differente. Al di là delle frasi di circostanza. Un torneo attraverso il quale la squadra dovrà passare senza il minimo sospetto di aver deluso i desideri della tifoseria e della città. Che possono (anzi, devono) tributare a tecnico e giocatori esclusivamente sorrisi e gratititudine. Per quel che è stato costruito, per come è stato edificato. Per quello che il Lecce ha sin qui rappresentato: un intreccio di orgoglio e convinzione. Al di là delle imperfezioni di percorso: che ci stanno, in più di nove mesi di calcio. Il Lecce, sì, va solo ringraziato. Sarà un concetto banale: ma è quello più logico da spendere. E quello più vero.

domenica 1 giugno 2008

Il clima caldo dei due Mari

Taranto – Ancona è solo la manche di andata della finale playoff di C1. Che, tuttavia, sembra addirittura più delicata di Ancona – taranto, il ritorno. Proprio allo Iacovone, oggi, davanti alla sua gente, la squadra di Cari incontrerà il dovere di imprimere alla doppia sfida un’impronta vincolante e di approfittare delle proprie qualità d’assalto, che poi costituiscono la polizza migliore in prospettiva immediata. Crediamo sempre che il Taranto sia più temibile quando libera l’estro, quando deve inventarsi la partita, miscelando forza e istinto. Esatto, perché – più che ragione – il collettivo che mira dichiaratamente alla B è istinto: peculiarità pesante nel momento del bisogno, quando occorre addizionare quel qualcosa in più che solitamente, a giugno, è persino complicato incrociare. E siamo pure convinti che il Taranto si sia mentalmente preparato a un certo tipo di gara: ovvero, quella più congeniale alle proprie caratteristiche. Magari, però, un clima vagamente più rilassato avrebbe potuto assistere più compiutamente le iddee e, dunque, la causa. Le dichiarazioni rilasciate in settimana da Colombini, uno che alla squadra sin qui, ha offerto molto («La società non mi ha proposto il rinnovo contrattuale; dopo i playoff saluto e vado via»: questo il senso, parola più, parola meno) e, soprattutto, la nuova, forzata, inutile, stucchevole polemica spuntata tra il club di via Umbria e l’amministrazione comunale bimare (che, ricordiamolo ancora, deve fronteggiare situazioni più delicate e urgenti della questione-stadio, con tutto il rispetto per il calcio, il Taranto, la sua dirigenza e la sua tifoseria) disturbano un po’. O, se non danneggiano, infastidiscono. La situazione, però, è ormai antica: la Taranto Sport, dimostratasi nel tempo un soggetto vincente, deve guadagnarsi ancora – sul campo – i pregi della diplomazia e, innanzi tutto, della simpatia. Monete spendibilissime, prima o poi: più di quanto si possa essere portati a credere.