sabato 28 febbraio 2009

Beretta, sorvegliato speciale

I venti di contestazione soffiano sul Lecce e su Beretta, il suo nocchiero. Persino normale, dopo il terzo rovescio di fila. E in tempi di classifica magra. In settimana, la gente che tifa ha mugugnato. E apostrofato. Non solo il tecnico, per la verità: ma anche la squadra e il diesse Angelozzi. Al quale è stato dedicato persino un manifesto murale. Persino logico, di fronte alle argomentazioni di una squadra dimessa e, per certi versi, imbarazzante. Di una squadra lunga, senza ardore, stretta nel suo calcio senza incursioni laterali, spesso in ritardo sul pallone da disputare. E con un equivoco tattico da risolvere: perché il Lecce, da un po’, prova a giostrare con un uomo tra le linee, in bilico tra mediana e reparto avanzato. Un uomo che ha i tratti somatici di Giacomazzi. Oppure di Vives: come le circostanze consigliano. Un uomo che, di fatto, non esiste. Perché Beretta non dispone di un facitore di gioco, di una pedina con quelle caratteristiche. E perché neppure Caserta, in passato, ha potuto assolvere il compito con ampia soddisfazione. Il presidente Semeraro, che solitamente non entra nei detagli tattici, è però planato sulla questione. Con garbo. Invitando il tecnico a rispolverare l’antico quattroquattrodue, che pure qualche riscontro aveva saputo fornire, agli albori del campionato. Intanto, il Lecce si rituffa sul campo: e domani viaggia verso Udine. Con l’insostenibile necessità di non fallire nuovamente: al di là del modulo adottato (l'allenatore, peraltro, sembra orientato a varare il trecinquedue). Perché non solo di moduli si vive. Beretta, in Friuli, sarà tuttavia il sorvegliato principale. Anche se il patron ha già verbalmente blindato la panchina. Ma il calcio, si sa, è traditore. E delle parole che evaporano è sempre meglio non fidarsi. Innanzi tutto se, controvento, si ramificano le contestazioni popolari. Che contano, comunque: soprattutto se la gente, dallo stadio di via del Mare, ormai fugge veloce.

venerdì 27 febbraio 2009

Andria, si cambia

Roberto Chiancone, vecchia conoscenza del calcio di Puglia, si siede sulla panca dell'Andria. L'esonero di Di Leo sorprende solo chi vole essere sorpreso: ufficializzando uno stato di crisi, all'interno del club, captato già prima dell'ultimo impegno di campionato (vinto, peraltro, di fronte alla Vibonese) e comprovando la validità di certe insinuazioni raccolte negli ultimissimi tempi. Attimonelli, presidente ambizioso, non ha neppure atteso una sconfitta: è bastata una prestazione zoppa, al di là del risultato conseguito. Che si accoda ad altre prove complessivamente insufficienti, sotto il profilo del calcio prodotto e della gestione dei novanta minuti. E, forse, parallela ad alcune frizioni sorte all'interno del gruppo (Sgarra è già in punizione). Intanto, il defenestramento di Di Leo, nome largamente gradito alla piazza, chiude un ciclo. E rispolvera quella tesi già sottolineata su queste colonne: un organico come quello dell'Andria può e deve puntare a qualcosa di importante. Traguardo per il quale la società ha investito nuovamente, a gennaio. Dunque, adesso tocca a Chiancone, personaggio abituato agli ambienti caldi e a dire ciò che pensa. E, soprattutto, che agisce in funzione di quanto dice. E che, per questo, non è stato molto amato, in passato. Ma che possiede buon senso, saggezza e un solido bagaglio culturale. Qualità con le quali dovrà gestire una piazza mai troppo quieta. Chiancone, anzi, sembra proprio il trainer più indicato, in situazioni come questa. Anche se dovesse incontrare qualche resistenza. Anche se non potrà permettersi di perdere tempo , in attesa di capire. Attimonelli gli ha chiesto di entrare di guadagnare i playoff, senza troppo rischiare. E alla fine, come sempre, conterà soltanto il raggiungimento dell'obiettivo.

giovedì 26 febbraio 2009

Cose da derby

Cose da derby. Il Francavilla moltiplica gli sforzi e scrive un mercoledì speciale. Eroico, addirittura. Per la passione e per la foga che sa miscelare. Per grinta e sacrificio. Ma il posticipo di campionato è un derby che sgualcisce le belle parole spese per il Brindisi, appena tre giorni prima. Che sottolinea il secondo infortunio stagionale della gente di Silva. E che, infine, riaccorcia la distanze dalla Nocerina (nove punti). La partita è di Galeandro e compagni: sin dall'inizio: il Francavilla crede nel pressing e lo pratica con intensità. Correndo il doppio. E assumendo un atteggiamento aggressivo che non lascia ragionare l'avversario, leggermente rimodellato (dentro, sin dal primo minuto, Kettlun e Pinamonte; in panchina Chiesa, Júnior Bahia e Lenti; centrocampo a quattro in fase di non possesso). Il vantaggio (siglato da Nasca) è consequenziale: anche perchè il Brindisi continua a cercare le due torri (Galetti e Pinamonte) con lanci lunghi, che scavalcano sistematicamente la mediana. Soluzione, questa, inevitabilmente gradita alla formazione di Francioso. Evidentemente, tra gli ospiti pesa anche il largo dispendio energetico della gara precedente. Il Francavilla, però, non si fida mai e non abbassa i ritmi: si mantiene denso e cede un po' di metri solo quando è inevitabile, cioè nell'ultimo quarto d'ora. Governando con intelligenza e, ovviamente, con prudenza (Anglani diventa il quinto difensore, a metà ripresa). E resistendo all'assalto finale. Cose da derby. Che, probabilmente, non riaprono il campionato. Ma che rivalutano un certo trend casalingo della formazione che vince. E che convince davvero: forse per la prima volta, in questa stagione, davanti al pubblico amico.

mercoledì 25 febbraio 2009

Ventisette motivi per emigrare

Enrico Tatò è un presidente che comincia a coltivare appetiti. Adesso vuole recuperare la salvezza una settimana prima del tempo. Prima, cioè, che finisca la regoular season. E coach Sciannimanico glielo ha promesso. Persino agevole, di questi tempi. In cui le gambe e i muscoli del Noicattaro rispondono. In cui certi dettami e certi movimenti, sul campo, sembrano definitivamente assimilati. Malgrado, talvolta, l'ingranaggio si inceppi: come a Vibo Valentia, due domeniche fa. Per poi lubrificarsi nuovamente: come nell'ultima partita, vinta di fronte all'Isola Liri. Davanti, però, a soli ventisette paganti. Pochissimi per ipotizzare un futuro: soprattutto a Noicattaro. Quelli necessari per accelerare la realizzazione di un disegno già abbozzato dal prossimo patron, Canonico: a ridosso del quale il club potrebbe spostarsi altrove: a Bari. Senza neppure doversi giustificare.

martedì 24 febbraio 2009

Il Foggia è ancora acerbo

Vorrebbe e potrebbe allungare. E, invece, s’impantana, si svilisce. Il Foggia, molto spesso, è quello che non vorrebbe e non dovrebbe apparire: incostante, confuso e anche un po’ deconcentrato. Forse per quel tasso discretamente alto di gioventù che c’è dentro di sé e chissà per cos’altro ancora. Però, accade ciclicamente: appena la formazione di Novelli naviga bene e prova ad affondare i desideri nella classifica, il risveglio è sempre ruvido. Domenica, poi, il calendario gli aveva accostato la Pistoiese, cioè la formazione più claudicante e più rabbuiata dell’intero girone meridionale di terza serie. Allo Zaccheria, oltre tutto. Inutile: il Foggia si inchina, lascia passare ed evita la caduta rovinosa con un penalty generoso (peraltro controbilanciato da un altro episodio in chiusura di match: e, in quel caso, la concessione della massima punzione sarebbe stata più convincente). Giocando senza nerbo, senza ritmo, senza attributi. E perdendo la quinta poltrona del torneo. A questo punto, sembra anacronistico attendere il Foggia: meglio, piuttosto, osservarlo e godere di quello che arriva, quando arriva. E sarà meglio compiere un passo indietro, tutti: e non confidare troppo nel domani. Meglio evitare, cioè, di schiacciare la squadra sotto lo strato incombente della pressione. Magari, potrà beneficiarne. E ne beneficerà anche la tifoseria: che non merita di illudersi prima del tempo. Il Foggia è ancora acerbo: è opportuno prenderne atto. E potrà maturare: ma viaggiando a fari spenti.

lunedì 23 febbraio 2009

Non ci sono paragoni. E il Brindisi vede la C

Il confronto incrociato non ammette il paragone. C’è il Brindisi: motivato, solido, sicuro di sé. E c’è la Nocerina: timida e compressa nella sua metà campo. Lo scontro dell’anno è meno diretto di quel che si potesse prevedere. Eppure, fa soffrire: la squadra che, alla fine, lo vince e la sua tifoseria felice. Ma il Brindisi, inseguendo il risultato, non si scompone mai: e cerca il gol con fiducia, per ottanta minuti. Con fiducia e orgoglio. Orgoglio da capolista consapevole: delle sue possibilità e del sua condizione di formazione più carrozzata del torneo. Brindisi-Nocerina è la partita. Ma la partita è del Brindisi, da sùbito. Per la quantità di calcio espresso. Per una manovra più ampia. Per la copertura sistemahtica del campo. Per le virtù dinamiche utilizzate. La squadra di Silva tiene palla e detta il ritmo: dal primo minuto e sino in fondo. Spendendo energie che si rinnovano. La Nocerina è attesa: attesa di tempi migliori. Che non si affacciano. Neppure quando la strategia campana prova a stringere gli spazi e a ridurre le insidie. Neppure quando il Brindisi, per un momento, deve decelerare per esigenze fisiologiche. Le occasioni a disposizione di Galetti e soci fioriscono sempre, continuamente. Perché interagiscono il cuore, le verticalizzazioni, le accelerazioni, la personalità. Cioè: il Brindisi è superiore. Trasparentemente superiore. Eppure, un problema esiste: giocare tanto e non finalizzare può stressare. E può causare pericoli. Il forcing adriatico, però, non conosce soluzione di continuità: e non è un caso che la Nocerina decida di presidiare il pareggio con cinque uomini nel pacchetto arretrato e con sette pedine al di qua della linea del pallone. E proprio il forcing insistito, in dirittura d’arrivo, premia la conclusione aerea di Galetti. Ovvero la didascalia più giusta per novanta minuti densi e vissuti. E l’episodio che sigilla il match e, presuminilmente, anche il campionato. Perché il vantaggio, in classifica, cresce sensibilmente (più dodici punti). E la terra della C2, all’orizzonte, si fa nitida, reale.

domenica 22 febbraio 2009

Quando il punto è guadagnato

Certe volte, un pareggio a casa propria diventa un punto guadagnato. Al netto della paura. Soprattutto se è un pareggio affaticato. Affaticato come il punto che il Bari strappa all’Ascoli con una secondo tempo più redditizio, riscattando i primi quarantacinque minuti di disagi e amnesie. Svantaggio doppio e poi la rincorsa: qualcuno parlerà di attributi, di carattere. E sia. Ma la prestazione, se non delusione cocente, provoca amarezza. Il Bari che esce dall’ultimo turno di campionato, però, è una squadra un po’ spaventata dalle sue stesse incertezze, che piovono proprio quando la gente chiedeva certezze. Niente di irreparabile, tuttavia: anche se il Livorno ribalta la situazione nel derby di Grosseto e si stacca. Nessun problema: perché il Bari è sempre lì e perché la serie B si modella continuamente, come tradizione. Chiaro, comunque, che Conte dovrà interrogarsi: perché sottovalutare non è mai consigliabile. Interrogarsi, al di là dei dati oggettivi, cioè delle defezioni importanti. Come quella (non la sola) di Barreto. Senza il quale Gillet e compagni non vincono. Forse per pura coincidenza. O forse no. Senza il quale, tuttavia, il Bari continua a segnare (due gol sono un dato cncreto). E, dunque, a concorrere, a sperare. E a confidare: nell’ambiente, prima di tutto. Sperando che il feeling ritrovato con i supporters non si infranga alle prime vere difficoltà. E che il pessimismo non si ramifichi dove non deve arrivare.

sabato 21 febbraio 2009

Brindisi-Nocerina, domani è il giorno

Brindisi-Nocerina, meno uno. Viene sempre il giorno in cui i destini si incrociano. E quello dove possono persino definirsi. E quel giorno può essere domani: in anticipo sui tempi. Prima contro seconda, per un solo posto in C: anche se, è vero, le ultime puntate del campionato hanno devitalizzato lo spessore della sfida e, magari, anche dell’attesa. Attesa che, tuttavia, mantiene ugualmente quozienti altissimi, sull’Adriatico. Nove punti di distacco, però, pesano. E tolgono qualcosa al match. Meglio per la truppa di Silva, che deve solo gestire in tranquillità quel che resta del cammino. Senza lasciarsi investire dall’ansia e da certe supposizioni che continuano a viaggiare sottotraccia. E che con il calcio – quello vero – possono spartire pochi argomenti. Brindisi-Nocerina, domani. Probabilmente, sapremo qualcosa in più: soprattutto se il Brindisi saprà interpretare l’impegno con intelligenza e sicurezza. Senza avvertire la scomodità delle tensioni. E riuscendo, infine, a gestire psicologicamente quel vantaggio che si ritrova tra le mani: il vantaggio di poter considerare con soddisfazione anche il pareggio. Un vantaggio che, forse, è il nemico peggiore in cui imbattersi, ora.

venerdì 20 febbraio 2009

Andria, duemilanove senza sorrisi

Il divagare incerto dell'Andria nell'anno duemilanove può persino non stupire (vecchia storia, inutile ripetersi: il campionato di quarta serio è questo, equilibrato e livellato), ma allarma un po' la gente. Se è vero - come è vero - che il club si è espressamente dichiarato ancora vicino al suo tecnico. Del quale, evidentemente, si comincia - più o meno sommessamente - a ragionare. Com'è logico che sia, quando i risultati arrancano a trovare una strada. L'ultima prestazione della formazione di Di Leo, ad Avezzano, è un po' arrugginita: sconfitta (legittima) a parte, Mastrolilli e soci attendono e incassano, snza replicare. E, quando se ne ricordano, è ormai troppo tardi. Bruciandosi un po' di considerazione. Il coach, intanto, si difende e nega le velleità di promozione (in seconda battuta, a questo punto: il Cosenza è oggettivamente irraggiungibile per chiunque) della squadra. Squadra che - riveduta e corretta - adesso è però tra quelle più attrezzate del girone. Senza se e senza ma. Tanto da giustificare gli appetiti della tifoseria e - immaginiamo - anche quelli della società. Il vantaggio sulla sesta forza del campionato (il Monopoli) è ancora discreto, anche se non rassicurante: tre punti. Pochi per cullarsi, abbastanza per non affogare il buon senso nel disfattismo più cupo. E per non lasciarsi intrappolare nella ragnatela della furia cieca (a queste latitudini è già successo e, dunque, può accadere ancora). Ovvio: quest'Andria, oggi, non offre troppe garanzie. E occorrerà pure cercare di scoprire cosa si nasconde dietro l'inpasse. perchè di inpasse si tratta. Di fronte al quale non basterà deviare il discorso, pubblicizzando l'assenza di ambizioni. Purtroppo, non ci crederà nessuno. Soprattutto adesso.

giovedì 19 febbraio 2009

L'ultima tappa di D'Arrigo

Il Manfredonia si cerca, senza sosta. E, puntualmente, fallisce l’appuntamento. Accade anche nel derby del Miramare, quello di domenica passata: quando si piega al Barletta, senza molte attenuanti. Perché non è un’attenuante neppure l’inferiorità numerica sofferta per più di novanta minuti, recupero compreso. Anzi, l’espulsione di Romano, quando non si sono ancora consumati i primi sessanta secondi di gioco, è un’aggravante. E l’episodio di una rete invalidata (a Macrì, tra le polemiche) non cancella quella sensazione di impaccio che sembra avvolgere e strangolare da troppi mesi la squadra. La squadra che era di D’Arrigo (esautorato ad inizio di settimana: e il provvedimento, onestamente, non sorprende) e che, da ora in poi, sarà gestita da Lorenzo Mancano. Uno di famiglia che conosce l’ambiente e anche le energie umane a disposizione. Ultimamente rinvigorite da una campagna invernale di rafforzamento niente male. E che, pure, non è affatto riuscita a incrementare le quotazioni di un collettivo troppo spesso spento, remissivo. D’Arrigo, probabilmente, paga per la situazione nella sua globalità: ma evidentemente, soprattutto per quegli sforzi economici garantiti dal club a metà gennaio. E che un mese di calcio hanno praticamente azzerato. Avvicinando la prosepettiva di un Manfredonia già rassegnato prima del tempo.

mercoledì 18 febbraio 2009

Bari, le quotazioni tengono

Il Bari che aggredisce e pensa positivo piace di più. E, a Livorno, crescendo progressivamente, guadagna il vantaggio. Provando a fuggire, proprio nella trasferta più temuta. Il Bari che deve governare il risultato, magari, convince un po’ meno. E i toscani recuperano il match clou, capitalizzando un movimento inopportuno, una disattenzione difensiva. Il punto dell’Ardenza, tuttavia, è un punto pesante. Prima di tutto perché rafforza certi concetti già spesi. E poi perché alimenta ulteriormente le convinzioni del gruppo. Non tutto è limpido, sul campo, ma molto è chiaro: e la formazione affidata alle cure di Antonio Conte ribadisce che il timore non è un difetto che entra nella lista dei propri limiti. Non è ancora tutto scritto, ma il campionato lascia intuire qualcosa, partita dopo partita: e il Bari si impadronisce di ulteriori quotazioni di mercato. Ritagliandosi una nuova pagina importante e appuntandosi altri spunti di discussione. Uno tra tutti: l’efficace inserimento nell’ingranaggio di Guberti, aggregato recentemente dopo l’esperienza ascolana. E oggetto di un’operazione che tradisce e sconfessa un luogo comune sin troppo pubblicizzato: quello della supposta inutilità di fondo della sessione suplettiva della campagna di rafforzamento. Saper scegliere (e poter scegliere, quando possibile) è sempre fondamentale. E il riscontro è assicurato.

martedì 17 febbraio 2009

Di Matera, carburante per alimentare il Fasano

Si chiama Vito Antonio Di Matera: non è un under, ma è comunque un prodotto giovane. Non è una punta pura, ma sta imparando a graffiare. Ha ventidue anni ed è già passato da Bitonto: e, da qualche settimana, si sta caricando un po' di responsabilità, preoccupandosi di procurare il carburante necessario per alimentare il Fasano. Entra nel tabellino con regolarità: e sta diventando sempre più spesso decisivo. Prende iniziativa, difende il pallone, si propone, accelera, si fa trovare al posto giusto e nel momento più indicato. Anche contro il Matera, domenica (altri due gol significano tre punti di serenità). Il buon momento ritrovato dalla squadra coincide con la sua lievitazione progressiva. Perchè, adesso, il ragazzo è più continuo, più incisivo, più convinto di se stesso. La sua lievitazione, peraltro, coincide con la partenza recente di Formuso, diciottenne emigrato a campionato in corso. Ovvero: via uno, è pronto un altro. L'idea, del resto, è semplice: si chiama valorizzazione. E non si ottiene per caso: ma scommettendo e rischiando. Schierando, anche e soprattutto, la gioventù rampante nelle zone del campo più delicate. E abbattendo il muro delle convenienze spicciole. Uscendo, cioè, da un equivoco di fondo a cui ancora molti addetti ai lavori sono affezionati: scondo il quale i meno esperti devono circumnavigare attorno alla squadra, limitando i danni che possono arrecare.

lunedì 16 febbraio 2009

Bentornato, Gallipoli

E’ piccato, Giannini. Piccato e anche infatidito. Eppure, il suo Gallipoli ha appena spento il Perugia, sull’erba di casa. E l’ha spento con la corsa, le intuizioni, la superiorità territoriale, con le sue individualità schiaffeggiate da una sconfitta e da un pareggio susseguitisi nei quindici giorni precedenti. Quindici giorni persino difficili. Con un calcio evidentemente irrorato di maggior qualità. E con l’orgoglio pungolato da uno svantaggio antipatico e pericoloso. Il Gallipoli ha appena stracciato il Perugia di Sarri e il coach jonico detta il suo fastidio. Certe parole, in mezzo alla settimana, devono aver pesato. E certi commenti possono aver corroso. Peggio: certi paragoni hanno rischiato di avvelenare. Perché di Juve Stabia e di Bonetti, il trainer della stagione appena trascorsa, si è parlato tanto. Forse troppo: prima, durante e dopo l’ultimo capitolo di campionato. «Questo Gallipoli non è la squadra dell’anno scorso. Pretendo e pretendiamo rispetto»: frasi chiare e dure. Che sottintendono rabbia. Che traboccano di grinta. Come quella utilizzata, immediatamente prima, sul campo. Dove il Gallipoli ha voluto ricordare agli ottimisti e agli scettici il suo peso, il suo spessore, le proprie prospettive. Sottolinenado l’attendibilità delle proprie ambizioni. Rabbia e grinta: bentornato, Gallipoli.

domenica 15 febbraio 2009

Il Grottaglie guarda alla sostanza

Guardiamo alla sostanza: i tre punti ci sono. E la resistenza piegata è quella di una concorrente diretta. Poi: il primo posto utile per evitare i playout è decisamente vicino (appena una lunghezza sopra c'è il Bitonto). E, infine, l'Angri è completamente risucchiato nella lotta magna. Il Grottaglie, di tutto questo, può rallegrarsi. Malgrado l'impatto non eccessivamente robusto con il match. Dove i cilentani, peraltro, riescono a ricavare gli spazi per ripartire. E malgrado difettino l'intensità e la continuità necessaria. Oltre tutto, la gestione della palla è talvolta incerta. Il vantaggio dell'Ars et Labor, peraltro, è un vero infortunio dell'avversario: cioè un episodio che sorride. Però, è giusto guardare alla sostanza. E, perchè no, alla capacità di mantenere viva (questa volta sino in fondo) la concentrazione. Qualità con la quale è meno rischioso attendere l'avversario e cercare (come accade a ripresa in corso) il sigillo del raddoppio che acquieta gli animi e lenisce le apprensioni. Il Grottaglie, dunque, ricomincia a combattere sul serio: dopo un periodo un po' così. In cui i limiti antichi riemergevano, coprendo la determinazione. Anche questo va annotato. Nonostante sia cambiato poco: perchè il corpo della squadra è ancora nelle sabbie mobili della classifica. Dove necessiterà sbuffare e sgomitare ancora. E sino alla fine: meglio ricordarselo.

sabato 14 febbraio 2009

La battaglia è impari. Anzi, è persa

Una settimana di calcio dal vivo può bastare. Almeno per ora. E Taranto perde di nuovo il suo stadio, nuovamente requisito dalle norme antiviolenza e dal decreto Pisanu. O - come è convinta la frangia più estrema (ma non solo quella, forse) del tifo - dalle distonie organizzative di un club che fa ancora tanta fatica a crescere. Oppure a riacquisire il passo. Inutile, a questo punto, entrare nella discussione e cercare i depositari della ragione e i padroni dei torti. Anche se sembrano emergere due verità contrapposte: in cui sgomitano l’inadeguatezza dell’apparato societario e l’eccessivo ardore interpretativo dei regolamenti. Che, peraltro, vanno rispettati. E che, però, andrebbero soddisfatti ovunque, ogni domenica. Intanto, la pazienza popolare si affievolisce. E la gente (non solo a Taranto, ma soprattutto a Taranto) si allontana sempre più dal pallone, idealmente e materialmente. Forse anche perché si è accorta che, ormai, la battaglia è impari. Anzi: chi ha voluto destabilizzare il calcio (nel Paese intero e pure sui due Mari) ha già vinto la partita. Da un po’. E chissà se riesce a gustarsi il risultato. L’uomo della strada, tutto questo, lo ha capito. Le istituzioni, probabilmente, ancora no.

venerdì 13 febbraio 2009

Folklore di provincia

Il calcio, qualche volta, sa mantenersi genuino. Un po’ rustico. E non è detto che sia un male, dopo tutto. Ovvio, bisogna scendere nelle viscere del dilettantismo, quello vero: dove, però, ci si può regalare qualche minuto di buon umore. E dove l’arbitro governa da solo, senza l’assistenza tecnica e morale dei collaboratori di linea. Campionato di Terza Categoria: a Lucugnano, frazione di Tricase, arriva la Real Corsanese. Piove, all’improvviso, proprio nel cuore del match. E uno dei due guardalinee di parte (è un dirigente della società, designato appositamente) apre l’ombrello. Comportamento vietato dal rregolamento. E non perdonato dal direttore di gara. Anzi, sanzionato con il cartellino rosso. Procedura, questa, già espletata, in altre occasioni: ma, sicuramente, per motivi diversi. Ferdinando Caputo, il guardalinee colpevole, si è anche verbalmente difeso, arroccandosi sul principio del buon senso. E sul ricordo di analoghi precedenti. Un po’ avrà anche avvertito imbarazzo. E, magari, avrà anche sorriso, ripensandoci: a casa o in piazza, davanti al bar. Intanto, ha colorato di folklore una domenica come tante, sulla terra battuta di un angolo di Puglia. E poi, sul fondo, restano solo un’espulsione e una squalifica a tempo. Caputo, forse non lo sa. O non lo ricorda. Ma andò assai peggio a Grant, tecnico israeliano del Chelsea, non troppo tempo fa: sbeffeggiato su tutti i tabloid del Regno, con l’ombrello in mano, davanti alla panchina, a partita in corso. Sbeffeggiato e sconfitto. E, quindi, esonerato. Allontanato da un altro calcio, dove il folklore si paga davvero. Dove non c’è un bar o una piazza per sorridere.

giovedì 12 febbraio 2009

I playoff e la parola ritrovata

Non è facile, questa C1. E non facile mantenere il passo altrui. Talvolta, però, ci si può affrancare ad un pareggio umile (e affaticato) e recuperare la quinta piazza, l’ultima utile in prospettiva playoff. Un punto (in casa, con il Foligno) basta per raggiungere la Cavese, soppressa al novantesimo dal Crotone nel posticipo del lunedì. Ma il Foggia un po’ svagato di questi tempi non può rallegrarsene troppo. Se non altro, perché la squadra di Novelli, in fase filtro e di non possesso, permette più di abbastanza. Comunque, più di quanto sia lecito concedere a fronte di qualche assenza (Pecchia e Salgado, ad esempio) che, indubbiamente, infastidisce. Non è, cioè, sufficente la prestazione confortante di Mancino, trequartista che possiede i piedi, ma non la continuità. Né la soddisfazione personale di Germinale, un giovanotto che sta crescendo e che, intanto, spazza l’incubo della sconfitta, trovando il varco nel mezzo di un’azione caotica. Oppure il debutto incoraggiante di Malonga, appena prelevato dal Torino. Eppure, il Foggia è nuovamente nell’area playoff. Un dettaglio che il tecnico, peraltro, non sopravvaluta («Occorre lavorare ancora, c’è da soffrire»). Guardando oltre: «Bisognerebbe scendere in campo fregandosene di tutto e di tutti». Magari, anche dell’opinione pubblica e della stampa. A cui, un mese e mezzo dopo, Novelli ha riconcesso (tatticamente?) la propria voce. E il sorriso. Del resto, se l’obiettivo si riavvicina, sarà pure ragionevole riavvicinarsi alla critica. Operazione, questa, che – magari - male non farà. Tanto, nel peggiore dei casi, il trainer utilizzerà l’antidoto più utile: fregarsene.

mercoledì 11 febbraio 2009

Qualcosa da vincere e molto da perdere

Fermarsi e ripartire è sempre un po’ scomodo. Soprattutto se qualcosa, ad un certo punto, sembra non funzionare: come a Foligno. Soprattutto se la piazza si accende facilmente. Soprattutto se un ambiente – come quello di Gallipoli - è abituato a vincere e se, altrettanto facilmente, si deprime. O, meglio, si innervosisce. L’ultimo match, quello con la Juve Stabia, era particolarmente atteso. Per ovvi motivi (di classifica, innanzi tutto) e anche per altro. Dario Bonetti, coach campano, tornava sullo Jonio dopo un’esperienza agrodolce sulla panca gallipolina e molti strascichi polemici. Che, puntualmente, la gente che tifa gli ha fatto pagare. Con fischi, qualche insulto e anche molti sberleffi (manifesti di scherno e volantini compresi). Poi, la partita: dove la squadra di Giannini avanza, persino con sicurezza, preme, coglie il vantaggio e comanda il gioco. In attesa della fine, che arriva soltanto a rimorchio del pareggio stabiese: che stona un po’. Ma che è, probabilmente, anche conseguenza diretta di un certo stato di agitazione generale, confermato da qualche episodio spiacevole accaduto in tribuna. Spiacevole, al di là delle responsabilità di ciascun protagonista (l’ex Monticciolo è uno di questi). Uno stato di agitazione che lo stadio avrebbe voluto imporre a Bonetti e al suo sèguito. E che, sospettiamo, si è ritorto contro. Càpita, quando c’è qualcosa da vincere e molto da perdere.

martedì 10 febbraio 2009

La caduta di un luogo comune

Il Taranto brasilianizzato (l’amazzone Lima ottiene velocemente il transfer e s’insedia nello scacchiere; il paulistano Da Silva sigilla la vittoria sul Marcianise, complice una deviazione influente) prova a inaugurare un altro campionato. E, magari, comincia pure ad illudersi. Il successo, ovvio, porta sorrisi e i sorrisi aiutano a crescere. Attorno, poi, stagna un’altra atmosfera. E un altro spirito, chissà. Ma tre punti, tutti in una volta, non significano molto. E non solo perché arrivano in coda ad un match ormai inchiodato sul pareggio. O perché la prestazione è tuttora lacunosa: in fase di costruzione, innanzi tutto. Dove gli uomini di Stringara faticano a trovare un passo sicuro e una direzione univoca. Certo, però, che la squadra, sul campo, addiziona un po’ più di carattere e di fame. Che, almeno, conducono ad un successo utile a curare il delicato profilo psicologico dei suoi protagonisti. Ed è propedeutica, perchè no, anche la riapertura al pubblico dello Iacovone. Che, peraltro, non si affolla affatto. Duemilacinquecento paganti: anzi, qualcuno in meno. Il dato è deludente, onestamente: malgrado i prezzi dei tagliandi d’ingresso siano stati (opportunamente) abbassati. E nasconde almeno una verità, da scegliere tra diverse ipotesi. Tra le quali ne estrapoliamo tre. La prima: la gente che vuole bene al Taranto è (ancora) troppo sfiduciata e irritata. Per un complesso di situazioni che coinvolgono il presente e il futuro della società, l’attuale cifra tecnica dell’organico, il difficile momento storico che soffoca il tessuto sociale cittadino e la storia strana che ha investito negli ultimi tempi lo stadio comunale. La seconda: la tifoseria non crede compiutamente nel progetto che Blasi ha riannodato al proprio portafoglio. La terza: non è poi così vero che la città sia indissolubilmente legata alla sua maggiore espressione calcistica, come troppo spesso si ascolta (con anacronistico compiacimento) nei salotti televisivi e nei bar. Ma che viva il calcio in maniera umorale e critica, però non necessariamente attiva. Almeno, quando i risultati rimangono lontani dal campo di gioco. Cioè, abbastanza spesso, a queste latitudini.

lunedì 9 febbraio 2009

Lecce, nessun rimpianto

Nessun rimpianto. E anche nessun margine per dolersi. L’Inter adopera la propria superiorità e il Lecce, nell’anticipo del sabato, è costretto a comprimersi. Tre a zero e pagina girata. La storia del match è breve. Dura quel che serve a Ibrahimovic per forzare il risultato. Ed è blanda la malinconia che avviluppa la formazione di Beretta. Il rovescio, del resto, è nell’ordine delle cose e non fa neppure troppa notizia. Anche se il passivo oneroso fa riflettere e amareggia il tecnico, obbligato a guardare avanti, verso nuove opportunità. Il campionato non finisce certo qui. E, peraltro, non si complica neppure tanto. Meno del previsto, almeno. Perché, proprio nella giornata che sembrava più ostica per il Lecce, sorgono all’improvviso segnali incoraggianti. Dagli altri campi, ventiquattr’ore dopo, si viene a sapere che il Bologna perde, mentre e pareggiano tra di loro le concorrenti più dirette, ovvero Torino e Chievo: paradossalmente, dall’ultimo turno di campionato Caserta e soci non escono poi eccessivamente ridimensionati. Ma, semmai, vagamente rinfrancati. E con una dote di tre punti sopre il limite della paura. Dote insufficiente, per circondarsi di tranquillità: ma sufficiente per continuare a lavorare con lucidità.

domenica 8 febbraio 2009

Il ruolo del Bari

Il Bari di Conte rispetta il ruolo che si è ritagliato: e, a Brescia, affronta la gara con intensità (lo richiede il campo, appesantito dalle frequenti piogge, e lo spessore dell’avversario, peraltro notevolmente rafforzato nella sessione invernale di mercato) e pure con buona dose di coraggio. Il trainer non rinuncia a disputarsi il risultato e presenta uno scacchiere aggressivo, in fase di possesso. Fioccano persino un paio di occasioni da sottolineare che bilanciano gli sforzi della formazione di Sonetti e che nobilitano una prestazione ovviamente tirata e persino rude (in mezzo al campo, talvolta, occorere randellare). Gli scompensi, magari, nascondo quando la mediana (Gazzi più Donda) si ritrova ad arginare la manovra lombarda che attraversa il suo periodo migliore. Quando, cioè, la fatica si accumula e un modulo indubbiamente propositivo non tutela completamente le operazioni di presidio. E, allora, dietro qualcosa si rischia. Ma il Bari che si propone e che si spende per graffiare il Brescia piace ugualmente. Perché, probabilmente, la squadra sembra aver assimilato i concetti fondamentali che sorreggono la sua condizione di candidata ormai autorevole ad un posto tra i primi sei del torneo. Perché pare aver decodificato le esigenze del percorso che il suo nuovo ruolo gli ha riservato. E, anche se la vetta è perduta (comanda il Livorno, adesso), dal punto di vista della mentalità, questo Bari conforta e convince.

sabato 7 febbraio 2009

Dal grande salto alla disillusione

Il grande salto e la disillusione. La distanza tra le due sponde può essere breve. E l’emozione può bruciarsi in pochi giorni. Almany Doumbia giocava (non continuativamente: anzi, talvolta appariva soltanto) in C2, ad Andria. Progressione, muscoli, qualche intuizione: Perinetti, diesse del Bari, lo fa seguire. E, ad inizio del mercato di gennaio, lo porta in B, a casa Conte. Dove esordisce immediatamente, obbligando pure il Treviso alla seconda autorete della giornata. Poi, il ragazzo si adatta alle esigenze comuni: rimanendo ai margini della festa. Quindi, a mercato esaurito, nel momento di stilare la lista degli over da consegnare in Lega, il trainer compie le scelte e sacrifica l'ivoriano: problemi di numero. E, magari, anche di tesseramento: perché Volpato, già ceduto al Piacenza, deve rientrare per un vizio di forma nella pratica di cessione. L’avventura di Doumbia, praticamente, finisce qui. Con pochi minuti di calcio in seconda serie, qualche rimpianto e, magari, qualche imbarazzo. Da dividere in due. Proprio quando sembrava tutto più chiaro, più bello, più invitante. Proprio nel momento dell’illusione. O, più semplicemente, della speranza. Della speranza di chi, sull’erba, corre e suda: partendo dal basso della piramide. Dove ogni centimetro guadagnato è un centimetro sofferto. E dove, appena passa l’occasione, occorre sfruttarla. Per non correre il rischio di doversene pentire. O per non subire l’ombra di uno scrupolo. L’occasione che fugge e che, forse, non si duplica. L’occasione, che poi è un viaggio misterioso. Un viaggio che può accompagnare ovunque, oppure no. E che può interrompersi, all’improvviso. E il viaggio di ritorno, tante volte, è amaro.

venerdì 6 febbraio 2009

Noicattaro, tra presente e futuro

Sciannimanico potrà compiacersi. La sessione invernale del mercato, per il Noicattaro, è stata quel che dovrebbe essere per definizione: di rafforzamento. Perché Zotti e, infine, De Pascalis sono pedine di qualità (alta) che, in quarta serie, possono dettare gli esiti del match e, dunque, scrivere il risultato. Molto spesso. Il cammino per la salvezza (già, di per sé, semplificato dagli ultimi risultati, oggettivamente confortanti, anche per l’espressione squisitamente calcistica che li ha accompagnati) non è affatto un cammino di pietra. E, anzi, una squadra come questa (così assemblata sin dall’inizio del campionato, cioè) sembrerebbe destinata ad altre batteglie. Più nobili. Le risorse del nuovo sponsor (Canonico, padrone anche del Liberty di Bari, formazione dell’aristocrazia del campionato regionale di Eccellenza) qualcosa pesano, evidentemente. Anche se il futuro più remoto del Noicattaro va ancora letto e, soprattutto, interpretato. Perché l’ipotesi di uno scambio di titoli sportivi con la stessa Liberty appare sempre più forte di quella di una fusione: non capiremmo, altrimenti, i nuovi sforzi del club barese (che lotta strenuamente con il Casarano per un posto in serie D) per rafforzare l’organico in attesa del rush finale. E soprattutto perché un posto in D risarcirebbe più facilmente l’orgoglio ferito del pubblico nojano. Ritenuto numericamente, si dice, poco stimolante per giustificare la pianificazione di altre stagioni nel circo porofessionistico. Un problema, questo, che affliggerebbe però anche il Liberty (anzi, di più): difficilmente, la C2 all’Arena della Vittoria trasporterebbe la folla. Soprattutto con la concorrenza di un Bari tornato importante. Detto per inciso: oltre tutto, agli entusiasmi di riflesso crediamo poco. Il calcio era e resta uno spettacolo particolare: ognuno bada per sé e lo spazio è esiguo. Anche a Bari.

giovedì 5 febbraio 2009

Uno stadio in più, un alibi in meno

Strano, ma vero. Lo Iacovone è di nuovo uno stadio. Uno stadio come gli altri. Dove il calcio è aperto alla gente. Dove si tifa, si impreca e si esulta. E’ davvero ufficiale: lo Iacovone riapre. Dopo mesi di incomprensioni, duelli, acrobazie verbali, innovazioni tecnologiche, misteri, paure, complicazioni burocratiche, proteste, fiscalismi assortiti, contestazioni e inadempienze. Dopo mezzo campionato di buio e silenzi. Dopo aver persino fagocitato personaggi creduti indistruttibili. Riapre e, subito, c’è il Marcianise, rivale di turno di un Taranto ammaccato in cerca di reazioni. Che cerca di dimenticare quello che è stato e quello che non è stato. E che proverà a non voltarsi più indietro. Almeno questa volta. E, magari, ad ignorare la storia dello stadio negato, che poi è un po’ di storia recente del club e della città. Che poi è solo una porzione delle contraddizioni del calcio jonico e della quotidianità in riva ai due Mari. Lo stadio negato dietro al quale, talvolta, il Taranto e i suoi protagonisti si sono volentieri nascosti, cercando di allontanare responsabilità tecniche e gestionali. Domenica lo Iacovone ritrova la passione popolare. Per la squadra e per la società lo stadio ritrovato è un alleato in più nella corsa alla salvezza. Ma anche un alibi in meno.

mercoledì 4 febbraio 2009

Gallipoli, anche il passato conta

Il Gallipoli s’infortuna a Foligno. Perché di infortunio vero si deve argomentare. La caduta, nel recupero, è fastidiosa e pure antipatica: questa volta, funziona poco. Al di là del terreno (pesante) e degli indisponibili. E del penalty calciato (male) da Di Gennaro, a risultato ancora rimediabile. Funziona poco: perché Antonioli e compagni si applicano con svagatezza, difettando nella lettura della gara, reagendo lentamente e non troppo convincentemente. Problemi che, talvolta, possono cooperare e convergere, abbattendosi su una squadra generalmente brillante, ancorchè generosa. A cui nessuno, prima o poi (neanche il Gallipoli capolista), può sottrarsi. Problemi dai quali è giusto, però, attingere insegnamenti pregiati. Soprattutto se la leadership, nonostante tutto, è ancora preservata: c’è sempre un punto in più, da gestire. Ma l’infortunio di Foligno, comunque, provoca pruriti, deturpa la serenità e scuote il presidente Barba. Che, a fine gara, non nasconde delusione e rancore. Usando, come tradizione, parole dure: spese, magari, per rimotivare il gruppo o per stimolarne l’orgoglio, ma forse anche eccessive. Per non dire pericolose. I campionati, da sempre, si vincono con la tecnica, i muscoli e la testa, in campo. Ma anche sugli spalti e dietro le scrivanie: con il buon senso e l’equilibrio. Che, in passato, mancarono nel momento cruciale, assieme ad altre cose. E che, oggi, impongono di sostenere una squadra quasi sempre scrupolosa, a cui va concessa persino una distrazione, qualche volta. Il campionato scorso qualcosa dovrebbe avere insegnato.

martedì 3 febbraio 2009

Da Siena un altro Lecce

Da Siena torna un altro Lecce. Meno disperato e meglio armato. Mentalmente più evoluto. Cioè, più quadrato e furbo. Ma anche più scaltro, dunque più solido. E poi vincere fa sempre bene, a prescindere dall’approccio e dall’interpretazione della gara. Dribblando, oltre tutto, gli inconvenienti di giornata, come l’inferiorità numerica con cui la formazione di Beretta affronta gran parte della gara. Nella seconda trasferta toscana, fortunata esattamente come la prima, brilla però un’altra notizia: il ritorno al gol di due attaccanti (Tiribocchi e Castillo) assieme. Sui quali il Lecce continua (e deve necessariamente continuare) a confidare parecchio. Soprattutto in questo momento di somma incertezza, dove anche chi arrancava (Torino, Reggina, Chievo) impara a cogliere risultati persino insperati. E in cui, sulla strada di Ardito e soci, si para l’Inter che – adesso -stenta spesso e si confonde (a proposito, si anticipa sabato, in Salento). Ecco: il pronostico, per il match che verrà, sembra irrimediabilmente chiuso, ma qualcosa consiglia di non considerare scontato nessun risultato. E proprio l’impresa granata a San Siro, quella di domenica, dovrebbe insegnare qualcosa. Purchè duri il nuovo look: quello di una squadra che sa spendere prudenza e coraggio in egual misura e che sa adattarsi alle situazioni. A certe situazioni: dove contano gli uomini, ancor prima che il modulo.

lunedì 2 febbraio 2009

Fasano, questa volta c'è l'approccio giusto

Vincere, ad un certo punto, diventa irrinunciabile. Per non rischiare di incorrere in antipatiche controindicazioni che possono travolgere il senso del campionato. E il Fasano coglie l’obiettivo prima che cominci seriamente ad intristirsi. Batte il Pomigliano e lo batte con un approccio di match vigoroso e prezioso. Ormai quasi sconosciuto, sull’erba di casa. La squadra di Maiuri, questa volta, sa essere aggressiva e generosa, da sùbito. Più rapida ed effervescente di altre occasioni. Non è un caso che il gol del vantaggio arrivi presto e che, a ridosso, giunga anche il sigillo del raddoppio: episodi che, in realtà, sono anche una gentile concessione di Vigliotti, guardasigilli campano confuso e disattento. Di fatto, però, il Fasano – finalmente – si fa inseguire, invece di rincorrere. Ed è sicuramente un’altra storia. Capitolo diverso, semmai, è la gestione (un po’ apprensiva) dell’ultima parte di gara, malgrado la superiorità numerica. Mentre va rodato l’inserimento di Ianni, artigliere appena contrattualizzato che dovrà surrogare la partenza di Formuso: rispetto al quale possiede meno agilità, pur garantendo una certa presenza fisica. Vincere, dicevamo, era tuttavia il primo comandamento. Operazione che il coach ha sottolineato, al novantesimo, con frasi di conforto: questa volta assolutamente sincere. E non di utilissima circostanza: come accaduto spesso, in passato.

domenica 1 febbraio 2009

Bari, dettagli significanti

Sofferenza premiata. La felicità inseguita dal Bari è una felicità piena. Il Frosinone, al San Nicola, s’ingegna, si adopera, si protegge e rintuzza. Anzi, passa anche per primo. Ma la capolista ragiona e si comporta da capolista: si riorganizza, non si disunisce e rimedia. In pochi minuti. E, quindi, sorpassa. Respingendo, in collaborazione con il Treviso, gli attacchi del Brescia, leader della B per mezz’ora. Non c’è sospetto, però, sul risultato. Il Bari deve inseguire, ma lo score è sostanzialmente corretto. E parla (continua a parlare) di una squadra concentrata, risoluta, efficace. Assistita (finalmente) anche da un certo calore popolare, che si alimenta del sesto successo consecutivo. E, innanzi tutto, di un ingranaggio dove tutto sembra funzionare, assiduamente. E, dicono, persino baciato dai favori delle contingenze. Un requisito che non assiste tutti: ma solo chi, generalmente, alla fine festeggia. Dettaglio da tenere in considerazione: non per adagiarsi, ma per applicarsi sempre meglio e di più. Crederci, a queste condizioni, diventa sempre più facile.