giovedì 30 aprile 2009

Fasano, questa è la dimensione

La salvezza è custodita, da tempo. Custodita e inattaccabile. Ma certi languori devono spegnersi davanti alla realtà. Il Fasano avrebbe anche pensato alla griglia dei playoff, per un momento. Pensato, senza toccare. Ma scivolare in casa e, poco più tardi, accontentarsi di un pareggio inutile sul terreno del già retrocesso Venafro non edifica la causa e non appaga l’appetito popolare. Anzi, solleva nella gente la stizza dell’occasione perduta. E decurta dal bagaglio della formazione di Maiuri qualche aggettivo benevolo speso nel cammino. Nessuno, però, ci ha riflettuto e ci riflette. non è che, a questo Fasano, l’orgoglio comune dell’appartenenza abbia chiesto qualcosa di più? Sicuri che la squadra non abbia saputo produrre più di quanto potesse? Non è che, magari, il potenziale della squadra dovesse assicurarsi il traguardo di partenza e nient’altro? L’ambiente, piuttosto, si conforti. Con quel che ha avuto, con quel che ha. Il calcio non è il campo dei miracoli. E neppure la palestra dei desideri irrealizzabili.

mercoledì 29 aprile 2009

Gallipoli, quasi ci siamo

Proprio quello che occorreva: un Gallipoli maschio, convinto, intraprendente. Un Gallipoli consapevole: della propria forrza e del proprio ruolo. La trasferta che può influenzare la stagione è la trasferta che sembra consacrare la gente di Giannini. Al momento giusto, si arrampica la squadra più doatata. E lo scontro diretto, in casa altrui, diventa un balcone sul primo posto del podio. Passa in svantaggio, il Gallipoli. Ma non si schiaccia, non si comprime, non si spaventa. Non si immalinconisce. E’ difficile, in certi casi. Eppure, gli jonici rimediano e ribaltano il risultato. Con personalità. E con un buon calcio. Quello fatto di intuizioni, scambi, mentalità. Non piange per la sconfitta che si sta concretizzando. E, più tardi, non si limita a gestire il pareggio, che pure è un responso assai gradito. No: il Gallipoli crede nel suo bagaglio tecnico e anche nella filosofia del suo football. Si esprime per vincere e, alla fine, vince, sopravanmzando l’avversario anche sotto il profilo squisitamente atletico. Non si risparmia, cioè. E, adesso, governa il campionato senza essere caduto nel pericolo di dover furbescamente amministrare. Più o meno quello che dodrà continuare a fare nelle prossime tre domeniche. O nelle prossime due, nel più lieto dei casi. Il Gallipoli deve aggredire, sempre. Perché l’atteggiamento fiero è nel suo dna. Ed è quello il miglior passaporto per la B. Quasi ci siamo.

martedì 28 aprile 2009

Brindisi, infine la festa

Infine, la festa. Annunciata e un po’ trascinata. Ma è la festa.del Brindisi che riapproda in C: E’ il verdetto più scontato, eppure il più credibile. Costato sacrifici (economici, soprattutto) e qualche anno di attesa. E’ il risultato più logico. E, però, anche il più giusto. Per meriti acquisiti sul campo, sin dall’avvio della stagione. E per demeriti altrui (la Nocerina scompare troppo presto, travolta da se stessa e da una certa apprensione, che si traduce in intransigenza). S’impone il Brindisi: perché svetta immediatamente, mantenendo saldezza mentale. Perché impone il suo calcio, per almeno tre quarti di campionato. Perché vince gli scontri diretti, che prima afflosciano e poi demotivano l’avversario più agguerrito. Perché la qualità dei suoi singoli dura nel tempo. Perché la bontà e la quantità di qualità del suo organico scrivono la differenza. Perché il passo è veloce e continuo, almeno sino al derby di Francavilla: quando, ormai, la promozione è un dato praticamente acquisito. La vittoria sul Matera di domenica serve solo per le statistiche. Non avevamo più dubbi. Il campionato non ne aveva più. E non ne ha neppure la concorrenza, che pure aveva sperato in qualcosa di meglio e in qualcosa di più (una penalizzazione, magari). Il Brindisi è in C. Legittimamente. Ma già proiettato nel futuro. Già attirato da altri traguardi: che la piazza chiede e che la società sembra disposta a garantire. Accadde lo stesso recentemente: e sappiamo come è finita. Malissimo: con la cancellazione del titolo e la ripartenza dall’Eccellenza. Sicuramente, sotto il vestito – questa volta – c’è molto più della semplice apparenza. Sarebbe sensato, però, pensare ad una lievitazione del calcio brindisino. Ad una lievitazione sostanziale, reale. Definitiva. E ci piacerebbe pensare ad una programmazione oculata. Ambiziosa, ma oculata. Perché quel che è stato è ancora troppo doloroso. E non si può ripartire dal nulla ogni volta che qualcosa non quadra. Brindisi è una piazza un po’ particolare. Dove i problemi non mancano mai. Sarebbe bello, allora, rifugiarsi in una cultura nuova: E accontentarsi, se sarà il caso: perché vincere sempre costa tanto. E sopravvivere è sempre meglio che eclissarsi. Senza voler togliere niente all’euforia del momento: che i Barretta stanno alimentando. E che, adesso, sono chiamati a sostenere. Da soli, però, non si naviga lontano. E la famiglia, che di navigazione vive, lo sa bene.

lunedì 27 aprile 2009

Grottaglie, ora l'incognita playout

Non c’è la brillantezza, né la continuità emotiva. Ma ci sono la quantità, il podismo e la drammaticità del momento che spinge. Quanto basta al Grottaglie per limitare la Turris, segnare e sperare ancora in prospettiva salvezza immediata. I torresi, di contro, provano anche a giocarsi il risultato, ma senza supplementi di grinta, aprendosi alle insidie e facilitando le operazioni del gruppo gestito da Dino Orlando. Traducendo, dunque, il Grottaglie fa quel che deve, senza esagerare. Tutto qui? No: perché, a primo tempo morente, la Turris pareggia. E, ad inizio di ripresa, ribalta lo score. Crolla, allora, il castello delle ultime illusioni. Anche perché il Grottaglie resta quello che era, una squadra affamata, ma niente affatto lucida. Anzi, Di Leo è trafitto per la terza volta e la squadra perde anche il possesso del campo. Punto. La regular season, praticamente, finisce qui. E non resta che concentrarsi sui playout che, inevitabilmente, caleranno, con tutte le incognite del caso. Incognite, anzi, raddoppiate: un Grottaglie così, del resto, non offre garanzie. Nemmeno nella lotteria di fine anno. E non è questione di disfattismo. La realtà, oggi, è questa.

domenica 26 aprile 2009

Il traguardo attende il Bari

E’ vero, l’aritmetica non conforta ancora. Ma non riusciamo a capire come il Bari possa perdere la serie A in prima battuta, ovvero al termine della stagione regolare. Tredici punti sul Livorno e sul Brescia, a cinque partite dalla chiusura del torneo, sono un’assicurazione solidissima. E poi è la rabbia quasi vandalica di questa squadra (quattro a uno sul campo dell’Albinoleffe, dopo i tre gol imposti all’Ancona, il martedì precedente) che infonde sicurezza. Il Bari, digerito l’episodio scabroso del San Nicola con il Parma, non frena affatto. Anzi, si abbatte sull’avversario, su qualunque avversario, stritolandolo. Divorandolo. E il suo caudillo, in campo, si chiama Barreto, definitivamente esploso nella manche di ritorno: venti reti, molte delle quali decisive. E anche esteticamente appaganti: particolare che non guasta. Tutt’altro. Inutile ripetersi: l’ingranaggio è assolutamente lubrificato. La squadra di Antonio Conte è puntuale, chirurgica, affamata, irruenta, inarrestabile. Perché è la sintesi migliore di motivazioni, orgoglio, cifra tecnica e impostazione tattica. Cioè, un collettivo equilibrato. Così equilibrato da permettersi quattro punte vere, tutte assieme. Così equilibrato da permettersi una dote di vantaggio che potrebbe persino attirare un fisiologico rilassamento, senza antipatiche controindicazioni. Ma questo Bari è vivo. E, onestamente, non riusciamo a intravedere il pericolo di un calo di tensione. Anzi, tra otto giorni la gente che tifa potrebbe già festeggiare la promozione , contro l’Empoli. Il traguardo è lì, ad aspettare il Bari. E il Bari non può più attendere se stesso.

sabato 25 aprile 2009

Taranto, da Lanciano nesssuna attenuante

Il Taranto di Foggia (sconfitta netta, appena domenica scorsa) rivendicò il diritto negato di giocarsi la partità con le stesse armi dell’avversario, cioè l’equilibrio numerico. L’espulsione affrettata di Prosperi inquietò l’ambiente e, contemporaneamente, acquietò le coscienze. Lavando qualche storica colpa e incoraggiando la ricerca di quella lievitazione del gruppo che avrebbe dovuto fiorire a Lanciano, tre giorni dopo, nel match di recupero. Dall’Abruzzo, invece, il Taranto torna ugualmente sconfitto (stesso risultato: zero a due) e tramortito. Vuoto, inconsistente. Derelitto e sbeffeggiato: dalla sua stessa gente, stanca di soffrire. E appropriatasi del pieno diritto di contestare pesantemente, alla ripresa degli allenamenti. Come nei tempi peggiori. Il Taranto, a quattro puntate dal termine della stagione regolare (ma non delle fatiche: perché i playout sono, oggettivamente, un pericolo troppo tangibile) non è ancora una squadra. E, ovviamente, a questo punto non lo diventerà mai. Perché la modifica del modulo o dei suoi esecutori (dentro Paolucci, fuori qualcun altro; Lolli laterale oppure no; Dionigi o chi per lui al centro del pacchetto avanzato) non rafforza il collettivo, ma spegne unicamente l’urgenza di tentare strade diverse. Prolungando le attese, garantendo la sopravvivenza affannosa. A Lanciano, come altrove, non emergono responsabilità arbitrali. Emerge (riemerge) l’inconsistenza del progetto, cioè dell’organico. Ricompaiono le paure. E le reticenze. Riappare il Taranto di sempre, senza personalità, senza un presente definito e senza un futuro ipotizzabile. Riaffiora la squadra che si rincorre sin dall’avvio del campionato, talvolta squarciato da lampi fugaci e inaffidabili. Si rivede la squadra che Dellisanti non seppe domare e che Stringara ha perso ancora prima di capire veramente. Il problema reale, però, è anche (soprattutto) un altro: oggi, le concorrenti alla salvezza sembrano sature di motivazioni, vigili, preparate alla battaglia. Pronte a a graffiare, anche con la disperazione. Il Taranto, invece, no.

venerdì 24 aprile 2009

Ma a Crotone serve il vero Gallipoli

E’ bello, il Gallipoli sicuro di sé. Il Gallipoli che impone e che s’impone. Che gioca come sa. Con la caratteristiche con le quali è stato pensato e costruito. Il Gallipoili che non teme, che aggredisce, che dispone del campo. O che s’industria per ricavarsi le zolle utili a costruire il suo progetto. Il progetto di Barba, il progetto della serie B: ancora vicino. Anzi, ancora più vicino, dopo il successo sul Benevento, che – oltre tutto – sembra sancire l’eliminazione diretta dei campani dai giochi per la prima piazza. Successo legittimo. E, per questo, abbondantemente gravido di messaggi che inducono all’ottimismo. Soprattutto perché si sposa con la contemporanea indecisione del Crotone, che inciampa a Sorrento, formazione democratica che non concede sconti alla capolista di turno. Sulla costiera cadde il Gallipoli (un brutto Gallipoli) ed è poi caduta anche l’undici di Moriero, per niente più convincente: episodio che appiana certe cose, restituendo a Ginestra e compagni la leadership. In attesa della domenica più importante, la prossima. La domenica di Crotone-Gallipoli, appunto. La domenica che potrebbe delineare la gerarchia. O che potrebbe non farlo. Seminando, in ogni caso, qualche indizio necessario per capire il futuro immediato. La gente di Gianni, in Calabria, non si gioca tutto, ma si gioca molto. Ed è consapevole dell’importanza dell’appuntamento. Un bene, probabilmente: perché questo collettivo avverte la tensione delle sfide importanti, come il campionato pare aver già chiarito in un paio di circostanze. Perché questa squadra sembra non poter prescindere dagli stimoli forti. La sfida, oltre tutto, arriva al momento giusto: parla la classifica e, immaginiamo, anche la condizione psicologica dei due organici. In Salento, magari, si avvertirà una certa apprensione: ed è pure normale. Il Gallipoli, lontano da casa, spesso si blocca. Si incarta. Anzi: il Gallipoli visto ultimamente a Sorrento, oppure a Cava, non possiede molte speranze di resistere. Meglio abituarsi all’idea e farsene una ragione. Meglio prepararsi. Invece, il Gallipoli che s’impone, il Gallipoli sicuro di sé è un’altra cosa. Quello e solo quello fornisce garanzie. Quello e solo quello può rifinire il progetto. E rispettare la promessa. Anche se le promesse, ora, non valgono più. Adesso, valgono le gambe, i muscoli e, innanzi tutto, la testa. Qui si fa il Gallipoli. O si recrimina.

giovedì 23 aprile 2009

Andria e Chiancone, separazione silenziosa

Da Di Leo a Chiancone. E, ora, da Chiancone a Loconte. L’irrequietezza, ad Andria, non si placa. La scomparsa dei risultati (arrivati da sùbito, con il primo cambio di panchina, ma poi evaporati all’improvviso) determina una soluzione interna già utilizzata, nel recente passato. E incupisce (nuovamente) un ambiente già provato da voci, sussurri, insoiddisfazioni e delusioni. Il club, così, tenta di pungolare la squadra: perche alla promozione, in fondo, dimostra di crederci ancora, fortemente. Malgrado il campionato, sin qui, abbia stilato delle gerarchie di meriti. Che possono essere sovvertiti nei playoff, certo: ma che, in questo momento, riassumono i reali valori delle concorrenti. Delinenadone le prospettive. Anche se la squadra resta, al di là della sua guida tecnica, un potenziale inespresso: la nostra idea non è cambiata. Il divorzio tra l’Andria e Chiancone, però, spiega un feeling mai sbocciato tra la città e il tecnico, persona pratica e lontana da certe logiche calcistiche. E che ha, di fatto, condiviso le ragioni della separazione, rendendola soffice e morbida. Facendosi da parte nel momento più delicato della stagione. Lasciando il suo contributo personale alla volontà di una parte dell’opinione pubblica, saldamente ancorata alla posizioni del primo coach, Di Leo, inutilmente candidato a recuperare l’incarico. E preferendo tornare a casa, in silenzio. Che potrebbe non essere affatto una forma di assenso. Ma, questa è la sensazione, il modo migliore per salutare la liberazione.

mercoledì 22 aprile 2009

Il Foggia si riappropria di Salgado

Spesso, il Foggia riscrive la stessa storia. S’impantana quando deve sprintare (riaccade nel derby di domenica passata) e, comunque, trova il guizzo nel mare delle difficoltà (esattamente quello che accade anche contro il Taranto). E’ sempre così: si allontana dai playoff quando potrebbe avvicinarsi e si riavvicina appena l’ambizione sembra svanire. Cioè: la squadra di Novelli è sempre lì, tra quello che non è e quanto potrebbe diventare. In equilibrio tra volere e potere. Tra credere e disilludersi. La soglia degli spareggi è ancora virtualmente vicina: anzi, nella lotta il Foggia c‘è ancora, per intero. Malgrado l’Arezzo (quinto, come i dauni) debba recuperare un incontro proprio oggi. Sicuramente, però, la gestazione del risultato è ancora imperfetta. E la manovra non decolla mai per davvero. Il gruppo deve aggrapparsi, piuttosto, alle disavventure altrui (l’espulsione, tra gli jonici, di Prosperi confonde l’avversario, facilitando sensibilmente le operazioni) e agli episodi che scaturiscono dalla qualità individuale. Questa volta sblocca lo zero a zero (e, dunque, risolve) Salgado: la sforbiciata è assolutamente appetibile, la conclusione è vincente. Il cileno si risveglia dal lungo torpore e, nervosamente, zittisce gli accusatori. Nessun problema, sono cose del calcio. Un universo nel quale, però, le pedine tecnicamente meglio dotate devono necessariamente offire qualcosa di più, sempre. Quel qualcosa in più che, oggettivamente, Salgado non ha saputo regalare, dall’inizio del suo campionato, nato e fondatosi su fraintendimenti e insicurezze personali. E dove, se non altro, il desiderio di giocare in terza serie è arrivato tardi. Intanto, il recupero di Salgado - se di recupero definitivo si tratta - è un momento importante, nel cammino della squadra. Che, sino ad oggi, ha dovuto affrontare il calendario e le pressioni ambientali con la volontà e la fame dei suoi giovani, più che con la perizia e l’esperienza dei suoi big. Salgado, magari, non sottoscriverà, ma è così. Ben venga, però, il suo apporto prezioso. E anche quello di altri giocatori ai quali il Foggia e Novelli avrebbero voluto affidarsi con frequenza. Un nome su tutti: Mancino. Adesso, la gente attende lui.

martedì 21 aprile 2009

Brindisi, count down affaticato

La battaglia è stata dura. E lunga. E adesso che la battaglia è praticamente vinta, il Brindisi è stanco. E un po’ usurato, anche. Comprensibilmentre, dopo tutto. Spiegare gli ultimi due mesi affaticati non è poi così difficile: la squadra, da un po’, ha smarrito lucidità, tensione, brillantezza. E ha persito sanato la fame: tanto più che la Nocerina, sparring partner sfiduciato, non stimola più di tanto la concorrenza. Il campionato del Brindisi, cioè, sembra trascinarsi al momento della consacrazione ufficiale, che arriverà domenica prossima oppure tra quindici giorni. Ma che arriverà, senza dubbio alcuno. Nel frattempo, l’Ischia ringrazia, incamerando tre punti senza troppo penare. E senza troppo industriarsi. Certo, la cavalcata imperiosa di Galetti e soci avrebbe dovuto annunciare un’ultima parte di campionato diversa: ma tant’è. E quel che conta, in fondo, è il verdetto finale. Che, inequivocabilmente, dice (dirà) Brindisi. Dispersosi in un mercoledì agonisticamente serrato e in un derby maligno, a Francavilla. E mai più ritrovatosi. La battaglia è stata dura. E la gente che tifa attende solo il suo epilogo. Come Massimo Silva, il suo caudillo. Il primo, probabilmente, ad aver capito che il carburante è terminato.

lunedì 20 aprile 2009

Il calcolo naturale della convenienza

La tranquillità è una felicità da conquistare giorno dopo giorno. Che il Monopoli deve ancora guadagnarsi. E, sulla strada del Monopoli, si para il Cosenza già quasi aritmeticamente promosso in terza serie. Ma ancora affamato di punti utili a festeggiare in anticipo. Logico, allora, che sull’erba del Veneziani vincano la prudenza del calcolo e l’urgenza della convenienza. Si pensa, prima di agire: anche due o tre volte. E, tante volte, è meglio non agire. E lasciar scorre il tempo. Ovvio, dunque, che il ritmo diventi nemico del calcolo. Il Cosenza gestisce e fa circolare il pallone; la formazione di De Rosa sorveglia e non aggredisce. Perché non può, oppure perché non è il caso. Del resto, i contrasti e il solido pressing calabrese fanno preferire le argomentazioni ospiti. Ancora: la distanza di qualità e di organizzazione è chiara, evidente. E il Monopoli deve accontentarsi di qualche spicchio di campo e di un pareggio scolpito sin dall’avvio del match. Che va benissimo. Che va oltre qualsiasi considerazione e qualsiasi teoria. Se non altro, perché Turone e compagni si riappacificano, in coda a tempi lunghi, con la continuità di rendimento, regalando una struttura più robusta aalla precedente affermazione di Vibo Valentia. Accontentarsi, talvolta, non è proprio un male. Ma una necessità. O un compromesso astuto. Anzi, assolutamente naturale.

Le orme del Bari sul campionato

C’è sempre più Bari, nel campionato. Il Rimini è piegato agilmente (tre a zero), i solisti s’industriano (da Guberti a Kamata, da Gazzi a Donda, autore di una soluzione balisticamente raffinata: è il sigillo del risultato), il Livorno (pari a domicilio) perde un’altra occasione e cede nuovo terreno. Il bagaglio di dieci punti in più sui labronici, cioè dalla terza piazza, sono messaggi precisi che sottintendono la prospettiva di una gestione serena del potere. La serie A è decisamente più vicina. Ed è nitida, nella squadra, la consapevolezza del proprio spessore. Il Bari si garantisce la circolazione di palla e i movimenti giusti, si prende quello che deve e lascia all’avversario gli spiccioli: con aggressività, lucidamente. E’ un gruppo saldo, questo. Più saldo di quanto si potesse sospettare. Talmente saldo da scrollarsi anche il ricordo della sconfitta amara con il Parma, episodio ancora recente che avrebbe potuto infondere apprensione. Non era semplice assorbire la delusione, devitalizzare qualche legittimo timore: ma, evidentemente, la forza vera della gente di Antonio Conte è proprio dentro lo spogliatoio. Ci sono le prove.

giovedì 16 aprile 2009

Benzina per il Bitonto

Benzina per il Bitonto. Il Bitonto che cerca di sopravvivere, cioè di riagganciare la salvezza. Che passa anche dagli scontri diretti: quello con il Grottaglie, innanzi tutto. Sfida che sta per arrivare, peraltro. Benzina per il Bitonto. Il Bitonto che cerca di sopravvivere, oltre questo campionato: qualunque sia il verdetto del campo. Qualunque sia il campionato che potrà interpretare, l'anno prossimo. Benzina per il Bitonto. La benzina di Antonio Fiorentino, proprietario - si dice - del più grande distributore di carburante d'Europa, giusto al confine tra la Francia e il Lussemburgo. Fiorentino studia per diventare il patron - il nuovo patron - del calcio neroverde. E, come tutti coloro i quali si avvicinano al pallone per la prima volta, sembra agitato da entusiasmo genuino e ottimi propositi. “Ho studiato - fa sapere - il sistema-calcio italiano e penso di poter essere utile con la mia razionalità, con la mia la mia esperienza e la mia mentalità da imprenditore del Nord Europa”. Frasi impegnative. Che fanno persino sospirare. E che vanno comprovate, giorno dopo giorno, sull'erba e tra le scrivanie. Perchè il calcio italiano è davvero un meccanismo complicato, un microcosmo misterioso e contraddittorio. E perchè il calcio dei dilettanti è una storia nella storia nella storia, un microcosmo nel microcosmo. Altri ci sono arrivati, felici. E molti sono fuggiti, anche abbastanza presto. Inorriditi o, più semplicemente, svuotati. Nonostante le idee e le convinzioni.

martedì 14 aprile 2009

De Rosa, esordio perfetto

De Rosa, nocchiero nuovo del Monopoli che non sorrideva più, sveglia la squadra. Oppure è la squadra che si scrolla il torpore di due mesi o forse tre. Il cambio di panchina, consumatosi nel corso della settimana che precedeva la trasferta di Vibo, è però statisticamente incoraggiante. Tanto da svilire qualche dubbio sulla necessarietà e sull’esattezza della tempistica dell’esonero di Geretto. La vittoria di misura (ma sufficientemente chiara) ottenuta in Calabria, al di là di tutto, sembra un responso sincero del campo. Sincero e corroborante. Che spazza anche quell’apprensione e quello smarrimento con cui il nuovo allenatore ha dovuto immediatamente misurarsi, a lavoro appena abbozzato. Traducendo, il collettivo recupera l’energia indispensabile per preparare il rush finale. E per chiudere il discorso salvezza, apparentemente riaperto quando sembrava abbondantemente sigillato. Potrebbe essere il momento giusto, ma è meglio non fidarsi. Perché il Monopoli ci ha abituati a tutto e al contrario di tutto. Inserendosi perfettamente nel meccanismo di un campionato troppo anomalo per essere credibile sino in fondo. Ma che, proprio in fondo (cioè, quando servirà davvero) , premierà chi saprà farsi trovare più tonico e pronto. Vero: il pregresso, in questa C2, conta relativamente. E, giorno dopo giorno, tutto si modifica.

lunedì 13 aprile 2009

Lecce, accuse e controindicazioni

Punto primo: il De Canio timido che conoscevamo non è più il tecnico morbido e cortese che ricordavamo. Punto secondo: il coach del Lecce non dice inesattezze e non bara. Spende frasi scomode e dure, certo: che molti pensano e non divulgano. O che molti non hanno ancora pensato: e sotto le quali, soffermandosi attentamente, però firmerebbero. Punto terzo: Dondarini, giudice di gara dell’ultima domenica (caduta casalinga, l’ennesima, contro la Sampdoria) è davvero un arbitro inquisito: questa è storia. E il Lecce è davvero una società costituitasi parte civile in quel processo interminabile chiamato Calciopoli. In cui, evidentemente, le parti (Dondarini e il Lecce, appunto) siedono su banchi diversi e avversi. Punto quarto: il problema, effettivamente, è spinoso. Ed è un problema reale: del calcio italiano (che non riesce a svincolarsi da molte incongruenze e da troppi equivoci), ancor prima che del club salentino. Detto questo, è difficile ipotizzare che gli errori (differenti: molti sfavorevoli al Lecce, qualcuno anche a favore) dell’arbitro siano riconducibili alla battaglia legale, come ha deliberatamente sottolineato a fine partita il trainer, infastidito dal risultato, mortificato dagli episodi e ulteriormente minacciato dalla classifica. E va da sé che dichiarazioni di questo tenore spetterebbero ai responsabili societari, piuttosto che all’allenatore. Al di là della bontà del concetto, che condividiamo, le accuse di Di Canio occultano faticosamente il substrato di tensione dentro il quale tutto il Lecce si ritrova a navigare. E che non promette niente di positivo. Senza contare le ripercussioni che le affermazioni potranno provocare: contro la squadra, ovviamente. Perché la categoria arbitrale è un po’ così: molto unita e molto solidale. Come il tecnico (che parla di casta arbitrale) sa bene. E come sappiamo più o meno tutti. Sfogarsi è bello, sicuro. E persino giusto. Ma le complicazioni a rimorchio sono molto più pericolose del danno (del nuovo danno) sofferto.

domenica 12 aprile 2009

Noicattaro, aria pesante

La Vigor Lamezia sbriga il proprio compito con umiltà. E capisce che può modellare la sua gara attorno alle esigenze. Pregustando un successo che si trasforma in pareggio davanti al traguardo. Dentro i novanta minuti, il Noicattaro non trova né l’intensità, né la brillantezza, nè molte altre cose, che ufficializzano le difficoltà del momento. Anche se la supremazia territoriale è sostanziale. Partita lenta: per la scientifica strategia vigorina e per gli impacci evidenti che legano il 4-3-3 nojano, molliccio e imballato. Rana si libera spesso, ma poi si perde. Zotti è trasparente, impalpabile. Menolascina è sbiadito. De Pascalis non trova il passo e neppure le misure. Lucioni è fisicamente debilitato: eppure si impegna. E, fortunatamente, c’è l’apporto di Piccinni, soldato volenteroso e utile. Ma l’impronta che resta è quella di De Lorenzo, attaccante di scorta che entra a match inoltrato, disegnando la prodezza acrobatica che vale il punto e scongiura la depressione. Resta, però, il ricordo di un Noicattaro incostante, lacunoso. Nonostante l’estremo tentativo di Rana, a recupero inoltrato, sia vanificato sulla linea di porta da Panico, guardasigilli ospite. Sciannimanico, davanti ai microfoni e ai taccuini, parlerà poi dei problemi di organico che insidiano il percorso. Il volto cupo, però, spiega molto di più: questa volta, il coach ha temuto seriamente quel che non si è verificato. Oggi, intanto, cinque punti sul margine di sicurezza sembrano bastare. Ma questo Noicattaro demoralizzato non può garantire più di quello che può. Né risollevare un ambiente oggettivamente sfiduciato. C’è aria pesante, sarà meglio non distrarsi.

giovedì 9 aprile 2009

Il Taranto e la fede

Prima o poi, tutto emerge. E il menu, alla fine, rivela sempre lo spessore degli ingredienti. Adesso, il Taranto che perdeva in trasferta e che, allo Iacovone, galleggiava più o meno tranquillamente, confidando quasi ciecamente sui vantaggi del fattore campo, pareggia a domicilio. Di più: pareggia a domicilio con la Pistoiese, l’ultima della classe. Anzi, rischiando anche il punto guadagnato. I limiti strutturali (scusate se insistiamo, da sei mesi in qua) si ripropongfono tutti assieme, cioè. Perché, nel calcio, qualcosa si nasconde, ma niente si inventa. Se ne accorge persino il diesse Pagni, difensore d’ufficio di scelte proprie (in parte obbligate da precise contingenze) e di quelle altrui. Pagni, peraltro, detta qualcosa in più: cose che si dicono quando il mare è agitato e quando è necessario spronare la truppa. Che, in qualche modo, si incrociano e si incatenano al tenore di certi graffiti apparsi all’esterno dello stadio, lunedì. Ma tant’è: e di questo non ci meravigliamo. In prossimità di due trasferte preoccupanti e di un rush finale impastato di (giuste) apprensioni, del resto, può vacillare qualche certezza e persino la fede di Paolo Stringara, nocchiero che pensa sempre positivo e che, però, vede ridursi all’improvviso molti spazi dentro cui operare. Problema grave: perché la fede, talvolta, è una speranza estrema. E un patrimonio da non disperdere. O da riconquistare. Eppure, crediamo ancora che, nel girone meridionale di terza serie, ci sia ancora di peggio, tecnicamente parlando. Anche se questa pessima atmosfera che aleggia attorno alla squadra piace sempre meno.

mercoledì 8 aprile 2009

Chi attende è perduto

Bastano novanta minuti di militanza fiera e ordinata? E bastano l’atteggiamento tattico senza remore e senza timori, l’osservanza degli elementari codici di prudenza e la chiusura puntuale delle vie di scorrimento del Milan? Evidentemenete no, se il risultato è più infamante di quanto possa aver raccontato la realtà del campo (due a zero) e se il supplemento dei minuti di recupero sono la tana della disperazione e, al contempo, l’ultima possibilità concessa ad un avversario magari un po’ usurato, ma dodato di esperienza e qualità. Il Lecce disegnato da De Canio, a San Siro, regge per una partita intera, o quasi. E merita un applauso, comunque. O, almeno, la citazione. Che, in classifica, non servono. Ma che, probabilmente, sono utili per riprodurre morale. Forse quel carburante che, in questo momento, sembra difettare: come e più di altri. Un passo avanti, sotto il profilo squisitamente calcistico, può confortare: prendiamolo come un augurio, come una promessa, come una premessa, come una speranza. Ma il tempo fugge e non è sufficiente arrampicarsi sulle disgrazie del Bologna e del Torino. Il Chievo insegna: è necessario aggredire. E migliorarsi progressivamente. Questo campionato non premia chi attende. Questo campionato non incoraggia chi osserva.

martedì 7 aprile 2009

Bari, solo un match ball sprecato

Anche quarantott’ore dopo, è faticoso cicatrizzare la ferita. Il Bari, inutile sottolinearlo, è ancora sanguinante, intontito. Il match ball sprecato non può lasciare insensibili. E la sconfitta, prima di essere analizzata, va ancora assorbita. Aiuterà la certezza che il Parma, cioè l’inseguitore più accreditato (e, adesso, assai più vicino) non ha sottratto assolutamente nulla, in virtù di una prestazione di personalità e sicurezza e di una arroganza tecnica tardivamente (e inequivocabilmente) espressa. E, certamente, aiuterà di più constatare che il Livorno (perchè al Livorno e alla terza posizione occorre guardare: il Parma faccia ciò che vuole o che può) è sempre a distanza ragguardevole. Cadere nello scontro diretto, tuttavia, è tradizionalmente antipatico. Soprattutto se accade sull’erba di casa, tra quarantamila persone che confidano in un responso diverso. Soprattutto al termine di una gara interpretata con qualche innegabile impaccio (troppi protagonisti navigano al di sotto della soglia abituale di rendimento) e in coda una settimana oggettivamente particolare (per l’attesa, ma anche per l’impegno barese della Nazionale di Lippi). Lo zero a due istantaneo e netto del San Nicola, allora, lascia sul campo qualche quesito, ma pure una risposta: il Bari può persino ritenersi fortificato dalla caduta. Che, intanto, pur non complicando esageratamente il compito della squadra gestita da Conte, suggerisce di mantenere un livello robusto di concentrazione, probabilmente infiacchito dai languori e dall’entusiasmo. La sconfitta, cioè, sembra un’ammonizione senza conseguenze vistose. Che non trascina il timore del cartellino rosso. Anche per la gestione (sobria) del dopo-gara: da parte del tecnico, della società e pure della gente. Allertarsi è obbligatorio, alimentare il disfattismo è criminale. Più intelligente, invece, sarà pensarci su, concentrarsi e sottrarsi dal clima della festa. Che regala sempre problemi: da questo punto di vista, il pallone non si smentisce mai.

lunedì 6 aprile 2009

Il prezzo della pressione

Il dispiacere di Cava dei Tirreni (storia dell’altra domenica) fa mugugnare per una settimana interna e, forse, stordisce (o ferisce) pure di più. Il Gallipoli, che già in Campania aveva smarrito la vetta, capisce di avere perso automaticamente anche un po’ di lucidità e molta brillantezza. Se ne accorge incrociando i tacchetti con la Ternana, al Bianco, sette giorni dopo. L’approccio è difettoso e faticoso. La verve di sempre sembra evaporata. La squadra non si sparge sul campo come sa fare. Il suo calcio non è aggressivo come in altre situazioni. E il successo arriva a rimorchio della sofferenza e del sudore, quando la squadra di Giannini impara che, ormai, è tempo di affidarsi essenzialmente alla concretezza e di adeguarsi alle esigenze del torneo, per niente disposto ad attendere. Non è un momento facile, evidentemente. Però, il Gallipoli lotta sino in fondo. Consapevole del proprio ruolo e di quello che l’attende. Consapevole della pressione che l’ambiente e le contingenze gli stanno riversando e gli riverseranno ancora, sino all’ultimo minuto della regular season. Il tecnico, a match appena consumato, lo ammette candidamente. E, probabilmente, inaugura (realisticamente) un ciclo nuovo, ammiccando a nuove priorità. A questo punto della stagione è sempre così, in qualsiasi categoria. Eppure, proviamo già un po’ nostalgia per quel Gallipoli sanamente spregiudicato. Che, magari, si è abituato e ci ha abituati ad un certo trend. E che, proprio con certe caratteristiche, si è costrituito un campionato e un sogno.

domenica 5 aprile 2009

Sisalli, la sua partita

Desiderato. E decisivo. Finalmente decisivo. Daniele Sisalli allontana qualche nube: personale e della squadra. E cancella qualche prestazione imperfetta degli ultimissimi tempi. La firma del successo del Francavilla sulla Turris, nell’anticipo del sabato, è tutta sua. Parte dalla panca, così come Malagnino. Più tardi, però, servirà. Perché, di questi tempi, il Francavilla è un’espressione calcistica indefinita. E’ una squadra contratta e bloccata. Più indecisa, che slabbrata. Priva di fluidità, più che di motivazioni. Anzi: la gente di Francioso insegue il risultato, sin dall’avvio. E questo va riconosciuto. Ma la manovra non sboccia, la supremazia territoriale non attecchisce, la volontà non aggredisce l’avversario, peraltro,niente affatto intraprendente. Di più: svogliato, rinunciatario. Colpevolmente rinunciatario. Certo, con il tempo il Francavilla lievita in quantità e, comunque, abbastanza da generare diversi spunti, puntualmente tradotti in occasioni da gol. Un dettaglio, questo, che lascia preferire Tartaglione e compagni ai campani. Manca qualcosa, però: la qualità. E manca l’uomo che possa scovare il varco. La classifica si accorcia sempre più e non è bello pensare alla prossima trasferta di Bitonto senza aver rispettato la tabella di marcia. Galeandro è ingabbiato; Micieli produce movimento, senza stuzzicare la Turris; Schirinzi lavora, ma è impreciso. E c’è solo un quarto d’ora di tempo, ancora. L’assenza di Sisalli si avverte: potrebbe essere la partita del risveglio. La sua partita. Francioso si accoda alle sensazioni e opera il cambio: fuori Tartaglione, dentro il siciliano. Centrocampo a due, prima linea con due centrali e Sisalli e Schirinzi ai lati. Quattro minuti ancora e proprio Sisalli è lì, sulla linea di porta, a disciplinare il gran traffico in area partenopea, a griffare il vantaggio. E, proprio quando il match è concluso, è ancora lui a finalizzare una ripartenza, a svilire il forcing della Turris e a liofilizzare le ultime tensioni. Due a zero: la classifica si riallunga. E il Francavilla ritrova Sisalli. In attesa di recuperare del tutto se stesso.

sabato 4 aprile 2009

Il Monopoli non sgomita più

Dalla tensione alla tranquillità. E viceversa. E’ il senso del campionato del Monopoli: inadempiente agli albori della stagione, efficace con la mturità, vagamente sognatore nella piena evoluzione del torneo e nuovamente spaurito e molle quando arriva il momento di chiudere dignitosamente il cammino e sigillare aritmeticamente la questione-salvezza. Che, oggi, è pienamente legittima, ma non per questo già scontata. Inutile negare che, adesso, coach Geretto si maceri in qualche apprensione. E che la piazza ufficializzi il proprio disagio. Un disagio che è alimentato dalle prestazioni (la squadra, da un po’, è scarica e non riesce a dettare sul campo le proprie condizioni), dai risultati (la vittoria è un ricordo ormai datato), dalla classifica (la soglia della paura dista solo quattro punti) e dai numeri sparsi (esempio: il miglior realizzatore del Monopoli e dell’intero girone, Ceccarelli, è fermo a quota quattordici da troppe domeniche). Proprio Geretto, già domenica scorsa, nel chiuso degli spogliatoi di Montemarcone, parlava di superficialità nell’approccio alla gara (regolarmente persa, di fronte al Valdisangro): un peccato grave, in questo momento. I cui riflessi non potranno essere trascurati, da qui in poi. A cominciare da domani (al Veneziani scende la Scafatese). In novanta minuti dove il Monopoli dovrà dimostrare di non essersi seduto. E di non aver perso gli stimoli. Cioè, di non essersi ritenuto nel diritto di credersi al di fuori della mischia troppo presto. E sì, perché ora è chiaro: dietro, tutti sono mentalmente immersi nel concetto di battaglia e tutti sgomitano. Il Monopoli, invece, no.

venerdì 3 aprile 2009

Il Manfredonia e le prime risposte

L’ostacolo è aggirato. Ma l’obiettivo è ancora lontano. Saltare l’ostacolo, però, lascia immagazzinare un po’ di fiducia. Il Manfredonia, dicevamo, non possedeva il potere di scelta. Non c’era alternativa al successo sull’Isola Liri: e i luoghi comuni, per una volta, non c’entravano davvero. Perché gli scontri diretti servono a rivalutare un momento storico, a modificare le impressioni. Solo se si vincono, ovviamente. Quattro a uno: vittoria larga e anche inequivocabile. Non solo nel punteggio: ma anche nella sostanza. Prova convincente: che fornisce alcune chiavi di lettura. Ci soffermiamo sulla più evidente: i rinforzi più recenti (recenti, si fa per dire: la campagna di rafforzamento è già antica di due mesi) cominciano a carburare. O, quanto meno, a distribuire alcune risposte. Adesso, se non altro, qualcuno lotta con e per il collettivo. E qualcun altro s’incarica delle proprie responsabilità. Un nome su tutti: Gaetano Romano, sinceramente indefinibile, sin dal suo arrivo in riva all’Adriatico. Ma anche Sifonetti, più scaltro di qualche tempo fa. Il Manfredonia non poteva (e non può) prescindere da certi uomini. E averli ritrovati (definitivamente?) aiuta a riacquisire il buon umore. E poi, altrettanto sinceramente: proprio il Manfredonia, tra tutte le formazioni che a gennaio si erano rinforzate, non aveva legittimato gli investimenti di metà stagione. Strano. E anche imbarazzante: per i protagonisti del campo e per i vertici del club. Ieri (l’anno scorso e anche in estate) accusati di eccessivo immobilismo e oggi colpevoli come tutti gli altri. Ma, forse, un po’ meno di altri.

giovedì 2 aprile 2009

Il Noicattaro e la soluzione di continuità

Prove tecniche di scollamento irreversibile. Evidentemente, il Noicattaro - come espressione calcistica - soddisfa sempre meno. E, dopo le critiche, le contestazioni e la desertificazione delle gradinata, arrivano anche le accuse: di volontaria debolezza. La squadra che pareggia a domicilio con il Pescina avrebbe deliberatamente lasciato campo e punti all'avversario, dice una fetta del pubblico. Concetto opinabile. Che, intanto, rinzela il presidente Tatò. Tanto da indurlo a diffondere un messaggio neppure tanto cifrato. Queste argomentazioni allontanerebbero - ancora più di quanto possa apparire - il (prossimo) patron Canonico dal club. Proprio quando i venti di fusione (o di trasferimento del titolo) sembrano soffiare con più vigore. Sinceramente, è difficile comprendere dove vogliano portare un certo tipo di insinuazioni. Oppure, è sin troppo facile. E, allora, è semplice capire: capire che il calcio, a Noicattaro, interessa sempre meno. Il problema vero, però, è che l'ha capito (abbondantemente) chi dovrà decidere, prima o poi. E sembra pure che la decisione sia stata già pianificata. La decisione, ovvero la soluzione. La soluzione di continuità.

mercoledì 1 aprile 2009

Venti minuti di illusione

Il tempo dell’illusione transita veloce. E partire non significa necessariamente arrivare. L’Andria, nel posticipo di Catanzaro, restringe sùbito gli spazi, per un po’ rallenta il ritmo altrui e verticalizza spesso. Scavalcando esageratemente il cordone della mediana, è vero, ma bloccando pure gli ardori calabresi. Impegnandosi con diligenza ed ordine. Per venti minuti: illudendo (e illudendosi), appunto. Molto prima della mezz’ora, però, la formazione di Chiancone è già sotto di due lunghezze e praticamente estromessa dalla gara. L’avversario gioca di qualità e aggredisce, assicurandosi anche quantità: match chiuso troppo presto, dunque. Non servirà neppure, a ripresa avviata, una gestazione meno sbrigativa della fase di possesso, né l’inattesa sceneggiatura della nebbia, che cala, blocca le operazioni per qualche minuto e poi si dirada, cancellando l’estrema speranza di una sospensione graditissima. Il doppio svantaggio, maturato quando il Catanzaro deborda e l’Andria si distrae, piega Cazzarò e compagni. Li stordisce, li schiaccia. La sfida, ancora prima della sua conclusione, stabilisce definitivamente le gerarchie di classifica: insindacabili e, assai probabilmente, inappellabili, a questo punto del cammino. Resta, però, il passaporto per i playoff, difficilmente attaccabile. Cioè un traguardo che va semplicemente gestito, da qui alla fine della regular season. Non ci sarà sempre un Catanzaro vivido e ispirato, di fronte. E l’Andria che seguirà, magari, si aggrapperà alle idee. Opportune ad aprile e maggio e assolutamente indispensabili più avanti.