domenica 28 giugno 2009

L'esperienza di D'Arrigo

Si era fidato, Francesco D’Arrigo. A salvezza archiviata, passando per playout morbidi e dolci, si era fidato delle garbate intenzioni del suo presidente. Che guardavano verso orizzonti diversi. Intenzioni, forse, tramontate: e non per un capriccio del numero uno del Manfredonia. Anzi, Riccardi avrebbe voluto (vorrebbe) riqualificare il progetto. Rafforzare la squadra e ritentare persino alla scalata in terza serie. Argomenti validissimi, in coda ad un periodo di austerità, che dovrebbe almeno aver annacquato le difficoltà gestionali. Ma Riccardi, per pensare ad una squadra più forte, avrebbe dovuto appogiarsi alle sinergie del gruppo di comando del club. Che, invece, nell’ultimo consiglio di amministrazione, sembra aver bocciato la proposta. Privando persino Riccardi della presidenza. E D’Arrigo, che si era affidato alle previsioni, ora si sente avvilito. Giustamente: anche a fronte – così dice – di alcuni inviti rifiutati, alla corte di altre società. Ma il pallone è anche imprevedibilità, sorpresa. Troppo spesso si vive giorno per giorno. E l’organizzazione, talvolta, è esclusivamente un argomento d’appendice. Sia chiaro: la situazione, in riva al golfo, non è ancora definita. Anzi, è assai nebulosa. E può evolversi. O involversi ancora. Ma il trainer avrà capito che non è mai opportuno fidarsi. Questa è pur sempre serie C. E, se il treno delle opportunità passa, può anche non tornare. L’esperienza, però, tornerà utile. Almeno quella.

venerdì 26 giugno 2009

Gallipoli, giorni strani

Giorni strani. E strane sensazioni. Da Gallipoli transita l’incertezza: dapprima la città e Barba si accorgono che lo stadio Bianco è imprensentabile, in B. Poi, più tardi, il presidente scopre di essere un uomo solo al comando della nave traghettata dall’Eccellenza al calcio che conta. Solo come l’anno scorso. E come due anni addietro. O quattro. Ne prende coscienza in piena estate, in mezzo al vortice del mercato. Che per il Gallipoli, si sa, non è ancora partito. Primo, perché il motore del club non è si è ancora riavviato. Secondo, perché difetta anche un responabile tecnico con cui, eventualmente, confrontarsi. Anzi, come dodici mesi prima, Barba fa affiggere in città un manifesto. Chiedendo, in pratica, aiuto. Non capiamo, piuttosto, perché lo faccia solo oggi, quattro settimane dopo l’avenuta promozione, cioè la fine dell’ultimo torneo. Probabilmente, è così che occorre muoversi. E, probabilmente, qualcuno non offrirà troppo peso al gesto dell’imprenditore: del resto, il manifesto che anticipò la scorsa stagione confluì in un impegno ancora più robusto, da parte di Barba. Traducendosi in successo. La scaramanzia, fa però sapere il presidente, non c’entra, questa volta. Il problema è reale. E, allora, proprio non capiamo. Non la sostanza della questione, ma la scelta dei tempi.

giovedì 25 giugno 2009

Il Taranto cambia. Al cinquanta per cento

«Lascio». E, infatti, resta. Non da solo, certo. Al fianco di Enzo D’addario, nuovo socio nella conduzione del Taranto. Ma sempre sulla poltrona di presidente. Con molti rancori (verso una fetta della tifoseria, parte della città, amministrazione comunale compresa, e della stampa) a sgomitare. Mentre lo strato di ruggine persiste sull’ingranaggio del rapporto fiduciario tra il vertice societario e l’ambiente tutto. La crisi, sui Due Mari, sembra risolta. Blasi resiste: ancora un po’, almeno. E prova a dividere sofferenze e impegni con un compagno di viaggio (D’Addario, appunto) che mai – parole sue – avrebbe rilevato l’intera incombenza. E che, evidentemente, possiede gli argomenti per acquietare l’indispettimento dell’imprenditore manduriano, ormai (verbalmente) orientato ad abbandonare il calcio jonico. Ecco l’ambiente: non propriamente felice della risoluzione. Di questa risoluzione. Che, dal punto vista relazionale, non promette molto più di quello che è facile attendersi. Ma la novità è pur sempre una risoluzione: da valutare con il tempo. Che, se non altro, scaccia qualche lugubre pensiero. Malgrado non asseti chi aveva creduto ad una tipologia differente di rinnovamento (questa o quella cordata: indigena oppure proveniente da oltre confine). Blasi più D’Addario, allora. Entrambi dentro al cinquanta per cento. Con compiti differenti: la gestione tecnica spetta al primo; i rapporti istituzionali e la cura del settore marketing al secondo. Due prime figure per un club da riqualificare. Tecnicamente e mediaticamente. A Taranto e nei corridoi dei palazzi della Lega e della Federazione. Intanto, D’Addario sappia – al di là delle frasi gonfie di ottime intenzioni e di reciproca stima – che con Blasi non è facile convivere. Perché Blasi ama decidere seguendo gli impulsi del proprio carattere. Quindi, da solo. E che la città osserverà attentamente il cammino che hanno deciso di intraprendere assieme. Senza concedere sconti: come è sempre accaduto. Con Blasi e prima di Blasi. Anzi: la Taranto che tifa è un po’ stizzita. E non si fida più. E si affretterà a reagire, appena se ne presenterà l’occasione. Nel frattempo, assisterà. Sperando che l’accordo duri. E, soprattutto, che duri in armonia. Anche perché il problema principale è sempre quello: per fare calcio, occorre la disponibilità economica. Denaro. Quello vero.

mercoledì 24 giugno 2009

E adesso è proprio finita

Sì: se il rapporto è cosunto, è meglio azzerare il contratto appena sigillato (anzi, rinnovato). Adesso, sùbito. Conte e il Bari si sono allontanati e riavvicinati troppe volte in poco tempo. E i fraintendimenti intercorsi dalla fine del campionato ad oggi non sono fantasia giornalistica, ma realtà sufficiente per destare sospetti. E crepe. Il tecnico salentino e il club di Matarrese si salutano qui, a mercato in corso. Quando l’architettura della squadra che abbraccerà la serie A è ancora indefinita. Si lasciano: forse con qualche rancore. E con un comunicato formale ed una conferenza stampa che spiega qualcosa, ma forse non tutto. L’attrito tra il coach e il diesse Perinetti, ad esempio, è ormai antico. E, evidentemente, profondo. Sempre che il malessere non possieda motivazioni più ramificate e e non nasconda altri protagonisti. Di più: certe scelte (il rafforzamento dell’organico) occorre progettarle insieme. Pensieri e parole di Conte, che – in diverse circostanze – ha sottolineato la centralità delle proprie opinioni e la necesssità di coniugare le esigenze della società a quelle del proprio staff. Come dire: l’uomo è fatto così, sappiatelo. E seguitelo, se volete. Oppure: queste sono le regole, il Bari si adegui. Rapporto tormentato, da maggio sin qui. E, dunque, separazione anticipata. Che tranquillizzerà persino una parte della piazza, stancatasi in fretta di un equilibrio faticoso. E che non piove totalmente inattesa, no. Perché, quando l’intesa è labile, è facile che si rompa. E i segni, prima o poi, affiorano. Per la felicità di Giampiero Ventura, trainer di scorta che ritrova la panchina e, con temporaneamente, il torneo più importante.

domenica 21 giugno 2009

Gallipoli, il tempo passa

Esatto: l’inadeguatezza dello stadio è un problema serio. Troppo serio. Un problema conosciuto da tempo e, probabilmente, anche sottovalutato. Oppure dribblato con eccessiva leggerezza. E, comunque, un problema da affrontare al momento opportuno: questo. Quando il Gallipoli cerca di organizzare la sua prima esperienza in serie B. Campionato di logica migrazione: sul tappeto erboso del capoluogo, unica soluzione alla quale la gente e la società dovranno abituarsi da sùbito. Perché non esiste alternativa. Almeno per un po’. In attesa che la nuova struttura fiorisca sulle polemiche e sulle difficoltà logistiche. Prendere o lasciare, dunque. E il Gallipoli prenderà la destinazione obbligata. Non reggono (non possono reggere) le argomentazioni stizzite del presidente: la squadra non può privarsi del grande sogno così, impunemente. Non può, cioè, neanche pensare di rinunciare a raccogliere la sfida ferocemente inseguita. E la B è sempre la B: sia pure a Lecce, invece che di fronte alle onde dello Jonio. Lo sa la gente e lo sa anche Barba. E, allora, inutile perdersi tra parole e frasi cariche di comprensibile amarezza, ma prive di fondamento. Il Gallipoli farà la B. E giocherà a Lecce. Con le controindicazioni che la situazione comporta. Barba si sintonizzi sulle scomode frequenze di questo postulato. E si sbrighi: a costruire la squadra che verrà. Molto tempo è andato perso, così come è stato perduto il tecnico della promozione. Perdere altri giorni non conviene.

sabato 20 giugno 2009

Contratti e dignità

«Non allenerò giocatori che non ho richiesto. Ho letto di un summit di mercato, non ne ero informato. Così non va. Nono­stante il mio grande entusia­smo, si rende necessario chiari­re alcune situazioni all'interno della società. E’ arrivato il momento di riflettere. Ho corso troppo, e forse da solo: ora mi fermo e valuto». Gigi De Canio si ribella, s’indigna. E minaccia di stracciare un contratto appena confezionato. Un contratto importante: per i quattro anni di d’impegno bilaterale e per la formula, che ha persino stuzzicato un paragone (scomodo) con Ferguson, manager del Manchester che vince. L’allenatore materano dovrebbe rappresentare il perno della nuova programmazione, il punto di riferimento del Lecce che sta rinascendo: invece, all’improvviso, si sente scavalcato. Sminuito. Cose che accadono, quando le società agiscono con il conforto dell’abitudine. Quella di decidere le strategie e di scegliere gli uomini, prima di trasferirli alle cure del tecnico. Cose che succedono, quando si progetta un cammino diverso. Ma solo in apparenza. E quando la dignità svaluta la durevolezza di un contratto.

venerdì 19 giugno 2009

La guerra dei nervi

Tra Blasi e la città di Taranto è quasi guerra. Di nervi, prima di tutto. Il presidente è stanco: ne ha facoltà. Ma la gente che tifa (e anche quella che pensa e che commenta) non è disposta più a credergli. Se non altro, perché gli orientamenti mutano troppo in fretta e la filosofia calcistica dell’imprenditore manduriano si fa sempre più nebulosa. Le richieste sono note, ormai: tre milioni di euro e il pacchetto azonario del club può cambiare padrone. Cifre, magari, anche legittime: ma anche chi compra ha facoltà di valutare e soppesare la convenienza dell’operazione. E di allontanarsi dalla trattativa, se lo ritiene opportuno. Oppure di non avvicinarcisi nemmeno. Intanto, l’iscrizione al prossimo campionato si allontana, giura il massimo dirigente. Sarà, ma stentiamo a crederlo. Perché la liquidazione della società non converrebbe a nessuno. E, soprattutto, non converrebbe a Blasi. Che, intanto, tuona. Adesso più di prima. Perché, di fronte, si ritrova la sostanziale freddezza dell’ambiente e il nuovo muro eretto dall’amministrazione comunale, che chiede di essere saldata, prima di concedere il nuovo nulla osta per l’utilizzazione dello stadio. Com’è giusto che sia. Si accoda, poi, anche il direttore generale Iodice, che – velatamente, ma non troppo – attacca il sindaco. «Stefano – dice il dirigente – non si sta interessando del problema-Taranto». Un problema che possiede, in realtà, altri padri e che reclama altri attori. Bene fa, allora, il primo cittadino a replicare: «Non mi tupisce che Blasi cerchi di allontanare da sé, scaricandola su altri, la responsabilità di una gestione che non ha dato i risultati sperati». Chiaro, corretto, preciso. Palazzo di Città, al calcio dei due Mari, ha dato abbastanza, ultimamente. E nessuno può negarlo. Neppure Blasi. Uno che dimentica, forse, il punto nodale della situazione: il calcio, cioè, si fa investendo. Spendendo denaro vero. Anno dopo anno. Oppure non si fa: non è un obbligo. Blasi non deve sentirsi costretto a garantire ancora il proprio apporto e può abbandonare il campo quando crede sia oppurtuno eclissarsi. Ma non può deviare il baricentro della questione, né confondere i ruoli. Il pallone, del resto, è questo: prendere o lasciare. Ma non è detto che debba doverosamente spuntare chi acquista. Anche perché, ora, la posizione del presidente non dispone di grande peso specifico. Malgrado Blasi pensi il contrario.

lunedì 15 giugno 2009

Ostuni, soddisfazione inamidata

Perso il Grottaglie, da ieri la serie D riabbraccia un altro club di Puglia. L’Ostuni, agli spareggi della fase nazionale, piega i molisani del Montenero (su calcio di rigore: De Benedictis è astuto nel procurarselo e freddo nel trasformarlo) e si accoda al Casarano, dominatore assoluto del torneo di Eccellenza. Il responso è credibile: i brindisini esercitano larga supremazia territoriale, gestendo però con leggerezza qualche situazione, cioè indugiando spesso con la palla tra i piedi. Tuttavia, amministrano discretamente il vantaggio ottenuto a metà ripresa, tremando in una sola occasione. E, nell’ottica dei centottanta minuti (zero a zero all’andata), è giusto così. Anche perché l’avversario è soprattutto contenimento. E poco altro. La quinta serie ritrovata non è un caso (la formazione di Carbonella ambiva ad un campionato importante sin dall’inizio), ma la soddisfazione inamidata della gente stride un po’ con lo spessore del risultato conquistato. Magari, la piazza si accorgerà con il tempo del valore della promozione. Che, adesso, obbligherà la società ad intervenire chirurgicamente su un assetto valido nella premier league regionale, ma oggettivamente poco competitivo nel massimo torneo dilettantistico. Cioè: ora c'è da lavorare. In profondità.

sabato 13 giugno 2009

Taranto, quale alternativa?

In fondo al tunnel degli equivoci, Luigi Blasi si scopre. Vuole lasciare il Taranto: a chi può o a chi vuole. Eclissarsi: in cambio di adeguata contropartita, sia chiaro. Cioè di una cifra sufficientemente sostanziosa, che sopravanza quella di acquisizione (dal tribunale, pochi anni addietro) e che, evidentemente, tiene conto delle operazioni di gestione necessarie per consentire la sopravvivenza sin qui e – certamente – degli impegni (o debiti, è lo stesso) contratti dal club negli ultimi tempi. Il presidente, dunque, non rilancia, come sussurrato in coda all’ultimo campionato. Ma si defila: come più volte annunciato. Non ci sorprendiamo. E neppure ci sorprenderemmo se, qualcosa, dovesse cambiare in tempi brevi. Malgrado lo stesso Basi abbia ufficializzato il proprio disimpegno, anche personalmente, al sindaco di Taranto. Riscuotendo, peraltro, l’approvazone della frangia più presente della tfoseria. Il problema, semmai, è un altro: garantire l’iscrizione al prossimo torneo. Occorre affrettarsi e c’è tempo sino al trenta giugno. E Blasi giura di non pensare alla possibilità di assolvere il compito. Lo faccia – dice – chi vuole interessarsi al futuro della società. Dimenticando che la disintegrazione del diritto a partecipare al nuovo campionato di terza serie aggredirebbe per primo il titolo sportivo, cioè un suo patrimonio. Il sospetto – fondato - è che l’imprenditore manduriano voglia esercitare pressioni sull’opinione pubblica e, innanzi tutto, sull’amminisrazione comunale, creditrice nei confronti della Taranto Sport (tre anni di fitto, settantamila euro). La gente che tifa, intanto, un’opinione se l’è costruita. E chi prevede un determinato epilogo (il Comune concede lo stadio senza pretendere nulla, Blasi completa le pratiche d’iscrizione, un altro anno di calcio più o meno anonimo è assicurato e poi chissà) non rischia eccessivamente. Non ci meraviglieremmo, proprio no. Respirando persino con sollievo: è questa, oggi, la migliore alternativa al nulla.

giovedì 11 giugno 2009

Lecce, avanti con De Canio

L’opinione pubblica ed anche il Lecce avvertivano l’esigenza di non svalutare il tempo e di impiegare i giorni necessari – quelli giusti e niente di più – per deglutire la retrocessione e riavviare il motore. De Canio, coach che ha traghettato la squadra in B, eppure individuato come guida tecnica ideale per programmare un ciclo calcistico nuovo, necessitava invece di una riflessione più corposa. Immaginando, nel contempo (ma legittimamente) palcoscenici più gratificanti. Certe volte, però, ritrattare una decisione (via, verso soluzioni nuove) si può. Soprattutto se il rapporto di un allenatore con il club e con l’ambiente è solido. Se l’uomo (De Canio, appunto) è personaggio di spessore intellettuale comprovato. Se, malgrado l’epilogo amaro dell’ultimo campionato, il discorso già allacciato offre determinate garanzie di sviluppo. E se la società (cioè il Lecce) è un soggetto serio. E che, proprio per questo, appena sigillato il prolungamento dell’accordo, si è affrettata a spiegare la sua idea della serie B che verrà. Un’idea assai chiara: che scansa, da sùbito, incomprensioni future. Cioè: occorre ridimensinare i costi di gestione, perché i prossimi ricavi sono decisamente inferiori a quelli della A. Un’idea che potrà immediatamente pregiudicare un ritorno veloce nel torneo superiore, ma che fortificherebbe le fondamenta del progetto, affidato anche alla rivalorizzazione del settore giovanile. Forse vagamente dimenticato, ultimamente. Esattamente dai tempi in cui emigrò Corvino. Anzi, colpevolmente dimenticato. Soprattutto perché, in Salento, i risultati sono puntualmente arrivati: anche dal vivaio. Per il quale, però, bisognerà nuovamente investire. Ovvero, spendere. Un settore giovanile, del resto, non si crea così, per caso. O avventurosamente: ma questo, Semeraro, lo ricorderà

mercoledì 10 giugno 2009

Andria, la partita vera comicia adesso

Complimenti all’Andria. E qualificazione al Gela. Qualificazione sofferta, peraltro. Perché la squadra di Loconte, che deve vincere e basta, passa per prima, rischiando di modificare il corso della storia. Allora, i siciliani - sorpresi e colpiti - devono ricorrere velocemente al proprio quoziente di qualità e, soprattutto, alla propria organizzazione per riequilibrare lo score e riagganciare la finale playoff. Dove, probabilmente, Cavaliere e compagni non avrebbero sfigurato. Con questi argomenti, almeno. Complimenti all’Andria. Sinceri. In coda ad una certa sensazione di rammarico. E ad una certezza: la partita vera, quella più importante, per la sopravvivenza, si gioca adesso, in estate. Quando la società dovrà liberarsi di certi dubbi. E chiarirli alla gente. Quando il presidente Attimonelli e i suoi compagni di avventura dovranno confermare il proprio disagio e, eventualmente, formalizzare il proprio disimpegno, del resto già preannunciato. Oppure, rivedere i concetti spesi nei giorni appena passati. Ovvero, ricucire lo strappo con la tifoseria. Che, nella migliore delle ipotesi, dovrà però abbozzare un passo indietro. Venendo incontro ai gestori del calcio cittadino. Che avranno fallito qualche operazione, ma non l’obiettivo di partenza. E dietro dei quali, tuttavia, potrebbe non esserci nessuno. Tante volte, il poco garantito (poco?) è meglio del nulla che avanza: meglio pensarci.

martedì 9 giugno 2009

Bitonto sì, Grottaglie giù

Un gol, uno solo. Più di quello che serve. Il Bitonto apprezzerebbe anche il pareggio, ma trova la vittoria. Praticamente sùbito, agli albori dell’ultimo derby della stagione. Conserva il vantaggio senza vacillare: perché la salvezza, nei centottanta minuti dei playout, non è mai stato un argomento seriamente in discussione. Il Grottaglie è quello di tante volte, tenero e fragile. E la squadra di Ruisi è sempre formazione di sostanza. Non scorre troppa storia, tra le zolle del campo. E gli jonici rincorrono invano un desiderio lontano. Distante sin dal primo minuto della gara di andata. Distante un campionato, cominciato male e finito peggio. Dove i buoni propositi non costituiscono giurisprudenza. E dove, invece, contano i fatti e i numeri. Come i quattro successi conseguiti da settembre sin qui. Troppo pochi per poter pensare di aggirare il pericolo e dribblare l’Eccellenza. Troppo pochi per poter pensare di cancellare un verdetto già scritto.

lunedì 8 giugno 2009

Foggia, quasi al traguardo

Fierezza e orgoglio. Il Foggia versione-playoff spende tutto quello che ha. In gara-uno costringe il Benevento, favorito assoluto della lotteria di fine stagione, a cautelarsi e ad impensierirsi. E, nel match di ritorno, tiene sino in fondo, rimediando al doppio svantaggio e chiudendo con un pareggio che stringe nell’apprensione i sanniti. La finale sfugge (i campani incontreranno il Crotone, adesso), ma resta la doppia prestazione e la sensazione gradevole di una lievitazione nella mentalità della formazione allestita da Novelli. Il Foggia dell’ultimo mese si arrampica sulle proprie forze, matura e lambisce la felicità. La differenza di qualità, soggettiva e collettiva, premia l’avversario e compiace al pronostico, ma i risultati si leggono anche se non appaiono sugli almanacchi. Ora, se non altro, il progetto possiede configurazione e fondamenta. E, soprattutto, consapevolezza. Il club, oggi, sa dove intervenire e migliorarsi, in prospettiva immediatamente futura. Si è appropriato di un metodo, ha scoperto che osare senza svenarsi si può. Ed ha trovato molti uomini propedeutici al disegno. Basterebbe insistere. L’estate va utilizzata: con intelligenza.

venerdì 5 giugno 2009

Manfredonia, salvezza vicina

Tre a zero, fuori casa. I playout del Manfredonia cominciano bene (a Isola del Liri) e, probabilmente, si esauriscono qui. Difficile preventivare, del resto, un rovescio così catastrofico, nel match di ritorno, appena domenica prossima. La salvezza della squadra di D’Arrigo arriva con qualche settimana di ritardo, allora: ma arriva. Premiando, se non altro, l’ultimo mese della regular season, dove Sifonetti e compagni hanno ritrovato stimoli e morale, frutti evidenti di un affiatamento tardivo e di una coralità lungamente desiderata. Ma il Manfredonia, effettivamente, è un collettivo in ascesa. Che può finalmente abbandonare le tensioni di un altro anno difficile. Alla fine del quale il club potrà riorganizzarsi. Dotandosi di una nuova struttura, se davvero il presidente Riccardi si eclisserà. E, qundi, rimodellando il suo percorso programmatico, avviato due anni fa con risultati non proprio felici (una retrocessione e una preventivabile salvezza, passando per gli spareggi). Che non significa abiurare i concetti sin qui sposati (è obbligatorio: la recessione, in riva all’Adriatico, è reale), ma offrire alla guida tecnica del prossimo torneo – qualunque essa sia - una formazione ancora giovane e rampante, ma dotata di personalità. E, soprattutto, robusta e aggressiva, sin dall’inizio.

giovedì 4 giugno 2009

Francavilla, prime separazioni

C’è aria di smobilitazione, attorno al Francavilla. La salvezza agile, conseguita con anticipo sufficientemente largo, sembra non incoraggiare l'inseguimento di orizzonti nuovi. Anzi, patron Distante si è rabbuiato. Ed è tornato a chiedere la partecipazone delle istituzioni e, magari, di nuovi soggetti interessati al progetto. Più o meno come dodici mesi addietro, all’indomani del torneo (vinto) di Eccellenza. E alle soglie del ritorno in serie D, celebrato con una programmazione asciutta, ma gratificante (permanenza con costi complessivamente contenuti). Un anno dopo, dunque, sembra non sia cambiato niente. Anzi, no: perché il direttore generale (Giuseppe Negro), il diesse (Mimmo Nocente) e l'allenatore (Mino Francioso) hanno già salutato, nonostante una stagione e mezza di assoluto pregio. Le previsioni di Distante (abbattimento suplettivo delle spese di gestione) non coincidono con le idee dei due (ex) dirigenti, sin qui abituatisi a rincorrere il traguardo con provvigioni più limitate, rispetto ai predecessori, ma poco disposi a soffrire e a rischiare ancora. Soprattutto Nocente, che a Francavilla risiede e che, troppo spesso, ha vissuto e fronteggiato le esigenze di una piazza ancora particolarmente legata al pallone. E, ovviamente, non coincidono neppure con quelle del trainer. Non tutto da rifare, allora: ma abbastanza. Anche se confidiamo ancora in Mino Distante: uno che s’imbroncia spesso, ma che solitamente non smarrisce del tutto la passione. E che, a lavori in corso, recupera l’entusiasmo. Magari, sarà così anche questa volta.

mercoledì 3 giugno 2009

Conte, sì al Bari

Conte no, Conte quasi, Conte sì. Ufficiale: il coach raddoppia. E il Bari si scrolla quella strana sensazione d’impasse. Avanti insieme: e, infine, è possibile programmare il campionato che riabbraccia la serie A. Matarrese va incontro al trainer, che stabilisce alcune condizioni tecniche. E Conte si ritiene soddisfatto. Molto più facile, adesso: la porta della Juventus è definitivamente chiusa. Perché proprio attraverso la Juve (ma non solo, sia chiaro) passa la cronostoria di un accordo sofferto. All’inizio vicino, poi lontano, quindi nuovamente prossimo a compiersi e, successivamente, a rischio di naufragio. Un naufragio che ha indispettito un po’ la piazza. E, soprattutto, una frangia della tifoseria: seccata dal ruolo assunto involontariamente dal Bari. Quello di seconda scelta. A proposito: l’augurio è che l'antico feeling tra Conte e la gente non si sia incrinato. Non è piacevole rinfacciarsi le opinioni prima che cominci l’avventura. Anzi, è dannoso. E traporta cattivi pensieri.

martedì 2 giugno 2009

E alla fine fiorisce l'Andria più bello

L’Andria intraprendente confezionato per i playoff costruisce e piace, ma non finalizza. Lo zero a zero, così, è particolarmente gradito al Gela, che – domenica prossima – potrà disporre del conforto del proprio terreno di gioco e del miglior piazzamento ottenuto in campionato. L’undici disegnato da Loconte, però, impregna di sé la partita, dignificando la sua partecipazione agli spareggi di fine stagione. Ma tant’è: e poi non è mai tardi per lievitare. Anzi, raggiungere la condizione più rassicurante proprio adesso è addirittura preferibile. Malgrado il gruppo intero sappia a che tipo di match (il prossimo) va incontro. Un match che, tuttavia, non assegna all’Andria il ruolo di favorito e che, dunque, riversa su Cazzarò e soci una pressione contenibile. Più difficile, invece, è confinare l’amarezza di fondo, che si miscela ad un pizzico di rabbia. Perché la versione più bella di questa squadra riscatta, ma non cancella certi momenti un po’ opachi: gli stessi che hanno attraversato il discontinuo cammino di un collettivo che avrebbe potuto digrignare i denti molto meno e affacciarsi all’appendice del torneo molto prima. Occupando, magari, un podio più confortante. Quel che è stato, però, è stato. E quel che sarà non lo conosciamo ancora. L’Andria, comunque, in questo rush finale può solo guadagnarci. E se il suo calcio è quello appena visto, nel mare delle incognite dei playoff c’è ancora una possibilità per chi si è svegliato tardi.

lunedì 1 giugno 2009

Poco Bitonto, pochissimo Grottaglie

L’approccio alla partita del Grottaglie è morbido, come altre volte. Solo che, adesso, parliamo di playout, lotteria in cui è asssolutamente consigliabile ruggire, aggredire. Nella gara uno dello spareggio per non affogare, la manovra jonica non fiorisce mai e l’intensità di calcio proposto è gravemente insufficiente. Senza cattiveria agonistica non si va da nessuna parte. E la squadra di Orlando è scarica, spenta, esile, spaurita. Il Bitonto deve solo vigilare e contenere, garantirsi un ordine. Guardare e attendere che arrivi quello che, novanta su cento, pioverà domenica prossima: la salvezza. A casa sua, dove basterà un pareggio, con qualsiasi risultato. La gente di Ruisi non si spreme, non si affatica, non si industria. Non vuole. E, soprattutto, non deve. Ad Infantino e compagni basta quello che suggerisce il campo. Quello che il Grottaglie non riesce a creare. Scrivendo, sull’erba, una gara che non avrebbe portato niente: anche se il gioco fosse proseguito sino a mercoledì. E pensare che, questa, per il Grottaglie, era la partita più importante. Quella che che, invece, sottrae altra speranza. Trasportandola al di là della barricata.

La Supercoppa rafforza Giannini?

Il Gallipoli è ancora affamato. E a Cesena, proprio ieri, si impossessa anche della Supercoppa di C, trofeo didascalico, ma anche mediaticamente efficace. Due a uno: un supplemento di felicità, l’occasione migliore per abbellire l’unicità di una stagione che può andare finalmente acquietarsi. Due a uno e tutti a casa. Ma non per riposare. Non la società, almeno. Che, a pratiche elettorali sbrigate, dovrà obbligatoriamente guardare oltre. Il primo problema da risolvere è, stadio a parte, quello della panchina. Giannini sta ancora aspettando un segnale, un messaggio. E, nell’attesa, distribuisce un po’ di concetti. Leggermente più accomodanti, negli ultimissimi giorni: che significhi qualcosa? Anche se sono (devono essere) soprattutto i risultati conseguiti sin qui ad istruire. A proposito: la Supercoppa, se non altro, rinfresca gli entusiasmi un po’ sviliti, in riva allo Jonio, dalle chiacchiere di maggio. Candidandosi, chissà, a diventare propedeutica alla comprensione del futuro. Il futuro che è dietro la porta. E che il club non può più incatenare.