venerdì 31 luglio 2009

L'illusione, la certezza, l'amarezza

L’illusione, la certezza del responso, l’amarezza ingoiata a fatica. Tutto vorticosamente centrifugato nella storia recente del Grottaglie: prima lusingato da un ripescaggio ritenuto sicuro e inattaccabile dalle liste d’attesa pubblicizzate dalla Lega Dilettanti e poi scavalcato al fotofinish, in dirittura d’arrivo, dall’Elpidiense, formazione marchigiana che disputerà il prossimo campionato di D. L’Ars et Labor, invece, rimarrà dov’è caduta, in Eccellenza. La notizia si abbatte in un giovedì di rincorsa frenetica al raduno di Gubbio, ormai prossimo, e all’allestimento della squadra che avrebbe dovuto dipendere dalle idee e dagli schemi di Franco Dellisanti, nocchiero pregiato e ormai convintosi a scendere di categoria. L’Elpidiense vince il ricorso, guadagna punti nella classifica di chi ambisce al salto burocratico e i progetti jonici si sgretolano. Il Grottaglie scivola dal terzo al quarto posto: dettaglio niente affatto trascurabile. Anzi, fortemente vincolante. E la gente, intanto, si interroga. Cerca di capire quel poco che resta da capire. Ovvio, il ripescaggio è sicuro quando diventa ufficiale, non prima. Ma le indicazioni del Palazzo sembravano precise. Suscettibili di variazioni, questo sì: dettate dall’esito dei ricorsi, appunto. Quello della Pistoiese (respinto), innanzi tutto. E poi quello dell’Elpidiense. Difficile, a questo punto, puntare l’indice contro il club biancazzurro: comportatosi come avrebbe dovuto. Colpevole solo di aver confidato invano. E premuroso anche nel riorganizzarsi: inutilmente. Dettaglio che, tra la tifoseria, sta diventando una macchia. Ingiustamente, aggiungiamo. Evidentemente, però, riaffiora l’energia di un attrito antico. Anzi, adesso la distanza tra il presidente Ciraci e una parte della torcida sembra riallargarsi, speditamente. E la stagione che sta per cominciare, quella del ritorno nella premier league regionale, comincia male. Peggio di quanto si potesse immaginare. La disillusione può far male. E un mancato ripescaggio può diventare più dannoso di una retrocessione. Di più: questa volta, non c’è neppure il tempo per digerire il verdetto, per assimilarlo. Tra un mese si riparte. Chissà come, chissà con chi.

giovedì 30 luglio 2009

Andria, la felicità si chiama C1

Il capitolo ripescaggi premia la Puglia, ancora una volta. Dopo il Grottaglie, ritrovatosi in D in coda alla retrocessione sul campo, festeggia anche l’Andria. L’Andria semifinalista dell’appendice dei playoff e appena transitato dalla gestione Attimonelli alla scrivania di Pasquale Musci, antico nocchiero del pallone biscegliese. La felicità si chiama C1. Non proprio improvvisa, non proprio insperata. Se ne parlava da un po’: previsioni accolte, allora. Dietro, certo, emerge il peso di una storia calcistica, quella di una città che ha pure vissuto momenti agghiaccianti, come una radiazione per motivi disciplinari e un’altra per cause economiche. Una storia che, però, sa anche di B. E che interagisce con l’energia nuova di un capoluogo di provincia appena costituito e, innanzi tutto, con l’ingente fidejussione richiesta ai club da ripescare in terza serie e assicurata dal nuovo gruppo dirigenziale. Una fidejussione che, forse, la vecchia struttura di comando non avrebbe potuto garantire: non fosse altro che per un vuoto di entusiasmo. L’entusiasmo che, invece, anima e stimola Musci. Uno che comincia bene il suo viaggio: questa è la sua prima vittoria.

domenica 26 luglio 2009

Nervi e cattive figure

Adesso, nelle tenebre del Gallipoli, sembra spuntare anche il profilo deturpato di Moggi, che alcune voci vorrebbero dietro le strategie calcistiche di un gruppo imprenditoriale interessato al club jonico. Oppure sono semplicemente chiacchiere, alimentate da un’estate devitalizzata di qualsiasi punto di riferimento. Intanto, le trattative impostate da patron Barba continuano a correre verso diverse soluzioni. Anche se la vera soluzione non si intravede affatto. Tanto che la rabbia della tifoseria monta vistosamente: con un sit in di protesta già pronto, che indispettisce il presidente. Pronto, peraltro, anche a minacciare: se non vende, cioè, si chiude. E si riparte dai campionati dilettantistici. Sfoghi di una città calcisticamente sull’orlo di una crisi di nervi. E già nel baratro di una cattiva figura mediatica. Niente male, come primo approccio ad un palcoscenico autenticamente nazionale.

giovedì 23 luglio 2009

Gallipoli, ore d'attesa

Ci sembra che la storia si sia abbondantemente incanalata nel binario dell’assurdità. Anche se un epilogo – dicono – è vicino. Anzi, vicinissimo: roba di ore, addirittura. La sostanza, però, non cambia. Del resto, è noto che il presidente Barba pretende rinforzi societari (aiuti economici, cioè). Ma la pretesa, riabbattutasi all’immediata vigilia del campionato, ha già abbondantemente condizionato la quotidianità del Gallipoli. In un momento in cui le squadre, già disegnate, cominciano a lubrificare gli ingranaggi. Ecco, appunto, il Gallipoli: ancora un intreccio sbiadito di situazioni informi. Privo di un progetto. O, comunque, di un progetto pubblicizzato. Tuttora senza guida tecnica (anche se Giannini, si dice, stia per prolungare l’avventura sullo Jonio). E senza un organico definito su cui puntare. Ovviamente, il ritiro d’inizio stagione non è stato neppure fissato. E, ovviamente, in prospettiva, cominciano a difettare garanzie tangibili. Non biasimiamo Barba, è chiaro. Ma ci lasciano perplessi i giorni lasciati svicolare invano. O meglio: l’inutile protrarsi di diverse trattative: con gruppi svizzeri, oppure italiani. Sembra, anzi, che il Gallipoli si sia ritrovato in B all’improvviso, senza volerlo. E, adesso, non sa come comportarsi. Invece no: il Gallipoli è stato costruito per vincere il campionato di terza serie. E di scalare la piramide: sin dall’Eccellenza. In sede di programmazione, il problema avrebbe dovuto essere affrontato. O soppesato. Probabilmente, il vertice del club non l’ha fatto. Oppure, inizialmente, ha sottovalutato la questione. Dimenticando, probabilmente, che il calcio gallipolino è rinato con Barba e di Barba si nutre. Perché non esistono alternative. E che, senza Barba, il Gallipoli navigherebbe ancora nelle paludi dei campionati dilettantistici. Esattamente dov’era, prima di acquistare il titolo sportivo del Leverano.

martedì 21 luglio 2009

Grottaglie, ripescaggio riparatore

Non è ufficiale, ma quasi. Il Grottaglie si riprende la D. Dopo averla persa dalla porta principale, la riconquista con l’efficacia di una pratica burocratica che affonda le radici su un passato prossimo sostanzioso e sull’affidabilità dell’impianto di gioco. Fattori che, in estate, possono contare più della solidità della squadra. Il ripescaggio, a questo punto, sembra scontato. Ancorchè tenacemente inseguito da Ciracì, presidente assai contestato da una parte della piazza e che, dunque, non conosce dettagliatamente il contorno del proprio destino. Certo, tutto sembrerebbe persino facile: la tifoseria non gradisce più la presenza di ciraci e Ciraci, probabilmente, lascerebbe volentieri l’incarico. Tanto più che l’Ars et Labor possiede sempre un padrone, Settanni. Uno che, però, non intende fare calcio da solo. Avvalendosi, piuttosto, di una forza economica che spartisca gli oneri. Il problema, però, esiste. Ed è quello di sempre: il ricambio dirigenziale. Anche per questo, allora, è facile dubitare sul tramonto dell’attuale gestione. A meno che la serie D riacquisita non risvegli appetiti assopiti. Ciracì, è chiaro, ora dovrà sapere e, eventualmente, far sapere. Perché il campionato sta per nascere. Se dovesse rimanere, tuttavia, non potrà rinunciare all’armistizio. E dovrà essere liberato anche dalla zavorra di antiche e sotterranee questioni, che prima hanno minato il cammino nell’ultimo torneo e poi– a retrocessione avvenuta – hanno ravvivato il fuoco della contestazione. Comunque vada, dunque, meglio chiarirsi subito. Per non vanificare pure gli effetti di un incrocio incredibile di situazioni favorevoli (otto club che scompaiono contemporaneamente non è un caso comune) e di un ripescaggio riparatore.

venerdì 17 luglio 2009

Noicattaro, tempo di lacrime e sangue

Alla fine, per il Noicattaro, è meglio così. E’ meglio che il club sia rimasto sotto la protezone di Tatò. E che, dunque, il titolo non sia slittato a Molfetta, dove Canonico (che avrebbe dovuto acquisire le quote societarie, almeno quelle di maggioranza: ma poi l’accordo è saltato, anche sulla scia della polemica) si sarebbe comunque sistemato. E dove, peralto, è approdato a bordo del Liberty Bari, universo alla ricerca infinita di una sistemazione conveniente. Meglio così, davvero: a Noicattaro, cioè, rimane la C2. Con quali prospettive, però, è un altro discorso. Tatò, del resto, ha chiarito immediatamente: resta, ma con programmi di basso profilo. Giovani, tanti giovani. E tanta fiducia. Nella salvezza, se dovesse arrivare. Coach Sciannimanico, intanto, si è accordato col Barletta. Menolascina si è accordato con il Terlizzi. E Lucioni è rientrato alla Ternana. E così, adesso, a sorvegliare i giovani del Noicattaro ci sarà l’esperto Angelo Carella, che si riavvicina al professionismo del pallone. Inutile fare finta di niente: si sta disegnando un campionato di lacrime e sangue. Di sofferenza pura. Sempre che non cambi qualcosa: ipotesi, tuttavia, molto più che improbabile. Il Noicattaro, però, esiste ancora. E questo dovrà bastare. Purchè il pubblico recepisca il concetto. Dopo aver anche osteggiato un progetto molto più confortante, appena pochi mesi addietro. E sì: lacrime e sangue. Si riparte presto. E speriamo bene.

martedì 14 luglio 2009

Bari, ripartenza ovattata

Il Bari lavora già, in ritiro. Con Ventura. E con volti nuovi: una decina abbondante. Ma la ripartenza è sembrata vagamente ovattata. Perché la tifoseria, peraltro stordita dalla vicenda-Conte e dai suoi contorti sviluppi, avrebbe atteso invano qualche cognome trainante. Che potrebbe arrivare in sèguito, oppure no. Non è, cioè, un obbligo. E neppure una necessità imprescindibile. Dice bene, del resto, il presidente Matarrese: con Boban e Platt in squadra, un Bari ambizioso di qualche tempo fa affondò in B. E uno molto più operaio, per esempio, si riguadagnò la fiducia della gente, riacquistando sùbito dopo i diritti del massimo campionato. Più o meno come accaduto nuovamente due mesi addietro. La serie A, tuttavia, è un’altra storia. E, malgrado tutto, serve gente importante. Non tanto dal punto di vista del blasone, ma nelle caratteristiche di gioco. Per salvarsi, riteniamo, occorrono protagonisti che corrano, ma anche tecnicamente dotati. E affidabili sotto il profilo della personalità. Di categoria, per intenderci. L’impressione, oggi, è che questo Bari si sia notevolmente ridisegnato, affidandosi a un gruppo di giocatori probabilmente affamato, ma anche non eccessivamente carrozzato di esperienza specifica nel primo torneo nazionale. L’altra impressione è che la società si fidi incondizionatamente (ed è giusto che lo faccia, dal momento che l’ha scelto) delle qualità del tecnico e della sua abilità nel consegnare formazioni compatte ed efficaci. E, allora, ci sembra pure di capire che molto futuro passerà attraverso il lavoro quotidiano e il modulo imposto da Ventura. Quest’anno più che mai, poi, la serie A si annuncia particolarmente equilibrata. E sprovvista, almeno sulla carta, di collettivi al di sotto della media. Dunque, per assimilare la permanenza, che è l’unico obiettivo del Bari, non si potrà prescindere dalla perfetta lubrificazione dell’ingranaggio. Né si potrà confidare troppo sulle carenze altrui. Eppure, nonostante tutto, la sensazione è che manchi davvero qualcosa. Cioè lo spessore di cui si nutre un collettivo. Potremmo sbagliarci. Anzi, ci auguriamo di sbagliare. Ma di una cosa siamo sicuri: il format del campionato è sempre lo stesso. E, alla fine, saranno in tre a pagare pedaggio. E, da qualche parte, dovranno pure uscire.

venerdì 10 luglio 2009

Taranto, non è mai troppo tardi

Prendiamo atto: il Taranto, per una volta, non bleffava. La pratica d’iscrizione al prossimo campionato di C1, come giuravano il presidente Blasi e il direttore generale Iodice, era corretta. E le insinuazioni di un quotidiano solo insinuazioni. Un motivo in più per rinsaldare il legame (deteriorato) tra il club e l’ambiente. E per riallacciare i contatti con la normalità. Operazione che sta costando notevoli (e apprezzabili) sforzi, dal punto di vista della diplomazia. E pure un certo sacrificio economico, considerati i primi acquisti (Innocenti, Zappino, Corona). Acquisti dotati di nome e pretese, evidentemente. Il vuoto di fiducia, del resto, andava colmato. E la società si sta attrezzando. Anche di questo occorre prendere atto. Anche se la diffidenza continuerà ad aggirarsi ancora, tra la gente che tifa. E’ il prezzo che il Taranto deve pagare. Ma non è mai troppo tardi per riconquistare la considerazione.

giovedì 9 luglio 2009

Barletta, il profumo del pericolo

Il Barletta, ora, rischia davvero. Il Barletta, oggi, è fuori dalla C2. L’iscrizione trascina un vizio di forma, che è pure vizio di sostanza: lo stabilisce il regolamento, lo conferma la Covisoc. Non è neppure un dato totalmente inatteso: se il presidente Sfrecola, proprio in questi giorni, ha ufficializzato il proprio disimpegno, un certo disagio economico esiste. E si fa sentire. La cancellazione del diritto a partecipare ai campionati professionisti è un pericolo tangibile. Inutile girare attorno alle parole. E l’eventualità finirebbe con il cancellare gli sforzi profusi negli ultimi quattro anni. Sforzi non indifferenti, utilizzati per azzerare parte del gap maturato con l’ancora recente fallimemento della vecchia società, quella passata anche attraverso il paradiso della B. Dettaglio, questo, che arriva in tempo a ricordarci quanto possa essere inutile accelerare il processo di rimonta, quando le fondamenta sono deboli. E quanto sia illogico indebitarsi (o svuotarsi) per viaggiare veloci e poi schiantarsi contro un nuovo muro. Il calcio, da quesnto punto di vista, non si smentisce mai. E, prima o poi, punisce. Molto spesso chi è recidivo.

domenica 5 luglio 2009

Il problema della trasparenza

Da un toscano (Stringara) all’altro (Braglia). Da un tecnico dotato di toni felpati ad un trainer più sanguigno. E meno protocollare. Il Taranto risolve il primo problema, quello della guida tecnica. Adesso, la duplice Blasi-D’Addario dovrà risolvere gli altri. Quello legato alla ristrutturazione della squadra, ma non solo. Perché nubi dense sembrano aggirarsi sul club. Nubi che arrivano direttamente dalla Covisoc, l’organo che vigila sullo stato di salute delle società professionistiche e che potrebbe – se ne parla, facile pensare che qualcosa di vero si agiti, nel mare delle indiscrezioni – complicare le operazioni di iscrizione al prossimo torneo di terza serie. Nubi che si abbattono sulla ritrovata armonia, tra i due Mari. Armonia sapientemente edificata dalla new entry D’Addario, che ha saputo toccare il cuore della tifoseria con frasi garbate e con gesti mediaticamente intelligenti (l’istituzione di un confronto diretto, ancorchè virtuale, sulle pagine del web con i supporters). Oppure, con la promessa di un’efficace riorganizzazione dell’ingranaggio: partendo dalla partecipazione popolare alla gestione del sodalizio (promessa temeraria, di questi tempi, a queste latitudini). Per arrivare alla nuova tarantinizzazione della sede sociale, praticamente spostata a Manduria da Blasi. Passando per la rivalutazione del settore giovanile: argomento al quale tanti (troppi) si aggrappano, forse senza conoscere l’anima della questione, che sottintende dosi coraggiose di volontà - diciamo pure politica – e, soprattutto, reale interesse nell’investimento. Perché di investimento (vero e proprio, ma anche corposo) si tratta. Un investimento (di capitali, ma anche di professionalità) che, in riva a Mar Piccolo, nessuno ha mai avviato con convinzione. Né Blasi, né altri prima di Blasi. Malgrado i proprietari del Taranto (di tutte le epoche), certi addetti ai lavori e certi titoli di giornali abbiano voluto far credere il contrario, negli ultimi trent’anni. Un investimento che, più in là nel tempo, cominciò a darsi forma, per poi naufragare nei problemi di sempre. Lasciando tracce sparse: evidentemente insufficienti a stimolare chi, allo Iacovone, è arrivato dopo. Parentesi chiusa. Perché di presente, ora, occorre parlare. E, per esempio, di un altro problema che il Taranto dovrà risolvere. Forse, il più importante. Quello della trasparenza. Come, da ultimo, la cattiva gestione della trattativa con Giannini conferma (conosceremo mai una versione dei fatti univoca? Del resto, in estate può accadere tutto e il suo contrario: comprenderemmo qualsiasi orientamento della dirigenza. Soprattutto adesso, ad allenatore ingaggiato). E come insinua la questione-Covisoc. Perché, il Taranto – sin qui – ha giurato la propria correttezza nell’applicazione dei regolamenti. Alla quale, a questo punto, dovremmo credere solo a iscrizione ufficializzata. Il momento della verità, peraltro, sta arivando. Aspetteremo.

venerdì 3 luglio 2009

Foggia, c'è Ciuccariello?

Capobianco si defila. O, almeno, così fa capire. Disarcionandosi dalla conduzione del Foggia, cioè dimettendosi dalla presidenza. Anche se qualcuno ipotizza che la soluzione sia esclusivamente una provocazione. O meglio, un’operazione tecnica che allarmi le istituzioni e l’imprenditoria cittadina, chiamate ad avvicinarsi alla società. Lo stato di crisi, tuttavia, è ufficialmente aperto da tre giorni. E consolidato dal contemporaneo disimpegno del diesse Fusco. Qualunque sia, dunque, il problema esiste. Proprio mentre si riavvicina al club il nome di Ciuccariello, lucerino emigrato in Piemonte che, pochi mesi addietro, avrebbe voluto impossessarsi delle quote azionarie del Torino. Inventandosi una formula un po’ ingenua e anche buffa. Presentandosi male: diciamo pure così. Se davvero Ciuccariello volesse, prima o poi, impegnarsi con il Foggia, auguriamoci allora che abbia sgrezzato lessico e maniere. Certo, questa non è serie A, ma solo un’onestissima terza serie. Però, anche questo è pallone. E, in fondo, il pallone è uguale ovunque. L’improvvisazione non paga. Ma si paga. A prezzi d’inflazione.