sabato 31 ottobre 2009

L'Andria è rinsavita con Papagni

L’Andria, all’improvviso, è rinsavita. L’ultima esperienza di campionato conferma i progressi recenti. E il pari di Lanciano (due gol di svantaggio recuperati) pesa molto. Soprattutto perché la prestazione di carattere si accoda alla brillante affermazione ottenuta sette giorni prima sull’allora capolista Portogruaro. L’acclimatazione al campionato può dirsi completato: sette punti in tre partite, le ultime, sono un dato affidabile. Ma i segnali inequivocabili di lievitazione coincidono con l’arrivo sulla panca di Aldo Papagni, uomo quieto e tecnico guidato dal buon senso e dalla capacità di relazionarsi e interagire dialetticamente con la propria truppa e con l’ambiente che lo circonda. La bontà del suo operato è evidente. E oltrevalica i confini tattici. Il fatto, poi, non è assolurtamente casuale. Papagni riesce – puntualmente – a imporsi in piazze solitamente agitate: come quella di Andria (qui sta consumando la sua seconda felice gestione) o, per esempio, come quella di Taranto. L’applauso gli va riconosciuto sin d’ora: a prescindere dai risultati che saprà raccogliere a fine stagione.

venerdì 30 ottobre 2009

E ora il Fasano è solo

Il Fasano, ora, è proprio solo. Solo in coda alla classifica: perché il peso specifico del Pianura (che s’impone al Curlo nel match infrasettimanale) è inconfutabilmente più elevato, malgrado le difficoltà passate e presenti che la squadra partenopea ha incontrato e incontra tuttora. Ed è solo con i suoi pensieri, abbandonato anche dalla gente che tifa. E che contesta sonoramente. Tanto da consigliare un summit tra la frangia più accesa della tifoseria, la squadra e i vertici del club. Il più avversato, peraltro, è direttore generale Vinci. Il più avversato e anche il più rammaricato. Nonostante sia stato sempre chiaro. E malgrado abbia riportato con trasparenza, più volte, il problema di fondo, che è squisitamente economico. «E allora non capisco queste contestazioni, quando tutti conoscono da tempo la situazione del calcio fasanese», dice. Sottoscriviamo. Il Fasano è solo, ma un dettaglio non va trascurato: la società non ha mai bluffato. Siamo tutti testimoni.

giovedì 29 ottobre 2009

Il Francavilla vince. Ed è più di qualcosa

Il Francavilla vince. Ed è più di qualcosa. Vince digrignando i denti, strappando l’uno a zero dalle avversità di percorso (il Bitonto fallisce un penalty, Petrachi lascia la squadra in dieci per mezz’ora, recupero compreso), monetizzando il vantaggio che piove agli albori della partita (infrasettimanale). Decide un destro di Ferrari, mediano di corsa e sacrificio. In collaborazione con un avversario, la formazione di Pizzulli, caratterialmente un po’ dimesso, dalla reazione lenta. Non proprio il Bitonto, cioè, che ci saremmo aspettati. La prima volta del Francavilla, però, è una camminata di salute all’interno di un campionato nato male, che però il club sta cercando (e cercherà) di aggiustare, ricorrendo alle fantasie di un mercato sempre in movimento. Il presidente Distante, come previsto, sta mutando il profilo di un collettivo sin qui non eccessivamente carrozzato per il torneo di quinta serie. Mentre coach De Rosa, per il momento, si affida ad un approccio del match più consapevole, più aggressivo. E i risultati sono sùbito tangibili: la classifica si alimenta e certe ombre pericolose (in tribuna, ieri, c’era Nicola Di Leo) si allontanano. Sì, il Francavilla vince. Ed è più di qualcosa.

martedì 27 ottobre 2009

L'involuzione del Monopoli

Il possesso di palla è una priorità del Monopoli. Ma la supremazia territoriale, talvolta, non paga: soprattutto se la manovra si arruffa. Anche perché il dispositivo del Siracusa si compatta sempre più, muovendosi in direzione univoca e riducendo gli spazi. L’avversario, anzi, si fa progressivamente sempre più attento anche nella gestione del pallone e, in mediana, Berti e soci cominciano ad arrivare primi nei contrasti. Cioè: i siciliani guadagnano campo e la formazione di Pellegrini, progressivamente, si sfilaccia, perdendo lucidità e smarrendosi. Il rovescio di domenica si spiega anche così. Certificando un’involuzione della squadra sotto il profilo dell’interpretazione del match. Involuzione che azzera persino l’approccio discreto alla gara. La sconfitta, peraltro, attira le prime contestazioni: eccessive, forse. Ma che rientrano nella logica del pallone. Il Monopoli, abbiamo detto e scritto più volte, è però un gruppo solido. Un gruppo vero. E la robustezza di un collettivo emerge quando serve. Il momento delicato è arrivato. E va affrontato, sùbito. La prova di maturità comincia adesso. E, se le prime sensazioni del campionato non ci ingannano, continuare a puntare su questo gruppo non è un azzardo.

lunedì 26 ottobre 2009

Bari, la squadra del momento

Adesso, l’euforia è un pallone che rotola al San Nicola. Che trafigge due volte la Lazio e che, teoricamente, apre orizzanti nuovi. La sorpresa più coinvolgente di questa prima fetta di stagione si chiama Bari. Quel Bari immediatamente dietro le prime forze del torneo, trascinato dalla sua stessa impermeabilità (la formazione di Ventura, oggi, è la meno battuta del campionato) e dalla frizzante spensieratezza dei suoi protagonisti. Il Bari, sì, è la squadra del giorno. Ma non potrà godersi il momento troppo a lungo: mercoledì si torna a giocare. E i prossimi due impegni sono assolutamente niente male: prima, Gillet e soci incroceranno i tacchetti con il rampante Parma e, sùbito dopo, con la Samp di Cassano. Impegni dispendiosi e pericolosi. Ma, forse, persino opportuni, utili: a non fantasticare troppo, a riconcentrarsi velocemente sul cammino che dovrà condurre alla permanenza, che resta l’obiettivo più credibile. Il Parma e la Samp, in appena quattro giorni: eppure, meglio consumare il doppio test ora, sicuramente. Anche per capire qual è l’intensità e qual è la scorza di questo Bari. Che, dicevamo, non potrà godersi il momento sino in fondo. Che si vede privato di qualche giorno di (legittima) euforia. E il dettaglio, contrariamente alle apparenze, non è proprio una controindicazione.

Il derby della storia castiga il Gallipoli

La storia del derby sgualcisce l’incanto del primo derby della storia. Il Gallipoli affonda a Lecce (lo zero a tre è passivo che infastidisce e che rischia di generare ripercussioni antipatiche) e patron D’Odorico minaccia provvedimenti. Contro la squadra, precisa. E non contro Giannini, il suo condottiero: criticato – più o meno unanimemente – per l’eccessiva disinvoltura tattica con cui ha affrontato l’impegno, ma non per questo delegittimato nel ruolo di punto di riferimento della programmazione triennale. Contro una squadra arrivata alla sfida troppo scarica. O troppo carica: tanto da afflosciarsi, estraniarsi, scomparire. E soccombere prima del tempo, di fronte ad un avversario che, lentamente, guadagna sempre più sicurezza. La storia del derby avvilisce l’euforia dell’evento. E il Gallipoli comincia a conoscere le insidie di una classifica corrosa dalle ultime prestazioni. Alla quale neppure il punto recentemente restituito dalla giustizia sportiva riesce a offrire troppo colore. Tutto si complica, esatto. Ma ci incuriosisce sapere come saprà vivere l’emergenza un ambiente abituato, sin qui, soltanto a vincere. E come saprà gestire il momento delicato un presidente esplosivo, che però continua a credere nella bontà del progetto. Molto futuro passerà da questi punti nodali. Al resto, invece, dovrà pensarci Giannini. Con l’umiltà che rende più forti. E che, spesso, aiuta a ritrovare la funzionalità perduta.

mercoledì 21 ottobre 2009

Lima, un salto indigeribile

Dall’erba alla terra battuta. Dagli stadi di pregio ai campi di provincia. Dai riflettori alla periferia. Il dislivello è accentuato. E il salto è misterioso. Anche per Lima. Non il primo e neanche l’ultimo a tentare il proseguimento di una carriera che si sta fisiologicamente consumando: assaggiando il campionato regionale di Promozione, a Racale. In una squadra oggettivamente nata per vincere e per dettare le proiprie regole ad un campionato che, tuttavia, possiede per intero i requisiti di una competizione dilettantistica. Il brasiliano, in estate, in coda alle esperienze sudamericane, turche e italiane (Roma, Bologna, Lecce e, infine, Taranto, appena l’anno scorso) decide di abbandonare il professionismo ufficiale per entrare dalla porta del dilettantismo di facciata. O del professionismo occulto. Tutto normale: almeno per due mesi. Il tempo di ambientarsi ( o non ambientarsi), di assicurare il proprio contributo in un collettivo che, superato l’approccio alla realtà, comincia a carburare e di confrontarsi con la natura sconosciuta della settima serie nazionale. Poi, il divorzio consensuale dalla società salentina: storia di questi ultimi giorni. All’improvviso, malgrado le buone parole utilizzate dagli addetti ai lavori per ufficializzare la riuscita dell’operazione. Il comunicato ufficiale non entra nei dettagli, né nell’universo delle cause. Resta, però, qualcosa di incompiuto. E l’impressione che il salto all’indietro, talvolta, è indigeribile. Como certi campi in terra battuta, o la mentalità di un mondo così diverso.

lunedì 19 ottobre 2009

Il campionato aspetta il Lecce

La solita serie B: quanto tutto sembra complicarsi, bastano un paio di risultati in fila per tornare a sorridere. E allora, malgrado tutto, il Lecce è solo due punti sotto la soglia dell’attuale quota playoff. Con una partita da recuperare. E con la prospettiva di un’altra gara da disputare in casa, sabato prossimo. Anche se il calendario assegna alla formazione di De Canio la trasferta di Gallipoli. Ma venerdì, nell’anticipo, la vittoria conseguita di fronte alla Salernitana non sembra aver troppo convinto gli esteti, né chi ipotizzava la quadratura definitiva della manovra. O meglio: il Lecce ha navigato nel mare della propria superiorità, senza tuttavia installarsi nel cuore della partita, senza arrivare sino in fondo. Intuendo, però, il valore dei tre punti e lasciandosi giustamente sedurre dalla convenienza di un risultato ottenuto senza molto penare e, dunque, placandosi prima del tempo. E scongiurando, così, qualsiasi eventuale contrattempo. Il successo e, soprattutto, la posizione all’interno della classifica vanno dunque verificati. Quanto prima. L’analisi più efficace, intanto, risiede in una frase di Gigi De Canio. La squadra, cioè, deve abituarsi a vincere. Ovvero, maturare. Diventare adulta. Condizione essenziale per garantirsi la fiducia e per convincere il suo stesso nocchiero. Il quale, a lavori in corso, continua a non sbilanciarsi più di tanto: segno evidente che questa squadra prosegue il suo processo evolutivo. L’attesa, dunque, non è finita. Ma, fortunatamente, quello di B è un campionato che non si affretta a conoscere la verità.

domenica 18 ottobre 2009

Fasano, tra disciplina ed esigenza

Tutto comincia (o finisce) un giovedi come tanti, in un test come tanti. Un intervento rude, poi parole infuocate, quindi la rissa. Gli animi del Fasano e dell’Alberobellonoci, due mondi diversi e espressioni di campionati differenti, si scaldano e il match finisce lì. E qualcuno deve anche riparare nel pronto soccorso del nosocomio di Putignano. Il giorno dopo, infine, piove nelle redazioni un asciutto comunicato ufficiale: Capocchiano ed Evacuo vanno considerati, da ora in poi, due giocatori tagliati. La società del Fasano, cioè, punisce i suoi colpevoli: duramente. Privandosi , così, di due pedine di un certo (ipotetico) spessore, all’interno di un elenco di disponibili certamente non esuberante, numericamente parlando. E, comunque, di due attaccanti. Contemporaneamente. Artiglieri titolari di una squadra che rincorre il gol senza troppe fortune, ultimamente. La disciplina è la disciplina: e, certe volte, non serve discutere. Ma, onestamente, sorge il sospetto che i tagli siano stati pilotati più dal rendimento sul campo, che dal profilo comportamentale di Evacuo e Capocchiano. E che la rissa del giovedì costituisca il pretesto di una decisione maturata nel tempo. O, comunque, utile per sgravarsi da certi costi di gestione. E per giustificare un’esigenza consolidatasi nei primi due mesi di campionato. Non si spiegherebbe, altrimenti, il peso specifico di una risoluzione che, teoricamente, abbassa il quoziente di pericolosità e anche quello tecnico di un organico che, anzi, continua a reclamare puntelli. Vero: la disciplina è sempre la disciplina. Ma, di questi tempi, nessuno è disposto a cedere niente. Neppure di fronte all’etica. Soprattutto se c’è un pallone che rotola sul prato. Il club, però, ne esce benissimo. Elegantemente. Esercitando una propria facoltà. E sia. Ma, forse, un giovedì come tanti sembra arrivato giusto in tempo.

giovedì 15 ottobre 2009

Manfredonia, ritardo fisiologico. O quasi

Il ritardo è fisiologico. Lo fa sapere il gruppo di comando del Manfredonia, in una nota scritta, all’indomani dell’astensione dagli allenamenti decisa – per un solo giorno, dimostrativo – dalla squadra. Sciopero leggero, quasi indolore: per sensibilizzare opinione pubblica e società. Per ricordare che gli stipendi non sono stati ancora irrogati. Una storia di indubbia routine, sui campi della C. Seguita da una risposta di altrettanta indubbia routine. Che non si allontana, peraltro, dalla verità più vera di una realtà, quella del calcio meno pregiato, sempre più vicina alla crisi cronica. I pagamenti, fa sapere il club, avverrano quanto prima. E il ritardo, appunto, è fisiologico. Intanto, il Manfredonia continua a galleggiare nel suo secondo campionato consecutivo di C2. A galleggiare con alterne soddisfazioni (domenica, al Miramare, è piovuta la sconfitta, di fronte al Melfi: e, forse, non è sufficiente reclamare sulle inesattezze del direttore di gara). E il rendimento dell’organico costruito in estate continua a sembrare al di sotto delle attese. Adesso, qualcuno potrà persino accostare la classifica modesta e lo sciopero, trovando una connessione tra le due situazioni. Ipotesi che qualsiasi allenatore e qualsiasi giocatore scarterebbe, in sede di commento. Lasciando i dubbi. E due ritardi. Quello dei pagamenti, evidentemente fisiologico. E quello in classifica, un po’ meno fisiologico.

mercoledì 14 ottobre 2009

Casarano, frattura profonda

Il Casarano pareggia a Grottaglie e l’animo della squadra un po’ si acquieta. Non che il punto, da solo, serva troppo a imbastire l’inseguimento alle prime della classe: perché, di fatto, l’obiettivo di partenza non è cambiato. O, almeno, se è cambiato, nessuno lo ha comunicato. Però, certe volte, anche un punto è utile a ricostruire il morale. Soprattutto in una piazza come quella salentina, dove il primo nemico è il profilo psicologico. Lo score del D’Amuri, tuttavia, sembra non acquietare eccessivamente la tifoseria. Che ha già contestato Bianchetti (dedicandogli uno striscione, proprio domenica, e invitandolo a tornare in Sicilia) e che, fa sapere, continuerà a farlo. Come a dire: la frattura è già profonda. E non sappiamo quanto produttiva. Se Bianchetti non deciderà di andarsene di propria iniziativa, dunque, il conflitto rischia di inasprirsi. O di costringere la famiglia De Masi a impugnare la decisione dll’esonero. Sempre che la proprietà del club non applichi i criteri della diplomazia, intervenendo e ricucendo il rapporto tra le parti. In realtà, pare di capire che il prossimo match, quello che il Casarano disputerà al Capozza di fronte all'attrezzatissimo e ambizioso Neapolis, sarà nuovamente decisivo. Per Bianchetti, almeno. E il punto raccolto a Grottaglie finisce per diventare sufficientemente anonimo. Insipido: come quasi tutti i pareggi. E pericoloso: forse anche perché la situazione comincia a sfuggire ai controllori.

martedì 13 ottobre 2009

L'eccesso di zelo e il protagonismo gratuito

Eccesso di zelo. Oppure protagonismo gratuito. La performance di Francesco Di Stefano, direttore di gara appartenente alla sezione di Brindisi, fa sorridere. O, meglio, infastidisce. Ad Avellino sale il Castrovillari (il campionato è quello di serie D) e il gioco, ad un certo punto, si interrompe. Perché, appena al di là del perimetro di gioco, staziona il vice questore del capoluogo irpino. Invitato ad allontanarsi e, successivamente, dopo aver presentato tesserino e credenziali, ad indossare la pettorina colorata. La storia buffa viene risolta, sembra, con l’intervento ruvido del commissario arbitrale, a fine match. E con forti parole di censura nei confronti di Di Stefano. Ma allarga pure la distanza tra il comportamento di molti arbitri e la realtà: proprio mentre il calcio violento, ad esempio, continua ad essere difficilmente sanzionato. Delegittimando l’ipotesi dell’eccesso di zelo. E fortificando, invece, quella del protagonismo. Gratuito, appunto.

lunedì 12 ottobre 2009

La rincorsa vana del Monopoli

Arriva la prima caduta del Monopoli sul campo di casa. Che è responso, obiettivamente, da ricusare, perché bugiardo: la gente di Pellegrini si inventa un secondo tempo prolifico e fallisce il pareggio almeno cinque volte, costringendo l’Aversa alle operazioni di puro presidio, appena impreziosite da un paio di ripartenze (oggettivamente pericolose, è bene sottolinearlo) e sommando calci d’angolo e recriminazioni. La realizzazione, peraltro, giunge quando il match è inequivocabilmente tra i piedi di Cortesi e soci, ma il sigillo di Balistreri è invalidato dall’intervento del direttore di gara. Depauperando il gran lavoro speso sin lì da un collettivo che – va detto - si fa troppo spesso tagliare in fase di non possesso, aprendosi all’avversario (il gol normanno nasce con queste premesse e i rischi si presentano anche dopo, con le stesse modalità) e ritrovandosi a inseguire, un’altra volta. Proprio questo dato si ripresenta puntuale e comincia a preoccupare: il Monopoli coltiva l’abitudine dannosa di cedere per poi riorganizzarsi e ringhiare. Ma non è sempre è possibile rimediare. Come ieri. La coincidenza, allora, non è più coincidenza. Ma sta diventando una regola. Meritevole di riflessione. Tecnico e squadra sanno dove dover lavorare.

venerdì 9 ottobre 2009

Foggia, il temporale è quasi passato

Il temporale è queasi passato. Ma ancora piove. E resterà bagnato per altro tempo ancora. Intanto, però, lo sfogo di Capobianco, azionista di riferimento del Foggia, dovrebbe aver scosso le coscienze o, almeno, evidenziato la cruda realtà del momento. Dovrebbe. Di sicuro, comunque, lo stato di agitazione alimentatosi all’interno della società all’indomani dell’ultima caduta in campionato può considerarsi virtualmente composto. Pecchia e Porta rimangano al timone della squadra: le dimissioni sono state respinte. E la stessa struttura di comando, al di là delle parole secche e dure e dell’esplosione di amarezza, conferma il concetto di partenza, cioè il proprio impegno (anche e soprattutto economico) sino alla fine di questa stagione. Il Foggia, dunque, sopravviverà anche a se stesso. Per un po’, se non altro. Poi, se ne riparlerà. Il temporale, dicevamo, è passato. Ma ancora piove: il problema di fondo, in pratica, resta. Urgono nuovi compratori, quanto prima: il messaggio è limpido. Per qualche altro mese, il Foggia dovrà farsi bastare l’armistizio. E lo sfogo di Capobianco: più rumoroso che sostanziale. E chissà quanto utile: ma questo lo scopriremo presto.

giovedì 8 ottobre 2009

Francavilla, un mese perso

Il Francavilla si cautela in corsa. Come avevamo previsto, prima che il campionato partisse. Si cautela con un nome importante, per la terza serie: quello di Michele Cazzarò, che arriva da diverse esperienze consumate tra i professionisti. Al quale, ipotizziamo, si aggiungeranno altri rinforzi. Anche perché questa squadra, così com’è, non offre garanzie di salvezza. E non solo perché il club, forse frettolosamente, ha deciso in estate di disfarsi all’ossatura della passata stagione. Azzerando un organico di categoria e inventandosi una nuova strada, peraltro abbastanza pericolosa. Poi, alla fine, gli aggiustamenti e le rivisitazioni tecniche lasceranno lievitare i costi di gestione, portandoli sulle stesse cifre del passato. Ma questo, adesso, conta poco: ora è fondamentale scuotersi, entrare nella mentalità del torneo, cominciare a dimostrarsi competitivi. Darsi sostanza. Fare punti. Dissociarsi dal primo mese di calcio vero: in cui hanno latitato idee e carattere. Ed è inutile anche soffermarsi sul tempo trascorso. E sì, perché il primo mese è un mese perso.

mercoledì 7 ottobre 2009

Casarano, tutto si complica

Aspettavamo il Casarano. Che non è, strutturalmente, lo stesso Casarano scintillante della stagione appena trascorsa. Quello che aveva vinto tutto, ma proprio tutto. Aspettavamo il nuovo Casarano. Quello riveduto (e corretto?) per vincere ancora. In serie D, questa volta. E ci attendevamo, in realtà, anche qualche esitazione, sulla via del rinnovamento. Ma non il Casarano zoppo di quest’avvio di campionato. Già piegato due volte in casa (prima dal Matera e, domenica scorsa, dal più modesto – in termini tecnici – Bitonto). E mai davvero convincente: né a domicilio, né oltre confine. Comunque, troppo spesso impreciso: anche con Villa, l’artigliere più pesante. Non attendevamo questo Casarano: mai tonico, incapace di caricarsi il match sulle spalle. E, infine, sonoramente contestato da un pubblico storicamente esigente. Il nocchiero Bianchetti, però, utilizzerà una nuova chance: la società lo ha confermato con un comunicato ufficiale. E si allontana, per il momento, anche il pericolo dell’epurazione. Neppure la squadra deve temere niente, per ora. Ma il tempo, questa è la sensazione, potrebbe scadere presto. Va così, in certe piazze che si nutrono di certe ambizioni. E che spendono: tanto, anche. Anzi: altrove, Bianchetti e qualcun altro avrebbero già pagato, chissà. E va dato atto al club salentino di aver ragionato con la testa, bloccando gli impulsi della delusione. La società sa quel che vuole e sa quel che fa. Ma è obiettivamente difficile poter reggere alla pressione e al malcontento. Ed è facile capire che non potrà attendere molto: a Grottaglie, nella prossima gara imposta dal calendario, la Virtus si gioca parecchio. E, forse, di più. Anche se non è giusto addossare a Bianchetti l’intera responsabilità dell’approccio faticoso al torneo. Un approccio che possiede probabilmente anche motivazioni tattiche, ma non esclusivamente. Se gli acquisti estivi non sono propedeutici al progetto, del resto, le responsabilità vanno divise. E il sospetto è che il problema esista soprattutto nella scelta dei protagonisti

martedì 6 ottobre 2009

Foggia, cala il buio

L’involuzione si era ramificata da un po’. Attaccando gli argomenti a cui il Foggia si era aggrappato sin dall’inizio del campionato. E minando gli equilibri faticosamente strappati alle incognite di una stagione pianificata con poche risorse. La squadra di Pecchia e Porta perde quasi sùbito quel po’ di appeal guadagnato in partenza e si siede. Contro il Marcianise, poi, funziona poco o niente. E il rapporto con la gente si deteriora definitivamente. Risultato: sconfitta amara e tutti a casa. Tecnici e dirigenza. Proprio questo è il problema: chi avrebbe dovuto traghettare il club in fondo al torneo si fa da parte, infastidito dalla crudezza del disappunto popolare. Piegandosi alla prima vera contestazione. Arrendendosi, cioè, di fronte alla consapevolezza che il messaggio di fondo non è stato recepito dalla piazza. O accettato. Doveva succedere, è accaduto puntualmente. Non l’anno scorso: quando la situazione di austerity è stata mascherata dalla bontà del risultato finale (playoff) e dalla scelta felice di un po’ di giovani rampanti (Troianiello, Germinale e qualche altro). Ma quest’anno: dove le limitate possibilità economiche hanno consigliato un ulteriore snellimento degli obiettivi e dove la gioventù di qualche acquisto estivo non sembra aver allacciato una piena confidenza con la terza serie. Il presidente Capobianco e i suoi collaboratori più stretti smobilitano. Ed è questo il punto. Che priva il calcio foggiano di un futuro definito. Quel futuro che sarebbe dovuto passare anche e soprattutto dalle necessarie (e dolorose, certo) operazioni di risanamento, appena abbozzate. L’ambiente non ha saputo o voluto aspettare. O, forse, non possiede più la predisposizione alla sofferenza. Ma, oggi, non emergono alternative concrete a quello che la gestione Capobianco avrebbe potuto continuare a garantire. E, allora, resta da chiedersi se è servito a qualcosa lacerare il rapporto e forzare gli eventi. Perché chi fa calcio si stanca e va via, prima o poi: quando, piuttosto, andrebbe incoraggiato. Soprattutto in assenza di opzioni migliori. E la sofferenza, invece, rimane. Esattamente di fronte a chi non la sopporta. E a chi l’osteggia. Peggiorando la situazione.

lunedì 5 ottobre 2009

Noicattaro, primo insipido punto

Questa volta finisce quasi discretamente. Con un punto. Che è davvero poca cosa, ormai. Ma che, almeno, tampona la contestazione popolare che serpeggia. Purchè di contestazione popolare si possa parlare, dal momento che il Noicattaro non attira neppure gli abbonati. Respingendo gli altri. Questa volta finisce quasi bene. Merito della disperazione. O dell’orgoglio, come si comenta in certi casi. Oppure dall’atteggiamento dell’avversario di turno, la Vibonese di Galfano, cioè una squadra in attesa degli eventi. Che, da principio, viene premiata. Tanto da confidare in un successo che si intravede e quasi si tocca. E che, alla fine, viene però castigata. Perché si rintana, sicura com’è di resistere qualche altro minuto alla fragile pressione nojana. Questa volta finisce meglio di altre. Perché la formazione di Carella (che salva la panca) rimedia due volte allo svantaggio, apparendo prima imballata e visibilmente irretita dalla sequenza di risultati sfavorevoli e solo nella ripresa meglio disposta a far circolare il pallone, anche se scarsamente assistita dalla lucidità. Questa volta non finisce come in altre occasioni, no: ma è faticoso capire quanto il semplice punto potrà servire. Innanzi tutto perché non si intravedono margini di miglioramenti strutturali (la società, adesso, li esclude, cancellando qualche vaga promessa del recente passato). Ed è difficile capire quanto possa essere propedeutico il lavoro che verrà speso da qui in poi. Il silenzio stampa della squadra, a fine match, rivela più di qualcosa. Più di un disagio. Più di un’insicurezza. Davanti alla quale, generalmente, non è sufficiente neppure l’orgoglio. Cioè il padre del primo punto ottenuto in campionato: che, oggi, sembra insipido.

domenica 4 ottobre 2009

Gallipoli, la gente non risponde

Neanche il punto di penalizzazione frena psicologicamente il cammino del Gallipoli. Che non vince la resistenza dell’Empoli, formazione di caratura teoricamente superiore, e che però continua a praticare un calcio degno e a movimentare la classifica. Dopo aver –dettaglio non trascurabile – agguantato un altro punto nell’insidiosa trasferta di Padova, sette giorni prima. E, dunque, offrendosi una continuità che garantisce umore buono e prospettive migliori. Quanto basta per valorizzare l’impegno e il lavoro di Giannini e, prima ancora, quello del club. Quanto basta per rassodare il processo di inserimento del collettivo nel campionato, approcciato con infinite difficoltà e paure diffuse. Pur sapendo che i pareggi, da soli, non producono felicità. E che, un punto per volta, non garantisce impunità. Traducendo, presto o tardi (più presto che tardi), il Gallipoli non potrà rinunciare al succo prezioso dell’affermazione: perché il calcio è anche matematica. E la matematica non inganna, né ammette inganni. E perché nel calcio le parole migliori (e anche quelle più sincere) non bastano. E ogni giorno di pallone va speso nella ricerca di una conferma. O nell’inseguimento di un traguardo nuovo. Che la società e i protagonisti del campo dovranno necessariamente perseguire con l’aiuto della gente che tifa. Poca, pure contro l’Empoli. Il borderò parla di seicento paganti. Anche meno. Numeri che, siamo certi, staranno facendo riflettere patron D’Odorico, l’imprenditore che ha rilevato il titolo sportivo da Barba in coda ad un’estate affaticata e movimentata. Che, a questo punto, potrebbe persino chiedersi se l’operazione può considerarsi felice oppure no. Neanche due mesi dopo. Soprattutto perché i trenta chilometri che separano lo Jonio dalla stadio di Lecce, la casa temporanea di Mounard e soci, non sono una risposta. Né potranno mai diventarlo.

venerdì 2 ottobre 2009

Matarrese ritrova il Bari. Senza averlo mai ceduto

Tim Barton non soddisfa l’accordo preliminare già sancito e neppure il portafoglio di Matarrese. Il trenta settembre (ultimo giorno utile per rifinire un’intesa sbocciata, ma mai cementata) scivola via e la trattativa della cessione del pacchetto di maggioranza delle quote azionarie del Bari sfuma tra la delusione di chi aveva scommesso sull’americano rampante, i sospiri, il sollievo di quanti tifavano per una risoluzione definitiva in tempi stretti e il sospetto di essere stati ingannati. O fuorviati: dai protagonisti, dalle situazioni, dai frantendimenti e dalle esposizioni facili della varia umanità che ha circumnavigato il problema, cioè l’operazione. Matarrese è stato chiaro e continua ad esserlo: passato il trenta settembre, evapora qualsiasi discorso, qualunque intesa preliminare. E sia. Meglio così: non per la fetta più larga della tifoseria, magari. Ma per la squadra e la sua guida tecnica: che, nel tragitto delicato del primo campionato di serie A dopo il buio, necessita di chiarezze e di un punto di riferimento societario preciso. Per lo stesso Perinetti: che, innegabilmente, ha vissuto con difficoltà l’ultimo periodo, in bilico tra una società vicina al disimpegno ed un'altra ancora non formalizzata. Incontrando, perciò, controindicazioni di gestione non indifferenti. E, infine, meglio anche per Vincenzo Matarrese, quasi obbligato a disfarsi il club, ma mai davvero convinto dell’opportunità della cessione. Una scelta che, probabilmente, il presidente non avrebbe perdonato a se stesso. Né oggi, né in sèguito.