mercoledì 22 dicembre 2010

Rastelli e il Brindisi, si è rotto qualcosa

«Prestazione indecente»: Massimo Rastelli, al novantesimo, è onesto. Con la gente che tifa e con se stesso. E irritato: niente affatto velatamente. Con la società, che gli avrebbe prospettato uno scenario diverso, e – ancora una volta – con se stesso. Per aver accettato la panchina del Brindisi con eccessiva disinvoltura. Ma il danno è già procurato e, adesso, conviene limitare le conseguenze. Abbandonando l’incarico, per esempio. Il coach, in questi giorni, ci penserà. E deciderà che fare. Comunque vada, però, il rapporto con Galigani sembra deteriorato, sin da adesso. Chi conosce il presidente, del resto, sa che non ama le frasi non concordate. Tanto che è già scattato l’ingranaggio del silenzio-stampa. Rastelli, tuttavia, è apparso davvero scoraggiato. Il pari interno con la Vibonese, domenica, ha amplificato il disagio della squadra. Confermandogli che i limiti sono ingestibili. Non tanto dal punto di vista tecnico, quanto da quello ambientale. Dirigenza e giocatori mal si sopportano: si sapeva da tempo, adesso è più che palese. Il problema, chiaramente, è profondo: i dipendenti pretendono la corresponsione degli stipendi e la proprietà, di contro, rivendica non si capisce bene che cosa. Il Brindisi, per la cronaca, è stato in messo in mora da qualche elemento di un elenco di disponibili particolarmente corposo. E chi si occupa di pallone sa come si evolvono certe situazioni: con attriti infiniti e polemiche corrosive. Che si abbattano inevitabilmente sulla classifica. Ovvio, Galigani sa navigare in queste acque bollenti. E l’esperienza non gli manca. A Taranto, Trapani, Avezzano e in altre piazze è accaduto qualcosa di simile. Anzi, a Potenza, l’anno scorso, anche qualcosa di più grave. Ma, poi, sono i giocatori che calpestano l’erba e che, alla fine, determinano il peso di un collettivo. E, soprattutto, ci sono i contratti che scrivono le regole. A proposito: come se non bastasse, spunta un altro ostacolo, quello delle scommesse. Proprio la società adriatica ha allertato gli inquirenti: la grande quantita di puntate sul pareggio tra Brindisi e Vibonese è quanto meno sospetta. Anche questo particolare, peraltro, sembra avvicinare la situazione attuale del Brindisi a quella del Potenza dell’anno passato: Galigani, evidentemente, non vive un periodo fortunato. Di più: la gente della curva è in agitazione e chiede le dimissioni del vertice del club. La posizione personale di Rastelli, allora, va persino compresa: «Qui – detta - è tutto da rifare. C’è bisogno di gente motivata, di entusiasmo. E due mesi fa le condizioni che mi portarono sulla panchina del Brindisi erano altre». Il coach si è pentito della scelta: riflettere (o informarsi), certe volte, è fondamentale.

martedì 21 dicembre 2010

Dal successo alla sconfitta, in trenta secondi

Il pallone scorre verso la vittoria. Eppure, davanti alla porta, sbuca un difensore ad ammanettare gli abbracci. L’azione prosegue e la partita si sta consumando: un uruguaiano prolifico riceve palla, fluttua, si libera e tira. Cavani trova la porta, il Lecce la sconfitta. L’ennesima. Dopo aver accarezzato il successo. Ma, a Napoli, emerge una squadra diversa. Finalmente reattiva, intraprendente il giusto, viva: lontano da casa, probabilmente, non era mai successo, in questo campionato. La classifica non si muove, ma si agita una speranza in più. Perché, evidentemente, la squadra sembra aver capito che non si può rinunciare alla lotta strenua, aprioristicamente. Perché anche e soprattutto la cultura del pressing e del sacrificio possono accompagnare la gente di De Canio all’obiettivo dichiarato. Salvarsi, da domenica, è ancora più dura: ma il Lecce – almeno per una volta – si scrolla quel fatalismo che, troppo spesso, l’aveva avvolto, ostacolandolo. Prima di andare in vacanza, questo è un dettaglio che aiuterà a non deprimersi. E poi ci piace pensare che la novità sia figlia legittima di un percorso di lavoro, tattico e psicologico, voluto espressamente dal tecnico. Un percorso di lavoro che dovrà necessariamente condurre alla maturazione definitiva di un gruppo ancora troppo discontinuo, per ottenere credibilità. E che, ovviamente, il divorzio (sfiorato) tra la società e l’allenatore avrebbe seriamente minacciato. Magari, adesso, nessuno fa più caso a quello che appare come un dato di fatto: eppure, è giusto ricordarlo. E sottolinearlo.

lunedì 20 dicembre 2010

Bari, un punto di orgoglio

Il tempo passa, ma non per il Bari. Che non recupera pezzi. Anzi, sistematicamente ne perde altri. E ogni giorno è più difficile del precedente. Oggettivamente impossibile analizzare il suo cammino, il suo ruolo, le sue prospettive. Perché, da due mesi, si ritrova ad affrontare il torneo con le riserve e, sempre più spesso, con le riserve delle riserve. Gente che, la passata stagione, faceva panchina: in C2. Due nomi per tutti: Rana e Strambelli. Ventura, un po’ per pararsi dalle accuse dei critici e un po’ perché è tutto maledettamente vero, chiede all’ambiente di pazientare. Ovvero, di attendere che l’infermeria si svuoti. Il modulo, per una volta, non c’entra. E non c’entra neppure il profilo psicologico: senza dieci potenziali titolari, fare risultato diventa impensabile. I due soli pareggi nelle ultime nove uscite spiegano il momento. Ma il punto rimediato di fronte all’ambizioso Palermo, proprio ieri al San Nicola, spiega pure come il Bari affronti con coraggio e orgoglio il momento storico. E quanto sia disposto a lottare, sino in fondo. Chiaro, il gap si sta facendo sufficientemente pesante: anche se, lì davanti, non è che corrano tutti. Eppure, il pericolo di sentirsi presto tagliati dalla battaglia, teoricamente, esiste: soprattutto se il coach non recupererà almeno qualche altra pedina (Barreto, per esempio, è appena rientrato). Qualche pedina che, oltre tutto, aiuti chi è rimasto (Almirón e Alvarez, per esempio) a superare il cattivo stato di forma personale. La sosta, peraltro, accorre in soccorso: anche se sarà meglio abituarsi all’idea che, probabilmente, niente più sarà come prima. Cioè, come agli albori della stagione. Anche ad organico pienamente recuperato: perché il girone di ritorno sarà, a tutti gli effetti, un altro campionato. Ventura, tuttavia, merita ancora comprensione. E rispetto. Al di là delle considerazioni che possono apparire di convenienza. Un cambio di panca, invocato più o meno sommessamente dalle retrovie, non aveva e continuerebbe a non avere senso. Innanzi tutto adesso. E non otterrebbe riscontri tangibili. E poi, ripetiamo, il Bari non ci sembra rassegnato. Ma, al contrario, corpo unico e solidale. Sono queste, al momento, le uniche garanzie. Alle quali Matarrese potrà aggiungere qualcosa di suo, alla riapertura ufficiale del mercato. E’ ora di operare: con rapidità e intelligenza.

venerdì 17 dicembre 2010

L'ultima scommessa di Carrano

Angelo Carrano è un ragazzo di settant’anni e sette mesi che non sa allontanarsi dal suo universo privato, quello del pallone. Allena, più o meno, da trentacinque stagioni e ancora non si è stancato. O, più semplicemente, ancora non si è arreso. Con il tempo, ha dovuto ridurre pretese e ambizioni: accettando di scivolare persino in Eccellenza (a Massafra), pur di continuare a sedere su una panchina. Dopo aver calcato le zolle della serie A e della B (da mediano: nel Bari, nel Parma) e della C e della D (da tecnico: vincendo sei campionati). Una proposta, cioè, la vaglia sempre: qualunque sia. E, se è il caso, si cala nel cuore del problema. Come questa volta. Carrano, dopo un break di un anno, torna al suo mestiere di sempre. Provando a centrare un obiettivo quasi disperato: salvare il Francavilla di Distante. Francavilla significa panchina vicino casa, anche di serie D. Ma pure squadra totalmente rivoluzionata, giovane e tecnicamente non eccelsa. Traducendo, una scommessa. Che il coach tarantino, ovviamente, crede poter vincere: puntando sull’entusiasmo di sempre e sull’esperienza. Ha già seguito la squadra, a Gaeta (sconfitta nelle battute finali), ufficiosamente. E lasciando il ruolo di responsabile tecnico al suo secondo, Saponaro. Ma domenica, nel derby con l’Ostuni (a proposito, è un ex), potrebbe debuttare ufficialmente. Magari con un successo, utile a immagazzinare morale. Comunque vada, però, nessuno vorrà disconoscere a Carrano due qualità, che lo accompagneranno sino alla fine del mandato: la volontà (e la capacità) di rimettersi in gioco e, soprattutto, il coraggio di affrontare l’avventura. Auguri, maestro: ne avrà bisogno.

giovedì 16 dicembre 2010

Casarano, nel motore un Galetti in più

Ad un certo punto, l’insostenibilità di un campionato ancora troppo anonimo per solleticare le attese della gente avevano scritto il verdetto, che si trascinava nelle intenzioni della società da almeno un mese, pur senza sbocciare. Risultato: esonero di Toma e Casarano libero di scegliersi un nuovo condottiero. Cioè Massimo Silva: uno che, in Puglia, ha lasciato buoni ricordi. A Brindisi, come a Taranto. L’approccio al torneo del tecnico pavese, soltanto mercoledì passato, aveva soddisfatto. E condotto ai tre punti. La seconda puntata dell’avventura personale, l’ultima domenica, riservava però un tragitto più duro: il match di Arzano, in casa dei primi della classe. Risultato: sconfitta da choc, tre a zero. In fondo alla quale il nuovo tecnico rintracciava le motivazioni per non abbattersi. Ovvero, rinnegando assai poco la prestazione e professando fiducia. Fiducia che parte dalla sicurezza di raggiungere, anche abbastanza presto, quell’equilibrio tattico che Toma non aveva mai raggiunto. Pagando, per questo, in prima persona. Dettagli ai quali, magari, la tifoseria non baderà eccessivamente: del resto, contano i fatti. E i fatti sono quelli che sono: a certe condizioni, sperare nella promozione è oggettivamente presuntuoso. Nonostante il girone non possieda una forza largamente superiore alle altre e malgrado i cinque punti di disavanzo dalla vetta siano un gap ampiamente azzerabile, da qui sino a maggio. Per non sbagliare, tuttavia, la Virtus si è dotata di un altro artigliere: di peso e lunga navigazione. L’argentino Galetti, trentasette anni e poche partite nell’arco degli ultimi dodici mesi, assicurerebbe una manciata di gol in più. Il suo ingaggio, tra l’altro, potrebbe sembrare una bocciatura nei confronti di Da Silva, brasiliano che, a tutt'oggi, ha realizzato poco. Ma, in realtà, i due dovrebbero (potrebbero) tranquillamente coesistere: perché il primo ama gestire l’area di rigore avversaria e il secondo girare attorno ad un punto di riferimento. Ad ogni modo, però, il club confessa di credere ancora nell’obiettivo dichiarato, raddoppiando gli sforzi. Inutili, peraltro, se non verrà risolto il problema fondamentale: quello della fase di non possesso. In cui un centrocampo dichiaratamente propositivo fatica ad arginare. Silva, tuttavia, è tatticamente più accorto di Toma: e crediamo che, ormai, abbia capito dove albergano le insidie. Anche per questo, è doveroso concedergli un po’ di tempo per lavorare attorno a questo Casarano. E, comunque: se cambio sulla panca doveva essere, è bene che la pagina sia stata girata adesso, prima della sosta invernale, a metà del cammino.

mercoledì 15 dicembre 2010

L'Andria e la discontinuità che preoccupa

L’Andria non abbaglia per continuità. Ad un risultato sereno segue, irrimediabilmente, una caduta preoccupante. Anche più di una, se è per questo. Onestamente, il fatto un po’ ci sorprende. Papagni, del resto, è un tecnico sufficientemente esperto che, di solito, ottiene dalle sue squadre il necessario e anche di più. E, poi, la caratura tecnica dell’organico non è poi così deficitaria come la classifica zoppicante lascerebbe pensare: anche se la squadra è stata edificata con un solo obiettivo: la salvezza, senza passare per i playout. Due concetti che, magari con parole diverse, spendemmo esattamente l’anno scorso, nel mezzo di un altro campionato. Che rischia di diventare sempre più somigliante a quello attuale. E, ovviamente, sorprende pure questo particolare. Dopo il tre a zero di Cava, ecco le cative notizie che arrivano dal terreno di casa. Dove la Ternana, avversario in dichiarata difficoltà dall’avvio della stagione, arriva, comanda e se ne va felice. Non basta neppure appellarsi alle assenze: c’è qualcosa che non va, dichiaratamente. In mezzo al campo, l’Andria concede tutto, si piega. Gli umbri fanno di più e giostrano meglio: niente da recriminare. Del Core non può inventarsi nulla. E una ripresa più decente non riesce ad annullare i danni del primo tempo. Tempi difficili, allora. Acuiti dalla crisi societaria, che non si sgonfia. La fuga del presidente Canonico, anzi, rischia di ingolfare il resto del campionato. Obbligando Papagni a dover affrontare il girone di ritorno (e i venti di contestazione) con le stesse forze adoperate sin qui. E il diesse Di Bari a rapportarsi con un budget sempre più asciutto. Cioè ancora meno rassicurante di quello estivo: con il quale, obiettivamente, è stato realizzato quello che si poteva. Ricordarsene, magari, aiuterà a disciplinare qualche giudizio caduto nel vortice della foga.

martedì 14 dicembre 2010

Il Brindisi, i nodi, le bugie

Strano, il pallone. Sempre più sommerso da parole vuote. E da logiche apparentemente sfuggenti. A Brindisi, per esempio, la situazione societaria si fa sempre più torbida. C’è un vecchio proprietario (la famiglia Barretta) che denuncia una rateizzazione inevasa, cioè migliaia di euro che la gestione Galigani non avrebbe corrisposto. E, per questo, promette di ricorrere in sede legale. E c’è una nuova dirigenza (non propriamente amata) che smentisce tutto, rivendicando – anzi - l’assenza delle istituzioni, della città. Che bussa, con ciclica insistenza, alle porte dell’amministrazione comunale per essere ascoltata: invano, dice. E che chiede ad altre forze imprenditoriali di collaborare. Senza, per questo, essere troppo disposta a cedere il titolo, soprattutto in maniera non onerosa (l’ultimo comunicato stampa del club è sufficientemente chiaro). Quella stessa dirigenza che, se non abbiamo capito male, prima ammette delle difficoltà finanziarie e il giorno dopo minimizza. E ci sono voci sempre più pressanti: dei detrattori del club, che insinuano di tutto e di più. In mezza a questa confusione, intanto, la squadra continua a balbettare, anche se il pari di Melfi infonde un po’ di fiducia. Ma il dato tecnico, paradossalmente, è quello che preoccupa di meno. Preoccupa di più il valzer dei politici accorsi in soccorso, delle realtà nascoste, dei bluff di mezza estate (chi racconta bugie? Chi ha venduto o chi ha comprato? Difficile che entrambe gli schieramenti abbiano ragione). Di certo, i giorni si stanno consumando. E l’impressione è che, molto presto, scopriremo qualcosa di particolarmente vicino alla verità. Anche se un’idea ce la siamo già fatta. E, complessivamente, comincia a farsela pure la gente che tifa. Perché i nodi si scoprono, prima a poi. E diventano matasse.

lunedì 13 dicembre 2010

Il Foggia e le mani di Biancolino

Sleali abitudini e disattenzioni fatali. La slealtà è di Biancolino, artigliere di esperienza e prestigio discreto, in forza al Cosenza. La disattenzione è della terna arbitrale, coordinata dall’avezzanese Aloisi. La partita è quella di Foggia, proprio ieri: dove la formazione di Zeman sta impattando con i calabresi. Quando, appunto, Biancolino strappa la palla a Santarelli, tornato a parare in luogo di Ivanov: non con i piedi, ma con le mani. Rimettendola, di fatto, in gioco: scorrettamente, s’intende. E segnando il punto del temporaneo vantaggio: confidando, ovviamente, nell’incapacità di verifica del direttore di gara. Che, infatti, convalida: tra lo stupore dei ragazzi del boemo e l’ira astiosa del pubblico dello Zaccheria. E’ così che il Foggia si trova ad inseguire il risultato, prima di rimediare e, infine, di perdere il match che lo ricaccia definitivamente nel limbo dell’anonimato, al di là della linea dei palyoff. E’ così che le immagini cominciano a girare sui teleschermi d’Italia. Ed è così che Biancolino perde l’occasione per redimersi, seppure in colpevole ritardo. Dichiarando candidamente, dopo il novantesimo, che l’intervento è assolutamente regolare: malgrado si intuisca con estrema facilità il contrario. Zeman sbotta, giustamente. Anche perché la squadra è sembrata abbastanza viva per scrollarsi il peso del derby perso a Taranto sei giorni addietro. L’episodio, però, può guastare certe atmosfere, ferire. E anche condizionare. Prendi la palla, segna e scappa. Anzi, menti. Talvolta, il gioco paga. Con punti pesanti.

sabato 11 dicembre 2010

Barletta, obiettivo serenità

Il Barletta anticipa oggi, a Roma, in casa dell’Atletico, formazione che non brilla più, ma che possiede nomi e numeri per ristabilire gli antichi equilibri. E, a Roma, si gioca molto della credibilità recentemente conquisata. Inutile sottolineare quanto la caduta (rovinosa: e non solo sotto il punto di vista del risultato e della classifica) di domenica scorsa, al Puttilli, di fronte al Lanciano, abbia inficiato sul profilo psicologico del gruppo, troppo morbido nelle fasi cruciali del match e, di conseguenza, delegittimato dal pubblico. E inutile evidenziare quanto abbiano influito sulla squadra le polemiche trascinatesi per una settimana intera. Durante la quale la gente che tifa ha riversato rabbia e accuse sull’italovenezuelano Margiotta, l’artigliere che avrebbe dovuto guidare il Barletta verso la tranquillità e, adesso, diventato il simbolo dell’involuzione. L’attaccante, contestato da almeno un mese, è ufficialmente considerato il primo dei colpevoli: per i riscontri ottenuti e per gli atteggiamenti in campo. La frattura sembra, giorno dopo giorno, sempre più netta. E la folla, in questi casi, non perdona. Non è un inconveniente da poco: perché, innanzi tutto, minaccia la serenità di un organico che, invece, necessiterebbe di sostegno, oltre che di puntelli tecnici. E poi perché pone in un angolo la società, ora costretta a indovinare un’altra soluzione. Difficile immaginare un riavvicinamento tra le parti e la permanenza di Margiotta a Barletta. Il punto di non ritorno è toccato. Le attuali condizioni climatiche non promettono niente di buono. E un eventuale pomeriggio romano della punta in panchina ancora meno.

venerdì 10 dicembre 2010

Marrone, prima mossa: fuori Danza

Antonio Marrone è l’uomo nuovo del Grottaglie. Da pochi giorni, decide quello che è meglio per la squadra, per la società. E’ la figura professionale alla quale Peppino Ciracì, il presidente dell’Ars et Labor, si è affidato per svincolarsi da qualche impegno, da qualche fastidio. Cioè il plenipotenziario: per suo nome e conto. E’ anche l’occasione per preparare il disimpegno definitivo del patron: così, almeno, potrebbe apparire. E così, almeno, spera una grande fetta di supporters: con i quali il feeling non è mai sbocciato. Anzi. Disimpegno, nella realtà, niente affatto improbabile: proprio quando comincia a circolare qualche indiscrezione più o meno fantasiosa (e se D’Addario volesse trasformare il Grottaglie in un club satellite del Taranto? Buttiamola lì e vediamo come va a finire). Marrone, avvocato di professione, procuratore sportivo per hobby, si è insediato, ha motivato, ha assistito: alla prova deficitaria di Francavilla Fontana, per esempio (zero a zero, nessuna emozione, pochi spunti per poter pianificare un domani più interessante). E, quindi, ha operato: via Franco Danza, coach in bilico già da un po’. L’esonero del tecnico di Castellaneta è il suo primo intervento tangibile. Che, probabilmente, avrebbe coinciso con la volontà di Ciracì, se fosse rimasto da solo al timone. Ma tant’è. In panchina, per il momento, si accomoderà il secondo Pizzonia, un fedelissimo della società. Ma crediamo che un altro nome spunterà: e pure molto presto. Ovviamente, il cambio di guida tecnica non basterà, senza un intervento nella seconda sessione di mercato. Marrone dovrebbe averlo capito e cercherà di sfruttare le proprie conoscenze all’interno di un mondo che, ormai, decodifica bene, pur avendolo vissuto dall’altra parte della barricata. Altrettanto ovviamente, questa – per lui – è anche una sfida molto più impegnativa. Che ha affrontato, da sùbito, con un certo vigore. Lanciando, è il caso di dire, un messaggio molto chiaro: soprattutto ai giocatori che resteranno. E che, ora, non possiedono più alibi. Né il problema di dover ricucire relazioni sdrucite con il trainer. Un problema, se davvero questo costituiva un problema, è risolto. Ne resta, invece, un altro: capire se questo organico, possibilmente migliorato, ha le caratteristiche caratteriali per navigare in acque agitate e per raggiungere la terra ferma a maggio. Fino ad adesso, onestamente, non ci è sembrato.

giovedì 9 dicembre 2010

Torna Distante, restano i disagi

Dal derby di metà settimana, arriva solo un punto. Che si accoda a quello conquistato miracolosamente, appena tre giorni prima, a Sant’Antonio Abate. Il Francavilla si divide il risultato con il Grottaglie, ma sa di non poter sorridere. Ma nemmeno disperarsi troppo, in realtà. Perché, per chi non lo sapesse, anche coach Logarzo e parecchi titolari si sono defilati da una settimana. Lasciando maglie, spazi e responsabilità ai più giovani, a qualche volenteroso (tra questi, il francavillese D’Elia, il più titolato dei superstiti) e a qualche new entry con pretese limitate. Per dirla tutta, sembra la fine delle trasmissioni. O quasi. L’obiettivo è andare avanti, limitando i danni. Difficile pensare, però, che i danni possano essere ragionevolmente ridotti: una squadra da reinventare senza risorse è una squadra destinata a schiantarsi. L’alternativa, però, non esiste. Anche se patron Distante si è riavvicinato alla società, cancellando le ancora recenti dimissioni (mercoledì sedeva in panchina). E, allora sì, è meglio guardare in prospettiva, valorizzando quel poco che si ha in casa. L’anno prossimo, in Eccellenza, sempre che dietro l’angolo esista un futuro, l’esperienza accumulata dai giovani ora affidati alle cure di Saponaro, potrà tornare utile. Eppure, nell’ambiente qualcuno continua a confidare nelle possibilità (e nell’orgoglio) di questo gruppo: e, probabilmente, fa bene. Sperare, si sa, non costa nulla. E non sarà certo la speranza ad affossare il sogno della serie D, difeso in estate e tradito in autunno. Né ad incidere sui costi di gestione.

mercoledì 8 dicembre 2010

Nardò, ora test più veri

Tra una contestazione ed un’altra, il Nardò si riversa a ridosso del quartiere playoff. Merito - anche - del successo (quasi scontato, argomenterebbero i più maligni) di Ostuni. E di una prestazione asciutta, efficace. In cui convivono applicazione e gestione del risultato. La gente di Maiuri si dota di fluidità, sin dall’avvio. La manovra è rapida, motivata da un dinamismo che si fa apprezzare: e, considerate le prestazioni recenti, è un segnale positivo. La resistenza dell’Ostuni, chiaro, non è granitica: tanto che il vantaggio piove prima che scocchi il primo quarto d’ora di gioco. Altreattanto ovvio che il match, per il Nardò, si semplifica immediatamente. E, anzi, l’incapacità di raddoppiare velocemente e di archiviare la partita prima del tempo finisce con il diventare un difetto. E, ma solo teoricamente, un pericolo. In realtà, però, il Nardò non smarrisce mai l’iniziativa, legittimando il vantaggio acquisito e coprendo il campo con maggiore densità. Peculiarità che permettono alla formazione salentina di arrivare sino in fondo, limitando i rischi. Prima del due a zero, score definitivo. Siglato, per la cronaca, da un nuovo arrivo, Maiella: uno che, di solito, sa essere decisivo. Ma il campionato pretende altro. E non tutti sono l’Ostuni. Pensiero finale: preferiamo attendere altri test, per valutare il rinnovato Nardò che – si dice - si rafforzerà ancora (a proprosito, così come Maiella, anche Iennaco è partito dalla panchina, entrando nella ripresa). Altri test e altri contesti. Più probanti.

martedì 7 dicembre 2010

Un derby dal buon sapore

Quando, sul campo, c’è il Foggia il calcio sa farsi piacere. Anche tra molti errori individuali e collettivi. Che fanno parte di una filosofia. Nel derby di notte diventa frizzante, pur senza continuità, anche il Taranto di Dionigi: talvolta difettoso, ma spesso rapido, veloce. E vincente: dopo tempi lunghi. Nel posticipo del lunedì, complessivamente, ci si diverte. Ritmi alti, volume di gioco, triangolazioni, occasioni da gol, emozioni assortite. La manovra della gente di Zeman è ovviamente alta: dall’inizio alla fine. Probabilmente, non punge, ma poggiata su basi solide. E il possesso di palla è bello a vedersi. Dietro, invece, si soffre: e non poco. Il Taranto lo capisce e ne approfitta: verticalizzando o allargandosi, scambiando e aggredendo. Trovando spazi, sempre e ovunque. Eppure, paradossalmente, il vantaggio jonico arriva su calcio piazzato, premiando la maggior quantità proposta da Colombini e compagni. Per il Foggia, peraltro, sembra complicarsi tutto all’improvviso: sessanta secondi dopo lo svantaggio, perde anche Torta, espulso. E, invece, no: in dieci contro undici, sino all’intervallo, sono gli ospiti che comandano le operazioni. Serrando i tempi, facendo circolare il pallone, rinchiudendo il Taranto a difesa del risultato. Gli equilibri, alterati, si ristabiliscono ad apertura di ripresa: esattamente quando si abbatte sul derby la rete del due a zero. Sembra, a questo punto, un match già deciso. Ma il Foggia, più in là, beneficia di un penalty e ci crede sino in fondo, ma invano. Gode il Taranto perché segna nei momenti decisivi. E perché, alla fine, i suoi errori sono meno compromettenti. Perde il Foggia perché, dopo tutto, le distrazioni difensive (e, soprattutto, di Ivanov, guardiasigilli morbido) contano sempre di più. E forse perché il match si esaurisce dopo novantacinque minuti e non più tardi: salvaguardando un avversario che, ormai, ha esaurito energie e certezze. Però, chi ha visto la partita rimane soddisfatto. Malgrado certe impurità, possiede importanza anche la forma. Attorno alla quale sia Zeman che Dionigi hanno il dovere di continuare a lavorare: il primo sugli automatismi dell’ingranaggio, il secondo sulla testa di chi gioca.

lunedì 6 dicembre 2010

L'Ostuni e il futuro

«Tagliateci tutto, ma non il futuro»: una richiesta, una speranza, un appello. Un panno bianco e una frase: semplice. E anonima. Che sintetizzano, prima che il pallone cominci a rotolare nel derby, lo stato d’animo di quanti ancora si sentono affezionati al calcio ostunese. Mentre la formazione di Insanguine, rafforzata qua e là (si rivede Ciaramitaro, l’ex Bitonto Martellotta è alla sua seconda convocazione, Romito alla terza) si arrende pure al Nardò, in casa, scontando anche e soprattutto il gol (il primo dei due) accusato in apertura di gara. Del resto, il sempre giovane Ostuni (cinque under dal primo minuto) è una squadra che continua a cercarsi, provando – prima di ogni cosa – a parare i colpi inferti dal campionato. Il match, dicevamo, si fa sùbito difficile. Ma la fase di possesso è un imbuto senza uscita, senza risorse. Nel mezzo, magari, si intravede più sostanza o, comunque, più intensità. E più volontà: che non significa necessariamente filtro inappuntabile. Dietro, allora, arginare diventa verbo da coniugare spesso. Il rovescio, così, diventa praticamente inevitabile. Come inevitabile diventerà la rincorsa ad un puntellamento più robusto dell’organico. La nuova dirigenza ha promesso di operare ancora: è necessario. E chissà se basteranno quattro elementi di esperienza e discreta qualità. Ne va, appunto, del futuro. Quello prossimo, almeno.

sabato 4 dicembre 2010

Una sola controindicazione: arriva dal Bari

Souleymane Diamoutène è un difensore atletico, fisico. Di quelli che, talvolta, firmano qualche ritaglio di calcio discreto. O, più semplicemente, un gesto importante: come una rete di buona fattura. Molto più spesso, piuttosto, delude per scarsa applicazione, per amnesie evidenti. Come spiegano diversi anni di calcio italiano. Anche per questo, forse, a Roma, a Bari ed anche a Lecce non lo ricordano con affetto particolare. Quest’anno, poi, è rientrato in Salento, dopo averci già giocato, in passato. Ma De Canio, per la verità, l’ha sempre impiegato poco. Anzi, si è rivisto ultimamente. Scatenando, in un pomeriggio qualunque di una settimana grigia, il malumore di alcuni supporters giallorossi. Entrati sul terreno di Calimera, sede della preparazione quotidiana, per aggredirlo: non solo verbalmente, pare. Arriva dal Bari, il più nemico dei club del Paese. E non merita di vestire più la maglia del Lecce. Che se la tolga, immediatamente. Per di più, è anche maliano, dunque di colore. Frasi razziste e comportamenti xenofobi che, più tardi, lo stesso Diamoutène ha smentito. O mitigato. Smorzando la tensione, sbrecciando il clamore, limando le polemiche. Provando, da sùbito, a ricucire il rapporto, per quanto possibile. O a spegnere i riflettori sul caso. Che, magari, potrà passare più agevolmente attraverso il filtro del tempo, che tutto cancella. Anche se rimarrà sul fondo della questione il concetto che piace al tifo più estremo: di pelle nera va bene, ma che non venga da Bari.

venerdì 3 dicembre 2010

Il Brindisi non risponde più

Non va. Proprio non va. Da troppe domeniche, ormai. La verità è che il Brindisi è collassato. Tecnicamente, tatticamente, caratterialmente, psicologicamente. E, forse, non rispondono più neppure le gambe. Anche a Milazzo la stessa storia degli ultimi tempi: l’avversario fa la partita e la formazione di Rastelli assiste. Subendo un’altra sconfitta brusca, che allarma e priva la gente persino di un motivo per reciminare. Il rovescio c’è tutto, per intero. E le buone intenzioni rimangono ancora nel sottoscala. Ovvio, ora, che la tifoseria sia prossima alla ribellione. La prende assai male, peraltro, anche la società, che annuncia - parola del presidente Galigani – provvedimenti drastici. Come la sospensione degli stipendi, sino a nuovo ordine. Scelta legittima, argomenta qualcuno. Ma che si intreccia alle chiacchere della folla. E che, vista da un’altra angolazione, lascia spazio a qualche sospetto. Qualcosa scricchiola, pensa qualcun altro. Finendo per dare forma e contorno a certe cattive indiscrezioni che si agitano da settimane. Del resto, se si abbatteranno spiacevoli sorprese, lo sapremo presto, molto presto. E i problemi si assommeranno agli altri problemi.

giovedì 2 dicembre 2010

Trani, fischi ingenerosi. Fasano, un'epoca nuova

A dicembre, comincia ufficialmente l’avventura di Ninì Flora a Fasano: che vorrebbe coincidere con il rilancio del pallone nella città della Selva, molto delusa dall’approccio con il campionato di Eccellenza. E, contestualmente, si chiude l’esperienza di Trani. Dove, è giusto ricordarlo, l’ex presidente ha garantito la copertura delle spese di gestione sino all’ultimo giorno di novembre. Premiate, va sottolienato anche questo, con un parziale di prestigio quale può essere considerato l’attuale terzo posto raggiunto in classifica dalla formazione di Pettinicchio. Che, però, il mercato di riparazione smantellerà quasi completamente. Anzi, cinque effettivi si allenano già da qualche giorno proprio con il Fasano. Mentre qualche altra pedina si sistemerà altrove (Somma piace al Casarano, per esempio). Il Trani che è stato, tuttavia, si congeda male: sconfitta sull’erba di casa, contro il bisognoso Sant’Antonio Abate, in coda ad un match interpretato male, senza nerbo e senza testa. Il gruppo, irreprensibile sin qui, inciampa proprio all’ultimo chilometro, lasciando di sé un cattivo ricordo. Ma, soprattutto, sollevando l’ira della tifoseria. Che non fa sconti, lamentandosi apertamente. La contestazione feroce, però, ci sembra ingenerosa: l’ultimo capitolo non può scalfire la bontà del percorso tracciato sin qui. Anche se la prestazione dell’ultima domenica è profondamente censurabile. La serietà della squadra, cioè, non merita discussioni: lo spiega la classifica maturata in questi tre mesi. E anche la disapprovazione popolare nei confronti della famiglia Flora, onestamente, stona un po’. Perché la vecchia gestione ha informato la città del proprio disimpegno per tempo, dopo aver atteso invano la collaborazione di altre forze imprenditoriali: garantendo il calcio sino ad avant’ieri, cioè due mesi dopo le dimissioni. Operazione economica alla quale molti si sarebbero volentieri sottratti. Punto e a capo, viene da dire. Il Trani, adesso, cerca uno spiraglio, energie fresche, un futuro. Con una programmazione più contenuta che proverà a salvaguardare la categoria (poco più della metà dei punti utili per conquistare la salvezza sono già stati introitati, occorrerà gestire la dote). Mentre il Fasano si sta allenando mentalmente a rincorrere i playoff (sarà durissima, anche con una campagna di rafforzamento imponente: il tecnico Longo disporrà a breve di un organico quasi completamente nuovo e, dunque, da rodare). Di certo, comunque vada a maggio o a giugno, cominceremo a capire se la nuova sfida di Flora potrà trasformarsi in un progetto duraturo (il punto è questo: a Barletta e, successivamente, a Trani l’imprenditore ha abbandonato prima del tempo, pur ottenendo risultati lusinghieri). Progetto duraturo, ma pure strutturato. Che passi, anche e soprattutto, da un settore giovanile efficiente ed efficace. Quel vivaio che, se coltivato, distingue una pianificazione qualunque da una programmazione approfondita. Quel vivaio che, a Fasano, manca da sempre.

mercoledì 1 dicembre 2010

La sconfitta e il silenzio

Ecco, ci risiamo. Il Taranto che viaggia è un Taranto puntualmente sconfitto. E complessivamente remissivo. In Sicilia, il Siracusa s’inventa qualcosa di più e lavora meglio per ottenere il risultato. Mentre la squadra di Dionigi, troppo compassata e mai propedeutica ad un calcio redditizio, si sfarina dopo un tempo. Lasciando all’avversario la possibilità di crederci e, quindi, di addomesticare il match. A fine partita, invece, cala nuovamente il silenzio stampa. Dopo l’intermezzo verbale della domenica precedente, in coda ad una vittoria. Silenzio stampa tattico che prova a limitare i danni: non concettuale, ma puramente opportunistico. Utile a parare i colpi, più che a salvaguardare – si dice così, di solito - l’armonia del gruppo e la tranquillità psicologica dei protagonisti. Inutile quando si vince e comodo quando si perde. Silenzio stampa, peraltro, mai ammesso dal club. E mai sollecitato, giurano da via Martellotta. Ma che torna ad abbattersi all’improvviso. Nel Paese delle stranezze contrabbandate per verità incontrovertibili, anche questa anormalità sembra passare inosservata, come la più ovvia delle normalità. La normalità di parlare ad una moltitudine ammaestrata, che non fa paura. La normalità di scegliere quando è il momento meno doloroso o più conveniente. Perché il punto è quello, non solo nelle pieghe quotidiane di un’Italia politicamente incerta, ma anche sui campi di pallone della periferia della Repubblica: parlarne non è mai un problema. Purchè si parli sempre bene.

A proposito: le critiche, in città, si affacciano copiose e l’AS Taranto replica con un comunicato stampa. Alcuni passi: «Operosità, basso profilo e rifiuto di ogni polemica. Su queste basi la AS Taranto ha provato a fondare la sua stagione (…). Perché a Taranto non si riesce a fare qualcosa di importante, dentro e fuori al mondo del calcio? (…) Restiamo sbalorditi nel leggere alcuni commenti che accompagnano la nostra avventura in questa stagione. E, passandoli in rassegna, comprendiamo parte dei perché a Taranto sia sempre così difficile costruire. Consolidamento e transizione. Abbiamo reso pubblici da subito i nostri obiettivi stagionali, con grande trasparenza. Nessuno ha parlato di promozione. Per questo leggere oggi di un presunto immobilismo societario o di inconfessate ambizioni di promozione ci appare scorretto e pretestuoso.(…). La AS Taranto non è una onlus, né un ente benefico. Ci spiace deludere chi pensa ciò, ma le risorse – anche umane e lavorative – necessarie ad onorare gli impegni quotidiani, settimanali, mensili e trimestrali impongono al Taranto di essere non solo passione, ma anche un’azienda (…). Ma non possiamo diventare il bersaglio dell’insoddisfazione cittadina. Nel rimpiangere un passato glorioso e distante diciotto anni, nel ricordare vecchie glorie e promozioni sfumate, questa città pare non accorgersi che noi siamo qui da solo un anno e mezzo. Che senza un quotidiano impegno di risanamento e copertura di debiti oggi il Taranto non sarebbe neanche iscritto al campionato (…).». Frasi condivisibili, sicuramente. Di buon senso. Ma non è l’impegno societario che viene disconosciuto. Né la volontà di operare per il bene comune. Semmai, lasciano perplessi gli argomenti e le modalità con cui vengono perseguiti gli obiettivi. La chiusura concettuale a molte forme di comunicazione, la coltivazione dell’attrito con una parte della tifoseria, l’ostinazione ad equiparare un club di pallone a un’azienda commerciale, l’idiosincrasia a nominare professionalità specifiche nei ruoli, certe scelte tecniche (aver ripiegato, ad esempio, su cognomi già bruciati), la sconfessione dei programmi (si era parlato di un processo di ringiovanimento dell’organico: ma, in realtà, non è accaduto) e certe contraddizioni di fondo (una per tutte: se la promozione immediata non è tra gli obiettivi, perché cadere in frequenti stati di fibrillazione nociva?) sono dati di fatto che erano e restano un fossato tra chi governa e chi tifa, oppure osserva.

martedì 30 novembre 2010

Lecce-De Canio, divorzio scongiurato

I rapporti si rompono. E, se si ricompongono, rimangono sempre i segni. E’ sempre così: inutile avventurarsi a dichiarare il contrario. E i rapporti tra Pierandrea Semeraro e Gigi De Canio, presidente e coach del Lecce, si erano deteriorati da un po’. Un po’ di stizza, tempo fa, era stata accantonata: per convenienza. Ma le divergenze sono riaffiorate: nuovamente, pubblicamente. E tutte assieme. Ravvivate, è sicuro, dal fuoco delle difficoltà, dalle avversità di una classifica diventata di nuovo amara, dallo scadimento verticale di una squadra che, parole del numero uno del club, approccia male ogni partita, entrandoci troppo tardi. E che, sistematicamente, deve rincorrere un risultato scomodo. Negli spogliatoi di Cagliari, immediatamente dopo l’ultima sconfitta (tre a due, partendo dal tre a zero), Semeraro e De Canio si sono confrontati. Duramente, dicono i bene informati. E l’allenatore materano, già allontanatosi dalle lunghezze d’onda del club, si è dimesso: senza pensarci eccessivamente. Non presentandosi neppure davanti alle telecamere. Poi, il presidente ha congelato la decisione: ripromettendosi di esaminarla più avanti, con animo più sereno. O meno alterato. Per poi respingere ufficialmente il disimpegno del tecnico ventiquattr’ore dopo. Il Lecce e De Canio, cioè, proseguono insieme. Almeno per qualche settimana ancora: perché, ovviamente, saranno soprattutto i risultati a determinare le scelte e il destino dei protagonisti. Risultati che non nascondono il calo - tecnico, ma anche caratteriale - del Lecce. Che, da qui in avanti, non potrà più disporre di alibi robusti. Né di una dote duratura di fiducia. Discorso che vale per la squadra e, evidentemente, per l’allenatore. Salvato, ci piace pensare, soprattutto da un progetto sportivo già avviato e che il club intende continuare a coltivare. Nonostante le incomprensioni, la classifica scomoda e un rapporto un po’ consunto. Con il quale, però, necessiterà di nuovo confrontarsi, prima o poi.

lunedì 29 novembre 2010

Spunta di nuovo il Francavilla che ci crede

Avevamo dovuto ricrederci, sùbito. Il Francavilla apprezzato contro il Casarano, un mese addietro, si era sconfessato come un’eccezione che circumnaviga la regola. Nessun rinsavimento: solo un intermezzo felice, prima di nuove prestazioni colme di imbarazzi: tre, le ultime. Ma, di fronte alla capolista Arzanese, proprio ieri, la formazione di Logarzo ci è nuovamente piaciuta: per volontà e quantità, se non altro. Sostanzialmente, anzi, ha convinto più dell’avversario di giornata: complessivamente deludente, un po’ timido, privo di accelerazioni, intuiti, risolutezza. Segno evidente che, nelle sfide importanti, questa squadra si organizza e si esprime. Trovando le coordinate giuste, tenendo palla, forzando e, nella circostanza, passando con Piovan, quasi alla mezz’ora. Gli ospiti, certo, non solleticano sensazioni di forza, ma rimediano immediatamente, su calcio piazzato. Governando sino in fondo, anche in dieci contro undici, un pareggio che – sembra di capire – va assai bene. Ai partenopei più che ai brindisini, probabilmente: anche per un penalty non concesso (fallo evidente su Piovan) a ridosso del recupero. Un punto, è altrettanto chiaro, così com’è cambia poco alla classifica asfittica di Vetrugno (dinamico, testardo) e soci. E non serve a molto, senza il conforto della continuità. (del resto, sino ad ora, in trasferta il Francavilla si è dimostrato spesso assente). Eppure, certi segnali (che vengono e vanno, è vero) non vanno ignorati. Ma pungolati. Operazione sinceramente difficile, per la verità: perché la crisi societaria è tutt’altro che risolta. La situazione che sappiamo (il presidente Distante è dimissionario), anzi, ristagna. Come denuncia uno striscione in gradinata, che addossa parecchie responsabilità alla politica locale. E come dimostra l’assenza rumorosa della gente sugli spalti. Fortemente indicativa sullo scollamento netto ormai sancito tra il pallone di quest’angolo di Puglia e la realtà cittadina, sulla rassegnazione cupa che alberga nella tifoseria e sulla mancanza di fiducia popolare verso il futuro che verrà.

giovedì 25 novembre 2010

Barletta, pari con polemiche. E i problemi di sempre

La superficialità dell’informazione delle televisioni generaliste non inganni: il Barletta che si lamenta (giustamente) delle decisioni arbitrali e che si ferma davanti al Viareggio (zero a zero al Puttilli) è fondamentalmente deludente. Nel fraseggio, nelle idee e nei dettagli di una partita moscia che, però, proprio al novantesimo si infiamma. Quando, cioè, Lucioni scatta su un lancio di Bellomo, direttamente su calcio piazzato, intervenendo per quel che basta: quello che può essere considerato il gol di una vittoria assai sofferta, tuttavia, viene invalidato tra polemiche feroci e dubbi densi. Tutto sembra regolare, ma non basta: svicola persino lo storico aplomb di Sciannimanico, critico assai con il bolognese Benassi, giudice di gara. Il match, sul quale l’intero ambiente riponeva estrema fiducia, rimane così tra le maglie della rabbia impotente. Anche se un punto diventa sufficiente per abbandonare l’ultimo gradino della classifica, lasciato alla superpenalizzata Cavese. Ma, forse, uno score diverso avrevve finito per deviare o per devitalizzare il concetto che, in realtà, continua ad agitarsi sul fondo: il Barletta deve faticare ancora duro, per trovare gli equilibri e le caratteristiche necessarie per centrare la salvezza. Come la rapidità e l’aggressività, due qualità che - di solito - assistono i meno dotati dal punto di vista tecnico.

martedì 23 novembre 2010

Foggia, lavoro di prospettiva

Se il Foggia c’è, insiste. Vibra, appassiona. E si esalta. Appaltando sistematicamente il risultato. Con espressioni numeriche persino forti. Significative. Pensiamo all’ancora recente successo sulla Ternana. O ad altre prestazioni di spessore: come quella di Roma, per non perdersi ecessivamente nei meandri del tempo. Ma, quando il Foggia si fa assaltare, scricchiola. E cede: con puntualità. Abbattendosi e lasciandosi governare. Seminando dubbi su un campo di certezze appena arato. Due esempi su tutti, ugualmente vivi nei ricordi della gente: il rovescio casalingo di fronte al Siracusa e l’ultimo match, quello di domenica. Dove la Nocerina, molta qualità e tanto entusiasmo dettato da una leadership che tiene, fa valere i diritti del miglior assortimento tecnico e di una coesione più limpida. Tre a uno, risultato equo. Inequivocabile. Che i campani edificano per propri meriti e che la formazione di Zeman subisce quasi senza fiatare. Fallendo, come sottolinea il boemo, l’approccio e la reazione. Due condizioni essenziali per capire la partita e per puntarne il cuore. Ma anche due ingredienti imprescindibili per poter attendersi buone notizie, in futuro. Il Foggia che va e che viene, lo abbiamo già scritto, serve a cercare una strada migliore, non a esaltarsi. E aggiungere pressione alla squadra non è un’idea felice. Non adesso, almeno. Meglio affacciarsi alla finestra e godere degli sprazzi di buon calcio, guardare come va. Questo campionato resta quello che avrebbe dovuto essere e che dovrebbe confermarsi sino a maggio: di transizione. E di lavoro in prospettiva.

lunedì 22 novembre 2010

Il Taranto, i tre punti e la contestazione

I tre punti ci sono: e, di questi tempi, il dettaglio è niente affatto trascendentale. Intanto, perché lo stato di crisi determinato dalla schiettezza dei risultati è allontanato. E poi perché la ricostruzione del morale della truppa e dell’ambiente passa inevitabilmente da certi particolari. Attorno, forse, non c’è la prestazione. Non interamente, almeno. Perché il Taranto, di fronte alla Juve Stabia, non si impossessa mai per davvero della gara. Rimanendo spesso lontano dalla porta. Dimenticando di consegnare continuità alla sua manovra. Sfruttando assai relativamente il vantaggio accumulato nel corso del match (superiorità numerica sullo score già sbloccato). Vivendo di rendita sulle iniziative isolate (per esempio, di Innocenti, l’autore del gol che decide la partita). E perché ancora molti singoli viaggiano al di sotto dell’auspicabile standard di rendimento (Antonazzo, Rantier, Garufo, Colombini, Di Deo). Però è anche vero che, dalle tribune, la gente (quella che che ancora segue la squadra) vede germogliare le prime idee firmate da Dionigi, tecnico all’esordio sul campo di casa. Prime idee che, messe assieme, ancora non offrono compiutezza al 3-4-3, meritevole di nuove verifche e di ulteriore rodaggio. Il progetto tattico, cioè, affiora e svanisce. E solo il successo mitiga i dubbi che, oggettivamente, continuano a circolare tra i duemilacinquecento dello Iacovone. E sì, perché parte della tifoseria resta al di là dei cancelli, a contestare la gestione D’Addario. Ratificando, così, una frattura blandamente ricomposta nel recente passato, ma ormai evidente. Disegnata dall’imperizia delle parole presidenziali, prima che dalla sostanza dei fatti. Mai come adesso, tuttavia, le posizioni tra il vertice del club e la tifoseria più pulsante sono sembrate tanto distanti tra loro. E il dato, tanto per capirci, non promette niente di buono: certe lotte intestine, neppure troppo tempo fa, con dirigenze diverse, sono affiorate e si sono incancrenite sull’onda della cattiva comunicazione.

venerdì 19 novembre 2010

Nardò, piazza in fermento

Rischia davvero parecchio, questa volta. E rimedia in tempo, cogliendo un pareggio che non accontenta a quattro minuti dalla chiusura dei giochi: ma senza strappare consensi. O stoppare l’irritazione della tifoseria che segue la squadra sul neutro di Casarano. Il Nardò, di fatto, fallisce un’altra prova. Rimanendo nel limbo dell’anonimato. Il Grottaglie lo insidia, lo ferisce, lo spaventa. Recriminando, alla fine. La gente di Maiuri pratica lo stesso calcio delle prime giornate: privo di bagliori, devitalizzato di ogni ardore. Inespresso, diciamo così. E i supporters non gradiscono, scandendo chiaramente i propri malumori, che condannano il tecnico. Invitato, ci mancherebbe, a lasciare l’incarico. Soprattutto per non aver saputo iniettare alla squadra brillantezza, cambi di passo, accelerazioni, fantasia: tutte qualità che il pragmatismo del coach, da sempre, non prevede all’interno del copione. Atmosfera nient’affatto semplice: l’ambiente neretino sa essere asfissiante, quando vuole. Anzi, già qualcuno ipotizza un cambio tecnico, in tempi brevi. Mentre sfilano le prime indiscrezioni di mercato: starebbe per arrivare Iennaco, mediano di sostanza già del Brindisi, e dell’Andria. Ma non solo. Di Rito, invece, potrebbe partire: la piazza, da lui, si attendeva molto di più. Cioè una serie D all’altezza dello scorso campionato in Eccellenza. Tutti dettagli che, in sostanza, finiscono per tradire quanti ritenevano il Nardò più competitivo di quello che, in realtà, è.

mercoledì 17 novembre 2010

Ostuni, dal mercato l'ultima speranza

Discutevamo del mercato di riparazione. Che, in serie D (cioè in un campionato fortemente livellato, anche e soprattutto per la robusta presenza degli under, assolutamente obbligatori) possiede influenza rilevante. E che, magari, altererà abbastanza presto qualche equilibrio: dipenderà, ovviamente, dalle possibilità economiche di ciascun club. Intanto, la riapertura delle liste di trasferimento si sta avvicinando. E le società cominciano a concentrarsi sull’evoluzione di qualche trattativa. Vale praticamente per tutti: anche e soprattutto per l’Ostuni. Ovvero, la formazione che più necessita di aggiustamenti. Corposi. Che restano, di fatto, l'unica speranza a cui aggrapparsi. L’ha ripetuto Insanguine, il suo coach. Che è si è recentemente reimpossessato della panca dopo il breve interregno di Antonio Vergari. E che, forse, aveva pagato con l’esonero anche certe richieste formulate con abbondante anticipo. Nel pallone, però, non si inventa nulla. E la situazione nella città bianca lo dimostra: due pareggi e tante sconfitte, morale della truppa inabissato, frasi già lette e sentite. Che neppure un sollevamento dall’incarico, seppur ritrattato, sono riuscite a zittire o mitigare.

martedì 16 novembre 2010

E la Fortis Murgia tiene

Il campionato di quinta serie va e la Fortis Murgia tiene. Molto più che discretamente. Molto più di quanti parecchi addetti ai lavori e osservatori credessero, prima dell’avvio della stagione. Il quinto posto occupato dopo undici turni (in coabitazione con il Francavilla in Sinni) è motivo di soddisfazione legittima e persino di orgoglio: se non altro, perché tiene la gente di Squicciarini a debita distanza dalla zona che scotta (più cinque sulla sest’ultima). E, sia chiaro, la salvezza era e resta l’obiettivo più credibile: almeno per ora. Domenica, a Boville, segnano Falanca e poi Gnisci: due a zero secco, attorno ad una gara attenta, efficace. Sul solco di una prima parte di torneo affrontata sempre con realismo. I ciociari, magari, ci mettono qualcosa di proprio: un penalty fallito (ma, dal dischetto, sbaglia anche l’altamurano De Santis, sullo zero a zero) e, soprattutto, le tre sostituzioni bruciate a metà del percorso dal tecnico laziale, che costringeranno poi l’avversario a giocare in dieci contro undici per quaranta minuti. Però, la Fortis sembra un ingranaggio discretamente collaudato, cioè affidabile sotto il profilo della continuità. Condizione che non impedisce al tecnico di chiedere alla società, prima della manche di ritorno, almeno un paio di nuovi investimenti. Giusto per non perdere i contatti dalla realtà. E per sottolineare un concetto: questa squadra ha già dato quello che doveva. E, probabilmente, anche qualcosa di più.

lunedì 15 novembre 2010

Bari, vento contro

Ultimo, da solo. E abbacchiato. Il Bari cresce (lo giura Ventura), ma crolla pure di fronte al Parma. La classifica, intrigante agli albori del campionato, si fa tetra. La quarta sconfitta consecutiva sull’erba di casa trascina analisi preoccupate e statistiche impietose. Vista così, la squadra sta affondando. E, soprattutto, non riesce a ritrovare gli equilibri e la scaltrezza di un tempo. Mentre l’ambiente si interroga: condizione che, altrove, indebolirebbe sensibilmente la panca dell’allenatore. Ventura, invece, sembra godere ancora di buona considerazione: ed è un bene. Ma lo slancio emozionale delle prime prestazioni si è esaurito (nelle ultime sette uscite, è arrivato solo un punto), il buon umore (che, spesso, tempra i meno dotati) si è affievolito, i limiti di un organico numericamente limitato (anche e soprattutto dagli infortuni, è bene ricordarlo) sono emersi tutti assieme, il vento ha cominciato a soffiare verso altre direzioni (domenica c’è pure il fallimento di un penalty ad intralciare il percorso, oltre ad un paio di cartellini rossi) e, probabilmente, gli avversari si sono adeguati al Bari, trovando le contromisure tattiche efficaci. E, allora, non resta che confidare nell’orgoglio della squadra, nel recupero fisico di qualche pedina, nella lievitazione psicologica di chi si è sgonfiato all’improvviso e in Matarrese. Che, alla riapertura delle liste di trasferimento, dovrà esprimersi compiutamente. Spendendo qualcosa e provando ad offrire al tecnico un contributo necessario: in termini di quantità (due, tre elementi) e di qualità.

sabato 13 novembre 2010

Da Trani a Fasano. Nel segno di Flora

Possono farsene una ragione, a Trani. Definitivamente. Ninì Flora non tornerà indietro. Ora è molto più che ufficiale. Era ormai scritto: il patron, liberatosi della serie D sull’Adriatico, approda all’Eccellenza di Fasano. Con la volontà di scrivere un’altra pagina di storia nel palcoscenico del pallone di Puglia. Che lui, avventuriero di un calcio più manageriale passionale, conosce assai bene. Come le esperienze (e i successi) di Acquaviva, Barletta e poi Trani confermano ampiamente. Altra giro, altra scommessa. Da vincere, possibilmente. Ora, Flora riparte da una piazza ultimamente assai delusa, storicamente in fermento, sempre esigente. Che neppure il suo predecessore, il dimissionario Tommaso Carbone (solo per tre mesi al comando del club), è riuscito a rassicurare, rivitalizzare, rilanciare. Riparte da Fasano, Flora: offrendo concretezza a quel vecchio discorso nato in estate con il sindaco della città della Selva. Nato e sfumato veloce, tra le promesse (non mantenute) del mondo imprenditoriale tranese, che pure avevano convinto l’imprenditore a rinnovare l’impegno alla guida della Fortis. Attorno alla quale si addensano nubi dense. Dicembre, del resto, è vicino. E, a dicembre, potrebbero compiersi i destini della società. La liquidazione comincia seriamente a preoccupare. Ovviamente, il problema non è esclusivamente societario, ma anche tecnico. Investe, cioè, il parco giocatori: che bene si sta comportando in questo torneo di serie D. Se non dovesse spuntare all’orizzonte qualcuno disposto a proseguire il lavoro di Flora, si farebbe davvero dura. Per tutti. O quasi. Forse, non per chi scende in campo ogni domenica. Perchè, nel peggiore dei casi, a Fasano un posto in squadra c’è: si chiama travaso, un’operazione tecnicamente possibile, con la riapertura del mercato. Scommetiamo?

mercoledì 10 novembre 2010

Barletta, avanti adagio

Non è ancora il miglior Barletta, ma i punti cominciano a sgorgare, lentamente. Non copiosi, ma sufficientemente puntuali. I pareggi, è chiaro, non guariscono dai mali. E non regalano felicità, né tranquillità. Ma aiutano a governare meglio il momento, le emozioni, le pressioni. In attesa di un’accelerazione più convinta e convincente. I risultati (anche i pareggi, certo) sorreggono poi anche il processo di autostima della squadra. Autostima improvvisamente lievitata. Per esempio, con il Benevento, domenica, la formazione di Sciannimanico ha accettato il confronto contro un avversario più attrezzato. Reggendo. Anzi, sfiorando un successo che non avrebbe stonato. E obbligando i sanniti a fronteggiare qualche insidia sottovalutata. Calcolando tutto, il Barletta ha sbuffato a lungo, ottenendo un risultato che non ratifica una certa supremazia territoriale esercitata per una larga parte del match. L’ultimo posto, chissà, adesso spaventa un po’ meno. E, comunque, oggi questa squadra risponde alle sollecitazioni, reagisce. E, dunque, anche la panca dell’allenatore appare più salda. Puntellata anche dai fatti, oltre che dalle parole spese ultimamente. A proposito, visto che ci siamo: non faticheremmo a credere che pure le mozioni di fiducia ciclicamente presentate dalla società al proprio allenatore abbiano contribuito a fortificare lo spogliatoio nel suo interno.

lunedì 8 novembre 2010

Taranto, depressione e cambio di panca

Non era certo finita qui. Evidentemente. Ma la veggenza non c’entra. Basta un po’ di esperienza, per captare certe cose. E conoscere l’ambiente e i personaggi che vi navigano. O, molto più semplicemente, le abitudini e le regole del pallone. Che eleggono molti eroi, mietendo pure tante vittime: le solite, generalmente. La questione non è affatto chiusa, scrivemmo meno di un mese fa, a commento dei primi dissidi sorti tra il presidente D’Addario e coach Brucato. Profezia facilissima: perchè il Taranto, immediatamente dopo il rovescio con il Foligno, esautora (nuovamente) il suo allenatore. Risoluzione che il tecnico (e con lui, ovviamente, la squadra) un po’ si cerca. Disegnando una squadra un po’ svogliata, che non reagisce affatto a un paio di schiaffi recenti (il pari allo Iacovone contro il Barletta e la sconfitta di misura a Nocera). Peggiorando, anzi, la sua prestazione sul campo: che, tra l’altro, non può trascinare l’attenuante delle squalifiche in serie, forse la motivazione più incidente nelle disavventure precedenti. Di fronte agli umbri, Innocenti e soci non esibiscono nè idee convincenti, nè carattere. E, se a fine match Migliaccio dichiara pubblicamente di essersi vergognato, qualcosa significherà pure. Il Taranto, tuttora saldamente agganciato al carro dei playoff (va detto anche questo), è in pieno processo evolutivo: slegato, bruciato dall’avversario sul piano della corsa e infilzato. Tatticamente più incerto. E nemmeno confortato dal pareggio temporaneo. Risultato: depressione acuta e pericolo di tagli nell’organico. E, fortemente invocato dalla tifoseria, cambio di panchina. Dove è pronto a sedersi Davide Dionigi (al momento, la nomina non è ufficiale, ma lo diventerà), ex artigliere – anche sui due Mari - e trainer alla prima esperienza in assoluto. Quindi da scoprire, sotto ogni angolazione. Ovvero, una scommessa. In un momento storico, in una situazione contingente e, innanzi tutto, in una piazza che consiglierebbero invece di puntare sull’esperienza di un condottiero più navigato. Al di là delle qualità che il nuovo allenatore potrà e vorrà dimostrare, la soluzione non sembra oggi la più intrigante. Detto francamente.

domenica 7 novembre 2010

Il solito Lecce

Altri novanta minuti spiegano il solito Lecce. Che, in trasferta, distruggono l’appeal guadagnato in casa. Per l’occasione, la gente di De Canio si arrende a Bologna. Brillando poco, ma pagando – probabilmente – anche oltre i propri demeriti. I felsinei, però, ricorrono alle potenzialità dei singoli (Di Vaio, per esempio: uno che, spesso, risolve qualche situazione complicata). Sprintando nel momento di maggior urgenza. Resta abbacchiato, invece, il Lecce che non ha ancora assimilato il concetto di salvaguardia personale, che non ha imparato a cautelarsi. Quel Lecce che, lontano da casa, continua ad offrire quella sensazione di incompletezza, di ingenuità, di cattiva abitudine alla protezione. Guaio serio: perchè il passaporto per una nuova esperienza in serie A non può essere unicamente timbrato in via del Mare. E soprattutto perchè una squadra come questa non può pensare (o sperare) di ottenere sull’erba amica sempre il massimo profitto. I valori del Lecce e di molte altre concorrenti che dovranno scendere in Salento restano quelli che sono: illudersi del contrario è peccato mortale.

giovedì 4 novembre 2010

Qualcosa che ci sfugge

Da una partenza brillante ad un presente molto grigio. Si chiama involuzione. Il Brindisi non si ritrova più. E neanche il lavoro di Rastelli, secondo coach della stagione, sembra saper rivitalizzare una squadra ormai insicura, zoppa, stranita, ferita. Spenta. Da un mese a questa parte, la squadra è in perfetta media da retrocessione. E la leadership del torneo di quarta serie, assaggiata nella prima fetta del cammino, è ormai un’eco lontana. Si è rotto qualcosa. O, più semplicemente, la realtà sta rapidamente bocciando un organico sopravvalutato con eccessiva fretta. Ma crediamo pure che, complessivamente, questo Brindisi abbia le caratteristiche per ribellarsi all’impasse e per ripartire. Sicuramente, però, c’è pure qualcos’altro che ci sfugge. Qualcosa che si agita nell’atmosfera. L’ambiente, nelle sue fondamenta, non è sereno. Al di là del deterioramento delle condizioni generali e della situazione di classifica. E al di là della rumorose contestazioni della tifoseria. Il Brindisi non è tranquillo, dentro di sé. E non riusciamo a percepire quanto possa influire la presenza, in organico, di oltre trenta tesserati. Molti dei quali non giocano. Vivendo ai margini del gruppo. E non da oggi. Né riusciamo a capire se, nel sottosuolo, esistano dei problemi di altra natura: inutile spiegare quali. Eppure, l’involuzione è chiara, evidente. Tanto da alleviare la posizione di Florimbj, esonerato alle prime difficoltà. Ma, evidentemente, solo parzialmente colpevole. A pensarci bene, anzi, qualcosa è cominciato a sfuggirci proprio a ridosso di quella risoluzione societaria. E ci sembra di comprendere che non sarà facile ritrovare la traccia giusta: anche perché il Brindisi continua ad essere un’entità un po’ nebulosa nel grande e incerto puzzle del calcio di serio C.

mercoledì 3 novembre 2010

Bari, buio profondo

«E’ un momento che gira così». Che gira male, cioè. Amarezza e realismo firmato Ventura, sùbito dopo la nuova caduta del Bari, ancora in casa, di fronte all’Udinese. Udinese che ci mette abbastanza di suo, sfruttando pure l’esplicita inconsistenza di un avversario senza più coordinate. E che sembra aver smemorizzato automatismi, abitudini e applicazioni. Riscoprendosi vulnerabile, debole, svuotato. Nei singoli e, ovviamente, nel collettivo. Nella testa e nelle gambe. Come più di qualcuno sottolinea dal di dentro. E sì, perché l’Udinese di domenica è lucidissima e ordinata e il Bari no. E poi perché la formazione di Guidolin corre il doppio. Ecco, a proposito, un particolare da non sottovalutare. E un indizio sul quale ricostruire. Confidando in quell’atteggiamento focoso e combattente che dovrà sorreggere la gente di Ventura, da sùbito. Il clima, del resto, è cambiato: e occorrerà farsene una ragione. Provando a pensare che, magari, non si tratta solo di un momento un po’ così. Oppure che certi momenti possono allungarsi, malignamente E incancrenirsi.

martedì 2 novembre 2010

La crescita del Francavilla

Non è niente male, il Francavilla che blocca il Casarano delle grandi firme e delle ambizioni forti. Non è male, no. Malgrado le problematiche irrisolte di una società senza più presidente e, forse, senza neanche un futuro chiaro. Nonostante i limiti strutturali denunciati sin qui dal torneo. E al di là delle recenti condizioni di salute della squadra, troppo spesso inerte e disarmata. Non è niente male, no. Almeno per un’ora. Quella necessaria per passare due volte, per farsi consegnare le chiavi del match, per sfiorare il colpo grosso. E’ un Francavilla rapido, astuto, sostanzioso, agile, reattivo. Che si avvicina al risultato di prestigio, ma senza abbracciarlo. Trovando il vantaggio su calcio franco, in maniera assolutamente legittima. E, in avvio di ripresa, il raddoppio che punisce un avversario slegato e che premia la manovra della squadra meno dotata, ma più logica. Il pareggio che fiorisce alla fine racconta piuttosto altre verità: come la differenza di qualità dei due organici e il mutamento improvviso delle condizioni climatiche del match. Ma, onestamente, sembra che la formazione di Logarzo si sia irrobustita. Soprattutto in mezzo al campo, dove Cordisco riesce a tamponare e a rilanciare il gioco. E dove, ovviamente, si creano i presupposti per sfruttare le virtù podistiche dei laterali alti. Tutti d’accordo, allora: questo Francavilla, comparato alle versioni precedenti, appare decisamente in crescita. Problemi societari a parte, adesso si può ragionare.

lunedì 1 novembre 2010

Il Casarano si salva. E salva Toma

A Francavilla, il Casarano si salva. Con una mezz’ora, l’ultima, di calcio più credibile. E con un gol (di Da Silva) fortemente sospettato di offside. Il pareggio annulla l’obiettivo minimo centrato pure da Arzanese e Gaeta, ma non compensa il successo del Trani: eppure, vista così, cambia davvero poco. In realtà, il due a due nel derby (e la vana rincorsa ad una vittoria insperata, quando l’avversario si affloscia, atleticamente e psicologicamente) vale più di quello che possa apparire: perché, probabilmente, grazia la panchina di Antonio Toma. Il tonfo, si dice, avrebbe condannato il trainer. Che si rianima appena la sua squadra capisce di dover inseguire giocando palla a terra. Assistendo Da Silva: che, notoriamente, gradisce lo scambio, la triangolazione e persino il lavoro sporco per chi si inserisce. Ma non i traversoni che gli piovono più o meno vicini per tutta la prima parte del match. Effettivamente, il primo tempo del Casarano è lacunoso assai. Il 4-2-3-1 (o 4-2-4, quando il brasiliano si abbassa) garantisce scarsa efficacia in fase di filtro: Bonaffini e Cenciarelli, bravi nel far partire l’azione, non sono però uno schermo ideale per la difesa. E, ogni volta che il Francavilla parte, arriva e fa male. Dietro, poi, si soffre più del lecito. La Virtus è impulsiva e, talvolta, pensa meno di quello che deve. Ma, soprattutto, appare disequilibrata. Sullo zero a due, tuttavia, si apre una partita diversa. Grazie anche all’agilità e alle progressioni di Aragão, che rileva lo spento Mignogna. Il forcing finale, poi, ripara il danno in parte. Semplificando il futuro di Toma. Senza assolvere la squadra: per vincere il campionato serve di più, di meglio. E un’altra mentalità.

giovedì 28 ottobre 2010

Lecce, sintomi di crescita

Chi attendeva il Bari, trova il Lecce. Il sorpasso, nella classifica di gradimento del campionato, è riuscito: otto punti (e prime inquietudini) sull’Adriatico, undici punti (e sorrisi aperti) in Salento. La gente di De Canio incarta un’altra vittoria sull’erba di casa e gode. Scoprendosi collettivo a forte trazione casalinga: tre vittorie e un pari su quattro uscite, contro un solo pareggio notificato in trasferta. La differenza, come dire, c’è. E si vede: tutta. Sbarazzarsi del Brescia, magari, non è semplicissimo: anche perché la formazione di Iachini passa per prima. Ma un secondo tempo di impeto e grazia, di verticalizzazioni e rapidità rivaluta il match, approcciato con ritmi meno convinti. Sbroglia ogni nodo Di Michele: che il fallimento di un penalty, poco prima, non ha affatto offeso. E attaccante che, a Lecce, sembra essere tornato giocatore vero. E non solo per l’artistica conclusione che decide il match, offrendo concretezza al sigillo di Ofere, nigeriano che trova la fiducia del trainer, puntualmente ricambiata. Emerge, dunque, l’anima migliore della squadra. Che dimostra di aver imparato anche a rimediare una situazione sconveniente. Non era mai accaduto, prima di adesso, che il Lecce rincorresse il risultato, senza avvilirsi al novantesimo. Potremmo sbagliare, ma anche certi particolari sono sintomi di crescita.

mercoledì 27 ottobre 2010

Il derby di Goio

Il derby, per definizione, nasconde sempre qualche insidia. E il Taranto, per costituzione, ci ha abituati a tutto e al suo contrario: a sorridere soffrendo, a lamentarsi con il conforto del gioco, ad attorcigliarsi attorno ai suoi cambi di umore, a partenze difettose e traguardi insperati, oppure ad approcci convinti e arrivi affannati. Frutti, cioè, di un’espressione calcistica ancora non completamente matura e di un’indisciplina tuttora invadente. Ecco, diciamo pure che il volto della squadra non sembra del tutto definito. E che il suo marchio di fabbrica appare eternamente forgiato dal fuoco della discontinuità. Prendiamo, appunto, il derby con il Barletta: la prima mezz’ora è assolutamente deliziosa, il primo quarto d’ora addirittura suntuoso. E redditizio. Ma il Taranto si limita troppo presto: probabilmente non è paura, ma insicurezza. E non sa difendere il vantaggio: l’avversario, combattendo con i suoi problemi e piegando il gap tecnico, pareggia e ribalta il risultato. Solo in chiusura, l’orgoglio degli jonici rimedia un punto. La realtà ribadisce, una volta di più, un concetto già chiaro: l’unico carburante che può spingere la formazione di Brucato è l’atteggiamento propositivo. Il Taranto che gestisce è un’altra cosa: perché non giunge mai in fondo. Perché il governo del territorio non è nel suo dna. Meglio farsene una ragione: e adattarsi. Le vicende dell’ultimo match, però, corrono parallele all’esordio tra i pali di Dodo Goio, diciassettenne titolare della formazione Berretti, chiamato a sostituire gli squalificati Bremec e Barasso (due portieri puniti contemporaneamente: cose che succedono solo in riva ai due Mari). La squadra, da principio, sembra non pensare all’inconveniente: macina gioco e comanda. Poi, probabilmente, il sospetto si insinua e il Taranto perde potenza, chiudendosi. Errore. Anche perché sarà proprio una respinta un po’ maldestra di Goio a regalare al Barletta il gol del temporaneo vantaggio. Un’ingenuità che rischia di ammazzare la gara e che macchia la prima convocazione tra i professionisti del ragazzo. Peraltro, scarsamente difeso dalla tensione, in settimana. Ovvero, delegittimato da troppe esitazioni (la decisione di schierarlo fiorisce a metà settimana) e dai rigurgiti del calciomercato (l’investitura sorge quando la società scarta la possibilità di tesserare un altro portiere, attualmente senza contratto). E, certamente, privato delle migliori condizioni psicologiche: ancora prima di esibirsi. Non il massimo della vita.

martedì 26 ottobre 2010

L'incubo dell'Andria

Si complica tutto: l’Andria perde, ancora. In casa, di fronte ad una Juve Stabia che proprio irresistibile non è, come specificano la classifica e le cronache recenti. E poi perde male: tra confusioni ed errori. Piegandosi un po’ su se stessa, rifiutandosi di assimilare i concetti basilari che determinano la crescita. O che alla crescita accompagnano. Segno inconfondibile che la perizia e la pazienza di Papagni, da sole, non bastano. Che il lavoro quotidiano è, evidentemente, insufficiente. Che la tranquillità, dentro e attorno alla squadra, non è proprio una qualità in esubero. Che, tecnicamente e tatticamente, qualcosa non quadra: nonostante un organico oggettivamente non disprezzabile. Anzi, buono per centrare l’obiettivo della salvezza, appena un gradino sotto di quello originario, nonché auspicato da tutti, prima che il campionato si avviasse. L’Andria perde la partita, molte certezze residue e anche la gente che tifa. Definitivamente, pare. I supporters più caldi insorgono. E, dai mugugni ingombranti, passano alla contestazione aperta. Che tocca tutti. Non solo giocatori e tecnico, ma anche Di Bari, diesse indigeno, e la società. La reazione è pronta, altrettanto veemente: Nicola Canonico, imprenditore girovago e presidente di nomina fresca, s’adombra e saluta, trascinandosi il suo vice Fusiello. Mentre, nel frattempo, nascono contenziosi verbali particolarmente piccanti: per strade e nei forum virtuali. E fioccano accuse: anche di boicottaggio. Per non parlare delle minacce denunciate dal vertice societario. Non è la fine della storia (dopodomani, del resto, si riunisce il consiglio d’amministrazione), ma la storia si deteriora. E il silenzio stampa imposto a chiunque non limita i danni. Il vortice della rabbia, così, ricaccia Andria e l’Andria in un tunnell giù conosciuto. Se ne accorge proprio Fusiello, che detta: «Passano gli anni, ma non cambia niente». E il derby con il Barletta si affaccia nel momento meno indicato. Come negli incubi peggiori.

lunedì 25 ottobre 2010

Un invito, un consiglio: il Foggia di Zeman

«Venite a vederci». Una proposta, un consiglio. O una promessa. Zeman tornava a Roma. Rientrando dalla finestra del Flaminio, dopo aver varcato la porta dell’Olimpico. Senza più tornarci. E senza lasciare troppi rimpianti, riferiscono i maligni, alla Lazio e alla Roma. «Venite a vederci». Un invito, un messaggio: nell'immediata vigilia dell'anticipo di sabato. Agli amici di un tempo, agli estimatori di sempre e, perché no, ai detrattori di ieri. Venite a vedere il suo Foggia, cioè. Il suo Foggia spavaldo che visita l’Atletico Roma capolista, attirandolo in una trappola. Il suo Foggia vivace che rischia di vincere, per poi accontentarsi di un punto. Uno di quei punti che, magari, fanno classifica, ma anche molta pubblicità al verbo del condottiero di Praga. E che, in definitiva, privano l’avversario della leadership (se ne avvantaggia la Nocerina, tremenda a Terni). Poi qualcuno, in fondo al match, parla persino di spettacolo. L’argomento che più solletica il boemo. Ancor prima del risultato. Quel motivo frizzante che lo spinge a rischiare ancora tutte le sue domeniche. E che, dopo tutto, l’ha convinto a ripartire dalla terza serie, in silenzio. O quasi. Quell’argomento magico che gli mancava per assorbire qualche anno di polemiche e amarezze. Quel motivo in più per richiamare la gente. E per invitarla in tribuna.

domenica 24 ottobre 2010

Bari, risveglio brusco

Un altro Bari, un’altra classifica. E così, alla terza caduta di fila (questa volta a Firenze, nell’anticipo, giocando con lucidità limitata e senza tre pedine di spessore), si apre lo stato di crisi. Certificato dal terz’ultimo posto che sembra voler revisionare tutte le parole pregiate spese sulla formazione di Ventura nel primo mese e mezzo della stagione. E confermato da certi malumori del tecnico, emersi anche prima della trasferta in Toscana: che testimoniano, se non altro, la cattiva digestione di alcune opinioni maturate dagli osservatori a immediato ridosso del match con il Napoli. Risultati a parte, però, il Bari di questo periodo è rabbuiato, contratto, meno dinamico, poco reattivo. In un solo vocabolo, involuto. Gillet e soci sembrano aver perso sicurezza: subiscono molto e non graffiano. Forse perché i suoi big si sono un sgonfiati, tutti assieme. O perché, come si insinua ad alta voce (e anche il coach, per la verità, sottoscrive), il collettivo si è dimenticato dell’umiltà. Qualcuno, almeno, peccherebbe di supponenza, credendo di essere arrivato. Frasi virgolettate, chiare e semplici. Magari, il torpore è solo temporaneo. E il calo di tensione assolutamente fisiologico: accade a qualunque squadra, almeno una volta all’anno. Però la città si interroga e i primi dubbi cominciano a corrodere l’ambiente. Minacciando un risveglio brusco. Di certo, tuttavia, il Bari si ritrova ad affrontare un altro campionato, un’altra realtà. E a modificare, all’improvviso, gli obiettivi. Le priorità, adesso, sono altre. Recuperare lo smalto perduto, innanzi tutto. E, sùbito dopo, allontanarsi dalla zona di pericolo. Che, peraltro, resta un territorio vago: accade sempre così, quando pochissimi punti intrappolano molti concorrenti. Al di là di tutto, comunque, il Bari si trova a dover recuperare in fretta una certa mentalità. Dovrà, cioè, adattarsi alla nuova situazione. E dovrà affrettarsi, anche. Certe volte, emerge pure il sospetto che non sarà facile. Ma questa è una prova di maturità alla quale è chiamata la gente di Ventura. Che credeva di poter volare e, invece, si rannicchia sulle motivazioni di questa bassa pressione. Dalla quale, generalmente, si esce con requisiti antichi. Sì, è arrivato il momento: il momento di mostrare gli attributi.

giovedì 21 ottobre 2010

Barletta, galleggiare per resistere

Di una cosa, comunque, va dato atto a Tatò, presidente di un Barletta ancora troppo confuso per volare. Di continuare a rispettare, cioè, l’impegno con il suo allenatore, malgrado tutto. Anche dopo il coloratissimo pareggio interno con la Cavese (tre a tre, maturato con modalità decisamente singolari), il numero uno del club ha sùbito confortato Sciannimanico. Allontanando, ancora una volta, le indiscrezioni maligne sul suo conto. Ed è difficile, in questi casi, resistere all’istinto di allontanare il coach. Non solo perché la squadra naviga sola, in fondo alla classifica. Ma anche perché questo collettivo brucia, una dopo l’altra, tutte le opportunità che incontra. L’ultima, poi, è davvero particolare: per quello svantaggio (due a uno) recuperato a quattro minuti dalla fine della partita e per quella vittoria agguantata in pieno recupero, eppure sciupata dall’esultanza prolungata. Il problema di fondo, però, è quello: l’organico allestito in estate non era preparato ai pericoli della terza serie. E, sostanzialmente, gli innesti recenti (Margiotta, Galeoto, Frezza) non hanno modificato il volto del Barletta. Che, probabilmente, necessiteva (necessiterebbe) di forze più fresche, o meno consunte. Ma il mercato degli svincolati questo offriva: lo sapevamo. E meravigliarsi non serve. La rincorsa alla salvezza, ovviamente possibile, nasconde ancora difficoltà diffuse. Che bussano alla riapertura delle trattative di mercato: dove ci si potrà inventare qualcosa. Nel frattempo, il Barletta galleggi. E poi la C2 non è un torneo di grande qualità: mantenersi vivi un obiettivo onesto.

mercoledì 20 ottobre 2010

Foggia, una rincorsa per entusiasmarsi

Tutti convinti: il Foggia del primo tempo, quello del derby di domenica, è il migliore visto sin qui. Il migliore, perché il più autoritario. E il più lucido, cioè il più pericoloso. Solido in Iozzia, ispirato in Burrai, velenoso in Sau. Bello, frizzante, ma oltre il limite dello spreco. Peggio: l’Andria passa, poco prima dell’intervallo. E sogna, quasi sino in fondo. La gioventù di Zeman, in coda ad una decina di occasioni interessantissime, rincorre e s’impossessa della partita sui titoli di coda, ribaltando lo score. Vincendo una gara praticamente persa. E’ una delle magie delle squadre del boemo, che s’impongono e cadono, che si rattristano e si rialzano. E’ la storia corrente del Foggia, un collettivo in piena evoluzione, al culmine di un lavoro che non si esaurisce qui. Ancora acerba e discontinua per poter pensare di disputarsi i playoff, a fine torneo. Ma già consapevole di aver abbozzato il cammino all’interno di un progetto. Magari biennale. E che promette di fruttare, con i giusti accorgimenti che la società vorrà e saprà applicare, quando se ne presenterà l’occasione. Un derby, certo, non è per sempre. Ma fa molto bene, quando si vince. E aiuta a scaldare un ambiente già entusiasta. La società lo sa. E cavalca l’onda del successo, raiprendo la campagna abbonamenti. Consapevole che è il momento più indicato per vedersi riconoscere la bontà del lavoro svolto in poco più di due mesi. Che, intanto, un risultato l’ha già raggiunto, azzerando dalle viscere della piazza quel cattivo umore e quell’alone di depressione coltivato da anni.

martedì 19 ottobre 2010

Trani, dal derby una speranza

Il Francavilla di questi tempi è l’avversario che chiunque vorrebbe incontrare. Fragile e confuso: dall’involuzione della questione societaria, innanzi tutto. E anche da una regressione squisitamente tecnica, che arrugginisce un ingranaggio assolutamente improbabile. Ma il Trani, che pure non vive giorni facili, sotto il profilo puramente gestionale (Flora, il presidente dimissionario, diserta puntualmente gli appuntamenti del campionato), sa ribellarsi alla crisi, sigillando il derby in undici minuti, a match nascente. La lettura, in certe situazioni, viene facile: la gente di Pettinicchio è tenace e si issa sull’orgoglio. E il tre a zero ottenuto in trasferta è una risposta eloquente ai timori di quanti avranno ipotizzato un disimpegno psicologico del gruppo, dopo le ultime vicissitudini. Ma pure un invito postumo al suo presidente: sempre che Flora abbia, malgrado tutto, ancora voglia di fare calcio a Trani. Anche perché, lo giura il sindaco Tarantini, qualcosa si sta muovendo, sul fondo del mondo imprenditoriale cittadino. E, magari, non è ancora troppo tardi per rimediare.

lunedì 18 ottobre 2010

Grottaglie, atmosfera strana

Altra trasferta, altra sconfitta. Come se non bastassero le insidie raccolte al D’Amuri, sin dall’avvio del campionato. Il Grottaglie cede anche a Gaeta: anche se, in realtà, il risultato non deve scandalizzare. Per la differente caratura degli organici, innanzi tutto. Il tenore degli investimenti estivi, del resto, scava un solco: quasi sempre. L’Ars et Labor, peraltro, non approccia male la partita. Ma, irrimediabilmente, si perde alle prime difficoltà, cioè immediatamente dopo aver subito la rete dello svantaggio. La panca di Franco Danza, anche per questo, si fa sempre più scomoda. Il tecnico, poi, deve parare qualche polemica cresciuta attorno alla decisione (infrasettimanale) di sistemare ai limiti della squadra De Angelis, Solidoro e Laghezza. Tutta gente che, sussurra qualcuno, sembra aver già consumato il feeling con il suo condottiero, personaggio che sa essere ruvido quanto basta. Di più, non trapela. Resta, però, una squadra già molto preoccupata dalla classifica e abbastanza lacerata nei rapporti. Che deve cominciare seriamente a costruirsi una credibilità in casa, dove solitamente si edifica la salvezza. L’imminente derby con il tenerissimo (e ultimissimo) Ostuni, probabilmente, arriva nel momento più opportuno. O nel periodo storico paradossalmente meno indicato: se, cioè, la prestazione dovesse rivelarsi difettosa. Tanto da aprire uno stato di crisi e di massima agitazione. Letale, per un gruppo che, alla propria tifoseria, sembra aver consegnato un indizio di arrendevolezza e di mancanza di fiducia in se stesso.

giovedì 14 ottobre 2010

Brucato, come se niente fosse accaduto

Alla fine, il successo inatteso (appena otto minuti prima dalla conclusione della prestazione contro la Lucchese) e ormai impensabile (per le modalità con cui piove su una partita segnata dalle vicissitudini di una settimana di tensioni seminascoste) serve a tutti. Cioè, serve al Taranto e alla sua classifica. Al suo tecnico, scampato ad un esonero già scritto. E pure al club di via Martellotta, che evita così di continuare a farsi del male. E che, malgrado certe recenti aperture suggerite dall’esperienza (o dal buon senso), si trova a ripercorrere i sentieri meno prudenti del pallone, rifiutandosi - ancora una volta - di crescere. Ovvero, di offrire compiutezza a processi evolutivi appena accennati. Brucato, tecnico tradizionalmente osteggiato da una buona fetta di tifoseria e già scaricato con pochissima delicatezza nel corso dello scorso campionato, rimane il nocchiero di una delle due vicecapolista del girone. La notizia sgorga dal summit di martedì tra il tecnico nisseno e il presidente D’Addario: un incontro buono a dirsi che va quasi tutto bene. E che, tuttavia, annulla una risoluzione adottata immediatamente dopo l’insuccesso (mal digerito) di Pisa. Dopo del quale l’allenatore era stato disegnato come colpevole unico di un gioco spesso redditizio, ma non sempre stimolante. E, quindi, praticamente sostituito già prima dell’ultima gara, quella con la Lucchese. In attesa di una nuova prova difettosa, che l’avrebbe dovuto condannare definitivamente. Prova difettosa puntualmente arrivata, peraltro. Eppure salvata (solo nel risultato, ovviamente) dal moto di orgoglio della squadra, capace di impattare e rimontare sui titoli di coda. L’allontanamento di Brucato, ormai abituato a delegittimazioni forti, sembrava trascinarsi - è vero - anche sull’onda lunga delle dichiarazioni dello stesso trainer alla fine del match di domenica scorsa: parole forti nei confronti dell’ambiente, ma soprattutto della stampa e anche della società. Che non aveva gradito: controbattendo con un comunicato poco convincente e, forse, poco convinto. In cui l’allenatore non veniva attaccatto, ma neppure difeso. I tre punti, la sollevazione di parte dell’opinione pubblica e l’imbarazzo di D’Addario, dunque, salvano Brucato. Il cui allontanamento avrebbe stonato con la classifica del Taranto. Avvalorando, però, le tesi di quanti imputano al tecnico scarsa cura dei dettagli tattici, surrogata da un rapporto intimo con la sorte. Che, altrimenti, chiameremmo virtù dei singoli al servizio della causa comune. E legittimando, infine, anche le teorie degli operatori dell’informazione: accusati di aver inventato un caso, cioè di aver riportato notizie infondate. Ma, conoscendo le abitudini del calcio e la realtà sui due Mari, la questione non è affatto chiusa. Ci scommettiamo.

mercoledì 13 ottobre 2010

Francavilla, successo senza sorrisi

Non basta vincere, per essere felici. Il Francavilla piega a casa propria l’Angri, che rimane una concorrente diretta nel capitolo-salvezza: decide Piovan, dal dischetto, in fondo ai novanta minuti. Anzi, lo score è sufficientemente onesto: e spiega, se non altro, la volontà di resistere alle intemperie di un torneo sùbito sgorbutico. Ma le nuvole dei dubbi si riaddensano immediatamente, a partita appena finita. Patron Distante, infatti, decide: basta così. I contributi delle sponsorizzazioni sono già terminati. Consumati dalla spesa estiva e dal primo mese e mezzo di calcio giocato. E il presidente non può permettersi ulteriori investimenti. Difettano (continuano a difettare) altri contributi. E l’aiuto di quanti avrebbero potuto (o dovuto? Qualcuno ha promesso qualcosa?) sostenere, anche dall’esterno, il progetto calcistico. E’, questo, tempo di stipendi: e i conti già non tornano. Tanto da rendere inutile, se il disimpegno di Distante dovesse essere confermato nella sostanza dai fatti, la rincorsa affannata ad un organico da presentare per l’avvio della stagione. E, soprattutto, il ripescaggio in serie D, per ottenere il quale proprio il massimo dirigente sembra essersi prodigato. E non poco. Malgrado lo stato di bassa pressione finanziaria abbia, ormai, radici profonde. E sì: perché, a questo punto, un’Eccellenza dignitosa (e meno dispendiosa) avrebbe risolto quello che è diventato un problema serio: salvare il titolo sportivo. O, comunque, il futuro del pallone in città.

martedì 12 ottobre 2010

Florimbj e il Brindisi divorziano

La soluzione, molto spesso, è più semplice di quanto si possa intuire: si chiama esonero. Il Brindisi esautora Florimbj, il tecnico del suo prezioso avvio di campionato. Due sconfitte (la prima a Matera e la seconda in casa, sette giorni più tardi, cioè domenica scorsa, di fronte all’ambizioso Neapolis) fanno una prova di colpevolezza. Suffragata, certo, da un calcio più dimesso: almeno, per quello che la formazione adriatica aveva lasciato vedere sin qui. E da un calo di tensione che non faticheremmo a definire limpido. Deleterio per il morale della piazza e per le esigenze di classifica (leadership persa, adesso si insegue). Tuttavia, dentro la decisione del presidente Galigani (peraltro legatissimo a Florimbj, da tempo) ci sarebbe dell’altro: le cattive relazioni tra l’allenatore e qualche elemento del gruppo e, soprattutto, la norma degli under. Che, in C, non vanno schierati obbligatoriamente. Ma che, una volta utilizzati, portano denaro nelle casse della società. Norma che Florimbj avrebbe dribblato, cercando compattezza nell’esperienza. Vero o falso, il club possiede le proprie esigenze. E, di questi tempi, con i conti non si scherza. Oltre tutto, da questo punto di vista, Galigani non transige. Neppure con gli amici stretti. Del resto, il business riconosce soltanto le proprie regole di comportamento. Scavando, però, dietro l’angolo dell’esonero potremmo trovare anche qualcos’altro. Ad esempio: un organico sopravvalutato dai primi risultati felici. E che, forse, ha ammaliato l’ambiente, depistandolo. Solo un’ipotesi, ovvio. Che, intanto, conserviamo volentieri.

lunedì 11 ottobre 2010

Taranto, vittoria con interrogativi

Sta accadendo qualcosa, sui due Mari. Sembra che patron D’Addario si sia stancato di Brucato, allenatore troppo spesso delegittimato. Tanto che il presidente, deluso dalla trasferta di Pisa, in settimana avrebbe contattato Galderisi, coach attualmente senza panchina. Sembra che la squadra abbia accusato i malumori nati e cresciuti in settimana. E, con i malumori, certi processi sbrigativi, certe contestazioni sotterranee e un’atmosfera irreale, per una squadra che naviga nei quartieri nobili della classifica. Tanto da affrontare il match con la Lucchese assai contratta. Di più: con svagatezza, confusione. Zoppicando, ecco. Sembra, addirittura, che il Taranto abbia scaricato il suo condottiero. Scendendo in campo con la ruggine dei giorni più sofferti. In tanti, del resto, sulle tribune l’hanno pensato. E l’hanno detto. Per ottanta minuti. E sembra, infine, che il collettivo abbia radunato le forze nel momento decisivo, sostenendo con le architravi della vittoria il suo trainer già condannato. Ribaltando, con Innocenti e Rantier, il risultato: proprio al fotofinish. E ingannando la giustizia calcistica: la Lucchese, diciamolo sinceramente, avrebbe meritato almeno un punto. A partita consumata, allora, restano alcune indicazioni. La prima: il Taranto continua a non giocare di squadra, ma giostra ancora sulle intuizioni del suo reparto avanzato. La seconda: il Taranto comincia a innervosirsi. Come accade ogni anno, per un motivo o per l’altro. La terza: la società, adesso, si trova in difficoltà: con un allenatore nuovo all’uscio e quello vecchio che, al di là di tutto, torna a vincere, blindando il secondo posto. Condizione che, peraltro, non impedirebbe a D’Addario di cambiare guida tecnica: nulla è impossibile. E poi, quando decide, il generale decide. Brucato, intanto, attacca una parte di stampa, respingendo qualche accusa e, in sostanza, circumnavigando il problema. Le indiscrezioni, infatti, non nascono per caso, né si inventano. Così come non si inventano le condizioni migliori per lavorare. Qui, però, l’allenatore c’entra poco. C’entra, piuttosto, la società, ancora troppo umorale per disegnarsi un futuro diverso.

domenica 10 ottobre 2010

De Canio e Semeraro, si apre una crepa

Una settimana per riposare. E per gustare una classifica gratificante. Il Lecce sembra essersi calato nella mentalità del campionato. In cui, è evidente, dovrà necessariamente tornare a sbuffare e sgomitare: diversamente, non ci sarà troppa storia. Qualche crepa, però, emerge. A settimana inoltrata. La squadra, questa volta, non c’entra. Colpiscono, invece, le libere (e piccate) dichiarazioni incrociate di De Canio («da ora in poi non mi occuperò più di mercato») e del presidente Semeraro («non l’ha mai fatto»). Al di là della verità (a noi risulta che, di fatto, il tecnico abbia sbrigato i compiti di un vero e proprio manager, negli ultimi dodici mesi, cioè dopo la risoluzione del contratto tra il club salentino e l’ex diesse Angelozzi), la polemica – forse anche morbida, ma viva – sorprende: anche e soprattutto per la tempistica con cui si arrampica. E, se vogliamo, per le modalità con cui sorge. Innanzi tutto, non se avvertiva la necessità. E poi, evidentemente, sintetizza certi malumori sin qui sopiti, ma infine sfociati in un momento storico sostanzialmente sereno. Crepa strana, improvvisa. Che lascia pensare. Antipatica, prima ancora che pericolosa. Che, magari, verrà immediatamente composta. Ma che, intanto, apre la strada a certi sospetti. Molto spesso, i divorzi si consumano attorno ad episodi futili.

mercoledì 6 ottobre 2010

Le multe? Paga la gente

Il risveglio è duro: il Pisa fa il Pisa, avversario affamato che addiziona volontà e orgoglio. E il Taranto si perde dietro ad un modulo indefinito (ne avevamo parlato il mese scorso, non è cambiato niente), dilapidando un tempo, il primo, senza riuscire a recuperarlo. Brucato ritrova la strada maestra in ritardo e qualcuno, tra la gente che tifa, comincia (di nuovo) a dubitare sull’opportunità di lasciare il coach nisseno sulla panca jonica. Mentre la società respinge i sospetti: avanti così, la sconfitta è solo un episodio. Può darsi: ma insistere a non definire lo schema attorno al quale la squadra deve muoversi può diventare dannoso. Soprattutto se la scelta del modulo finisce con l’influenzare la scelta degli uomini. Di certi uomini: quelli che, per esempio, in questo momento, sembrano offrire più garanzie. E che, nonostante tutto, non partono titolari. Intanto, la seconda piazza solitaria è persa. E, con lei, la pazienza di D’Addario. Non tanto nei confronti di allenatore e giocatori: anche se molti raccontano di atmosfere tese, tra gli spogliatoi e le scrivanie del club. Quanto nei confronti di chi sostiene il Taranto. Spieghiamo. Due gare, le ultime: la prima in casa, la seconda in Toscana. E, complessivamente, oltre quattordicimila euro di multe. Determinate da qualche comportamento eccessivamente disinvolto, sugli spalti. Soluzione: dalla prossima domenica (allo Iacovone arriva la Lucchese), i prezzi al botteghino dei tagliandi d’ingresso verranno maggiorati. E’ bastato dividere l’importo delle sanzioni per la media dei paganti: il risultato è, almeno, di tre euro a persona. Matematica pura. Concetto chiaro. E, in fondo, anche legittimo. Anche se è improprio pretendere da tutti a causa dei difetti di qualcuno. L’iniziativa del presidente non è affatto inattaccabile: innanzi tutto dal punto di vista del diritto. Ma confessiamo che non ci dispiace. Per il messaggio che si porta appresso: talvolta, il coraggio va applaudito. E non solo perché la vita di una società di pallone si misura con i conti di gestione.

martedì 5 ottobre 2010

Il Casarano non sprinta, galleggia

Antonio Toma, a Casarano, è blindatissimo: dalla società (che pretende, ma che pure riconosce le difficoltà del percorso verso la promozione, unico obiettivo dichiarato) e dalla gente, con cui il tecnico conserva un legame stretto, un feeling tenace. Ma, chissà, qualcun altro avrebbe potuto già essere schiacciato dalle responsabilità, al suo posto. In una piazza che, quando si parla di pallone, non scherza. Perché la squadra non procede come dovrebbe e vorrebbe. Ostacolata, sempre e comunque, da un dettaglio (l’avversario chiuso a difesa della propria incolumità, il gol invalidato) che non la promuove con chiarezza. Ma anche dall’assenza di una brillantezza duratura, definitiva. Sin qui, la Virtus ha galleggiato. E non ha mai convinto pienamente. Non riempie il campo di sé, anche se molto spesso si fregia di un’indiscussa supremazia territoriale. Non possiede l’istinto del killer. Non azzanna il match, non impone i diritti delle proprie qualità, non si conforta dell’arroganza tecnica con cui è stata concepita. E, pur mantenendosi a ridosso della capolista Arzanese, viaggia con tre lunghezze (rimediabilissime, ci mancherebbe) di disavanzo dalla vetta. In quattro gare. A Pisticci, domenica, lo zero a zero è stato salutato, oggettivamente, con un po’ di delusione. Comprensibile: perché sono queste le partite da vincere. Inutile girare attorno al problema: è un’occasione sprecata. Anche se il campionato sembra non aver ancora raggiunto quel livello di chiarezza e, ovviamente, resta aperto a qualsiasi soluzione, domenica dopo domenica. Anche in Lucania, il 4-2-4 disposto da Toma si è proposto, ma senza offrire al confronto un indirizzo netto. Un paio di palle buone per passare a condurre il risultato non costituiscono un dato numerico inattaccabile. Il coach, allora, dovrà escogitare qualcosa di nuovo. O di diverso. Il Casarano non può permettersi una nuova partenza ad handicap, come nella passata stagione. Comunque, l’urgenza del risultato è un avversario che attacca le radici di qualsiasi progetto. E anche quelle di un feeling saldissimo. Che attacca, anzi, all’improvviso. E che, quindi, può fare ancora più male.

lunedì 4 ottobre 2010

Grottaglie, successo tra i dubbi

Prove tecniche di riequilibratura. In coda a tre sconfitte (l’ultima, bruciante, a Francavilla sul Sinni, maturata negli ultimi sette minuti, a vantaggio quasi archiviato), il Grottaglie riconosce la convenienza del successo regolando a casa propria la Fortis Murgia di Squicciarini. Ma la strada non è affatto sgombra dai dubbi. Perché difendere il risultato con due uomini in più, nell’ultimo quarto d’ora, si può e si deve. Invece, la sofferenza si amplia, si moltiplica. Laghezza deve salvare la propria porta almeno due volte, tra gli affanni ingombranti e le paure asfissianti. La gestione del due a uno e, quindi, dell’ultima parte della gara è onestamente difettosa. E non promuove completamente una squadra che continua a convivere con le sue amnesie, con le proprie insicurezze. Il derby, però, abbellisce la classifica ed evita un crollo psicologico, consegnando a Franco Danza altro tempo per regolare i meccanismi del collettivo. E per cercare la soluzione al più impegnativo dei problemi: la lenta acquisizione di una maturità. Un po’ il leit motiv degli ultimi tre campionati dell’Ars et Labor. Che va al di là del nome e del cognome e della guida tecnica. E che scopre il nervo scoperto, sempre lo stesso: l’assenza dell’uomo in grado di prendere per mano la squadra, di accompagnarla sul sentiero più sicuro. E senza del quale il campionato del Grottaglie rischia di diventare un percorso denso di ostacoli.

sabato 2 ottobre 2010

Flora, fine della corsa

La squadra galleggia con decoro (due successi, altrettante sconfitte, classifica serena). La società si impantana nelle incognite. Il calcio, a Trani, rischia di essere nuovamente schiacciato dalla disaffezione e dai fraintendimenti. Flora, il patron, è ufficialmente dimissionario: garantitrà – così dice – quello che deve sino alla riaperture delle liste e poi saluterà. Senza transitare altrove. C’era, del resto, qualcosa di strano, nell’aria: sin da quest’estate. Immediatamente prima che lo stesso Flora raddoppiasse l’impegno, sùbito dopo la promozione ottenuta in D. Allora, però, la frattura tra il presidente e l’ambiente imprenditoriale e cittadino fu compensata. O meglio, mascherata da promesse inevase di assistenza ecomomica. Il problema germoglia con un paio di mesi di ritardo: niente di più, niente di meno. E il numero uno, di fare calcio da solo, non ha più voglia: gli va dato atto di averlo comunicato per tempo. E, soprattutto, di essersi incamminato ugualmente, senza garanzie concrete. Difficile capire se la nuova situazione, adesso, smuoverà qualcosa. Le parole di Flora, però, scivolano cupe: «Il pallone, a Trani, non interessa nessuno»: molto più di uno sfogo. Molto più di una sensazione. Una certezza, sancita dagli ultimi vent’anni di pallone, a queste latitudini. E dalle stesse conclusioni tratte da chi (Abruzzese, Simone, altri ancora) aveva gestito il club prima di lui. E anche questa è storia. Insindacabile.

venerdì 1 ottobre 2010

Approfondimenti tardivi e polemiche superflue

Meritava di perdere, il Brindisi: sottovoce, qualcuno lo ammette. E, invece, ribalta il risultato poco prima del fotofinish, aggrappandosi su un paio di episodi particolarmente favorevoli. Liberandosi della Vigor Lamezia, avversario temibile, e mantenendo la vetta della classifica. Riprendendosi, molto probabilmente, quanto aveva perso (ingiustamente) contro il Campobasso. E’ il calcio, gente. E, poi, questa è la C2: il cui spessore, quest’anno, è davvero limitato: conseguenza diretta di un’estate di crisi profonda per il pallone nazionale. Ancora leader, dunque: la formazione di Florimbj insiste. E comincia ad avvertire il calore della gente, che sta risvegliandosi. Com’è giusto che sia. E che, peraltro, adesso si ritrova intrappolata nelle polemiche che si stanno accodando al passaggio di consegne societario (Galigani per i Barretta). E nei rivoli delle indiscrezioni che mai hanno abbandonato il nuovo vertice del club, dal giorno del suo insediamento. L’ultimo comunicato societario, del resto, è carico di stizza. E si riconduce ad una recentissima trasmissione sportiva, in cui sono state nuovamente vivisezionate le tappe del mancato accordo tra la famiglia Barretta e una cordata di imprenditori brindisini: tramontata poco prima che Galigani si impossessasse del controllo delle quote azionarie. Episodio che porta a una riflessione. La città, ancora una volta, non manca all’appuntamento con l’autolesionismo, intorbidendo un momento storico che può considerarsi felice, nonostante i problemi sussistano. E che, sia chiaro, non può (e non deve) sviare i discorsi e l’approfondimento di situazioni poco chiare, se ne dovessero emergere. Ma ogni situazione va coltivata al tempo giusto. E va sviscerata non esclusivamente per obbedire ai principi di contrarietà. La stampa brindisina ha avuto il tempo di indagare già in estate. E non l’ha fatto. Se ne ricorda ora: quando, ormai, è tardi. O meglio, quando l’occasione è sfumata. E quando la polemica per la polemica deteriora certi rapporti e avvelena l’ambiente. In un passaggio della stagione, appunto, ammiccante. Anche se molte voci fanno un indizio e qualche indizio rischia di fornire almeno una prova.

mercoledì 29 settembre 2010

Barletta, il progetto scricchiola

Ci sbaglieremo. O, forse, no. Ma la promozione burocraticamente guadagnata ad agosto sembra aver minato le fondamenta del progetto Barletta. Un progetto che ci stava piacendo. E non poco: per la linearità delle sue coordinate, per la chiarezza degli obiettivi, per l’attenzione dedicata dal club alle strategie di gestione. Il salto di categoria, invece, sembra aver resettato tutto. O, almeno, compromesso abbastanza. Magari, il Barletta non era psicologicamente (e strutturalmente) preparato alla terza serie. Probabilmente, l’assetto societario si è ritrovato all’improvviso in un ingranaggio troppo più sofisticato di quello appena lasciato. E, sicuramente, la C1 merita molte più cure della C2. Di fatto, però, si sono rincorse troppe stuazioni, nelle ultimissime settimane. La squadra, innanzi tutto, è sostanzialmente indifesa alle intemperie di un campionato più esigente. E, quindi, si è già adagiata con rammarico in fondo alla classifica (un punto in sei match). Poi, il presidente Sfrecola si è praticamente defilato: mantenendo un incarico simbolico. Contestualmente, l’arrivo del nuovo numero uno (Tatò) è stato salutato da qualche mormorio. Alimentato, peraltro, dal defenestramento del diesse Geria, surrogato da Marcello Pitino, storicamente vicino al vicepresidente Attimonelli. Al centro di questo vortice, intanto, si trova Sciannimanico. Con la squadra. Una squadra che attende puntelli, vale ripeterlo. Il tecnico è seriamente indiziato a lasciare la panchina: e, se domenica prossima non otterrà riscontri positivi, l’esonero pare scontato. E’ quello che accade in certe storie un po’ torbide del pallone. Sciannimanico, tuttavia, oggi appare il meno colpevole di tutti. Rischia di pagare l’errore di aver accettato un organico impreparato all’avventura e, forse, anche il profilo basso mantenuto sin qui. Nient’altro. Ma l’esonero, se dovesse concretizzarsi, sarebbe un errore pericoloso. Per la squadra, per la credibilità del progetto. E, soprattutto, un’ingiustizia vera.