lunedì 31 maggio 2010

E, infine, la promozione

Arriva il dato aritmetico che mancava. Proprio in fondo al viale, nell’ultima occasione utile. Il Lecce raccoglie un punto dalla sfida con il Sassuolo e ritrova la serie A, tre settimane più tardi di quanto avesse immaginato e sperato. Prolungando l’attesa, come in un thriller ormai inimmaginabile. Ma rispettando, nella sostanza, i pronostici spesi a giugno: malgrado in troppi affermino il contrario. Perché la squadra di De Canio s’incamminava verso il campionato con il conforto di un organico anche abbastanza giovane, ma importante e competitivo. Come quello di Brescia ed Empoli, tanto per capirci. Teoricamente, un solo gradino sotto quello allestito dal Torino o dalla Reggina, cioè le delusioni più evidenti di questa serie B. Ecco, sorprende vedere il Lecce davanti a tutti, questo sì. Cioè promosso in prima battuta. Ma il verdetto è corretto, senza dubbio alcuno. Perché la squadra sa reagire alle insidie della parte iniziale del torneo, rimediando una quadratura tattica e imparando a giocare con praticità. Diventando, da quel momento, l’espressione più continua, per rendimento e risultati, del girone. Il compito, è vero, diventa più agevole perché manca un avversario che sappia accelerare con convinzione: la continuità, cioè, abita in Salento e non altrove. Tanto che Giacomazzi e compagni possono permettersi di condividere qualche pareggio in più e di felicitarsi con il minimo garantito. Più di una volta. Auguri, allora: alla società, che spende il giusto e ricava molto. Al tecnico, che conduce la squadra con fermezza e lucidità, gestendo con efficacia e personalità le ore più complicate. Ai protagonisti del campo: molti dei quali affamati e pronti ad integrarsi alla frangia più esperta del contingente. E alla tifoseria: più riflessiva di altre occasioni. O solo più paziente. Forse non eccessivamente calorosa (la serie A sembra diventata un’abitudine e, forse, la B non riscalda più), ma – proprio per questo – indisponibile alla pressione fitta. E, ovviamente, auguri anche alla città: che ritrova il palcoscenico di maggior prestigio. Palcoscenico che, in provincia - e soprattutto di questi tempi - resta un lusso. Da gestire, giorno per giorno. E da guadagnarsi: con una politica attenta. Che sappia guardare anche al vivaio, un po’ trascurato negli ultimi anni. A proposito. è arrivato il momento di cominciare a ripensarci su. Compiutamente.

mercoledì 26 maggio 2010

Foggia, possiamo fidarci?

Onestamente, non ci aspettavamo una sessione dei playout così beneaugurante, per il Foggia. Che, in gara uno, aggredisce il Pescina, lasciando Avezzano con una dote importante: un due a uno da difendere allo Zaccheria, domenica prossima. Sperando, però, che la truppa di Ugolotti affronti l’incontro che verrà (e che vale la stagione) con la mentalità di chi deve far fruttare il primo parziale, piuttosto che di salvaguardarlo con incerta sufficienza. E sì: perché la situazione che si è creata comincia ad assomigliare fortemente a quella vissuta recentemente, all’ultimo capitolo della regular season. La prossima gara, cioè, possiede molti tratti somatici comuni a quella persa (e senza reagire) con la Spal. Ci viene facile intuire, quindi, che il trainer stia già lavorando alacremente sul profilo psicologico della squadra, prima di ogni cosa. Perché serve un Foggia convinto sino in fondo, astuto, meno presuntuoso. Vorremmo sbilanciarci, anche nel pronostico: ma ci soccorre un velo di prudente saggezza. Di questo Foggia possiamo finalmente fidarci?

lunedì 24 maggio 2010

Brindisi, quel pari che penalizza

Playoff faticosi. E il Brindisi digrigna i denti. Gara uno della semifinale è test di difficoltà duffuse: perchè l’avversario (la Cisco Roma) è formazione ben sistemata sul campo, esperta e ordinata dietro, surrogata tecnicamente da buone individualità e scafata quanto basta per arginare la pressione altrui con pressing e sacrificio e per gestire la ripresa, dove soffre abbastanza poco. La gente di Silva produce tre occasioni interessanti e coglie anche un palo, con Carcione: ma il suo match è un po’ imballato e la manovra si incarta spesso. In mezzo al campo, Fiore tramonta sùbito, Piccinni svolge il compitino e Battisti può offrire geometria, ma non idee. Mortelliti, del resto, è in panca, debilitato. E, davanti, Moscelli non trova né lo spazio, né gli spunti. Albadoro, preferito a Da Silva, capisce un po’ tardi che, per catturare il pallone, deve ripiegare e cercare lo scambio. E non assicura spessore per tutto il match. Lo zero a zero, alla fine, penalizza il Brindisi vistosamente. Perché, nella manche di ritorno, diventerà obbligatorio vincere, per proseguire la corsa. Operazione, di per sè, non impensabile, ma oggettivamente ardua: soprattutto se Trinchera e compagni non guadagneranno agilità, densità, aggressività e lucidità. Qualità che il Brindisi, quando serve davvero, dimentica spesso. Evidentemente, non per caso.

venerdì 21 maggio 2010

Il Taranto si guarda indietro e trova il futuro

Non andava bene, Capuano. Più che al presidente, a quanti gli sono attorno. Ma anche alla piazza, sostanzialmente. E non andavano bene neppure Roselli, Moriero e un’altra decina di nomi circolati dalla fine del campionato (anzi, anche prima) a ieri. La panchina del Taranto che verrà, ormai è deciso, va invece a Brucato, presentato ufficialmente in conferenza stampa con beneaugurante tempismo. Meglio: la panchina torna a Brucato, il secondo tecnico della stagione appena finita e defenestrato a gennaio con freddezza e un sms: non spedito, peraltro, all’interessato. Ma il calcio è un caleidoscopio ineusaribile di situazioni buffe. E, spesso, si guarda avanti, come se nulla fosse accaduto. Problema risolto, allora: con una decisione che, almeno, svilisce il vagare un po’ cieco alla ricerca della persona adatta. Nel mare delle offerte più disparate: che andavano dal difensivista camuffato al progressista dichiarato. Quasi a voler sottolineare l’indecisione di fondo. Ma tant’è. Capitolo chiuso, dunque. E si rassegni chi non gradiva e quanti continuano a non gradire il tecnico di Caltanissetta: cioè buona parte della tifoseria e anche degli operatori dell’informazione. Anche se poi diventa difficile comprendere certe parole di D’Addario («Capuano no, perché è inviso all’ambiente»): come se Brucato godessse del favore popolare. O di buona stampa. O di grande charme: scalfito da troppe situazioni emerse nel corso del torneo e, soprattutto, da quell’esonero insolito. Si riparte con Brucato, quindi (e con ambizioni da verificare prossimamente): un modo come un altro per ritrattare e ammettere un errore. Oppure una scelta di convenienza: non economica, come assicura il numero uno del club (il coach era tuttora vincolato dal vecchio contratto). Ma di convenienza empatica: perché Brucato, sin qui, si è rivelato l’allenatore più disposto a dialogare con la proprietà. Basterà? E per quanto?

martedì 18 maggio 2010

Noicattaro, cambio di panca al fotofinish

Tutto all’improvviso. Oppure no, se si ascoltano i commenti di chi vive strettamente la quotidianità del Noicattaro. Che si avvicina alla doppia sfida dei playout (domenica prossima e qulla seguente, di fronte alla Vibonese) con un cambio di panchina da metabolizzare in fretta. Trillini, a regular season appena consumata, è stato accompagnato all’uscio. Piegato da un ben radicato conflitto concettuale con la proprietà e, chissà, anche da un finale di campionato non proprio brillante: al di là dei numeri pubblicizzati dal trainer marchigiano, tra un saluto e l’altro. E, infine, surrogato da una soluzione interna (Angelo Sisto, coach della Berretti, e la vecchia conoscenza Vito Bitetto, uomo di fiducia del presidente Tatò). La scelta del club piove quasi sui titoli di coda, ma prima che il torneo di C2 sveli il nome del colpevole. Esattamente nel momento fondamentale della pellicola: dove non si può sbagliare. Misura improcastinabile, certifica Tatò. Eppure pericolosa: non solo per una questione psicologica, ma anche per motivazioni squisitamente tattiche. Anche per questo, Bitetto e Sisto non potranno modificare l’ultimo Noicattaro della stagione. Rischiando, cioè, di confondere ulteriormente una squadra che dovrà applicarsi meglio di quanto abbia fatto sino ad oggi. E che, sin qui, ha viaggiato su equilibri instabili. Detto tra noi, il capitolo playout si complica sensibilmente, proprio al fotofinish. E questa storia non mancherà di sollevare quesiti e polemiche, se il verdetto dovesse rivelarsi nemico. Sempre che il Noicattaro importi ancora alla città, alla tifoseria o a qualcuno. A qualcuno che si senta ancora legato all’espressione calcistica di un territorio: ancora per poco. Perché il tempo, questa volta, sembra davvero scaduto. E l’emigrazione è molto di più di una minaccia fastidiosa e puntuale.

lunedì 17 maggio 2010

Fine della corsa. Gallipoli, si scende

Fine della corsa. Il Gallipoli si ferma qui. E, speriamo, non per sempre. Intanto, a Reggio Calabria perde partita e serie B: ma, in coda a due mesi di scarsissimi risultati, il dato non meraviglia affatto. Due mesi, oltretutto, vissuti in un’emergenza finanziaria assoluta, dove si disintegrano facilmente anche le motivazioni residue. La retrocessione chiude una storia forse irripetibile. Anzi, una favola, per scomodare un termine sin troppo abusato. Ma assolutamente fedele alla verità. Retrocessione che brucia: soprattutto perché, a tre quarti del cammino, la squadra allora gestita da Giannini sembrava virtualmente salva. E, comunque, viva: malgrado i problemi. Che, peraltro, il passaggio del tempo ha abbruttito, ampliandoli. Adesso, si scende. Anche se, nel vagone, non è rimasto più nessuno. Mentre il fallimento del club è una realtà con cui misurarsi. Realtà che potrà condurre, nel migliore dei casi, in serie D: evidentemente, l’humus ideale della dimensione calcistica di quest’angolo di Salento. Dispiace dirlo, ma è così: parlano i fatti. E la dannosa sequenza di situazioni grottesche succedutesi negli ultimi dodici mesi. Fine della corsa. E, nell’aria, solo apatia, rassegnazione e appena un po’ di rabbia. E l’impressione inquietante di aver difeso male la serie B. Concettualmente e, purtroppo, quasi inconsapevolmente. Nelle strade della città, ancora prima che sul campo.

sabato 15 maggio 2010

Casarano, un terzo posto per ripartire

Troppo ampio il divario da colmare. Troppo largo il disavanzo da combattere. Un girone intero, quello di ritorno, non sempre è sufficiente. Soprattutto se le candidate alla promozione sono il Neapolis e il Pianura, formazioni allestite per vincere. Il Casarano non completa la rincorsa e si ferma al terzo posto: come più o meno previsto già a marzo, peraltro. Anche se la speranza di ottenere qualcosa di più e di meglio, ad un certo punto, si era persino rafforzata. La partenza affaticata è il vizio originale che frena la formazione di Bianchetti e che, infine, la limita. Tutto chiaro, tutto limpido. Non c’è molto da aggiungere: se non che va dato atto alla squadra di aver corretto in corsa il proprio passo, di aver lavorato per conquistare compattezza e funzionalità a campionato già avviato e di aver limato certe problematiche, seppur in ritardo. Risvegliandosi a torneo già abbastanza compromesso, in coincidenza con il recupero (fisico e, talvolta, mentale) di uomini importanti. Al di là del fallimento dell’obiettivo più o meno dichiarato (la famiglia De Masi cercava la seconda promozione di fila, inutile negarlo), conforta però parecchio capire che il progetto di recupero dell’identità perduta e di categorie più prestigiose non si corrompe alle prime difficoltà incontrate sul cammino. Il Casarano ha in mente il ritorno tra i professionisti e dissuaderlo non sarà agevole. Attraverso i playoff (ipotesi, come ogni anno, remota: e, questa volta, ancora di più), oppure nella stagione che si aprirà a luglio. L’organico, del resto, va solo integrato, sostenuto. E non occorre sventrarlo: di fronte alla scarsa qualità diffusa del campionato di serie D (e sarà smpre così, con cinque under obbligatori), è la solidità dell’impianto a pagare. Con un pizzico di fantasia, ovviamente.

venerdì 14 maggio 2010

Taranto, finale morbido. Guardando avanti

Due vittorie (con l’Andria, in casa, e quella superflua di Cosenza) negli ultimi centottanta minuti della regular season risvegliano il Taranto e trasportano la squadra di Passiatore a ridosso delle più titolate. Le statistiche, anzi, sembrano nascondere un mese abbondante di tensioni e timori. E, soprattutto, la minaccia dei playout sofferta alla vigilia del derby. Cose del calcio. Materia dove i conti si rischiano solo alla fine del percorso. Ma dove, però, i sapori degli ingredienti utilizzati si sentono sempre. La prima esperienza calcistica della famiglia D’Addario si stempera nel sollievo e ammara nella tranquillità, dopo essere passata attraverso un vortice di polemiche, stranezze e confusioni dei ruoli e una maldestra gestione delle situazioni. Che non nasce esclusivamente dall’ inesperienza, ma anche da una certa supponenza: puntualmente punita. Cioè, pagata. E si addolcisce anche la prima vera esperienza in panchina di Passiatore, uscito dal tunnel con sette punti in sette partite. E pronto a ricominciare: ma altrove. Con la consapevolezza di aver raccolto un’opportunità grande, senza approfittarne. Tutto il resto, è passato (con le sue crepe e le sue situazioni interpersonali da ricomporre: tra il presidente e parte della tifoseria, tra il patron e la stampa, tra D’Addario e l’opinione pubblica) e futuro (da decodificare). Il futuro, già: innanzi tutto, la proprietà non cederà. L’allarme e la minaccia di disimpegnarsi sembrano definitivamente svanite. E, magari, raddoppierà: cioè, riteneterà l’assalto alla B, che è il punto nodale che afflige la città da poco meno di vent’anni. Ma anche l’obiettivo di partenza del vertice del club: che, adesso, da questo punto di vista professa maggior riservatezza (le scottature, talvolta, servono). Fondamentale, come sempre, sarà tuttavia la strategia societaria. Che dovrà necessariamente edificarsi su criteri diversi: più puramente calcistici, cioè. E svincolati dalle logiche aziendali, che con il pallone possiedono pochi punti di contatto. L’esperienza dovrebbe aver formato, insegnato: lo auspichiamo. Anche in prospettiva immediata: quando occorrerà affidarsi ad una nuova conduzione tecnica della squadra. Sulla quale, in verità, circolano molte voci. Troppe voci. Che lasciano ipotizzare, all’interno dello staff che ruota attorno a D’Addario, posizioni distanti tra loro. E, dunque, ipoteticamente destabilizzanti. Quello dell’allenatore, del resto, non è affatto un capitolo secondario. E non potrà non influire nelle scelte di mercato e, di conseguenza, in quelle gestionali. Quindi, nell’economia della stagione che arriverà. Diventando, così, il primo passo verso la normalizzazione della questione calcistica sui due Mari. Ovvero, la prima grande conquista: purchè, è chiaro, cambino le prospettive, i metodi e le convinzioni.

giovedì 13 maggio 2010

La retrocessione amara del Francavilla

Ci sono squadre obbligate a dare tutto. A darsi per intero. A digrignare i denti, a scalpitare. E a sgomitare. A credere in se stesse e alla salvaguardia del proprio obiettivo proprio nel momento in cui transita l’occasione. Né prima, né dopo: ma in quel preciso periodo storico, in cui si incrociano le astuzie del calendario e si pianificano le vicende altrui. Ci sono squadre chiamate alla prova di maturità, ultima stazione per la permanenza. Che possono sovvertire le impressioni e i pronostici. E che possono pure mancare fatalmente, bruciando l’esame. Non cogliendo l’attimo. Arenandosi nella medesima inconsistenza di tanti mesi sprecati. Rimanendo un po’ in disparte, un po’ confuse, imbrigliate dall’ineluttabilità degli eventi: con quella strana consapevolezza di dover pagare il dazio, ancora prima del confine. Pronte al sacrificio: perché così sembra scritto. Una di queste squadre è il Francavilla. O, almeno, questa è la sensazione che ha offerto. La squadra di Ruisi (a proposito: la sua grinta, tradizionalemnete utile nelle infusioni di coraggio a sostegno del collettivo, sembra annacquata, all’improvviso. Non è un buon segnale e fa sospettare troppe cose) difetta l’approccio con le partite decisive. Svalutando anche le opportunità di scorta (nell’ultimo turno del torneo, domenica prossima, l’avversario diretto Pisticci riposa). E la retrocessione diretta, con novanta minuti di anticipo, copre due anni di serie D difesa con onore. Retrocessione particolarmente amara: perché, al contrario di altre realtà, il Francavilla ha potuto operare sul mercato. Più volte. Malgrado il programma di contenimento dei costi pubblicizzato in estate: operazione che, poi, ha costretto il presidente Distante a spendere più o meno quanto la stagione precedente. Chiusa, però, con una permanenza comoda. E particolarmente amara perché il Francavilla, nel corso del campionato, ha sciupato opzioni irripetibili: più per indolenza, che per incapacità (una partita per tutte, quella di Pisticci, che poi ha ufficializzato lo stato di crisi dal quale Paglialunga e soci non hanno più saputo uscire). Retrocessione amara, ma forse anche concordata col destino, inconsapevolmente: della quale si assume parte delle responsabilità Distante, con onestà intellettuale. Prima di lasciare il club, si dice. E dopo aver capito che, in fondo, la gestione tecnica di dodici mesi addietro, frettolosamente esautorata, non era così cattiva e così dispendiosa.

mercoledì 12 maggio 2010

Monopoli, ultimo chilometro con polemica

La notizia è che l’Igea, avversario di turno, gioca regolarmente. Dopo tre settimane di silenzio assoluto. Con la volontà e la dignità dei suoi giovani. Con l’orgoglio raccolto nel campo dolente del suo dramma sportivo. Con il pudore di quanti possono coprire poche falle, ma non l’emorragia. Per ribellarsi alla bruttura della radiazione. La partita del Monopoli, tuttavia, è una recita trascinata dalle esigenze di calendario e di regolamento. Non esiste il confronto, contro i ragazzini di una squadra, quella siciliana, già retrocessa. Non c’è confronto (finisce quattro a uno, risultato assolutamente ininfluente sulla classifica) e neppure un senso profondo. Ma, sugli spalti, prima che il campionato finisca, si agita molto malumore. La frangia più estremista della gente che tifa apostrofa robustamente il coach Chiricallo, macchiatosi del paccato di aver allestito, la settimana prima, una formazione di ripiego contro uno dei rivali di sempre, il Barletta. Sinceramente, la contestazione appare esagerata. E, comunque, ufficializza il divorzio tra il tecnico e il club. Che, si dice, avrebbe riallacciato i rapporti (interrotti bruscamente, non troppo tempo fa) con Pino Giusto. La novità un po’ sorprende, ma fa niente: nel pallone, è vietato meravigliarsi. Ma, dalla società, da qui in avanti sarà lecito attendersi - come gridava la curva – un progetto chiaro. Che, aggiungiamo noi, potrebbe finalmente pensare di appoggiarsi ad una conduzione tecnica duratura, capace di superare i quattro o cinque mesi entro i quali sono ormai tradizionalmente costretti a lavorare gli strateghi del Monopoli.

martedì 11 maggio 2010

Andria, un tempo solo non basta

Brutta storia, per il pallone di Puglia: due formazioni agli spareggi per non retrocedere nello stesso girone (Foggia ed Andria) è pessima pubblicità. La gente di Papagni rallenta nel momento decisivo: e, anche di fronte al Ravenna, nella gara che vale il campionato, si confonde a lungo, lasciando tutto il primo tempo all’avversario. Si risveglia un po’ dopo l’intervallo, ma il nervosismo corrode la sete di rincorsa. Anzi, lo zero a zero che premia i romagnoli e castiga Sy e compagni diventa più indigesto in ottica futura: perché, oggi, l’Andria è una squadra che rischia di dover continuare a pagare la sua tensione e anche una certa litigiosità, sul campo. Ai playout arriverà un organico ancora una volta scalfito dalle decisioni del giudice sportivo, elemento fondamentale che non depone sullo stato di salute psicofisica del gruppo e sulle sue capacità di gestire i momenti più delicati e le situazioni più complesse dal punto di vista emotivo. Onestamente, per quel che può servire, a questo punto della stagione, il Giulianova è – almeno teoricamente – l’avversario meno temibile del lotto dei pretendenti alla salvezza. Ma l’Andria deve finalmente cominciare a poter contare unicamente su se stesso. E a perseguire quello che non si è mai regalato, sin qui: un passo continuo. E un certo tremendismo. Che non va confuso con il nervosismo ottuso che naufraga tra cartellini gialli e rossi. Ma quello che serve ad arrampicarsi sui risultati. Che è mancato nel secondo tempo di Taranto e nel primo di domenica, di fronte al Ravenna. In due partite che, alla fine, hanno scritto la storia.

lunedì 10 maggio 2010

L'inaffidabile Foggia inciampa davanti al traguardo

Quello che non doveva accadere, succede. Il Foggia inciampa malamente e lascia la strada libera alla lucidità della Spal. Zero a tre, in casa, è uno score pesante. E dice della prestazione degli uomini di Ugolotti: spenti, molli, senza ardore. Come se la questione salvezza non li riguardasse più. E, invece, la sconfitta significa playout. Da affrontare prima in Abruzzo (a casa del pescina) e poi in casa. Il pareggio dell’Andria e del Ravenna, che si incrociano tra loro, non serve. O meglio: serve solo al Ravenna, ora fuori dalla mischia e già in vacanza. Qualcosa ci dice che certe atmosfere potrebbero aver influito: in Capitanata tutti, ma proprio tutti, consideravano scontata il successo sulla Spal e la permanenza. No, vincere non è mai un diritto divino. E la supponenza, quasi sempre, si paga. La paga, poi, il Foggia: una squadra, cioè, mai baciata dalla regolarità, che ha vissuto sino alla fine sul precario equilibrio dei suoi umori. Praticamente perfetta quando c’è da sconfessare quanto di buono o di cattivo è stato costruito. E, per questo, profondamente inaffidabile. Pessime notizie, in proiezione playout.

domenica 9 maggio 2010

Bari, davanti solo il domani

Pratica archiviata. Da tempo. E, davanti, solo il domani. Il Bari chiude il suo campionato oggi, ad Udine. E si ritrova un vuoto. Quello lasciato dal direttore sportivo: Perinetti se n’è andato a Siene, lasciando qualche venatura polemica e qualche domanda inevasa. Che, forse, sarà colmata dalla conferenza stampa di commiato, chissà. Però, è evidente che Perinetti va via senza troppo disperarsi e che la società ha accettato la decisione: agevolando, anzi, il suo ormai ex operatore di mercato nella soluzione della trattativa con il club toscano. E qualcosa, questo, significa: che, magari, i tempi del divorzio erano abbondantemente maturi. E improcastinabili. Punto e a capo, quindi. Si apre un capitolo nuovo. Con un nuovo manager. E, auspichiamo, con lo stesso spirito che ha accompagnato gli ultimi due anni di calcio in riva all’Adriatico: durante i quali il club di via Torrebella ha scelto di affidare le sue ambizioni, sul campo, a gente motivata, non semplicemente di passaggio, possibilmente giovane. Giocando (e vincendo) qualche scommessa. Facendo quello che molti club virtuosi fanno: puntando sulla qualità e sulla freschezza, valorizzando la merce non ancora largamente pubblicizzata. In attesa di vedersi piovere i frutti. La strada, cioè, è segnata. E, in fondo, un nome può valere un altro, se il progetto è solido. E, soprattutto, se il vertice crede nel progetto. Per davvero. E sino in fondo.

giovedì 6 maggio 2010

Manfredonia, salvezza e nuovo scipoero

Quello del Manfredonia è un altro campionato vissuto pericolsamente. Ma concluso con soddisfazione, in fondo. Perché, in fondo alle difficoltà (finanziarie, tecniche, agonistiche) e alle tragedie (legate ai nomi dell’artigliere argentino Marchano prima e del preparatore atletico Sabella dopo), la permanenza in C2, con novanta minuti di anticipo, è una soddisfazione non da poco. Che, intanto, priva la prossima partita, quella di Brindisi, di ogni apprensione. E che, poi, consente alla società di poter cominciare a pianificare il futuro con un discreto margine di tempo. Puntando, magari, sulla buona volontà espressa dall’Amministrazione Comunale, rappresentata dall’ex presidente del club Riccardi, sindaco di nomina fresca. E’ vero, però, che prima ancora del futuro, esiste ancora un presente: da disciplinare. La squadra, fermatasi già due volte nel corso della regular season, minaccia di scioperare ancora: E di non presentarsi a Brindisi, domenica. Il nodo è il solito: la mancata corresponsione degli stipendi. Certo, oggi la minaccia è meno grave, a salvezza già archiviata. Ma il problema rimane: non solo nella forma (la cattiva pubblicità, nel pallone, si paga sempre), ma anche nella sostanza (l’iscrizione alla prossima stagione non può prescindere dalle liberatorie di giocatori e tecnici, né dalla trasparenza dei conti). Finendo per valorizzare ulteriormente, però, il felice epilogo del torneo e il comportamento dei protagonisti del campo: regolarmente disposti a dimenticare i crediti (e a insabbiare polemiche, allontanando il pericolo dell’apertura di pratiche di accertamento finanziario) per salvaguardare il nome del Manfredonia, il campionato e il titolo sportivo. Anche questa è una vittoria della squadra e di Bucaro, il suo condottiero: riconoscerlo è il minimo. Come trovare una soluzione alla situazione d’impasse: immediata, possibilmente.

mercoledì 5 maggio 2010

Foggia, il traguardo è abbastanza vicino

Il Foggia, a Cava, si cautela e si difende bene: un pareggio, talvolta, è molto più di qualcosa. Soprattutto se basta a mantenere il vantaggio su chi insegue. Cioè, l’Andria e il Ravenna, che proprio domenica si incrociano tra loro. E che, dunque, potrebbero consegnare alla gente di Ugolotti il passaporto per la permanenza diretta. Purchè, ovviamente, i dauni non perdano allo Zaccheria con la Spal, non ancora immune da pericoli. Però non è mai troppo saggio arrampicarsi sulle difficoltà altrui: e, allora, Mancino e compagni dovranno mirare necessariamente al successo: quello sì pienamente gratificante. E privo di vincoli aritmetici. Successo che l’ambiente, sin da ora, non sembra affatto disposto a discutere. Proprio così: c’è aria nuova, attorno al Foggia. L’umore è alto. E la fiducia sembra tornata. Assieme al concetto di continuità che si è caricata la squadra nel momento decisivo. Rassicurandola, irrobustendola. Le certezze, tuttavia, non esistono. E, innanzi tutto, non è questo il campionato delle verità assolute: in Capitanata dovrebbero averlo capito da un po’. L’eccessiva sicurezza, anzi, potrebbe disorientare. E fuorviare il Foggia: rifiorito solo con impegno e concentrazione. Due elementi sbocciati tardi. E che non vanno dispersi proprio all’ultimo chilometro.

martedì 4 maggio 2010

Playoff per due

Dentro. Nei playoff: con una settimana di anticipo sugli auspici migliori. Barletta e Brindisi chiudono la questione, senza dover attendere gli ultimi novanta minuti: ringraziando se stessi (la gente di Sciannimanico piega il tranquillo Monopoli, la squadra di Silvia prende con merito un punto a Catanzaro) e anche il Siracusa, consumato dall’ultimo mese e scalfito da un progressivo e inarrestabile calo di tensione (e di qualche altra cosa, sospettiamo). Due squadre pugliesi agli spareggi per la promozione: niente male. Due squadre i cui destini si incroceranno, nella migliore delle ipotesi, solo all’ultimo chilometro. Ma anche due squadre salpate con obiettivi differenti. E, quindi, attese da verifiche diverse. Senza camuffarsi tra le parole: il Barletta può (deve) ritenersi già abbondantemente soddisfatto del proprio percorso. Ma, non per questo, appagato. Il Brindisi, invece, placca proprio in dirittura d’arrivo l’ammissione alla fase finale, traguardo dichiarato in estate e inseguito sin dagli albori del torneo (sì, inseguito: perché mai, prima di aprile, Moscelli e compagni avevano abitato il quartiere residenziale del girone C di quarta serie). Traducendo, allora, il Barletta coltiverà il diritto e il dovere di ambire, senza preoccuparsi troppo di quello che arriverà. Il Brindisi, di contro, no. Ed è questo il particolare più delicato. Soprattutto perchè sarà chiamato ad utilizzare quella dose di personalità che, sin qui, è sempre rimasta nascosta, nelle sfide importanti. In riva all'Adriatico, è arrivato il momento di attrezzarsi. E di cominciare a calarsi seriamente nel problema: da sùbito.

lunedì 3 maggio 2010

Andria, due facce e una sconfitta

L’Andria: due facce, una sconfitta. E i playout sono più vicini. Il derby di Taranto prima incoraggia la squadra di Papagni e poi deflagra. La prestazione deraglia per un episodio, cioè il gol di Falconieri, a primo tempo ormai scaduto. Particolare avulso dal contesto, cioè dalle modalità della partita sin lì maturate: ma che incide profondamente sul verdetto finale. Da qui, infatti, comincia una partita diversa. E si invertono gli affanni, le difficoltà. Finisce con il Taranto che si prende il match e la salvezza. E con l’Andria obbligata a vincere l’ultima partita della regular season, che è soprattutto un confronto diretto (con il Ravenna). Due facce, dicevamo: Di Simone e soci approcciano il derby con semplicità e applicazione: sono svegli, reattivi, si conservano alti e riducono gli spazi all’avversario. Palpitando, magari, su un paio di conclusioni che arrivano da lontano, ma limitando un Taranto che, da principio, ci mette un pizzico di convinzione, malgrado le idee siano rare. E che, fondamentalmente, tiene palla, senza però guadagnare spazi. Sfarinandosi abbastanza presto, peraltro. L’Andria, meglio abituato alla sofferenza, è più razionale e blocca sistematicamente le deboli fonti di gioco joniche. Ma il sigillo del vantaggio della squadra del contestatissimo Passiatore è uno squarcio nella mediocrità che resetta tutto: soprattutto perché, ferita e confusa, l’Andria smarrisce l’ordine tattico, slegandosi. Chiamata a dare qualcosa in più, cioè, la gente di Papagni fallisce. I prossimi novanta minuti del campionato diventano, così, decisivi. E non è detto che siano gli ultimi.