martedì 15 giugno 2010

Trani e la D ritrovata

La promozione del Trani addolcisce il sapore aspro di troppe retrocessioni dalla serie D alla prima serie regionale e ripara in parte il danno di immagine che il pallone pugliese ha arrecato a se stesso. Confermando, oltre tutto, la competitività delle formazioni di Eccellenza di casa nostra sul palcoscenico nazionale. Gli spareggi tra le seconde classificate di tutta Italia, ancora una volta, premiano il movimento dilettantistico di questa terra: i siciliani del Noto si piegano ai tempi supplementari (tre a uno), ma la squadra affidata l’estate scorsa a Giacomo Pettinicchio (terza promozione in quinta serie, per lui: era già successo con Massafra e Grottaglie) certifica il diritto a scalare la categoria in virtù di un calcio più maturo, più consapevole. E, in sostanza, più convincente. Qualche anno dopo, Trani ritrova la D, collocazione più adatta alla sua storia sportiva e al proprio blasone. La serie D, va detto, costata investimenti corposi. Ai quali, solitamente, patron Flora non si sottrae (è accaduto pure a Barletta e ad Acquaviva, non dimentichiamolo). Fino ad un certo punto, però: perché, adesso, il presidente chiede (pretende) aiuti. Meglio ancora, la condivisione delle forze imprenditoriali al progetto. La città, cioè, è chiamata ad nuovo esame di potenzialità. Altre volte è andata male, malissimo: l’inferno dell’Eccellenza (e, prima ancora, della Promozione) non si è acceso per caso. E, ad essere sinceri, anche questa volta è lecito cominciare a preoccuparsi. Anche perché siamo già a metà giugno e la palla ricomincerà a rotolare tra poco. E perché conosciamo Flora: uno che mantiene ciò che promette. Nel bene e nel male. Riteniamo, anzi, che questi giorni possano diventare già decisivi, nell’economia dell’intera questione. Trani riuscirà a farsi scippare nuovamente un calcio migliore?

venerdì 11 giugno 2010

Casarano, un Toma nel motore

Il Casarano che verrà è nelle idee e nell’entusiasmo di Antonio Toma, tecnico che si porta addosso il marchio di offensivista estremo, ma che la letteratura popolare – in realtà - ha saputo pubblicizzare più di qualsiasi modulo. Il nuovo nocchiero torna nel suo Salento, interrompendo l’eperienza nel calcio dei grandi vissuta al fianco di Antonio Conte (Bari, Atalanta) e sistemandosi su una delle panchine più ambite della serie D. E in una delle poche società dove è possibile progettare. E godere della certezza di riscuotere gli stipendi puntualmente. Bianchetti, il trainer della promozione dall’Eccellenza e del terzo posto maturato a maggio, sconta il rapporto ormai logoro con la tifoseria e l’ingresso difettoso nell’ultimo campionato. E saluta. La Virtus gira pagina. Ma senza dirottare gli obiettivi. Anzi. Ritoccando, però, il maquillage. Nuovo trainer, allora. E anche nuovo operatore di mercato. Via Elia (collaborerà con la Fiorentina dell’amico Corvino), ecco Mimmo Nocente da Francavilla Fontana, ragazzo che ama apparire poco e lavora bene. Ovviamente, poco apprezzato in patria (malgrado i risultati ottenuti recentemente) e, proprio per questo, assai motivato. Anche perché l’esperienza di Casarano è, per lui, la prima vera occasione da cogliere, dopo anni di budget limitati e difficioltà oggettive (a Ferrandina, Manduria, Taurisano). La squadra, invece, non sarà smantellata. Solo migliorata, con cautela. Come ci auguravamo recentemente su queste colonne e come il nuovo diesse si affretta a sottolineare. Ci incuriosisce già, la prossima versione di una formazione condannata a vincere. E affidata, dicevamo, alla mentalità vincente del suo nuovo coach. Che, tuttavia, non possiede trascorsi specifici nella categoria. Toma, anche per questo motivo, andrà assistito, tutelato. E consigliato. Quest’anno non si può sbagliare. Gestendo la situazione con l’autorevolezza dei più forti. E, contemporaneamente, con umiltà.

mercoledì 9 giugno 2010

Bitonto come Fasano e Francavilla

Adesso è proprio finita. Ad un passo dalla salvezza. Cade anche il Bitonto, trascinato in Eccellenza dal doppio spareggio con il Pisticci e dalla propria debolezza strutturale e psicologica: puntualmente accusata nei momenti fondamentali dell’intera stagione. Il pari in Lucania del match di andata non serve: in casa, al ritorno, la squadra di Pizzulli frana. Chiudendo nel peggiore di modi un torneo affaticato e innervato da vicissitudini vincolanti. Che si chiamano inadempienza economica del club, scioperi rientrati, ammutinamento della squadra dagli allenamenti, organico risicato, nervosismo diffuso, ambiente irretito e lunga squalifica del campo. Eppure, ai playoff il Bitonto guardava con fiducia, ottimismo. Giustificato dalla migliore posizione di classifica ottenuta nella regular season e dall’impressione di possedere, in fondo, un telaio più affidabile di quello avversario. Sbagliato. Come sbagliato è l’intero percorso di una formazione che non ha mai saputo aggrapparsi alle virtù del combattimento, che poi sembravano le qualità precipue della truppa. Attorno alle quali, va detto, era stato costruita la speranza della permanenza. Nel campionato passato ed anche in questo. La retrocessione è dolorosa: e non solo per il Bitonto, ma per l’intero movimento calcistico regionale. In serie D, per il pallone di queste latitudini, il bilancio è apertamente fallimentare. Tre retrocessioni su quattro (Fasano, Francavilla e, appunto, Bitonto) significano, oltre tutto, che l'antico contingente della quinta serie si è quasi dimezzato. Resistono solo il Casarano, il Grottaglie e l’Ostuni (che potrebbe, tuttavia, emigrare a Martina, come suggeriscono le cronache degli ultimi tempi), ai quali - però - vanno ad aggiungersi il neopromosso Nardò e il neoretrocesso Noicattaro. In attesa, però, che il Trani attraversi indenne l’ultimo capitolo degli spareggi nazionali di Eccellenza (domenica prossima sapremo). Non è comunque un bello spot, per la Puglia. Proprio no. Anche se, paradossalmente, ora potrebbero aprirsi scenari nuovi e più gratificanti. Cinque (o sei) club pugliesi in D, invece di otto (o nove), potrebbero cioè rilanciare l’antica idea della ristrutturazione della geografia interregionale. Che dirotterebbe i club di casa nostra nel raggruppamento siculocalabrese, molto meno aspro dell’ormai storico girone appulocampano. I numeri per lavorarci su ci sarebbero. La volontà delle società pure: e non da oggi. Non rimane, allora, che spingere: politicamente. Muovendosi immediatamente.

sabato 5 giugno 2010

Barletta, con orgoglio immutato

Troppo più attrezzato, il Catanzaro. Indubbiamente più dotato. Né troppo scalfito dalla difficile situazione societaria in cui versa. Il confronto, oggettivamente, reggeva sino ad un certo punto: il Barletta scende dal treno dei playoff, senza recriminare. Anzi, con immutato orgoglio. Il doppio insuccesso nella lotteria di fine stagione non cancella la soddisfazione di fondo e neppure il dato di partenza. La squadra di Sciannimanico, guadagnando la fase finale, ha cioè già dignificato le proprie reali possibilità. L’esito dei playoff, ripetiamolo pure, non potevano (e non dovevano) costituire il metro di giudizio di una stagione condotta al di là dell’obiettivo dichiarato (la salvezza con agio,ovvero quello più credibile e sensato). Punto e a capo, allora. Verso orizzonti nuovi. E nuove argomentazioni. Due su tutte: il rapporto tra il club e Sciannimanico, tecnico amatissimo in città che sembra aver incassato l’interessamento altrui (non sarebbe male puntare sul concetto di continuità: la gente, oltre tutto, approverebbe e il dettaglio non guasta) e la questione-stadio. Che, per inciso, sembra aver monopolizzato gran parte degli interessi popolari. E che, sembra di capire, indirizzerà le scelte del presidente Sfrecola e del gruppo di comando della società. Ovviamente, la tematica non è pretestuosa. Ma, al contrario, assolutamente seria. Difficile pensare, però, ad una risoluzione del problema in tempi brevi. I lavori che necessitano al Puttilli sono corposi ed onerosi: e sappiamo come funziona, a queste latitudini. Il campionato, il prossimo campionato, non può aspettare, invece. E occorre che la società sappia come affronatrlo. E con chi. Il progetto non è indissolubile dal nome del tecnico che ha condotto il Barletta in questo torneo, ma la riconferma di Scinnimanico potrebbe conferirgli sostanza. Assicurargli un impulso, ecco. Chiarire il primo punto è già un’ottima idea. Anche per vedere l’effetto che fa.

venerdì 4 giugno 2010

Brindisi, due pareggi non bastano

Un palo all’andata. E una grande opportunità per Galetti, al ritorno. Il Brindisi fallisce le (poche) opportunità che la doppia sfida playoff gli serba e si piega alla Cisco di Roma, una delle due finaliste (l’altra è il Catanzaro) che si contenderanno l’approdo in terza serie. Due zero a zero non fanno risultato: e, per la squadra di Silva, la corsa si interrompe qui. Niente da dire, comunque: Moscelli e soci si giocano la qualificazione sino in fondo. E passa la squadra complessivamente più quadrata dell’intero torneo. Non serve amareggiarsi e neppure irritarsi: di questo Brindisi, alla fine, è giusto essere contenti. Nonostante certe imperfezioni che un campionato come quello di C2 ammette e perdona. E’ giusto essere contenti e, soprattutto, fieri. In attesa di capire quello che sarà. Tutto, ovviamente, dipende dai fratelli Barretta. E dalle loro decisioni. Abbondonare oppure no: questo è il problema. Il problema di una città che non sembra disporre di un ricambio applicato al pallone. E, quindi, di prospettive. Come insegna il passato: che torna a far paura. Augurarsi, intanto, che il vertice del club non confermi l’idea di svincolarsi è assolutamente condivisibile. E sperare che il risultato sportivo di questa stagione contribuisca a rasserenare i due presidenti è pienamente legittimo. Ma sarà anche il momento, in riva all’Adriatico, di cominciare a porsi delle domande. E a dotarsi di qualche risposta. Da sùbito: l’estate è breve e il calcio giocato busserà già a fine luglio. Il tempo è prezioso. Quest’anno, più che mai. Perché il pallone semisommerso della Lega Pro sta affondando. Nei debiti, nell’insolvenza e nella precarietà. E l’impressione è che, nel Palazzo, manchi la volontà di proteggere e salvare chi soffre.

giovedì 3 giugno 2010

Andria, è ancora C1

Si salva anche l’Andria. Il suo percorso nei playout, però, è meno avventuroso di quello del Foggia. La permanenza arriva naturalmente, quasi con agio. Pareggio a Giulianova, vittoria in casa. Basta il sigillo di Sy. Anzi, il sigillo è superfluo, perché un pareggio sarebbe già abbondante. Il responso è esatto. E rende giustizia alla realtà del campionato: quest’Andria, in fondo, merita la terza serie. Malgrado un torneo controverso. Dove cali di concentrazione e picchi di tensione hanno compromesso il traguardo in prima battuta. Ma dove, anche, il lavoro di Papagni sembra infine aver vinto le difficoltà, i dubbi, le ansie. Il tecnico di Bisceglie scrive una nuova pagina felice del suo diario personale. Fissando le basi per un nuovo progetto, quello che partirà in estate. Del resto, il coach è uno dei pochi (no, dei pochissimi) che, ad Andria, ha sempre raggiunto gli obiettivi. Nella prima esperienza e pure nella seconda. E, per questo, gode del massimo rispetto e della completa fiducia dell’ambiente. Tanto da poter chiedere, nell’immediato futuro, ampio margine di manovra. La società, peraltro, sembra sufficientemente forte. E sussistono tutti i dettagli per poter programmare seriamente. E per non soffrire più, innanzi tutto.

mercoledì 2 giugno 2010

Foggia, salvezza da lacrime e sangue

La salvezza del Foggia si chiama Caraccio. L’artigliere argentino capitalizza gli ultimi istanti di gara e trova il varco giusto. Uno a due, Foggia salvo. I playout condannano il Pescina, proprio quando la formazione marsicana sembra aver miracolosamente recuperato lo svantaggio accumulato nel match di andata. E sì: la gente di Ugolotti, nel momento decisivo, si complica masochisticamente l’esistenza, andando sotto di due lunghezze. Confermando il limite di sempre: quello che non gli permette di gestire le situazioni, anche le più agevoli. Proprio come nel passato recente (ricordate la sfida con la Spal?) e un po’ più remoto. Questa volta, certo, l’epilogo è felice: ma la paura (immensa) aleggia ancora nell’aria. Sinceramente, questo Foggia non c i lasciava tranquilli, sino a sabato. E l’ultimo capitolo della stagione non ci sorprende. Come non sorprende la tumultuosa protesta della tifoseria, dopo il novantesimo. E, soprattutto, prima: a partita in corso. Quando il calcio deve fermarsi, di fronte all’invasione solitaria. Che, poi, diventa forse l’ingrediente fondamentale per appaltare la salvezza. Proprio lì, probabilmente, il Foggia si scuote. Proprio lì, probabilmente, il Foggia capisce. Proprio lì, probabilmente, il Foggia si ritrova. Assaltando l’ultima porzione di match. La spinta, verrebbe da dire, arriva direttamente dagli spalti. Concretamente. In un’atmosfera da lacrime e sangue. Senza della quale, magari, la formazione di Ugolotti sarebbe in C2, oggi. A sollevare processi cruenti. E pienamente legittimi.

martedì 1 giugno 2010

Noicattaro, fine del sogno. E, forse, del viaggio

Il verdetto, in fondo, è già scritto. O, comunque, già sostanzialmente abbozzato, ancora prima di giocare. Già scolpito dai novanta minuti di Vibo, prima manche di un doppio confronto che, però, non perde interesse, nè si svuota dei contenuti emozionali. Alla fine di gara-due, la Vibonese conserva la quarta serie e il Noicattaro retrocede. La formazione di Sisto e Bitetto si trascina il pesante bagaglio del rovescio ingombrante (zero a tre) sofferto la settimana precedente e prova a lenire le sofferenze, senza però addizionare la forma e la sostanza sufficienti per completare la rimonta: Di contro, l’undici di Galfano governa il vantaggio acquisito in casa e, soprattutto, l’ardore dei pugliesi: soffrendo anche parecchio, ma riuscendo a far scorrere con danni limitati l’ultima ora e mezza della stagione. I nojani, però, ci credono. Sin dall’inizio. Credono nellla lotteria dei playout e partono con convinzione, generosità, slancio. Ma senza arrivare al traguardo: troppo arduo da conquistare. Zotti, dagli undici metri, scrive il vantaggio dopo appena sei minuti. La Vibonese è schiacciata, il direttore di gara non ravvede un secondo penalty, la squadra continua a giostrare e a creare, sfiorando il raddoppio. Prima che arrivi l’intervallo, i calabresi restano anche in dieci: servono altri due gol, però la partita sembra sorridere al Noicattaro. Ma il sacro furore dei padroni di casa, nella ripresa, si stempera e la Vibonese riconquista metri e serenità. Proponendosi, magari, di addormentare la vitalità altrui, sfruttando un pressing meglio armato. Gli spazi si riducono. L’intensità del gioco cala. Il Noicattaro, ora, è stanco, molto meno ispirato, poco lucido. La volontà non basta e difetta pure lo spunto isolato. L’avversario, infine, sceglie di rintanarsi e di resistere sino alla fine: e la manovra si infrange sistematicamente sul muro eretto dagli uomini di Galfano. Finisce male, con il Noicattaro in nove e il malumore sugli spalti. La città perde il professionismo e, forse, pure la sua espressione calcistica. Tra i dilettanti, sarà più facile espatriare. Il destino sembra compiuto.