martedì 30 novembre 2010

Lecce-De Canio, divorzio scongiurato

I rapporti si rompono. E, se si ricompongono, rimangono sempre i segni. E’ sempre così: inutile avventurarsi a dichiarare il contrario. E i rapporti tra Pierandrea Semeraro e Gigi De Canio, presidente e coach del Lecce, si erano deteriorati da un po’. Un po’ di stizza, tempo fa, era stata accantonata: per convenienza. Ma le divergenze sono riaffiorate: nuovamente, pubblicamente. E tutte assieme. Ravvivate, è sicuro, dal fuoco delle difficoltà, dalle avversità di una classifica diventata di nuovo amara, dallo scadimento verticale di una squadra che, parole del numero uno del club, approccia male ogni partita, entrandoci troppo tardi. E che, sistematicamente, deve rincorrere un risultato scomodo. Negli spogliatoi di Cagliari, immediatamente dopo l’ultima sconfitta (tre a due, partendo dal tre a zero), Semeraro e De Canio si sono confrontati. Duramente, dicono i bene informati. E l’allenatore materano, già allontanatosi dalle lunghezze d’onda del club, si è dimesso: senza pensarci eccessivamente. Non presentandosi neppure davanti alle telecamere. Poi, il presidente ha congelato la decisione: ripromettendosi di esaminarla più avanti, con animo più sereno. O meno alterato. Per poi respingere ufficialmente il disimpegno del tecnico ventiquattr’ore dopo. Il Lecce e De Canio, cioè, proseguono insieme. Almeno per qualche settimana ancora: perché, ovviamente, saranno soprattutto i risultati a determinare le scelte e il destino dei protagonisti. Risultati che non nascondono il calo - tecnico, ma anche caratteriale - del Lecce. Che, da qui in avanti, non potrà più disporre di alibi robusti. Né di una dote duratura di fiducia. Discorso che vale per la squadra e, evidentemente, per l’allenatore. Salvato, ci piace pensare, soprattutto da un progetto sportivo già avviato e che il club intende continuare a coltivare. Nonostante le incomprensioni, la classifica scomoda e un rapporto un po’ consunto. Con il quale, però, necessiterà di nuovo confrontarsi, prima o poi.

lunedì 29 novembre 2010

Spunta di nuovo il Francavilla che ci crede

Avevamo dovuto ricrederci, sùbito. Il Francavilla apprezzato contro il Casarano, un mese addietro, si era sconfessato come un’eccezione che circumnaviga la regola. Nessun rinsavimento: solo un intermezzo felice, prima di nuove prestazioni colme di imbarazzi: tre, le ultime. Ma, di fronte alla capolista Arzanese, proprio ieri, la formazione di Logarzo ci è nuovamente piaciuta: per volontà e quantità, se non altro. Sostanzialmente, anzi, ha convinto più dell’avversario di giornata: complessivamente deludente, un po’ timido, privo di accelerazioni, intuiti, risolutezza. Segno evidente che, nelle sfide importanti, questa squadra si organizza e si esprime. Trovando le coordinate giuste, tenendo palla, forzando e, nella circostanza, passando con Piovan, quasi alla mezz’ora. Gli ospiti, certo, non solleticano sensazioni di forza, ma rimediano immediatamente, su calcio piazzato. Governando sino in fondo, anche in dieci contro undici, un pareggio che – sembra di capire – va assai bene. Ai partenopei più che ai brindisini, probabilmente: anche per un penalty non concesso (fallo evidente su Piovan) a ridosso del recupero. Un punto, è altrettanto chiaro, così com’è cambia poco alla classifica asfittica di Vetrugno (dinamico, testardo) e soci. E non serve a molto, senza il conforto della continuità. (del resto, sino ad ora, in trasferta il Francavilla si è dimostrato spesso assente). Eppure, certi segnali (che vengono e vanno, è vero) non vanno ignorati. Ma pungolati. Operazione sinceramente difficile, per la verità: perché la crisi societaria è tutt’altro che risolta. La situazione che sappiamo (il presidente Distante è dimissionario), anzi, ristagna. Come denuncia uno striscione in gradinata, che addossa parecchie responsabilità alla politica locale. E come dimostra l’assenza rumorosa della gente sugli spalti. Fortemente indicativa sullo scollamento netto ormai sancito tra il pallone di quest’angolo di Puglia e la realtà cittadina, sulla rassegnazione cupa che alberga nella tifoseria e sulla mancanza di fiducia popolare verso il futuro che verrà.

giovedì 25 novembre 2010

Barletta, pari con polemiche. E i problemi di sempre

La superficialità dell’informazione delle televisioni generaliste non inganni: il Barletta che si lamenta (giustamente) delle decisioni arbitrali e che si ferma davanti al Viareggio (zero a zero al Puttilli) è fondamentalmente deludente. Nel fraseggio, nelle idee e nei dettagli di una partita moscia che, però, proprio al novantesimo si infiamma. Quando, cioè, Lucioni scatta su un lancio di Bellomo, direttamente su calcio piazzato, intervenendo per quel che basta: quello che può essere considerato il gol di una vittoria assai sofferta, tuttavia, viene invalidato tra polemiche feroci e dubbi densi. Tutto sembra regolare, ma non basta: svicola persino lo storico aplomb di Sciannimanico, critico assai con il bolognese Benassi, giudice di gara. Il match, sul quale l’intero ambiente riponeva estrema fiducia, rimane così tra le maglie della rabbia impotente. Anche se un punto diventa sufficiente per abbandonare l’ultimo gradino della classifica, lasciato alla superpenalizzata Cavese. Ma, forse, uno score diverso avrevve finito per deviare o per devitalizzare il concetto che, in realtà, continua ad agitarsi sul fondo: il Barletta deve faticare ancora duro, per trovare gli equilibri e le caratteristiche necessarie per centrare la salvezza. Come la rapidità e l’aggressività, due qualità che - di solito - assistono i meno dotati dal punto di vista tecnico.

martedì 23 novembre 2010

Foggia, lavoro di prospettiva

Se il Foggia c’è, insiste. Vibra, appassiona. E si esalta. Appaltando sistematicamente il risultato. Con espressioni numeriche persino forti. Significative. Pensiamo all’ancora recente successo sulla Ternana. O ad altre prestazioni di spessore: come quella di Roma, per non perdersi ecessivamente nei meandri del tempo. Ma, quando il Foggia si fa assaltare, scricchiola. E cede: con puntualità. Abbattendosi e lasciandosi governare. Seminando dubbi su un campo di certezze appena arato. Due esempi su tutti, ugualmente vivi nei ricordi della gente: il rovescio casalingo di fronte al Siracusa e l’ultimo match, quello di domenica. Dove la Nocerina, molta qualità e tanto entusiasmo dettato da una leadership che tiene, fa valere i diritti del miglior assortimento tecnico e di una coesione più limpida. Tre a uno, risultato equo. Inequivocabile. Che i campani edificano per propri meriti e che la formazione di Zeman subisce quasi senza fiatare. Fallendo, come sottolinea il boemo, l’approccio e la reazione. Due condizioni essenziali per capire la partita e per puntarne il cuore. Ma anche due ingredienti imprescindibili per poter attendersi buone notizie, in futuro. Il Foggia che va e che viene, lo abbiamo già scritto, serve a cercare una strada migliore, non a esaltarsi. E aggiungere pressione alla squadra non è un’idea felice. Non adesso, almeno. Meglio affacciarsi alla finestra e godere degli sprazzi di buon calcio, guardare come va. Questo campionato resta quello che avrebbe dovuto essere e che dovrebbe confermarsi sino a maggio: di transizione. E di lavoro in prospettiva.

lunedì 22 novembre 2010

Il Taranto, i tre punti e la contestazione

I tre punti ci sono: e, di questi tempi, il dettaglio è niente affatto trascendentale. Intanto, perché lo stato di crisi determinato dalla schiettezza dei risultati è allontanato. E poi perché la ricostruzione del morale della truppa e dell’ambiente passa inevitabilmente da certi particolari. Attorno, forse, non c’è la prestazione. Non interamente, almeno. Perché il Taranto, di fronte alla Juve Stabia, non si impossessa mai per davvero della gara. Rimanendo spesso lontano dalla porta. Dimenticando di consegnare continuità alla sua manovra. Sfruttando assai relativamente il vantaggio accumulato nel corso del match (superiorità numerica sullo score già sbloccato). Vivendo di rendita sulle iniziative isolate (per esempio, di Innocenti, l’autore del gol che decide la partita). E perché ancora molti singoli viaggiano al di sotto dell’auspicabile standard di rendimento (Antonazzo, Rantier, Garufo, Colombini, Di Deo). Però è anche vero che, dalle tribune, la gente (quella che che ancora segue la squadra) vede germogliare le prime idee firmate da Dionigi, tecnico all’esordio sul campo di casa. Prime idee che, messe assieme, ancora non offrono compiutezza al 3-4-3, meritevole di nuove verifche e di ulteriore rodaggio. Il progetto tattico, cioè, affiora e svanisce. E solo il successo mitiga i dubbi che, oggettivamente, continuano a circolare tra i duemilacinquecento dello Iacovone. E sì, perché parte della tifoseria resta al di là dei cancelli, a contestare la gestione D’Addario. Ratificando, così, una frattura blandamente ricomposta nel recente passato, ma ormai evidente. Disegnata dall’imperizia delle parole presidenziali, prima che dalla sostanza dei fatti. Mai come adesso, tuttavia, le posizioni tra il vertice del club e la tifoseria più pulsante sono sembrate tanto distanti tra loro. E il dato, tanto per capirci, non promette niente di buono: certe lotte intestine, neppure troppo tempo fa, con dirigenze diverse, sono affiorate e si sono incancrenite sull’onda della cattiva comunicazione.

venerdì 19 novembre 2010

Nardò, piazza in fermento

Rischia davvero parecchio, questa volta. E rimedia in tempo, cogliendo un pareggio che non accontenta a quattro minuti dalla chiusura dei giochi: ma senza strappare consensi. O stoppare l’irritazione della tifoseria che segue la squadra sul neutro di Casarano. Il Nardò, di fatto, fallisce un’altra prova. Rimanendo nel limbo dell’anonimato. Il Grottaglie lo insidia, lo ferisce, lo spaventa. Recriminando, alla fine. La gente di Maiuri pratica lo stesso calcio delle prime giornate: privo di bagliori, devitalizzato di ogni ardore. Inespresso, diciamo così. E i supporters non gradiscono, scandendo chiaramente i propri malumori, che condannano il tecnico. Invitato, ci mancherebbe, a lasciare l’incarico. Soprattutto per non aver saputo iniettare alla squadra brillantezza, cambi di passo, accelerazioni, fantasia: tutte qualità che il pragmatismo del coach, da sempre, non prevede all’interno del copione. Atmosfera nient’affatto semplice: l’ambiente neretino sa essere asfissiante, quando vuole. Anzi, già qualcuno ipotizza un cambio tecnico, in tempi brevi. Mentre sfilano le prime indiscrezioni di mercato: starebbe per arrivare Iennaco, mediano di sostanza già del Brindisi, e dell’Andria. Ma non solo. Di Rito, invece, potrebbe partire: la piazza, da lui, si attendeva molto di più. Cioè una serie D all’altezza dello scorso campionato in Eccellenza. Tutti dettagli che, in sostanza, finiscono per tradire quanti ritenevano il Nardò più competitivo di quello che, in realtà, è.

mercoledì 17 novembre 2010

Ostuni, dal mercato l'ultima speranza

Discutevamo del mercato di riparazione. Che, in serie D (cioè in un campionato fortemente livellato, anche e soprattutto per la robusta presenza degli under, assolutamente obbligatori) possiede influenza rilevante. E che, magari, altererà abbastanza presto qualche equilibrio: dipenderà, ovviamente, dalle possibilità economiche di ciascun club. Intanto, la riapertura delle liste di trasferimento si sta avvicinando. E le società cominciano a concentrarsi sull’evoluzione di qualche trattativa. Vale praticamente per tutti: anche e soprattutto per l’Ostuni. Ovvero, la formazione che più necessita di aggiustamenti. Corposi. Che restano, di fatto, l'unica speranza a cui aggrapparsi. L’ha ripetuto Insanguine, il suo coach. Che è si è recentemente reimpossessato della panca dopo il breve interregno di Antonio Vergari. E che, forse, aveva pagato con l’esonero anche certe richieste formulate con abbondante anticipo. Nel pallone, però, non si inventa nulla. E la situazione nella città bianca lo dimostra: due pareggi e tante sconfitte, morale della truppa inabissato, frasi già lette e sentite. Che neppure un sollevamento dall’incarico, seppur ritrattato, sono riuscite a zittire o mitigare.

martedì 16 novembre 2010

E la Fortis Murgia tiene

Il campionato di quinta serie va e la Fortis Murgia tiene. Molto più che discretamente. Molto più di quanti parecchi addetti ai lavori e osservatori credessero, prima dell’avvio della stagione. Il quinto posto occupato dopo undici turni (in coabitazione con il Francavilla in Sinni) è motivo di soddisfazione legittima e persino di orgoglio: se non altro, perché tiene la gente di Squicciarini a debita distanza dalla zona che scotta (più cinque sulla sest’ultima). E, sia chiaro, la salvezza era e resta l’obiettivo più credibile: almeno per ora. Domenica, a Boville, segnano Falanca e poi Gnisci: due a zero secco, attorno ad una gara attenta, efficace. Sul solco di una prima parte di torneo affrontata sempre con realismo. I ciociari, magari, ci mettono qualcosa di proprio: un penalty fallito (ma, dal dischetto, sbaglia anche l’altamurano De Santis, sullo zero a zero) e, soprattutto, le tre sostituzioni bruciate a metà del percorso dal tecnico laziale, che costringeranno poi l’avversario a giocare in dieci contro undici per quaranta minuti. Però, la Fortis sembra un ingranaggio discretamente collaudato, cioè affidabile sotto il profilo della continuità. Condizione che non impedisce al tecnico di chiedere alla società, prima della manche di ritorno, almeno un paio di nuovi investimenti. Giusto per non perdere i contatti dalla realtà. E per sottolineare un concetto: questa squadra ha già dato quello che doveva. E, probabilmente, anche qualcosa di più.

lunedì 15 novembre 2010

Bari, vento contro

Ultimo, da solo. E abbacchiato. Il Bari cresce (lo giura Ventura), ma crolla pure di fronte al Parma. La classifica, intrigante agli albori del campionato, si fa tetra. La quarta sconfitta consecutiva sull’erba di casa trascina analisi preoccupate e statistiche impietose. Vista così, la squadra sta affondando. E, soprattutto, non riesce a ritrovare gli equilibri e la scaltrezza di un tempo. Mentre l’ambiente si interroga: condizione che, altrove, indebolirebbe sensibilmente la panca dell’allenatore. Ventura, invece, sembra godere ancora di buona considerazione: ed è un bene. Ma lo slancio emozionale delle prime prestazioni si è esaurito (nelle ultime sette uscite, è arrivato solo un punto), il buon umore (che, spesso, tempra i meno dotati) si è affievolito, i limiti di un organico numericamente limitato (anche e soprattutto dagli infortuni, è bene ricordarlo) sono emersi tutti assieme, il vento ha cominciato a soffiare verso altre direzioni (domenica c’è pure il fallimento di un penalty ad intralciare il percorso, oltre ad un paio di cartellini rossi) e, probabilmente, gli avversari si sono adeguati al Bari, trovando le contromisure tattiche efficaci. E, allora, non resta che confidare nell’orgoglio della squadra, nel recupero fisico di qualche pedina, nella lievitazione psicologica di chi si è sgonfiato all’improvviso e in Matarrese. Che, alla riapertura delle liste di trasferimento, dovrà esprimersi compiutamente. Spendendo qualcosa e provando ad offrire al tecnico un contributo necessario: in termini di quantità (due, tre elementi) e di qualità.

sabato 13 novembre 2010

Da Trani a Fasano. Nel segno di Flora

Possono farsene una ragione, a Trani. Definitivamente. Ninì Flora non tornerà indietro. Ora è molto più che ufficiale. Era ormai scritto: il patron, liberatosi della serie D sull’Adriatico, approda all’Eccellenza di Fasano. Con la volontà di scrivere un’altra pagina di storia nel palcoscenico del pallone di Puglia. Che lui, avventuriero di un calcio più manageriale passionale, conosce assai bene. Come le esperienze (e i successi) di Acquaviva, Barletta e poi Trani confermano ampiamente. Altra giro, altra scommessa. Da vincere, possibilmente. Ora, Flora riparte da una piazza ultimamente assai delusa, storicamente in fermento, sempre esigente. Che neppure il suo predecessore, il dimissionario Tommaso Carbone (solo per tre mesi al comando del club), è riuscito a rassicurare, rivitalizzare, rilanciare. Riparte da Fasano, Flora: offrendo concretezza a quel vecchio discorso nato in estate con il sindaco della città della Selva. Nato e sfumato veloce, tra le promesse (non mantenute) del mondo imprenditoriale tranese, che pure avevano convinto l’imprenditore a rinnovare l’impegno alla guida della Fortis. Attorno alla quale si addensano nubi dense. Dicembre, del resto, è vicino. E, a dicembre, potrebbero compiersi i destini della società. La liquidazione comincia seriamente a preoccupare. Ovviamente, il problema non è esclusivamente societario, ma anche tecnico. Investe, cioè, il parco giocatori: che bene si sta comportando in questo torneo di serie D. Se non dovesse spuntare all’orizzonte qualcuno disposto a proseguire il lavoro di Flora, si farebbe davvero dura. Per tutti. O quasi. Forse, non per chi scende in campo ogni domenica. Perchè, nel peggiore dei casi, a Fasano un posto in squadra c’è: si chiama travaso, un’operazione tecnicamente possibile, con la riapertura del mercato. Scommetiamo?

mercoledì 10 novembre 2010

Barletta, avanti adagio

Non è ancora il miglior Barletta, ma i punti cominciano a sgorgare, lentamente. Non copiosi, ma sufficientemente puntuali. I pareggi, è chiaro, non guariscono dai mali. E non regalano felicità, né tranquillità. Ma aiutano a governare meglio il momento, le emozioni, le pressioni. In attesa di un’accelerazione più convinta e convincente. I risultati (anche i pareggi, certo) sorreggono poi anche il processo di autostima della squadra. Autostima improvvisamente lievitata. Per esempio, con il Benevento, domenica, la formazione di Sciannimanico ha accettato il confronto contro un avversario più attrezzato. Reggendo. Anzi, sfiorando un successo che non avrebbe stonato. E obbligando i sanniti a fronteggiare qualche insidia sottovalutata. Calcolando tutto, il Barletta ha sbuffato a lungo, ottenendo un risultato che non ratifica una certa supremazia territoriale esercitata per una larga parte del match. L’ultimo posto, chissà, adesso spaventa un po’ meno. E, comunque, oggi questa squadra risponde alle sollecitazioni, reagisce. E, dunque, anche la panca dell’allenatore appare più salda. Puntellata anche dai fatti, oltre che dalle parole spese ultimamente. A proposito, visto che ci siamo: non faticheremmo a credere che pure le mozioni di fiducia ciclicamente presentate dalla società al proprio allenatore abbiano contribuito a fortificare lo spogliatoio nel suo interno.

lunedì 8 novembre 2010

Taranto, depressione e cambio di panca

Non era certo finita qui. Evidentemente. Ma la veggenza non c’entra. Basta un po’ di esperienza, per captare certe cose. E conoscere l’ambiente e i personaggi che vi navigano. O, molto più semplicemente, le abitudini e le regole del pallone. Che eleggono molti eroi, mietendo pure tante vittime: le solite, generalmente. La questione non è affatto chiusa, scrivemmo meno di un mese fa, a commento dei primi dissidi sorti tra il presidente D’Addario e coach Brucato. Profezia facilissima: perchè il Taranto, immediatamente dopo il rovescio con il Foligno, esautora (nuovamente) il suo allenatore. Risoluzione che il tecnico (e con lui, ovviamente, la squadra) un po’ si cerca. Disegnando una squadra un po’ svogliata, che non reagisce affatto a un paio di schiaffi recenti (il pari allo Iacovone contro il Barletta e la sconfitta di misura a Nocera). Peggiorando, anzi, la sua prestazione sul campo: che, tra l’altro, non può trascinare l’attenuante delle squalifiche in serie, forse la motivazione più incidente nelle disavventure precedenti. Di fronte agli umbri, Innocenti e soci non esibiscono nè idee convincenti, nè carattere. E, se a fine match Migliaccio dichiara pubblicamente di essersi vergognato, qualcosa significherà pure. Il Taranto, tuttora saldamente agganciato al carro dei playoff (va detto anche questo), è in pieno processo evolutivo: slegato, bruciato dall’avversario sul piano della corsa e infilzato. Tatticamente più incerto. E nemmeno confortato dal pareggio temporaneo. Risultato: depressione acuta e pericolo di tagli nell’organico. E, fortemente invocato dalla tifoseria, cambio di panchina. Dove è pronto a sedersi Davide Dionigi (al momento, la nomina non è ufficiale, ma lo diventerà), ex artigliere – anche sui due Mari - e trainer alla prima esperienza in assoluto. Quindi da scoprire, sotto ogni angolazione. Ovvero, una scommessa. In un momento storico, in una situazione contingente e, innanzi tutto, in una piazza che consiglierebbero invece di puntare sull’esperienza di un condottiero più navigato. Al di là delle qualità che il nuovo allenatore potrà e vorrà dimostrare, la soluzione non sembra oggi la più intrigante. Detto francamente.

domenica 7 novembre 2010

Il solito Lecce

Altri novanta minuti spiegano il solito Lecce. Che, in trasferta, distruggono l’appeal guadagnato in casa. Per l’occasione, la gente di De Canio si arrende a Bologna. Brillando poco, ma pagando – probabilmente – anche oltre i propri demeriti. I felsinei, però, ricorrono alle potenzialità dei singoli (Di Vaio, per esempio: uno che, spesso, risolve qualche situazione complicata). Sprintando nel momento di maggior urgenza. Resta abbacchiato, invece, il Lecce che non ha ancora assimilato il concetto di salvaguardia personale, che non ha imparato a cautelarsi. Quel Lecce che, lontano da casa, continua ad offrire quella sensazione di incompletezza, di ingenuità, di cattiva abitudine alla protezione. Guaio serio: perchè il passaporto per una nuova esperienza in serie A non può essere unicamente timbrato in via del Mare. E soprattutto perchè una squadra come questa non può pensare (o sperare) di ottenere sull’erba amica sempre il massimo profitto. I valori del Lecce e di molte altre concorrenti che dovranno scendere in Salento restano quelli che sono: illudersi del contrario è peccato mortale.

giovedì 4 novembre 2010

Qualcosa che ci sfugge

Da una partenza brillante ad un presente molto grigio. Si chiama involuzione. Il Brindisi non si ritrova più. E neanche il lavoro di Rastelli, secondo coach della stagione, sembra saper rivitalizzare una squadra ormai insicura, zoppa, stranita, ferita. Spenta. Da un mese a questa parte, la squadra è in perfetta media da retrocessione. E la leadership del torneo di quarta serie, assaggiata nella prima fetta del cammino, è ormai un’eco lontana. Si è rotto qualcosa. O, più semplicemente, la realtà sta rapidamente bocciando un organico sopravvalutato con eccessiva fretta. Ma crediamo pure che, complessivamente, questo Brindisi abbia le caratteristiche per ribellarsi all’impasse e per ripartire. Sicuramente, però, c’è pure qualcos’altro che ci sfugge. Qualcosa che si agita nell’atmosfera. L’ambiente, nelle sue fondamenta, non è sereno. Al di là del deterioramento delle condizioni generali e della situazione di classifica. E al di là della rumorose contestazioni della tifoseria. Il Brindisi non è tranquillo, dentro di sé. E non riusciamo a percepire quanto possa influire la presenza, in organico, di oltre trenta tesserati. Molti dei quali non giocano. Vivendo ai margini del gruppo. E non da oggi. Né riusciamo a capire se, nel sottosuolo, esistano dei problemi di altra natura: inutile spiegare quali. Eppure, l’involuzione è chiara, evidente. Tanto da alleviare la posizione di Florimbj, esonerato alle prime difficoltà. Ma, evidentemente, solo parzialmente colpevole. A pensarci bene, anzi, qualcosa è cominciato a sfuggirci proprio a ridosso di quella risoluzione societaria. E ci sembra di comprendere che non sarà facile ritrovare la traccia giusta: anche perché il Brindisi continua ad essere un’entità un po’ nebulosa nel grande e incerto puzzle del calcio di serio C.

mercoledì 3 novembre 2010

Bari, buio profondo

«E’ un momento che gira così». Che gira male, cioè. Amarezza e realismo firmato Ventura, sùbito dopo la nuova caduta del Bari, ancora in casa, di fronte all’Udinese. Udinese che ci mette abbastanza di suo, sfruttando pure l’esplicita inconsistenza di un avversario senza più coordinate. E che sembra aver smemorizzato automatismi, abitudini e applicazioni. Riscoprendosi vulnerabile, debole, svuotato. Nei singoli e, ovviamente, nel collettivo. Nella testa e nelle gambe. Come più di qualcuno sottolinea dal di dentro. E sì, perché l’Udinese di domenica è lucidissima e ordinata e il Bari no. E poi perché la formazione di Guidolin corre il doppio. Ecco, a proposito, un particolare da non sottovalutare. E un indizio sul quale ricostruire. Confidando in quell’atteggiamento focoso e combattente che dovrà sorreggere la gente di Ventura, da sùbito. Il clima, del resto, è cambiato: e occorrerà farsene una ragione. Provando a pensare che, magari, non si tratta solo di un momento un po’ così. Oppure che certi momenti possono allungarsi, malignamente E incancrenirsi.

martedì 2 novembre 2010

La crescita del Francavilla

Non è niente male, il Francavilla che blocca il Casarano delle grandi firme e delle ambizioni forti. Non è male, no. Malgrado le problematiche irrisolte di una società senza più presidente e, forse, senza neanche un futuro chiaro. Nonostante i limiti strutturali denunciati sin qui dal torneo. E al di là delle recenti condizioni di salute della squadra, troppo spesso inerte e disarmata. Non è niente male, no. Almeno per un’ora. Quella necessaria per passare due volte, per farsi consegnare le chiavi del match, per sfiorare il colpo grosso. E’ un Francavilla rapido, astuto, sostanzioso, agile, reattivo. Che si avvicina al risultato di prestigio, ma senza abbracciarlo. Trovando il vantaggio su calcio franco, in maniera assolutamente legittima. E, in avvio di ripresa, il raddoppio che punisce un avversario slegato e che premia la manovra della squadra meno dotata, ma più logica. Il pareggio che fiorisce alla fine racconta piuttosto altre verità: come la differenza di qualità dei due organici e il mutamento improvviso delle condizioni climatiche del match. Ma, onestamente, sembra che la formazione di Logarzo si sia irrobustita. Soprattutto in mezzo al campo, dove Cordisco riesce a tamponare e a rilanciare il gioco. E dove, ovviamente, si creano i presupposti per sfruttare le virtù podistiche dei laterali alti. Tutti d’accordo, allora: questo Francavilla, comparato alle versioni precedenti, appare decisamente in crescita. Problemi societari a parte, adesso si può ragionare.

lunedì 1 novembre 2010

Il Casarano si salva. E salva Toma

A Francavilla, il Casarano si salva. Con una mezz’ora, l’ultima, di calcio più credibile. E con un gol (di Da Silva) fortemente sospettato di offside. Il pareggio annulla l’obiettivo minimo centrato pure da Arzanese e Gaeta, ma non compensa il successo del Trani: eppure, vista così, cambia davvero poco. In realtà, il due a due nel derby (e la vana rincorsa ad una vittoria insperata, quando l’avversario si affloscia, atleticamente e psicologicamente) vale più di quello che possa apparire: perché, probabilmente, grazia la panchina di Antonio Toma. Il tonfo, si dice, avrebbe condannato il trainer. Che si rianima appena la sua squadra capisce di dover inseguire giocando palla a terra. Assistendo Da Silva: che, notoriamente, gradisce lo scambio, la triangolazione e persino il lavoro sporco per chi si inserisce. Ma non i traversoni che gli piovono più o meno vicini per tutta la prima parte del match. Effettivamente, il primo tempo del Casarano è lacunoso assai. Il 4-2-3-1 (o 4-2-4, quando il brasiliano si abbassa) garantisce scarsa efficacia in fase di filtro: Bonaffini e Cenciarelli, bravi nel far partire l’azione, non sono però uno schermo ideale per la difesa. E, ogni volta che il Francavilla parte, arriva e fa male. Dietro, poi, si soffre più del lecito. La Virtus è impulsiva e, talvolta, pensa meno di quello che deve. Ma, soprattutto, appare disequilibrata. Sullo zero a due, tuttavia, si apre una partita diversa. Grazie anche all’agilità e alle progressioni di Aragão, che rileva lo spento Mignogna. Il forcing finale, poi, ripara il danno in parte. Semplificando il futuro di Toma. Senza assolvere la squadra: per vincere il campionato serve di più, di meglio. E un’altra mentalità.