mercoledì 22 dicembre 2010

Rastelli e il Brindisi, si è rotto qualcosa

«Prestazione indecente»: Massimo Rastelli, al novantesimo, è onesto. Con la gente che tifa e con se stesso. E irritato: niente affatto velatamente. Con la società, che gli avrebbe prospettato uno scenario diverso, e – ancora una volta – con se stesso. Per aver accettato la panchina del Brindisi con eccessiva disinvoltura. Ma il danno è già procurato e, adesso, conviene limitare le conseguenze. Abbandonando l’incarico, per esempio. Il coach, in questi giorni, ci penserà. E deciderà che fare. Comunque vada, però, il rapporto con Galigani sembra deteriorato, sin da adesso. Chi conosce il presidente, del resto, sa che non ama le frasi non concordate. Tanto che è già scattato l’ingranaggio del silenzio-stampa. Rastelli, tuttavia, è apparso davvero scoraggiato. Il pari interno con la Vibonese, domenica, ha amplificato il disagio della squadra. Confermandogli che i limiti sono ingestibili. Non tanto dal punto di vista tecnico, quanto da quello ambientale. Dirigenza e giocatori mal si sopportano: si sapeva da tempo, adesso è più che palese. Il problema, chiaramente, è profondo: i dipendenti pretendono la corresponsione degli stipendi e la proprietà, di contro, rivendica non si capisce bene che cosa. Il Brindisi, per la cronaca, è stato in messo in mora da qualche elemento di un elenco di disponibili particolarmente corposo. E chi si occupa di pallone sa come si evolvono certe situazioni: con attriti infiniti e polemiche corrosive. Che si abbattano inevitabilmente sulla classifica. Ovvio, Galigani sa navigare in queste acque bollenti. E l’esperienza non gli manca. A Taranto, Trapani, Avezzano e in altre piazze è accaduto qualcosa di simile. Anzi, a Potenza, l’anno scorso, anche qualcosa di più grave. Ma, poi, sono i giocatori che calpestano l’erba e che, alla fine, determinano il peso di un collettivo. E, soprattutto, ci sono i contratti che scrivono le regole. A proposito: come se non bastasse, spunta un altro ostacolo, quello delle scommesse. Proprio la società adriatica ha allertato gli inquirenti: la grande quantita di puntate sul pareggio tra Brindisi e Vibonese è quanto meno sospetta. Anche questo particolare, peraltro, sembra avvicinare la situazione attuale del Brindisi a quella del Potenza dell’anno passato: Galigani, evidentemente, non vive un periodo fortunato. Di più: la gente della curva è in agitazione e chiede le dimissioni del vertice del club. La posizione personale di Rastelli, allora, va persino compresa: «Qui – detta - è tutto da rifare. C’è bisogno di gente motivata, di entusiasmo. E due mesi fa le condizioni che mi portarono sulla panchina del Brindisi erano altre». Il coach si è pentito della scelta: riflettere (o informarsi), certe volte, è fondamentale.

martedì 21 dicembre 2010

Dal successo alla sconfitta, in trenta secondi

Il pallone scorre verso la vittoria. Eppure, davanti alla porta, sbuca un difensore ad ammanettare gli abbracci. L’azione prosegue e la partita si sta consumando: un uruguaiano prolifico riceve palla, fluttua, si libera e tira. Cavani trova la porta, il Lecce la sconfitta. L’ennesima. Dopo aver accarezzato il successo. Ma, a Napoli, emerge una squadra diversa. Finalmente reattiva, intraprendente il giusto, viva: lontano da casa, probabilmente, non era mai successo, in questo campionato. La classifica non si muove, ma si agita una speranza in più. Perché, evidentemente, la squadra sembra aver capito che non si può rinunciare alla lotta strenua, aprioristicamente. Perché anche e soprattutto la cultura del pressing e del sacrificio possono accompagnare la gente di De Canio all’obiettivo dichiarato. Salvarsi, da domenica, è ancora più dura: ma il Lecce – almeno per una volta – si scrolla quel fatalismo che, troppo spesso, l’aveva avvolto, ostacolandolo. Prima di andare in vacanza, questo è un dettaglio che aiuterà a non deprimersi. E poi ci piace pensare che la novità sia figlia legittima di un percorso di lavoro, tattico e psicologico, voluto espressamente dal tecnico. Un percorso di lavoro che dovrà necessariamente condurre alla maturazione definitiva di un gruppo ancora troppo discontinuo, per ottenere credibilità. E che, ovviamente, il divorzio (sfiorato) tra la società e l’allenatore avrebbe seriamente minacciato. Magari, adesso, nessuno fa più caso a quello che appare come un dato di fatto: eppure, è giusto ricordarlo. E sottolinearlo.

lunedì 20 dicembre 2010

Bari, un punto di orgoglio

Il tempo passa, ma non per il Bari. Che non recupera pezzi. Anzi, sistematicamente ne perde altri. E ogni giorno è più difficile del precedente. Oggettivamente impossibile analizzare il suo cammino, il suo ruolo, le sue prospettive. Perché, da due mesi, si ritrova ad affrontare il torneo con le riserve e, sempre più spesso, con le riserve delle riserve. Gente che, la passata stagione, faceva panchina: in C2. Due nomi per tutti: Rana e Strambelli. Ventura, un po’ per pararsi dalle accuse dei critici e un po’ perché è tutto maledettamente vero, chiede all’ambiente di pazientare. Ovvero, di attendere che l’infermeria si svuoti. Il modulo, per una volta, non c’entra. E non c’entra neppure il profilo psicologico: senza dieci potenziali titolari, fare risultato diventa impensabile. I due soli pareggi nelle ultime nove uscite spiegano il momento. Ma il punto rimediato di fronte all’ambizioso Palermo, proprio ieri al San Nicola, spiega pure come il Bari affronti con coraggio e orgoglio il momento storico. E quanto sia disposto a lottare, sino in fondo. Chiaro, il gap si sta facendo sufficientemente pesante: anche se, lì davanti, non è che corrano tutti. Eppure, il pericolo di sentirsi presto tagliati dalla battaglia, teoricamente, esiste: soprattutto se il coach non recupererà almeno qualche altra pedina (Barreto, per esempio, è appena rientrato). Qualche pedina che, oltre tutto, aiuti chi è rimasto (Almirón e Alvarez, per esempio) a superare il cattivo stato di forma personale. La sosta, peraltro, accorre in soccorso: anche se sarà meglio abituarsi all’idea che, probabilmente, niente più sarà come prima. Cioè, come agli albori della stagione. Anche ad organico pienamente recuperato: perché il girone di ritorno sarà, a tutti gli effetti, un altro campionato. Ventura, tuttavia, merita ancora comprensione. E rispetto. Al di là delle considerazioni che possono apparire di convenienza. Un cambio di panca, invocato più o meno sommessamente dalle retrovie, non aveva e continuerebbe a non avere senso. Innanzi tutto adesso. E non otterrebbe riscontri tangibili. E poi, ripetiamo, il Bari non ci sembra rassegnato. Ma, al contrario, corpo unico e solidale. Sono queste, al momento, le uniche garanzie. Alle quali Matarrese potrà aggiungere qualcosa di suo, alla riapertura ufficiale del mercato. E’ ora di operare: con rapidità e intelligenza.

venerdì 17 dicembre 2010

L'ultima scommessa di Carrano

Angelo Carrano è un ragazzo di settant’anni e sette mesi che non sa allontanarsi dal suo universo privato, quello del pallone. Allena, più o meno, da trentacinque stagioni e ancora non si è stancato. O, più semplicemente, ancora non si è arreso. Con il tempo, ha dovuto ridurre pretese e ambizioni: accettando di scivolare persino in Eccellenza (a Massafra), pur di continuare a sedere su una panchina. Dopo aver calcato le zolle della serie A e della B (da mediano: nel Bari, nel Parma) e della C e della D (da tecnico: vincendo sei campionati). Una proposta, cioè, la vaglia sempre: qualunque sia. E, se è il caso, si cala nel cuore del problema. Come questa volta. Carrano, dopo un break di un anno, torna al suo mestiere di sempre. Provando a centrare un obiettivo quasi disperato: salvare il Francavilla di Distante. Francavilla significa panchina vicino casa, anche di serie D. Ma pure squadra totalmente rivoluzionata, giovane e tecnicamente non eccelsa. Traducendo, una scommessa. Che il coach tarantino, ovviamente, crede poter vincere: puntando sull’entusiasmo di sempre e sull’esperienza. Ha già seguito la squadra, a Gaeta (sconfitta nelle battute finali), ufficiosamente. E lasciando il ruolo di responsabile tecnico al suo secondo, Saponaro. Ma domenica, nel derby con l’Ostuni (a proposito, è un ex), potrebbe debuttare ufficialmente. Magari con un successo, utile a immagazzinare morale. Comunque vada, però, nessuno vorrà disconoscere a Carrano due qualità, che lo accompagneranno sino alla fine del mandato: la volontà (e la capacità) di rimettersi in gioco e, soprattutto, il coraggio di affrontare l’avventura. Auguri, maestro: ne avrà bisogno.

giovedì 16 dicembre 2010

Casarano, nel motore un Galetti in più

Ad un certo punto, l’insostenibilità di un campionato ancora troppo anonimo per solleticare le attese della gente avevano scritto il verdetto, che si trascinava nelle intenzioni della società da almeno un mese, pur senza sbocciare. Risultato: esonero di Toma e Casarano libero di scegliersi un nuovo condottiero. Cioè Massimo Silva: uno che, in Puglia, ha lasciato buoni ricordi. A Brindisi, come a Taranto. L’approccio al torneo del tecnico pavese, soltanto mercoledì passato, aveva soddisfatto. E condotto ai tre punti. La seconda puntata dell’avventura personale, l’ultima domenica, riservava però un tragitto più duro: il match di Arzano, in casa dei primi della classe. Risultato: sconfitta da choc, tre a zero. In fondo alla quale il nuovo tecnico rintracciava le motivazioni per non abbattersi. Ovvero, rinnegando assai poco la prestazione e professando fiducia. Fiducia che parte dalla sicurezza di raggiungere, anche abbastanza presto, quell’equilibrio tattico che Toma non aveva mai raggiunto. Pagando, per questo, in prima persona. Dettagli ai quali, magari, la tifoseria non baderà eccessivamente: del resto, contano i fatti. E i fatti sono quelli che sono: a certe condizioni, sperare nella promozione è oggettivamente presuntuoso. Nonostante il girone non possieda una forza largamente superiore alle altre e malgrado i cinque punti di disavanzo dalla vetta siano un gap ampiamente azzerabile, da qui sino a maggio. Per non sbagliare, tuttavia, la Virtus si è dotata di un altro artigliere: di peso e lunga navigazione. L’argentino Galetti, trentasette anni e poche partite nell’arco degli ultimi dodici mesi, assicurerebbe una manciata di gol in più. Il suo ingaggio, tra l’altro, potrebbe sembrare una bocciatura nei confronti di Da Silva, brasiliano che, a tutt'oggi, ha realizzato poco. Ma, in realtà, i due dovrebbero (potrebbero) tranquillamente coesistere: perché il primo ama gestire l’area di rigore avversaria e il secondo girare attorno ad un punto di riferimento. Ad ogni modo, però, il club confessa di credere ancora nell’obiettivo dichiarato, raddoppiando gli sforzi. Inutili, peraltro, se non verrà risolto il problema fondamentale: quello della fase di non possesso. In cui un centrocampo dichiaratamente propositivo fatica ad arginare. Silva, tuttavia, è tatticamente più accorto di Toma: e crediamo che, ormai, abbia capito dove albergano le insidie. Anche per questo, è doveroso concedergli un po’ di tempo per lavorare attorno a questo Casarano. E, comunque: se cambio sulla panca doveva essere, è bene che la pagina sia stata girata adesso, prima della sosta invernale, a metà del cammino.

mercoledì 15 dicembre 2010

L'Andria e la discontinuità che preoccupa

L’Andria non abbaglia per continuità. Ad un risultato sereno segue, irrimediabilmente, una caduta preoccupante. Anche più di una, se è per questo. Onestamente, il fatto un po’ ci sorprende. Papagni, del resto, è un tecnico sufficientemente esperto che, di solito, ottiene dalle sue squadre il necessario e anche di più. E, poi, la caratura tecnica dell’organico non è poi così deficitaria come la classifica zoppicante lascerebbe pensare: anche se la squadra è stata edificata con un solo obiettivo: la salvezza, senza passare per i playout. Due concetti che, magari con parole diverse, spendemmo esattamente l’anno scorso, nel mezzo di un altro campionato. Che rischia di diventare sempre più somigliante a quello attuale. E, ovviamente, sorprende pure questo particolare. Dopo il tre a zero di Cava, ecco le cative notizie che arrivano dal terreno di casa. Dove la Ternana, avversario in dichiarata difficoltà dall’avvio della stagione, arriva, comanda e se ne va felice. Non basta neppure appellarsi alle assenze: c’è qualcosa che non va, dichiaratamente. In mezzo al campo, l’Andria concede tutto, si piega. Gli umbri fanno di più e giostrano meglio: niente da recriminare. Del Core non può inventarsi nulla. E una ripresa più decente non riesce ad annullare i danni del primo tempo. Tempi difficili, allora. Acuiti dalla crisi societaria, che non si sgonfia. La fuga del presidente Canonico, anzi, rischia di ingolfare il resto del campionato. Obbligando Papagni a dover affrontare il girone di ritorno (e i venti di contestazione) con le stesse forze adoperate sin qui. E il diesse Di Bari a rapportarsi con un budget sempre più asciutto. Cioè ancora meno rassicurante di quello estivo: con il quale, obiettivamente, è stato realizzato quello che si poteva. Ricordarsene, magari, aiuterà a disciplinare qualche giudizio caduto nel vortice della foga.

martedì 14 dicembre 2010

Il Brindisi, i nodi, le bugie

Strano, il pallone. Sempre più sommerso da parole vuote. E da logiche apparentemente sfuggenti. A Brindisi, per esempio, la situazione societaria si fa sempre più torbida. C’è un vecchio proprietario (la famiglia Barretta) che denuncia una rateizzazione inevasa, cioè migliaia di euro che la gestione Galigani non avrebbe corrisposto. E, per questo, promette di ricorrere in sede legale. E c’è una nuova dirigenza (non propriamente amata) che smentisce tutto, rivendicando – anzi - l’assenza delle istituzioni, della città. Che bussa, con ciclica insistenza, alle porte dell’amministrazione comunale per essere ascoltata: invano, dice. E che chiede ad altre forze imprenditoriali di collaborare. Senza, per questo, essere troppo disposta a cedere il titolo, soprattutto in maniera non onerosa (l’ultimo comunicato stampa del club è sufficientemente chiaro). Quella stessa dirigenza che, se non abbiamo capito male, prima ammette delle difficoltà finanziarie e il giorno dopo minimizza. E ci sono voci sempre più pressanti: dei detrattori del club, che insinuano di tutto e di più. In mezza a questa confusione, intanto, la squadra continua a balbettare, anche se il pari di Melfi infonde un po’ di fiducia. Ma il dato tecnico, paradossalmente, è quello che preoccupa di meno. Preoccupa di più il valzer dei politici accorsi in soccorso, delle realtà nascoste, dei bluff di mezza estate (chi racconta bugie? Chi ha venduto o chi ha comprato? Difficile che entrambe gli schieramenti abbiano ragione). Di certo, i giorni si stanno consumando. E l’impressione è che, molto presto, scopriremo qualcosa di particolarmente vicino alla verità. Anche se un’idea ce la siamo già fatta. E, complessivamente, comincia a farsela pure la gente che tifa. Perché i nodi si scoprono, prima a poi. E diventano matasse.

lunedì 13 dicembre 2010

Il Foggia e le mani di Biancolino

Sleali abitudini e disattenzioni fatali. La slealtà è di Biancolino, artigliere di esperienza e prestigio discreto, in forza al Cosenza. La disattenzione è della terna arbitrale, coordinata dall’avezzanese Aloisi. La partita è quella di Foggia, proprio ieri: dove la formazione di Zeman sta impattando con i calabresi. Quando, appunto, Biancolino strappa la palla a Santarelli, tornato a parare in luogo di Ivanov: non con i piedi, ma con le mani. Rimettendola, di fatto, in gioco: scorrettamente, s’intende. E segnando il punto del temporaneo vantaggio: confidando, ovviamente, nell’incapacità di verifica del direttore di gara. Che, infatti, convalida: tra lo stupore dei ragazzi del boemo e l’ira astiosa del pubblico dello Zaccheria. E’ così che il Foggia si trova ad inseguire il risultato, prima di rimediare e, infine, di perdere il match che lo ricaccia definitivamente nel limbo dell’anonimato, al di là della linea dei palyoff. E’ così che le immagini cominciano a girare sui teleschermi d’Italia. Ed è così che Biancolino perde l’occasione per redimersi, seppure in colpevole ritardo. Dichiarando candidamente, dopo il novantesimo, che l’intervento è assolutamente regolare: malgrado si intuisca con estrema facilità il contrario. Zeman sbotta, giustamente. Anche perché la squadra è sembrata abbastanza viva per scrollarsi il peso del derby perso a Taranto sei giorni addietro. L’episodio, però, può guastare certe atmosfere, ferire. E anche condizionare. Prendi la palla, segna e scappa. Anzi, menti. Talvolta, il gioco paga. Con punti pesanti.

sabato 11 dicembre 2010

Barletta, obiettivo serenità

Il Barletta anticipa oggi, a Roma, in casa dell’Atletico, formazione che non brilla più, ma che possiede nomi e numeri per ristabilire gli antichi equilibri. E, a Roma, si gioca molto della credibilità recentemente conquisata. Inutile sottolineare quanto la caduta (rovinosa: e non solo sotto il punto di vista del risultato e della classifica) di domenica scorsa, al Puttilli, di fronte al Lanciano, abbia inficiato sul profilo psicologico del gruppo, troppo morbido nelle fasi cruciali del match e, di conseguenza, delegittimato dal pubblico. E inutile evidenziare quanto abbiano influito sulla squadra le polemiche trascinatesi per una settimana intera. Durante la quale la gente che tifa ha riversato rabbia e accuse sull’italovenezuelano Margiotta, l’artigliere che avrebbe dovuto guidare il Barletta verso la tranquillità e, adesso, diventato il simbolo dell’involuzione. L’attaccante, contestato da almeno un mese, è ufficialmente considerato il primo dei colpevoli: per i riscontri ottenuti e per gli atteggiamenti in campo. La frattura sembra, giorno dopo giorno, sempre più netta. E la folla, in questi casi, non perdona. Non è un inconveniente da poco: perché, innanzi tutto, minaccia la serenità di un organico che, invece, necessiterebbe di sostegno, oltre che di puntelli tecnici. E poi perché pone in un angolo la società, ora costretta a indovinare un’altra soluzione. Difficile immaginare un riavvicinamento tra le parti e la permanenza di Margiotta a Barletta. Il punto di non ritorno è toccato. Le attuali condizioni climatiche non promettono niente di buono. E un eventuale pomeriggio romano della punta in panchina ancora meno.

venerdì 10 dicembre 2010

Marrone, prima mossa: fuori Danza

Antonio Marrone è l’uomo nuovo del Grottaglie. Da pochi giorni, decide quello che è meglio per la squadra, per la società. E’ la figura professionale alla quale Peppino Ciracì, il presidente dell’Ars et Labor, si è affidato per svincolarsi da qualche impegno, da qualche fastidio. Cioè il plenipotenziario: per suo nome e conto. E’ anche l’occasione per preparare il disimpegno definitivo del patron: così, almeno, potrebbe apparire. E così, almeno, spera una grande fetta di supporters: con i quali il feeling non è mai sbocciato. Anzi. Disimpegno, nella realtà, niente affatto improbabile: proprio quando comincia a circolare qualche indiscrezione più o meno fantasiosa (e se D’Addario volesse trasformare il Grottaglie in un club satellite del Taranto? Buttiamola lì e vediamo come va a finire). Marrone, avvocato di professione, procuratore sportivo per hobby, si è insediato, ha motivato, ha assistito: alla prova deficitaria di Francavilla Fontana, per esempio (zero a zero, nessuna emozione, pochi spunti per poter pianificare un domani più interessante). E, quindi, ha operato: via Franco Danza, coach in bilico già da un po’. L’esonero del tecnico di Castellaneta è il suo primo intervento tangibile. Che, probabilmente, avrebbe coinciso con la volontà di Ciracì, se fosse rimasto da solo al timone. Ma tant’è. In panchina, per il momento, si accomoderà il secondo Pizzonia, un fedelissimo della società. Ma crediamo che un altro nome spunterà: e pure molto presto. Ovviamente, il cambio di guida tecnica non basterà, senza un intervento nella seconda sessione di mercato. Marrone dovrebbe averlo capito e cercherà di sfruttare le proprie conoscenze all’interno di un mondo che, ormai, decodifica bene, pur avendolo vissuto dall’altra parte della barricata. Altrettanto ovviamente, questa – per lui – è anche una sfida molto più impegnativa. Che ha affrontato, da sùbito, con un certo vigore. Lanciando, è il caso di dire, un messaggio molto chiaro: soprattutto ai giocatori che resteranno. E che, ora, non possiedono più alibi. Né il problema di dover ricucire relazioni sdrucite con il trainer. Un problema, se davvero questo costituiva un problema, è risolto. Ne resta, invece, un altro: capire se questo organico, possibilmente migliorato, ha le caratteristiche caratteriali per navigare in acque agitate e per raggiungere la terra ferma a maggio. Fino ad adesso, onestamente, non ci è sembrato.

giovedì 9 dicembre 2010

Torna Distante, restano i disagi

Dal derby di metà settimana, arriva solo un punto. Che si accoda a quello conquistato miracolosamente, appena tre giorni prima, a Sant’Antonio Abate. Il Francavilla si divide il risultato con il Grottaglie, ma sa di non poter sorridere. Ma nemmeno disperarsi troppo, in realtà. Perché, per chi non lo sapesse, anche coach Logarzo e parecchi titolari si sono defilati da una settimana. Lasciando maglie, spazi e responsabilità ai più giovani, a qualche volenteroso (tra questi, il francavillese D’Elia, il più titolato dei superstiti) e a qualche new entry con pretese limitate. Per dirla tutta, sembra la fine delle trasmissioni. O quasi. L’obiettivo è andare avanti, limitando i danni. Difficile pensare, però, che i danni possano essere ragionevolmente ridotti: una squadra da reinventare senza risorse è una squadra destinata a schiantarsi. L’alternativa, però, non esiste. Anche se patron Distante si è riavvicinato alla società, cancellando le ancora recenti dimissioni (mercoledì sedeva in panchina). E, allora sì, è meglio guardare in prospettiva, valorizzando quel poco che si ha in casa. L’anno prossimo, in Eccellenza, sempre che dietro l’angolo esista un futuro, l’esperienza accumulata dai giovani ora affidati alle cure di Saponaro, potrà tornare utile. Eppure, nell’ambiente qualcuno continua a confidare nelle possibilità (e nell’orgoglio) di questo gruppo: e, probabilmente, fa bene. Sperare, si sa, non costa nulla. E non sarà certo la speranza ad affossare il sogno della serie D, difeso in estate e tradito in autunno. Né ad incidere sui costi di gestione.

mercoledì 8 dicembre 2010

Nardò, ora test più veri

Tra una contestazione ed un’altra, il Nardò si riversa a ridosso del quartiere playoff. Merito - anche - del successo (quasi scontato, argomenterebbero i più maligni) di Ostuni. E di una prestazione asciutta, efficace. In cui convivono applicazione e gestione del risultato. La gente di Maiuri si dota di fluidità, sin dall’avvio. La manovra è rapida, motivata da un dinamismo che si fa apprezzare: e, considerate le prestazioni recenti, è un segnale positivo. La resistenza dell’Ostuni, chiaro, non è granitica: tanto che il vantaggio piove prima che scocchi il primo quarto d’ora di gioco. Altreattanto ovvio che il match, per il Nardò, si semplifica immediatamente. E, anzi, l’incapacità di raddoppiare velocemente e di archiviare la partita prima del tempo finisce con il diventare un difetto. E, ma solo teoricamente, un pericolo. In realtà, però, il Nardò non smarrisce mai l’iniziativa, legittimando il vantaggio acquisito e coprendo il campo con maggiore densità. Peculiarità che permettono alla formazione salentina di arrivare sino in fondo, limitando i rischi. Prima del due a zero, score definitivo. Siglato, per la cronaca, da un nuovo arrivo, Maiella: uno che, di solito, sa essere decisivo. Ma il campionato pretende altro. E non tutti sono l’Ostuni. Pensiero finale: preferiamo attendere altri test, per valutare il rinnovato Nardò che – si dice - si rafforzerà ancora (a proprosito, così come Maiella, anche Iennaco è partito dalla panchina, entrando nella ripresa). Altri test e altri contesti. Più probanti.

martedì 7 dicembre 2010

Un derby dal buon sapore

Quando, sul campo, c’è il Foggia il calcio sa farsi piacere. Anche tra molti errori individuali e collettivi. Che fanno parte di una filosofia. Nel derby di notte diventa frizzante, pur senza continuità, anche il Taranto di Dionigi: talvolta difettoso, ma spesso rapido, veloce. E vincente: dopo tempi lunghi. Nel posticipo del lunedì, complessivamente, ci si diverte. Ritmi alti, volume di gioco, triangolazioni, occasioni da gol, emozioni assortite. La manovra della gente di Zeman è ovviamente alta: dall’inizio alla fine. Probabilmente, non punge, ma poggiata su basi solide. E il possesso di palla è bello a vedersi. Dietro, invece, si soffre: e non poco. Il Taranto lo capisce e ne approfitta: verticalizzando o allargandosi, scambiando e aggredendo. Trovando spazi, sempre e ovunque. Eppure, paradossalmente, il vantaggio jonico arriva su calcio piazzato, premiando la maggior quantità proposta da Colombini e compagni. Per il Foggia, peraltro, sembra complicarsi tutto all’improvviso: sessanta secondi dopo lo svantaggio, perde anche Torta, espulso. E, invece, no: in dieci contro undici, sino all’intervallo, sono gli ospiti che comandano le operazioni. Serrando i tempi, facendo circolare il pallone, rinchiudendo il Taranto a difesa del risultato. Gli equilibri, alterati, si ristabiliscono ad apertura di ripresa: esattamente quando si abbatte sul derby la rete del due a zero. Sembra, a questo punto, un match già deciso. Ma il Foggia, più in là, beneficia di un penalty e ci crede sino in fondo, ma invano. Gode il Taranto perché segna nei momenti decisivi. E perché, alla fine, i suoi errori sono meno compromettenti. Perde il Foggia perché, dopo tutto, le distrazioni difensive (e, soprattutto, di Ivanov, guardiasigilli morbido) contano sempre di più. E forse perché il match si esaurisce dopo novantacinque minuti e non più tardi: salvaguardando un avversario che, ormai, ha esaurito energie e certezze. Però, chi ha visto la partita rimane soddisfatto. Malgrado certe impurità, possiede importanza anche la forma. Attorno alla quale sia Zeman che Dionigi hanno il dovere di continuare a lavorare: il primo sugli automatismi dell’ingranaggio, il secondo sulla testa di chi gioca.

lunedì 6 dicembre 2010

L'Ostuni e il futuro

«Tagliateci tutto, ma non il futuro»: una richiesta, una speranza, un appello. Un panno bianco e una frase: semplice. E anonima. Che sintetizzano, prima che il pallone cominci a rotolare nel derby, lo stato d’animo di quanti ancora si sentono affezionati al calcio ostunese. Mentre la formazione di Insanguine, rafforzata qua e là (si rivede Ciaramitaro, l’ex Bitonto Martellotta è alla sua seconda convocazione, Romito alla terza) si arrende pure al Nardò, in casa, scontando anche e soprattutto il gol (il primo dei due) accusato in apertura di gara. Del resto, il sempre giovane Ostuni (cinque under dal primo minuto) è una squadra che continua a cercarsi, provando – prima di ogni cosa – a parare i colpi inferti dal campionato. Il match, dicevamo, si fa sùbito difficile. Ma la fase di possesso è un imbuto senza uscita, senza risorse. Nel mezzo, magari, si intravede più sostanza o, comunque, più intensità. E più volontà: che non significa necessariamente filtro inappuntabile. Dietro, allora, arginare diventa verbo da coniugare spesso. Il rovescio, così, diventa praticamente inevitabile. Come inevitabile diventerà la rincorsa ad un puntellamento più robusto dell’organico. La nuova dirigenza ha promesso di operare ancora: è necessario. E chissà se basteranno quattro elementi di esperienza e discreta qualità. Ne va, appunto, del futuro. Quello prossimo, almeno.

sabato 4 dicembre 2010

Una sola controindicazione: arriva dal Bari

Souleymane Diamoutène è un difensore atletico, fisico. Di quelli che, talvolta, firmano qualche ritaglio di calcio discreto. O, più semplicemente, un gesto importante: come una rete di buona fattura. Molto più spesso, piuttosto, delude per scarsa applicazione, per amnesie evidenti. Come spiegano diversi anni di calcio italiano. Anche per questo, forse, a Roma, a Bari ed anche a Lecce non lo ricordano con affetto particolare. Quest’anno, poi, è rientrato in Salento, dopo averci già giocato, in passato. Ma De Canio, per la verità, l’ha sempre impiegato poco. Anzi, si è rivisto ultimamente. Scatenando, in un pomeriggio qualunque di una settimana grigia, il malumore di alcuni supporters giallorossi. Entrati sul terreno di Calimera, sede della preparazione quotidiana, per aggredirlo: non solo verbalmente, pare. Arriva dal Bari, il più nemico dei club del Paese. E non merita di vestire più la maglia del Lecce. Che se la tolga, immediatamente. Per di più, è anche maliano, dunque di colore. Frasi razziste e comportamenti xenofobi che, più tardi, lo stesso Diamoutène ha smentito. O mitigato. Smorzando la tensione, sbrecciando il clamore, limando le polemiche. Provando, da sùbito, a ricucire il rapporto, per quanto possibile. O a spegnere i riflettori sul caso. Che, magari, potrà passare più agevolmente attraverso il filtro del tempo, che tutto cancella. Anche se rimarrà sul fondo della questione il concetto che piace al tifo più estremo: di pelle nera va bene, ma che non venga da Bari.

venerdì 3 dicembre 2010

Il Brindisi non risponde più

Non va. Proprio non va. Da troppe domeniche, ormai. La verità è che il Brindisi è collassato. Tecnicamente, tatticamente, caratterialmente, psicologicamente. E, forse, non rispondono più neppure le gambe. Anche a Milazzo la stessa storia degli ultimi tempi: l’avversario fa la partita e la formazione di Rastelli assiste. Subendo un’altra sconfitta brusca, che allarma e priva la gente persino di un motivo per reciminare. Il rovescio c’è tutto, per intero. E le buone intenzioni rimangono ancora nel sottoscala. Ovvio, ora, che la tifoseria sia prossima alla ribellione. La prende assai male, peraltro, anche la società, che annuncia - parola del presidente Galigani – provvedimenti drastici. Come la sospensione degli stipendi, sino a nuovo ordine. Scelta legittima, argomenta qualcuno. Ma che si intreccia alle chiacchere della folla. E che, vista da un’altra angolazione, lascia spazio a qualche sospetto. Qualcosa scricchiola, pensa qualcun altro. Finendo per dare forma e contorno a certe cattive indiscrezioni che si agitano da settimane. Del resto, se si abbatteranno spiacevoli sorprese, lo sapremo presto, molto presto. E i problemi si assommeranno agli altri problemi.

giovedì 2 dicembre 2010

Trani, fischi ingenerosi. Fasano, un'epoca nuova

A dicembre, comincia ufficialmente l’avventura di Ninì Flora a Fasano: che vorrebbe coincidere con il rilancio del pallone nella città della Selva, molto delusa dall’approccio con il campionato di Eccellenza. E, contestualmente, si chiude l’esperienza di Trani. Dove, è giusto ricordarlo, l’ex presidente ha garantito la copertura delle spese di gestione sino all’ultimo giorno di novembre. Premiate, va sottolienato anche questo, con un parziale di prestigio quale può essere considerato l’attuale terzo posto raggiunto in classifica dalla formazione di Pettinicchio. Che, però, il mercato di riparazione smantellerà quasi completamente. Anzi, cinque effettivi si allenano già da qualche giorno proprio con il Fasano. Mentre qualche altra pedina si sistemerà altrove (Somma piace al Casarano, per esempio). Il Trani che è stato, tuttavia, si congeda male: sconfitta sull’erba di casa, contro il bisognoso Sant’Antonio Abate, in coda ad un match interpretato male, senza nerbo e senza testa. Il gruppo, irreprensibile sin qui, inciampa proprio all’ultimo chilometro, lasciando di sé un cattivo ricordo. Ma, soprattutto, sollevando l’ira della tifoseria. Che non fa sconti, lamentandosi apertamente. La contestazione feroce, però, ci sembra ingenerosa: l’ultimo capitolo non può scalfire la bontà del percorso tracciato sin qui. Anche se la prestazione dell’ultima domenica è profondamente censurabile. La serietà della squadra, cioè, non merita discussioni: lo spiega la classifica maturata in questi tre mesi. E anche la disapprovazione popolare nei confronti della famiglia Flora, onestamente, stona un po’. Perché la vecchia gestione ha informato la città del proprio disimpegno per tempo, dopo aver atteso invano la collaborazione di altre forze imprenditoriali: garantendo il calcio sino ad avant’ieri, cioè due mesi dopo le dimissioni. Operazione economica alla quale molti si sarebbero volentieri sottratti. Punto e a capo, viene da dire. Il Trani, adesso, cerca uno spiraglio, energie fresche, un futuro. Con una programmazione più contenuta che proverà a salvaguardare la categoria (poco più della metà dei punti utili per conquistare la salvezza sono già stati introitati, occorrerà gestire la dote). Mentre il Fasano si sta allenando mentalmente a rincorrere i playoff (sarà durissima, anche con una campagna di rafforzamento imponente: il tecnico Longo disporrà a breve di un organico quasi completamente nuovo e, dunque, da rodare). Di certo, comunque vada a maggio o a giugno, cominceremo a capire se la nuova sfida di Flora potrà trasformarsi in un progetto duraturo (il punto è questo: a Barletta e, successivamente, a Trani l’imprenditore ha abbandonato prima del tempo, pur ottenendo risultati lusinghieri). Progetto duraturo, ma pure strutturato. Che passi, anche e soprattutto, da un settore giovanile efficiente ed efficace. Quel vivaio che, se coltivato, distingue una pianificazione qualunque da una programmazione approfondita. Quel vivaio che, a Fasano, manca da sempre.

mercoledì 1 dicembre 2010

La sconfitta e il silenzio

Ecco, ci risiamo. Il Taranto che viaggia è un Taranto puntualmente sconfitto. E complessivamente remissivo. In Sicilia, il Siracusa s’inventa qualcosa di più e lavora meglio per ottenere il risultato. Mentre la squadra di Dionigi, troppo compassata e mai propedeutica ad un calcio redditizio, si sfarina dopo un tempo. Lasciando all’avversario la possibilità di crederci e, quindi, di addomesticare il match. A fine partita, invece, cala nuovamente il silenzio stampa. Dopo l’intermezzo verbale della domenica precedente, in coda ad una vittoria. Silenzio stampa tattico che prova a limitare i danni: non concettuale, ma puramente opportunistico. Utile a parare i colpi, più che a salvaguardare – si dice così, di solito - l’armonia del gruppo e la tranquillità psicologica dei protagonisti. Inutile quando si vince e comodo quando si perde. Silenzio stampa, peraltro, mai ammesso dal club. E mai sollecitato, giurano da via Martellotta. Ma che torna ad abbattersi all’improvviso. Nel Paese delle stranezze contrabbandate per verità incontrovertibili, anche questa anormalità sembra passare inosservata, come la più ovvia delle normalità. La normalità di parlare ad una moltitudine ammaestrata, che non fa paura. La normalità di scegliere quando è il momento meno doloroso o più conveniente. Perché il punto è quello, non solo nelle pieghe quotidiane di un’Italia politicamente incerta, ma anche sui campi di pallone della periferia della Repubblica: parlarne non è mai un problema. Purchè si parli sempre bene.

A proposito: le critiche, in città, si affacciano copiose e l’AS Taranto replica con un comunicato stampa. Alcuni passi: «Operosità, basso profilo e rifiuto di ogni polemica. Su queste basi la AS Taranto ha provato a fondare la sua stagione (…). Perché a Taranto non si riesce a fare qualcosa di importante, dentro e fuori al mondo del calcio? (…) Restiamo sbalorditi nel leggere alcuni commenti che accompagnano la nostra avventura in questa stagione. E, passandoli in rassegna, comprendiamo parte dei perché a Taranto sia sempre così difficile costruire. Consolidamento e transizione. Abbiamo reso pubblici da subito i nostri obiettivi stagionali, con grande trasparenza. Nessuno ha parlato di promozione. Per questo leggere oggi di un presunto immobilismo societario o di inconfessate ambizioni di promozione ci appare scorretto e pretestuoso.(…). La AS Taranto non è una onlus, né un ente benefico. Ci spiace deludere chi pensa ciò, ma le risorse – anche umane e lavorative – necessarie ad onorare gli impegni quotidiani, settimanali, mensili e trimestrali impongono al Taranto di essere non solo passione, ma anche un’azienda (…). Ma non possiamo diventare il bersaglio dell’insoddisfazione cittadina. Nel rimpiangere un passato glorioso e distante diciotto anni, nel ricordare vecchie glorie e promozioni sfumate, questa città pare non accorgersi che noi siamo qui da solo un anno e mezzo. Che senza un quotidiano impegno di risanamento e copertura di debiti oggi il Taranto non sarebbe neanche iscritto al campionato (…).». Frasi condivisibili, sicuramente. Di buon senso. Ma non è l’impegno societario che viene disconosciuto. Né la volontà di operare per il bene comune. Semmai, lasciano perplessi gli argomenti e le modalità con cui vengono perseguiti gli obiettivi. La chiusura concettuale a molte forme di comunicazione, la coltivazione dell’attrito con una parte della tifoseria, l’ostinazione ad equiparare un club di pallone a un’azienda commerciale, l’idiosincrasia a nominare professionalità specifiche nei ruoli, certe scelte tecniche (aver ripiegato, ad esempio, su cognomi già bruciati), la sconfessione dei programmi (si era parlato di un processo di ringiovanimento dell’organico: ma, in realtà, non è accaduto) e certe contraddizioni di fondo (una per tutte: se la promozione immediata non è tra gli obiettivi, perché cadere in frequenti stati di fibrillazione nociva?) sono dati di fatto che erano e restano un fossato tra chi governa e chi tifa, oppure osserva.