lunedì 31 gennaio 2011

Trani, ecco il nuovo corso

Rivoluzione, talvolta, significa azzeramento di certe ambizioni. Soprattutto se comanda il portafoglio, piuttosto che la volontà. E la rivoluzione di metà stagione preoccupava molto il Trani: lasciato da Ninì Flora in zona playoff, ma destinato a sudarsi la salvezza. Via quasi tutti i titolari: dirottati a Fasano o altrove. E dentro il nuovo progetto qualche superstite (Turitto, Vittorio, Chiapparino), un po’ di esperienza (Rufini, Loseto, Rizzi, Cilli, Radicchio), un po’ di gioventù (D’Arcante e altri) e qualche indigeno (Terrone e lo stesso Lanotte, che è barlettano). Tutti sotto la guida di Giacomo Pettinicchio, coach costretto a reinventarsi modulo, copione e credibilità. Nel segno del contenimento dei costi di gestione. E di una ripartenza affaticata, va detto. Quella classifica che si sgonfia, poi, ingigantisce le ansie e sgonfia il morale. Il giorno più difficile, però, sta arrivando. E’ domenica, l’ultima domenica. Ieri. A Trani scende l’Angri, quart’ultima forza del girone. Che, in trentacinque minuti, sembra chiudere il match: zero a due, firmato Incoronato. A quattro giri di lancette dal novantesimo, peraltro, non è cambiato tanto: Terrone, nel frattempo, ha solo dimezzato lo svantaggio, null’altro. Ma l’impresa è ancora possibile: ancora Tenzone e Lanotte ribaltano il risultato. Il successo arriva in pieno recupero. In tempo, tuttavia, per riappropriarsi di un’identità. Per riannodare il discorso interrotto con il torneo. Parole di circostanza a parte (carattere, attributi), il segnale arriva. Ed è confortante. Tante volte, è il cattivo umore a minacciare il gruppo. E sono proprio certe occasioni a riavvicinare idealmente squadra e tifoseria. La sofferenza non è finita (sabato, per esempio, si anticipa a Nardò), ma adesso la Fortis sa di poter contare anche su se stessa. Su un organico ricostruito con risorse limitate, ma disposto a battagliare. E su un allenatore che sa come rispettare le esigenze, che sa governare situazioni come queste. Il nuovo corso sembra cominciato. Ora per davvero.

domenica 30 gennaio 2011

Il Grottaglie riemerge di sabato

La ferita è già medicata. Sconfitto a domicilio dal Francavilla in Sinni, il Grottaglie rimedia ad Altamura, sei giorni più tardi. L’anticipo del sabato è un viaggio che si conclude meglio del previsto. E quel pareggio che sembra conquistato con disinvoltura, diventa un successo prezioso. Ci mette qualcosa di suo Errichiello, guardasigilli della Fortis Murgia, difettoso nell’area piccola, prima che arrivi De Angelis: è quella la marcatura che decide l’ennesimo derby di Puglia in quinta serie. E ci mette qualcos’altro la formazione di Squicciarini, meno laboriosa e meno lucida di altre volte. Un po’ impacciata, anzi, con la palla tra i piedi: anche perché l’assenza di fantasia non è un dettaglio trascurabile. Soprattutto in un 4-2-3-1 che necessita anche di mutuo soccorso per pungere di più. Ma la prestazione dell’Ars et Labor è pulita, attenta, operaia. La gente di Pizzonia chiude le vie d’accesso che conducono alla porta di Laghezza, si muove con ordine, rispetta le consegne, si disegna il match che è opportuno disputare. E può prepararsi serenamente alla sfida contro la leader del girone, l’Arzanese, che scende al D’Amuri domenica prossima. In meno di una settimana, riemerge la squadra che si era perduta all’improvviso. Ma anche una verità, ormai acclarata: senza l’obbligo di fare la partita, il Grottaglie offre più garanzie. Anche per questo, un pareggio contro la capolista può stare bene. E rischiare, a tredici punti dalla salvezza matematica, non conviene più.

sabato 29 gennaio 2011

Barletta, un mese perso

Accadde a Noicattaro, l’anno scorso. L’esonero di Carella arrivò contemporaneamente alla rivisitazione dell’organico, giusto a metà stagione, quando il mercato ripare. Che, per la cronaca, non servì a catturare la salvezza. E succede molto spesso, qua e là. Questa volta, invece, tocca a Sciannimanico: il tecnico del Barletta, in piena campagna di rafforzamento, paga lo scivolone interno contro la capolista Nocerina. La squadra, riveduta e corretta, è meno brillante di quello che immaginasse. E, complessivamente, morbida. Gli innesti, appena arrivati, non incidono troppo. Come è vero che l’integrazione non è un meccanismo automatico. Ma un processo che richiede un attimo di tempo. Viene da pensare persino che l’esautoramento del coach sia stato deciso preventivamente. E che l’ultima sconftta sia un pretesto: valido, ma pur sempre un pretesto. Probabilmente, certo, ci sbaglieremo. Ma non capiamo l’esonero, a metà gennaio. Un mese prima, con la sosta lunga a disposizione, avrebbe avuto un altro sapore. E un’altra consistenza. Non è solo una questione di forma, ma di sostanza.

venerdì 28 gennaio 2011

Brindisi, Pupino succede a Galigani

Le dimissioni di Vittorio Galigani, presidente del Brindisi travolto da un’ondata di contestazione e da una crudezza di risultati che, di fatto, acuiscono le difficoltà, pur non modificando sostanzialmente i fatti e le motivazioni della crisi societaria, significano poco. Perché, da ieri, è l’ex vicepresidente Antonio Pupino a reggere nominalmente il club. Cambia il volto del comando, ma nient’altro. Chi vorrà eventualmente accollarsi il disturbo di offrire un futuro al blasone sbiadito del Brindisi, cioè, dovrà operare con le stesse modalità previste sin qui: concordando una strategia (e un prezzo) direttamente con la proprietà. Che, di lasciare gratuitamente, non ha assolutamente voglia. Tanto per chiarirci. E a poco servirà argomentare che la precedente cordata (la famiglia Barretta) avanza la contropartita per la cessione del titolo, avvenuta questa estate. Intanto, la gente di Rastelli perde anche ad Avellino: con decoro, però. Attirandosi le simpatie, raccontano le cronache, del pubblico irpino. Se non altro, per quell’ondata di gioventù che il tecnico è costratto a schierare. E con le quali proverà a finire il campionato. Confidando sulle norme che, quest’anno, regolamentano la questione-retrocessione. E che lasciano respirare quelle formazioni capaci di aver scavato un solco praticamente incolmabile con il Catanzaro, padrone indiscusso dell’ultima piazza. Gioventù che, ovviamente, servirà ad abbattere i costi e a preparare il terreno per la stagione che verrà. Se verrà: perché la situazione continua a mantenersi delicata. E i pericoli (fallimento e attività investigativa della Co.vi.soc.) sono costantemente vicini. Così come la probabilità di una penalizzazione, da sopportare in tempi brevi. Tutti particolari di una stagione complicatasi troppo in fretta. E dati tangibili dello sgretolamento di un progetto senza fondamenta.

giovedì 27 gennaio 2011

De Canio e lo striscione dimenticato

«De Canio abbande». Ovvero, «De Canio vattene». Dialettale, semplice e sferzante, il messaggio di uno striscione recitava esattamente così, nei giorni immediatamente successivi il erby (perso) con il Bari. Da allora, invece, il ritmo di marcia del Lecce si è trasformato. Trascinando con sé nuovi consensi, un po’ di punti (vittoria a Roma, sponda Lazio, divisione dei punti con la capolista Milan e bel pareggio a Firenze) e persino qualche rammarico (penalty fallito da Di Michele proprio domenica, che avrebbe potuto chiudere il discorso con la Fiorentina). Proprio mentre il Bari ha azzerato tutto l’entusiasmo estratto dalla sfida interregionale di inizio duemilaundici. Di quell’invito rivolto al tecnico materano, intanto, non ci si ricorda quasi più. Il malumore è svanito. E il Lecce, adesso, è quart’ultimo: quindi virtualmente salvo, se il campionato fosse finito. Ipotesi che, ovviamente, non corrisponde alla realtà. Ma che, d’altra parte, lascia facilmente intendere quanto la situazione, nei bassifondi della serie A, sia tuttora assai poco definita e suscettibile di nuovi elementi di conversazione. E quanto, ovviamente, i risultati condizionino argomentazioni e commenti. Commenti che, oggi, non possono non tenere conto di un paio di osservazioni: il tecnico sembra aver trovato, nel ventaglio delle possibili soluzioni, la quadratura tattica della squadra, che si affida ad una mediana più operaia e alle intuizioni di Olivera, sistemato dietro le punte. Il Lecce, poi, sembra aver maturato una certa affidabilità atletica di cui, probabilmente, prima non disponeva. Non sono dettagli secondari: e il beneficio è evidente. Sino a nuovo ordine: perché non si sa mai. E perché, all’interno di una stagione, c’è sempre chi sale e, contemporaneamente, chi si sgonfia. De Canio, però, per il momento resta. E anche saldamente. Quello striscione non lo ricorda più nessuno, ormai. E anche la società sembra aver rinunciato, da un po’, a messaggi più o meno da decodificare. E’ la forza dei numeri, l’energia dei risultati.

mercoledì 26 gennaio 2011

Bari, minaccia di scollamento

Terzo insuccesso di fila: dopo il Bologna e la Juventus, gode anche il Napoli. Il Bari disperde un’altra possibilità di costruirsi la salvezza a casa propria, lasciando varchi alla furbizia e alla velocità degli attaccanti di Mazzarri. Riuscendo, infine, a dividere anche la propria tifoseria. Perché torna la contestazione: verso la società, l’allenatore e, evidentemente, anche la squadra. Solo che, questa volta, insorgono i settori tradizionalmente meno sanguigni dello stadio. Mentre i supporters della curva continuano ad incitare. Scegliendo la linea morbida. I sei punti di svantaggio dalla quota salvezza cominciano seriamente a pesare, cioè. Nei conteggi e anche nel morale: della truppa e della gente. Mentre Ventura non recupera tutti gli infortunati, come negli auspici. Incassando, nel contempo, prestazioni sostanzialmente deludenti da qualche punto fermo recentemente riassorbito nello scacchiere. L’accusa popolare, però, oggi lo investe interamente: perché il modulo non cambia, malgrado le difficoltà e le necessità. Perché, si dice, il Bari avrebbe rinunciato a qualche punto per il gusto di giocarsi il match sino in fondo, dimenticando l’urgenza della classifica e, quindi, il buon senso degli affamati. Non accontentandosi del pareggio, che talvolta sarebbe servito. E ritrovandosi puntualmente punito. Matarrese, invece, sconta una ristrutturazione dell’organico ritenuta insufficiente (Okaka, Glik, e il convincente Rudolf). Ma, soprattutto, una limitata possibilità economica per poter operare con maggior convinzione nel mercato di riparazione: che, per la cronaca, si esaurisce nei prossimi giorni. E’ una vecchia storia, che si ripete. E che fa infervorare la piazza. Da oggi il Bari ha più paura. E un nemico in più: lo scollamento dell’ambiente.

martedì 25 gennaio 2011

Casarano, illusione e disillusione

Il vantaggio, illusorio. L’espulsione (di Caracciolo) che stravolge gli equilibri. L’autorete (di Kettlun) che rilancia l’avversario. Il penalty, che ribalta la situazione, obbligando a rincorrere. Il tre a uno finale, che abbatte la speranza. Inutile sottolineare che, sulla positiva definizione della trasferta di Gaeta, l’ambiente che gravita attorno al Casarano puntasse parecchio. E quanto lo scontro diretto fosse considerato un crocevia delicato di questo campionato ancora troppo costretto, mai decollato per davvero. Il rovescio è un verdetto che fa assai male e che impone di considerare la realtà, una volta per tutte: a questa squadra, anche riveduta e corretta e nonostante l’improcastinabile cambio di guida tecnica, è evidentemente difficile poter chiedere di più. Cioè un’inversione decisa, una lievitazione netta, una marcia superiore, un rendimento sempre più alto, una continuità che sa di qualità. La Virtus, dati alla mano, è una forza del torneo, ma non la più forte. Non la più solida. Non la più scafata. Non la più affidabile. Cinque sconfitte in ventuno match significano un insuccesso al mese, praticamente: troppi per chi vuole arrivare davanti a chiunque. Troppi per chi non ha mai nascosto le ambizioni. Malgrado certe difficoltà di inizio stagione: non totalmente superate, peraltro. Sminute dal prestigio del club e dalla serietà dell’apparato societario: che, prima o poi, regolarizzerà quello che c’è da regolarizzare. Ma, forse, anche per questi motivi, alla formazione – anticamente di Toma, successivamente di Silva – non si può imputare molto di più di quello che è lecito fare. Anzi, come ammetteva qualche addetto ai lavori a microfoni spenti, chi scende in campo va ringraziato, comunque. E sia: ma, al di là dei sette punti di disavanzo dalla vetta, teoricamente ancora colmabili, resta il grande rammarico di quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Quest’anno, come nella stagione passata. Dove una credibilità più spendibile avrebbe appaltato il successo: che, in ogni caso, sorriderà al meno incerto, più che al migliore.

lunedì 24 gennaio 2011

Grottaglie, ritorno al passato

Talvolta, le ombre ritornano. A Grottaglie, per esempio. L’Ars et Labor più intrigante degli ultimi tempi si perde all’improvviso, sull’erba di casa, schiantandosi (zero a due) di fronte ai sinnici del Francavilla. Contro i quali, tradizionalmente, va male. La striscia felice si interrompe, ma si disfano anche quella linearità e quell’efficacia delle scorse domeniche. La squadra si riscopre molle, legata, immalinconita. Approccia la gara con scarso vigore. Si piega immediatamente. E affonda con calma, nella ripresa, dagli undici metri. Nel frattempo, assiste al suo declino, quasi imperturbabile. I lucani capiscono tutto e sùbito, colpendo e amministrando il vantaggio. Senza rischiare niente: persino facile. La tifoseria è in larga parte assente (la contestazione al club prosegue, malgrado la ventata di freschezza di questi tempi). E, chi c’è, si ammutolisce. Il Grottaglie, cioè, si riconsegna al passato. Ma capisce quello che la partita sembra volere insegnare: non ci si può rilassare. Mai.

giovedì 20 gennaio 2011

Taranto, vecchi difetti e nuovi arrivi

Certi segnali non tradiscono. Perché la personalità non si acquista. E perchè le tematiche di gioco, anche quelle concepite con la genuinità dell’entusiasmo di chi è appena approdato su una panchina (è il caso di Davide Dionigi), risentono irrimediabilmente delle asperità dell’ambiente, delle situazioni, delle polemiche striscianti, degli stati d’animo degli uomini, dei conflitti più o meno accantonati, delle fratture interpersonali o, più semplicemente, delle imperfezioni che il campo può persino mascherare e che, però, il tempo fa riaffiorare, prima o poi. Il Taranto, cioè, continua ad essere quello che era con Brucato: un collettivo inaffidabile, perché assolutamente instabile. Capace, talvolta, di scrivere anche belle pagine, ma destinato a essere divorato da antichi vizi. Ad essere vittima di vecchi impedimenti, a cadere (anzi, ricadere) nel vortice di equivoci (anche tattici) ampiamente conosciuti. Da quando, appunto, c’è in panchina Dionigi non è cambiato molto. L’avevamo già capito, l’avevamo già scritto. Ora lo ribadiamo. E non è, questo, un dato che circoscrive la responsabilità al solo allenatore, evidentemente. O al suo staff, ultimamente in contrasto con qualche singolo (Innocenti, passato al Barletta, oppure Antonazzo, temporaneamente accantonato e poi reintegrato nel gruppo: per non parlare di Scarpa, recentemente ceduto al Portogruaro, alla fine di un rapporto sempre poco chiaro con la società). Le ultime uscite del Taranto rafforzano i dubbi di un tempo (a proposito: la sessione invernale di mercato riuscirà a cancellarli? Mancava più di qualcosa in mezzo al campo, è stato ridisegnata innanzi tutto la prima linea) e, di contro, indeboliscono la classifica. Il quartiere dei playoff, per chiarire, è ancora a due punti, ma è il lento declino caratteriale e psicologico, oltre ad una certa involuzione globale, a preoccupare. E, inoltre, non sembra affatto risolta una delle questioni originarie: a gennaio hanno lasciato l’elenco degli effettivi sei giocatori e, di contro, ne sono arrivati altrettanti (Sy, Chiaretti, Faraon, Guazzo, Girardi, Coly). Facendo due conti, sono sempre troppi.

mercoledì 19 gennaio 2011

Barletta, mercato significativo

Ninì Fora, patron del Fasano, racconta (pubblicamente) che il presidente Tatò maledice ancora il giorno in cui il Barletta presentò l’onerosa domanda di ripescaggio in terza serie. Successivamente accolta, alla fine dell’estate. Da allora, la formazione affidata a Sciannimanico ha affrontato il viaggio in campionato con un po’ di coraggio, molte speranze e combattendo palesi difficoltà: rimanendo, però, sempre ancorata alla classifica. Galleggiando, dunque: in attesa della manche di ritorno del torneo. Che, tradizionalmente, è un’altra cosa, per almeno metà delle concorrenti. Artifici di mercato, dicono. Un mercato, per il Barletta, assolutamente rilevante. Innocenti, arrivato dal Taranto, è nome griffato che sa ancora dare forma al pedigrée: le nove realizzazioni contabilizzate sulla Jonio in metà stagione parlano con sincerità. L’artigliere di Alfonsine, tra l’altro, dovrebbe riuscire a sottrarre dall’imbarazzo allenatore, società e tifoseria, protagonisti e testimoni della questione legata alla presenza di Margiotta, un attaccante verso cui l’ambiente sembrava puntare molto e che, invece, ha rischiato di dividere l’ambiente. Poi, Rana, un’altra punta, ma di movimento (magari, la breve avventura con Ventura, nel Bari, potrebbe aver contributo ad accelerarne il processo di maturazione, in coda alle esperienze non sempre pregevoli in C2). Quindi, Maino, un difensore che dovrebbe costituire per il trainer un’alternativa interessante (a Castellammare, domenica, ha timbrato il cartellino per novanta minuti). E, infine, Zappacosta, Geroni e Gabrieli. Malgrado tutto, cioè, il vertice del club pare aver risposto fattivamente alle urgenze: nei limiti del possibile, è chiaro. Sollevando almeno un po’ il morale dell’allenatore e della squadra, decisamente più agile e viva sia a Pisa (pareggio con rammarico) che, una settimana più tardi, in casa della Juve Stabia (sconfitta di misura). Ma, in sostanza, ancora alla ricerca di una finalizzazione convincente e continua. Problema che, appunto, il sacrificio economico per assicurarsi Innocenti vuole risolvere. Definitivamente.

martedì 18 gennaio 2011

Andria, sei punti per sorridere

Sei punti in centottanta minuti rivalutano la squadra e le sue ambizioni, un cammino sin qui abbastanza agro e le prospettive del gruppo. L’Andria di quest’anno appena spuntato possiede un passo diverso: prima se ne accorge il Gela e, sette giorni dopo, anche il Siracusa di Ugolotti. Due vittorie di sèguito significano autostima e, innanzi tutto, ossigeno. La sola lunghezza di vantaggio sulla quint’ultima non tranquillizza troppo, non può: ma, almeno, adesso comincia a confortare il profilo comportamentale della squadra di Papagni, più sicura di sé e meglio disposta ad approcciare ogni ostacolo. E, comunque, a battagliare sino in fondo: finalmente. Perché, se una volta l’Andria pativa soprattutto le ultime battute del match, ora riesce persino a sfruttarle. Il sigillo di Del Core, per esempio, piove proprio a recupero inoltrato: accadimenti di domenica scorsa, quando Ceppitelli e compagni inseguono il risultato pieno con ostinazione e un po’ più di lucidità. E dove il ritrovato fiuto realizzativo dell’artigliere barese comincia a coniugarsi con la giovane esuberanza di gente come Lacarra (molto criticato, nella prima parte della stagione) o Carretta. Piccoli indizi di lievitazione naturale di un collettivo che chiedeva pazienza e che sperava di riscuotere fiducia. E che, da qui in avanti, deve garantire quello che non saputo assicurare, in cinque mesi: la continuità, il più temibile nemico di una formazione nata per ritagliarsi spazi propri e non per soffrire intensamente.

lunedì 17 gennaio 2011

Nardò, ora si fa sul serio

Il pallone rotola sul sintetico di Francavilla, ma sembra di essere a Nardò. Si parla apertamente il dialetto granata: sugli spalti e pure sul campo. La formazione di Maiuri, nel derby, è più presente, da sùbito. Manovra molto e, forse, incide meno di quello che sarebbe logico: però tiene palla e dirige le operazioni. Il gol, così, prima o poi arriva: abbastanza presto da tranquillizzare la squadra, che difende e legittima il vantaggio continuando a muoversi tanto e con intelligenza. E confermando, in sostanza, il suo momento felice, coinciso con gli innesti di metà stagione, che infondono al collettivo solidità e personalità. Il Francavilla rincorre e sbuffa. Attaccato, si disunisce e viene indotto all’errore. Il confronto è impari: la pressione ospite confonde la gente di Carrano. Il raddoppio di Montaldi, appena prima dell’intervallo, sembra poi chiudere definitivamente l’incontro. Ma il Nardò si rilassa, l’intensità di gioco si abbassa e i brindisini ne approfittano, accorciando le distanze con D’Elia, attorno al quale il collettivo cerca di galleggiare. Inutilmente: perché i salentini capiscono che è il caso di riappropriarsi dell’amministrazione della palla, che è poi la condizione essenziale per circoscrivere qualsiasi pericolo e per salvaguardare il risultato. Che, alla fine, premia chi più merita. E chi, con cinque punti di disavanzo dalla prima poltrona, pensa persino di poter puntare a qualcosa di importante. Questo campionato riesce a ingolosire molte concorrenti: e il Nardò riveduto e corretto può ambire. Cominciando a preparare gli scontri diretti: l’esatta valutazione delle forze sul campo parte da lì.

domenica 16 gennaio 2011

Fortis Murgia, è un punto che vale

Il sabato della Fortis Murgia promette molto e concede solo un pareggio. Il 4-2-3-1 disegnato da Squicciarini, di fronte alla capolista Arzanese, non tradisce timori o impacci reverenziali e, anzi, decide di costruirsi il match. Aggressivi quanto bastano, gli altamurani curano il possesso di palla, agendo con rapidità. L’avversario attende, ma non tarda a intensificare il pressing, a guadagnare metri e passare in vantaggio. Un quarto d’ora, venti minuti e cambia la gara: i campani imponono i diritti dell’esperienza, lasciando alla Fortis pochi spazi. Uno dei quali, comunque, viene prontamente sfruttato da Petruzzella. Reazione veloce, tanto meglio. L’uno a uno resisterà sino alla fine, tra un sostanziale equilibrio e qualche occasione per parte. De Santis e soci, però, badano soprattutto a mantenere le posizioni e, più spesso, ad arginare. Anche perché, di sovente, la manovra si restringe, impoverita da un’insufficiente circolazione di palla. Qualcuno, magari, ad un certo punto avrebbe immaginato qualcosa di meglio: alla fine, però, il punto che arriva dall'anticipo vale qualcosa. E la storia continua, con infinita serenità.

giovedì 13 gennaio 2011

Realismo, pazienza e orgoglio

Il Foggia del duemilaundici è fondamentalmente quello del duemiladieci. Imprevedibile, arguto, ma anche ingenuo. E permissivo come pochi, in fase di non possesso. A Lucca accade quello che è accaduto altrove, molte volte. I gol sofferti, questa volta, sono quattro: contro due. Lo spettacolo, magari, è salvaguardato. Ma il risultato no. Cose che andranno messe ancora in preventivo, peraltro. Anche Zeman accetta la realtà con diplomazia, ironia. E non potrebbe essere diversamente, del resto. Lasciando ai microfoni una battuta che sa di realismo e pazienza: «In questa sagra degli errori, il Foggia sembrava essersi fermato al campionato Primavera». Vero. Eppure, conoscendolo solo un po’, siamo convinti che il boemo sia pienamente felice ed orgoglioso di questa squadra. Che sta cercando di plasmare: anche perché l’ambiente sembra essere disposto a concedergli il tempo per farlo. Approfittando della situazione di chiamarsi Zeman, ovviamente: perché, magari, qualcun altro non beneficerebbe della stessa cortesia (Novelli, Porta, Pecchia: tre nomi a caso). Di questa squadra che sta provando ad erudire. E che, in fondo, non tradirebbe mai. Perché non si può tradire un ideale. O una missione.

mercoledì 12 gennaio 2011

I guai del Brindisi scendono in piazza

I guai del Brindisi scendono anche in piazza. Anzi, nel parco cittadino. Dove si radunano un po’ di fedelissimi e dove accorre anche il capitano della squadra, Taurino. Scene di domenica mattina, quella appena passata. Il difensore conferma le difficoltà del gruppo che rappresenta: gli stipendi sono bloccati. Per una precisa strategia societaria, recita il presidente Galigani: che pretende maggior impegno da un collettivo scivolato nel quartiere malfamato della classifica. Per reale mancanza di liquidi, come pensano giocatori, osservatori e pubblico. La gente, invece, preme. Provando ad accelerare le dimissioni di Galigani. Che, prevediamo, non arriveranno mai. E coinvolgendo il primo cittadino adriatico, Mennitti: disposto a coordinare la concertazione con nuovi soggetti desiderosi di rilevare il titolo (ma ci sono?). In pratica: Galigani consegni simbolicamente le chiavi del club in municipio. Agevolando il rinnovamento. Più semplice da dire che da farsi. Anche se il presidente appare disponibile. Per poi inoltrare un nuovo comunicato stampa in cui le illazioni vengono rispedite ai mittenti. Corredate da controaccuse. Il fatto è che Galigani potrebbe anche farsi da parte, perché no. Ma non senza corrispettivo, come suggerisce la tifoseria. Naturale. Il punto è nodale. E a poco, sembra di capire, servirà quello che, di fatto, è un accerchiamento. Mediatico e fisico. Attorno al quale sta per addensarsi una battaglia focosa. Che solo una transazione commerciale potrà governare: il problema, adesso, è capire qual è il prezzo giusto.

martedì 11 gennaio 2011

Aria di scollamento

Ancora sul Bari: perché questo è uno di quei momenti caldi che chiunque vorrebbe evitare. E in cui si moltiplicano i sussurri, le argomentazioni e anche le accuse. Che si riversano da fuori lo spogliatoio, ma che maturano anche dentro. Andrea Masiello, per esempio, è impietoso con il gruppo: «Facciamo ridere», il messaggio è questo. E Gillet, il capitano, non è affatto meno tenero: «Non tutti assicurano il massimo». Con il passare delle ore, cioè, si allargano crepe nascoste. O, almeno, questa è la sensazione che si solidifica. Tanto da solleticare l’ipotesi di un certo scollamento all’interno della squadra. Possibile, in situazioni come queste. Ci piacerebbe essere smentiti: con i fatti. E non solo con le dichiarazioni più o meno ufficiali.

lunedì 10 gennaio 2011

Bari, l'ombra di Colomba

Okaka non sa ripetere l’acuto del derby, l’avversario viaggia sull’onda dell’entusiasmo, il ciclo delle indisposizioni riprende, qualche big recentemente riassorbito dallo scacchiere fallisce la prova, Andrea Masiello è richiamato in fretta dalla convalescenza e passa direttamente dal letto al campo: tutti particolari che scrivono lo score dell’ultimo match del Bari. E che riaprono ufficialmente lo stato di crisi, appena tre giorni dopo la schiarita di Lecce. Il Bologna ringrazia e passa: due a zero e quota salvezza più vicina. C’è involuzione, nella prestazione della squadra di Ventura, certo: da mettere in conto, tuttavia. Perché qui nessuno sperava di aver risolto la situazione con il successo di mercoledì scorso. E poi il percorso verso la normalizzazione deve necessariamente passare attraverso momenti di bassa pressione: recuperare forma e contorni antichi è questione di metodo, quindi anche di riappropriazione di un’identità precisa. Che continuerà a difettare: almeno sino a quando l’elenco dei disponibili non si ricompatterà e i protagonisti non riacquisiranno il pieno possesso delle proprie condizioni fisiche. Qualcuno, ovvio, obietterà: le settimane passano e il tempo condanna. Confidando, magari, sulle indiscrizioni. Una di queste, per esempio, vede Colomba nel ruolo di nuova guida tecnica. Anche se il trainer maremmano ha già smentito qualsiasi contatto con Matarrese. Ventura, cioè, si appresta a vivere nuovi giorni duri, anche sotto il profilo personale. Comunque vada, però, non è detto che il cambio di panchina, con questi presupposti, sia la migliore risoluzione possibile. E neppure la più logica, sotto certi aspetti: perché, di fatto, vanificherebbe tutto il tempo perso ad attendere (con Ventura) il recupero degli indisponibili e, dunque, il ricompattamento dell’organico. In spiccioli, due mesi e l’intera sosta invernale: quando un eventuale avvicendamento avrebbe potuto attirare effetti più concreti.

sabato 8 gennaio 2011

Pizzonia, l'uomo giusto per il Grottaglie

Marrone, nuovo plenipotenziario del Grottaglie, aveva osservato e, quindi, adottato la prima decisione, cioè l’esautoramento del tecnico Danza. Roba di un mese fa: giorno più, giorno meno. Riservandosi di scegliere il sostituto. E affidando, per il momento, la panchina, ad un vecchio frequentatore dei campi come Enzo Pizzonia, calabrese di nascita e grottagliese di adozione. Uno che conosce bene l’ambiente e anche la squadra, per aver lavorato a stretto contatto con lo stesso Danza e per aver collaborato l’anno precedente con Maiuri. Spesso va così: e Pizzonia, in tre partite, sembra essersi guadagnato un supplemento di considerazione. Per aver quadrato l’assetto, per aver infuso nel gruppo un po’ di tranquillità e, soprattutto, per aver ottenuto altrettanti risultati. L’ultima trasferta, quella di giovedì scorso, è venata di efficacia e scaltrezza. Il successo sulla Capriatese, oltre tutto, vale moltissimo. In casa di una diretta concorrente alla salvezza, l’Ars et Labor si mette alle spalle sette concorrenti, cominciando a pensare positivo. E pianificando una serena rincorsa alla normalità. Non che il problema sia completamente risolto: i limiti sussistono e un po’ di punti collezionati in fila non dicono tutto. Ma, attorno al Grottaglie, si respira un’aria diversa. E, ormai, Marrone sembra aver deciso, definitivamente. E’ Pizzonia l’uomo giusto per questo collettivo.

venerdì 7 gennaio 2011

E il derby risveglia il Bari

Bene così: il derby scivola via senza degenerare, come qualcuno avrebbe voluto far credere che potesse accadere. Nessuna battaglia, sugli spalti. E neppure fuori. Non avevamo dubbi, però: se non altro, perché è difficile che accada qualcosa, sotto i riflettori di un Paese intero. E poi perché, tra Lecce e Bari, non è mai accaduto niente di inguardabile, negli ultimi vent’anni. Questi, cioè, sono fatti. E non chiacchiere. Sull’erba, poi, è un’altra storia. Gode solo il Bari, che trova la vittoria dopo mesi lunghi e bui. E, innanzi tutto, trova l’entusiasmo e la fame di Okaka, nigeriano nato e cresciuto in Umbria, coloured di seconda generazione arrivato dalla Roma in questi giorni per alleviare le fatiche di un gruppo che, intanto, sta lentamente recuperando un po’ di quei titolari persi in infermieria. E’ suo il gol che squarcia il match. Ed è suo il sigillo che zittisce il Lecce, ora avvolto da un alone di paura. Il Bari, dunque, si riaggrappa al campionato. E comincia a reimpossessarsi di quel patrimonio tattico assorbito nel tempo, ma forzatamente accantonato per molte settimane: almeno, ne sembra convinto Ventura. Che, in realtà, non aveva mai disperato. Professando fiducia indelebile, sempre. Di sicuro, però, un dato appare inoppugnabile: con il recupero di qualche pedina e con qualche fortificazione in corso d’opera, i risultati sbocciano di nuovo. Senza contare che il successo in un derby, psicologicamente, vale il doppio. In Salento, ovviamente, ci rimangono male. E il presidente Semeraro fa arrivare a De Canio un messaggio in codice: lasciando intendere che l’ingresso in campo di Vives, a gara inoltrata, potrebbe aver indotto nella squadra la sensazione di doversi accontentare di un punto. Puntualmente perso, nelle ultime battute di gioco. Il rovescio, tuttavia, dovrebbe accelerare (ovvero rendere assolutamente necessarie) le operazioni del mercato di riparazione. Perdere un derby non è mai piacevole: forse, però, a qualcosa potrebbe servire. Vedremo.

giovedì 6 gennaio 2011

Francavilla, la strada è dura

Il Francavilla targato Carrano ha cinque under schierati sin dall’avvio del match e molti problemi di creatività. Il telaio è di ricostruzione recente e, soprattutto, qualitativamente da sgrezzare. Il Pomigliano, primo avversario del duemilaundici, è poi particolarmente scontroso, scorbutico. Giostra con mestiere, sgomitando. Ed eseguendo il compitino, senza strafare. E senza neppure convincere troppo. Ma fa quel che serve, quando serve. Indirizzando la partita, anche quando è il Villa a possedere palla. Il gol campano sboccia allo scoccare della prima mezz’ora di calcio e già si capisce che quello è il momento decisivo. La reazione brindisina è morbida, indecisa. E gli ospiti possono continuare a dettare le regole. La buona volontà del Francavilla, cioè, si sfarina nella crudezza della realtà: poca consistenza in mezzo al campo, nessuno che sappia o possa cambiare il passo, poche probabilità di monetizzare le già scarse risorse (D’Elia, da solo, non può garantire molto). Più tardi, il Pomigliano raddoppierà: precauzione inutile, forse. Perché il Francavilla è ancora tutto da reinventare. Carrano, dicevamo pochi giorni fa, merita auguri sinceri. Che, dopo aver visto la squadra, sembrano non bastare, senza un lavoro profondo e robusto.

mercoledì 5 gennaio 2011

Porte aperte sul derby

Sta arrivando il giorno del derby di Puglia. Derby offeso dalle ansie della classifica e già sfinito dal peso delle responsabilità che si trascina dietro. Un po’ annebbiato dalle legittime paure e, psicologicamente, anche un po’ bloccato. Per il Lecce e, soprattutto, per il Bari arriva in un momento in cui un eventuale rovescio arrecherebbe danni difficilmente digeribili. Ma arriva: ed è aperto alla gente. Dopo aver ingiustamente rischiato di non esserlo: per una cattiva interpretazione di chi governa l’ordine pubblico e dell’organismo di controllo sulle manifestazioni sportive che, ormai, amministra il calcio italiano. Porte chiuse evitate, anche per merito dell’infastidito intervento dei sindaci di entrambe le città. Ma polemiche ancora calde, ravvivate dalle decisione di non partecipare ugualmente alla trasferta della tifoseria barese. Ad ogni modo, il derby di Puglia aggira lo sgarbo. Perché di sgarbo si sarebbe trattato. Anche se, in fondo, lo sgarbo rimane. Lo sgarbo di considerare Lecce-Bari un match molto più pericoloso di qualsiasi stracittadina (milanese, romana, genovese) o di altre sfide tradizionalmente più preoccupanti. Regolarmente aperte al pubblico, seppur regolate da qualche limitazione. Lo sgarbo di infierire sul pallone di province lontane, meno difendibili, meno considerate, meno rappresentate nel Palazzo. E di schiaffeggiare due club e due tifoserie meno ingombranti, mediaticamente meno esposte. Nel segno e in onore di una legge scritta male e applicata peggio.