lunedì 30 maggio 2011

Taranto, il rimorso dell'assenza

Impalpabile, etereo. Assente, quasi. Il Taranto fallisce la prova più vera, cioè gara uno dei playoff. Al primo turno inciampa sull’Atletico Roma, formazione che sembra aver recuperato verve, solidità e scaltrezza, dopo una fase finale di regular season non propriamente brillante. I laziali legittimano il pronostico e rimarcano la superiorità nei confronti diretti: tre vittorie su tre match. Compresi, ovviamente, quelli del campionato. Lo Iacovone è pieno, vociante, entusiasta: diecimila presenze spingono Rantier e compagni verso il sogno. Non basta: la gente di Dionigi è intorpidita, statica. Accusa un calo di tensione o di desiderio. Probabilmente, anche la tensione che la città produce in appuntamenti come questo. Steccando. Zero a uno, romani avvantaggiati anche dalla posizione di classifica che, ad eventuale parità di punteggio, decide. Significa che, per passare il turno, il Taranto dovrà vincere al Flaminio, tra sei giorni, con almeno due gol di scarto. Serve l’impresa, ecco. Inimmaginabile, per un collettivo spento come quello di ieri. Mai seriamente in partita, disposto solo ad assistere e limitare il rischio. Il coach, per alcune scelte (di uomini, prima che squisitamente tattiche), è ufficialmente indagato dall’opinione pubblica. Ma il problema, così com’è, sembra più che altro edificarsi su forti piattaforme psicologiche. Acuite dalla scarsa brillantezza dei singoli, ormai conglobati da tempo (più o meno dall’arrivo in panca di Dionigi) in un progetto fondato (giustamente) sulla saldezza del collettivo: che la versione precedente, quella di Brucato, peraltro, non contemplava. Eppure, c’erano tutti i presupposti per vivere una giornata speciale: ma il Taranto più affidabile si è eclissato nel momento decisivo. Trascinandosi ogni varietà di rimpianti.

domenica 29 maggio 2011

Il Martina riparte presto

I primi passi in quinta serie sono decisi. Il Martina, recuperata la visibilità nazionale (interregionale, più che altro, ma è già qualcosa), non perde tempo. L’organigramma societario è immediatamente ritoccato: per un vicepresidente (esecutivo: Notaristefani) che va, ce n’è un altro che arriva. Con portafoglio, un po’ di idee, entusiasmo ed allenatore. Adriano Favia, imprenditore giovanissimo, lascia Bari e il San Paolo in Eccellenza, trascinando con sè coach Francesco Bitetto, un emergente che ha abbandonato il calcio giocato da poco per dedicarsi alla panchina. E con risultati più che discreti, se vivisezioniamo il cammino della seconda formazione del capoluogo adriatico nell’ultima stagione. Contemporaneamente, s’interrompe il rapporto tra il club della Valle d’Itria e Mino Francioso, il tecnico della promozione. Che conferma la peculiarità di non proseguire il lavoro per la società con cui ha ottenuto il salto di categoria: accadde lo stesso a Brindisi e a Francavilla. Divorzio, peraltro, abbondantemente inserito in preventivo dagli addetti ai lavori, immediatamente dopo lo spareggio di Bitonto con il Cerignola. Disegni chiari, dunque. E promesse rilanciate: il Martina non si sottrarrà alla lotta per il primato, anche nella prossima stagione. La piazza, del resto, non lo permetterebbe. E poi il rilancio del calcio martinese sembra diventato una questione di orgoglio, per il presidente Muschio Schiavone e il suo plotone di soci e di sponsor. Oltre tutto, competere nei quartieri alti della serie D non è affatto più difficile (nè molto più dispendioso) che imporsi nella premier league regionale: provare per credere. L’ingresso di Favia, infine, è un segnale preciso. Che presuppone un adattamento veloce alla nuova realtà: utile ad abbattere il gap e a procurarsi il materiale umano più indicato per la nuova categoria, anticipando la concorrenza. Un ripescaggio in C2, sulle orme della Sanremese (dall’Eccellenza ai professionisti senza transitare per il torneo intermedio, appena dieci mesi addietro), non è più ipotizzabile: allora, meglio non confondersi e guardare dritti alla realtà. Il tempo è prezioso e il progetto sempre più ambizioso. E’ già il momento di cominciare a confrontarsi con responsabilità vistose. E, soprattutto, non è più consentito tirarsi indietro. Si parte: per approdare.

mercoledì 25 maggio 2011

Lecce, dopo la salvezza il buio

«Avevamo un accordo, un progetto condiviso da ultimare. La scelta di De Canio sorprende e amareggia»: più o meno, tra le altre, le parole di patron Semeraro dopo l’autoesclusione del tecnico. «Non c’erano più determinate condizioni per proseguire il viaggio: parlo di condizioni programmatiche»: la versione del coach materano. Il divorzio fa ancora discutere. E, certamente, ha deteriorato i rapporti tra le parti. La successiva mossa del vertice societario, però, avvicina la posizione di De Canio alla verità: perché la proprietà annuncia il proprio disimpegno, ufficialmente, con una conferenza stampa. Questione puramente economica: che, appunto, sembra avvalorare le deduzioni di un allenatore – lo ripetiamo ancora – probabilmente infastidito da qualcosa, nel corso del campionato appena consumato. Il Lecce, dunque, volta pagina. Anzi, più di una. Si apre, evidentemente, uno stato di crisi: insondabile, al momento. Mentre vacilla anche il concetto di fondo, cioè il progetto. Che non può e non deve necessariamente legarsi ad un nome: quello di de Canio, nello specifico. Ma che necessita di veleggiare comunque: e, allora, il conto non torna.

martedì 24 maggio 2011

L'onestà intellettuale di Zeman

«Colpa mia. Volevo vincere il campionato, avrei dovuto farlo. La stagione del Foggia è un fallimento. Mi faccio da parte, lascio la panchina. Forse definitivamente». Zdenek Zeman non è un personaggio qualunque. Forza gli schemi, sempre. Con un’onestà intellettuale che i suoi avversari più duri e i suoi detrattori più antichi non conoscono. E non conosceranno mai, nel grigiore e nella pochezza delle proprie convinzioni. Il boemo è personaggio vero, sino in fondo. Che solo un’Italia abituata all’anormalità, alla false apparenze e ai guitti di mille religioni censura senza capire. Zeman rinuncia al prolungamento del contratto. Viaggiando, se non troverà un’altra collocazione, contro i propri stessi interessi. Decisione irrimediabile, dice. Che, però, gli rende onore. Ancora una volta. La dignità, cioè, prima di tutto: anche dell’ingaggio. La dignità che tanti altri si sognano. Di notte e di giorno. Inutile aggiungere, però, che non ci troviamo d’accordo: nel merito. Il tecnico non è responsabile di un fallimento che non esiste. Al di là delle situazioni arbitrali, vere o presunte, che hanno condizionato il cammino della squadra e, di conseguenza, la scelta finale del trainer. Il Foggia era una scommessa. Da giocare, prima che da vincere: forse, anche fuori dal campo. E il Foggia, quella scommessa, l’ha giocata, sino in fondo: di fronte a organici più esperti, complessivamente più dotati. Più competitivi. Una scommessa appaltata con coraggio e buone intuizioni. Che avrebbe dovuto costruire l’implacatura di un ciclo nuovo. Onore a Zeman, certo. Ma Zeman, questa volta, sbaglia. Casillo e Pavone, allora, provino a smuoverlo ancora: con fermezza, decisione. Anche per salvaguardare il processo di solidificazione di quello stesso progetto. Lo devono alla città, alla tifoseria. E anche al boemo.

lunedì 23 maggio 2011

Grandolfo, oro di Bari

Due spezzoni di match, nel corso del campionato. E, all’ultimo chilometro, una partita intera. Da titolare. Bologna-Bari, c’è spazio per Francesco Grandolfo, diciannove anni, castellanese di nascita, ma cresciuto a Casamassima. Il risultato non conta: emiliani già salvi, adriatici già in B. Il ragazo, però, si impegna sul serio. Tre gol in novanta minuti: potremmo sbagliarci, ma non ci sono precedenti con caratteristiche simili. Almeno, dall’istituzone del girone unico. Peraltro, Grandolfo - nella formazione Primavera - aveva convinto Mutti. Che, intanto, prova a lavorare in prospettiva futura: pur senza conoscere il proprio futuro. Gliene venga dato atto, detto per inciso. Test agevolmente superato: anche per la buona fattura delle realizzazioni. Al di là del carattere puramente amichevole di un incontro privo di significati. Risultato: a Bari – e non solo a Bari – stanno già scomodando il ricordo di Cassano. Proprio mentre sale la delusione per ciò che avrebbe potuto essere. L’esplosione di Grandolfo, cioè, avrebbe acuito i dolori della folla: che comincia a chiedersi perché non sia stato utilizzato prima, nel momento di fatica massima dell’attacco schierato prima da Ventura e poi dallo stesso Mutti. Quesito persino legittimo. Ma concetto probabilmente sbagliato: Grandolfo, o qualsiasi altro rampante, merita attenzione, ma anche protezione. Va lanciato, non bruciato. L’ingresso graduale nel calcio che conta, in un momento più soft, a stagione consumata (in tutti i sensi) potrà servirgli: di più e meglio. Come un campionato di serie B: il prossimo. Magari, caricarlo di responsabilità a battaglia (per la salvezza) in corso non avrebbe pagato. Anche se la sensazione di un apporto utile alla causa, oggi, si è fatto consistente. Ma, del resto, queste sono cose impressioni che maturano sempre dopo. E che si scontrano con la mancanza di coraggio di chi fa calcio. E, di contro, anche con una domanda: ma il coraggio, in Italia, è sempre premiato?

venerdì 20 maggio 2011

Salvezza e smobilitazione: i giorni del Grottaglie

Due gol del Grottaglie, tutti assieme, sono quasi un’eccezione. Una festa. E festa è, alla fine. Lo spareggio di Rossano sancisce la salvezza della formazione di Pizzonia, finalmente convinta di poter raggiungere l’obiettivo. Meno timorosa di altre volte. E, per questo, più auterevole, fluida. Il Sant’Antonio Abate si piega e viaggia verso i playout, un campionato dopo il campionato. L’Ars et Labor, invece, archivia un'altra stagione sudata. La gioventù diffusa del suo organico ottiene (con fatica) il passaporto per una nuova avventura in quinta serie, che tuttavia nasce sùbito zoppa. Il presidente Ciracì, immediatamente dopo il novantesimo, detta la sua felicità contenuta per la permanenza maturata alla trentacinquesima partita e la propria amarezza concentrata in un’esperienza globalmente sofferta. Confessando che il suo ciclo al vertice del club è finito. Con non poche ammaccature morali, lascia capire. La corsa alla successione è ufficialmente aperta. Un’altra volta. Ma, ora, la sincerità (e gli obiettivi) del numero uno grottagliese appaiono assolutamente limpidi. Il tempo, probabilmente, è scaduto: da qualsiasi angolazione si osservi la questione. Ciracì, certo, talvolta ha sbagliato. Scegliendo male qualche nome o cognome, magari: anche perché spesso costretto ad operare sotto pressione, provato da critiche e accuse. Molte delle quali pretestuose. Una per tutte: essere un grottagliese che vive fuori porta, dunque un estraneo. E, dunque, finendo per scontare una demotivazione di fondo. Ha sbagliato e pagato, il presidente: addossandosi, ad un certo punto, anche le cointroindicazioni della querelle condivisa con Settanni, l’ex patron della società. Provando, per la verità, a recuperare sempre. Onorando tutti gli impegni: con puntualità. Portando per mano il calcio grottagliese attraverso tre campionati. E depositandolo esattamente dove l’aveva trovato: cioè, in serie D. Che è la categoria di pertinenza della città: ma che la città non deve mai dimenticare di difendere, anno per anno. Il presidente, allora, questa volta sembra davvero convinto ad abdicare. E oggi pensiamo che lo farà davvero. Se così sarà, però, da ora in avanti toccherà ai grottagliesi: a quelli residenti. Con i fatti. E non solo con le parole.

giovedì 19 maggio 2011

Lecce-De Canio, contratto sciolto

Il campionato è finito, gli attori salutano. E se ne vanno. Chi può, almeno. E chi lo vuole fortemente, senza se e senza ma. Sapendo di potendoselo permettere. Perché possiede già un’alternativa. O anche se non la possiede. Perché geloso della sua identità, del suo orgoglio. Gigi De Canio è uno di quelli. Rinuncerà al contratto già stipulato, che gli avrebbe consentito di rimanere sulla panca del Lecce, condotto ala salvezza. Anche e soprattutto, come scrivevamo recentemente, per demeriti altrui (Sampdoria), ma pure con innegabili meriti propri: un risultato, qualunque sia, è sempre un traguardo da strappare. E non ci riescono tutti. Sui titoli di coda, il coach annuncia il disimpegno. Interrompendo il progetto avviato: anche attorno alla sua stessa figura di allenatore-manager. Situazione insolita: almeno in Italia. La decisione non è propriamente fondata su questioni, diciamo così, tecniche: è la nostra impressione, se non altro. Ma affonda nei meandri di una questione ambientale che il tecnico ha evidentemente subito e sopportato a lungo, senza fiatare. Conservando, tuttavia, l’aplomb e continuando a lavorare, come se niente fosse accaduto. La contestazione (esterna e, in un certo periodo del torneo, anche interna) ha scavato, corroso. E, evidentemente, logorato il rapporto di fiducia tra l’allenatore e la società. Segnato un solco, ecco. Ricoperto a bitume per un po’, sino al termine della stagione. Meglio ancora, sino alla salvezza. De Canio, a suo modo, si è vendicato. Anche se, magari, non lo dirà mai. Né lo renderà noto la società: sono cose che non si dicono. Meglio le frasi di circostanza, quelle che non fanno rumore.

martedì 17 maggio 2011

Andria, salvezza al fotofinish

Salvezza Andria. Illogica, a cinque minuti dal novantesimo. Sofferta, di sofferenza estrema. A Terni non c’è spazio per la sconfitta. E non solleva neppure il pareggio. La Ternana è nelle stesse condizioni: e, giocando in casa, avverte la pressione. Gli umbri, al momento di colpire, zoppicano e si perdono. Finendo per essere colpiti: la squadra di Degli Schiavi e Quaranta è più sciolta, meno appesantita dai pensieri. Il vantaggio lascia confidare. Per un po’, almeno: l’Andria, del resto, è tradizionalmente autolesionista. E non si smentisce neppure questa volta. Pareggio e sorpasso: ora la Ternana blinda la C1. E l’Andria deve trascinarsi ai playout, assieme al Cosenza. Doumbia (è il novantesimo) ricorda però di essere un attaccante che sa inventare qualche soluzione. E la soluzione c’è: due a due. Che non basta. Il Cosenza (vince sul Foggia) ringrazia: ai playout, adesso, sono condannate Ternana ed Andria. Minuto novantacinque, ultimo assalto: la penetrazione, lo sprint estremo, la disperazione che morde. Carretta (un ragazzo che ama le sfide decisive: ricordate l'esperienza a Matera, lo scorso anno) trova il varco giusto, tre a due. A Cosenza bestemmiano: Sibilano e compagni si escludono dalla lotta, silani agli spareggi. Pomeriggio intenso, di nervi e paure. Di tenebre e schiarite. Poi, le fatiche e le ruggini di un campionato intero evaporano tutte, all’improvviso. Lasciando, comunque, una sensazione di incompiutezza: per una stagione che avrebbe dovuto consolare prima. Materiale buono per prepararsi a quello che sarà: è il tempo di preparare un progetto ancora più solido. Che tenga conto di un organico meno fumoso, meglio temprato alle insidie della terza serie, di personalità più robusta. Quello a disposizione prima di Papagni e poi di Degli Schiavi, a dispetto del discreto tasso tecnico, non lo era. Adesso che non può far male, è giusto ammetterlo. Tutti: critica compresa.

lunedì 16 maggio 2011

Miracolo Lecce

La Samp si suicida in casa propria, il Lecce si aggrappa alle motivazioni e guadagna il derby di Bari. Equazione di efficacia immediata: doriani in B e salentini salvi, matematicamente. Novanta minuti prima dello stop ufficiale. Roba da non credere. La formazione di De Canio ottiene il passaporto per una nuova avventura nel campionato più prestigioso proprio al culmine del momento storico più delicato dell’intera stagione. E nulla può il suo avversario di giornata, ammaccato da una settimana difficile e da una retrocessione ormai datata, eppure smaltita assai male da una tifoseria inutilmente pressante. Il Bari di Mutti, senza Ghezzal e Rudolf (accantonati volontariamente: sotto la cenere, il fuoco arde), si oppone con dignità, ma senza risoluzione. E il Lecce può disegnarsi la gara voluta: segnando e raddoppiando, confortato dalla notizie che arrivano da Genova. Miracolo compiuto: perché salvarsi, a fronte di oltre sessanta reti incassate in una sola stagione, è un’avventura particolarmente rischiosa. Al di là di qualche bella pagina scritta qua e là nel corso dei mesi. Salvezza persino larga, facendo due conti: ma sudata. E persino ritenuta improbabile, ad un certo punto. Che premia, innanzi tutto, l’ottimismo testardo del coach, animato sino in fondo da pensieri positivi. E, più volte, in bilico tra la fiducia e l’esonero: che la società non ha voluto (o potuto) formalizzare. Ecco: molti, oggi, identificano nell’istinto di resistenza del club la chiave di lettura del risultato acquisito. Ci accodiamo: convinti della bontà del lavoro del tecnico materano. Costretto ad operare con un organico di terza fascia e difeso pure su queste colonne. Pur riconoscendo che, senza la ripida caduta della Samp nel girone di ritorno, non ci sarebbe stata storia. Con la Puglia maledettamente penalizzata non da una, ma da due retrocessioni.

sabato 14 maggio 2011

Grottaglie, ultimo appello

Era un match decisivo. Un derby fondante. Lo è stato: per non diventarlo. Perché, adesso, davanti al Grottaglie si para un’altra sfida decisiva: lo spareggio. Spareggio angusto: per evitare la coda insondabile dei playoff. Con il Trani di Pettinicchio, domenica, alla gente di Pizzonia bastava un punto. Un punto striminzito, ma appagante. In casa, poi. Dove l’Ars et Labor, peraltro, non ottiene la divisione della posta da mesi. Prima di adesso, solo sconfitte: tante. E appena una vittoria. Gara senza appello, quindi. E, come è capitato troppo spesso a Laghezza e soci, il match che pesa si è rivelato indigesto. Insormontabile. Zero a uno: Fortis salva, Grottaglie rinviato a giudizio. L’avversario da abbattere, adesso, è il Sant’Antonio Abate: proprio una di quelle squadre che, al D’Amuri, nel corso del campionato hanno trovato spazio e punti. Giusto per la cronaca. C’è, ora, un solo un modo per allontanare tutte le tensioni: superare il test, domani, sul neutro di Rossano, in Calabria. Ma anche questo, sì, è un impegno senza appello. Dentro o fuori. Il Grottaglie avrà imparato ad affrontare l’urgenza?

giovedì 12 maggio 2011

Bari, ostacoli alti

A campionato sprecato, il Bari annusa il futuro. E, per il momento, inciampa sugli ostacoli. Il primo: la cordata interessata al rilevamento (parziale, totale ?) delle quote azionarie della famiglia Matarrese si è spaccato. E, poi, praticamente dissolto. Tutto, cioè, è come prima: immerso in una nuvola di parole e speranze. Non c’è più chi compra: al di là delle motivazioni ufficiose e ufficiali, la distanza tra offerta e richiesta è sensibile. E, oltre tutto, anche certi entusiasmi possono cedere, di fronte alla realtà. Il secondo: undici pedine dell’organico a disposizione di Mutti si autoriducono parte dell’ingaggio (quello non ancora percepito), spalmandolo nel tempo: tre anni. Venendo incontro ad una precisa esigenza della società, che risparmia un paio di milioni di euro. Ma, soprattutto, dimostrando disponibilità e cortesia. Perché di cortesia si tratta. Gli altri tredici, però, non si piegano. Legittimamente: anche se la retrocessione irrita la tifoseria, che interrompe l'allenamento infrasettimanale e schiaffeggia Belmonte. Il Bari, allora, dovrà versare quello che ha pattuito. E anche presto: perché la prossima stagione si prepara adesso. E perché adesso si riordinano le carte. Il pericolo è tangibile: penalizzazione, si chiama. Da scontarsi, ovviamente, nel prossimo campionato. Se, come ci auguriamo, comincerà regolarmente. E sì, perché nessuno avrebbe mai immaginato un quadro complessivamente molto più fosco di quello che era stato delineato. La situazione è molto più grave di quello che sembrasse. Nessuno se n’era accorto. E nessuno l’aveva lasciato intendere, prima di aprile. Adesso, poco a poco, l’opinione pubblica si affaccia sul burrone. E il fosso si amplia. Tante volte è andata così, lontano dall’Adriatico. E tante volte è finita male. Molto male. Bari si scopre improvvisamente vulnerabile. Anzi, già attaccata dal morbo. E il terreno comincia a scottare. La calda estate è già inaugurata.

martedì 10 maggio 2011

Andria, ultimo scoglio. Il più difficile

C’è la Cavese, sulla strada. Ed un ex, Dellisanti, che sulla panchina dell’Andria non è stato sufficientemente amato. E c’è un traguardo, da perseguire. Vicino, ma anche abbastanza lontano. La gente di Degli Schiavi e Quaranta non può ragionare tanto: il successo è imprescindibile. Ma la vittoria arriva. Secca (uno a zero), sudata e, complessivamente, legittima. Più decisi, Sibilano e compagni. E molto attenti, quando occorre proteggersi. Anche un po’ schiacciati, nelle ultime battute del match. Forse arroccati: però premiati. Niente è ancora risolto, tuttavia: la prossima sfida è di massima fatica. La Ternana potrà affidarsi al fattore campo, l’Andria solo alla voglia di sopravvivere. Chi perde è perduto, con un biglietto per un viaggio nei playout. Non ci sono neppure terzi interessati: l’eliminazione di una delle due è diretta, garantita. Ovviamente servirà qualcosa di più. Non la squadra degli ultimi due mesi. Non l’approccio morbido di molte esibizioni. Consigliata, invece, la grinta delle occasioni migliori. Magari, un po’ di coraggio. Isterismi vietati, poi. E’ da un po’ che l’Andria finisce regolarmente la partita in dieci uomini, se non in nove. Unica eccezione degli ultimi tempi, proprio la partita di domenica, contro la Cavese. Vinta, appunto. Chissà, probabilmente non è un caso.

lunedì 9 maggio 2011

Il Barletta centra l'obiettivo. Novanta minuti prima

E’ storia (felice): novanta minuti prima che si consumi la regular-season, il Barletta è già salvo. Merito dei tre punti di vantaggio già collezionati sulle quint’ultime e, soprattutto, dell’incrocio diretto, domenica prossima, tra Andria e Ternana. Cioè gli inseguitori più immediati. Il pareggio di Lanciano, sul campo di uno sparring partner tranquillo e demotivato, è tutt’altro che elettrico. Anzi, addirittura un po’ moscio. Ma utilissimo per festeggiare e per raffreddare i bollori della rincorsa. Difficile prevedere un epilogo così, a dicembre. Più facile ipotizzarlo un paio di mesi dopo, a campagna di rafforzamento più o meno definitivamente assorbita dal gruppo. Perché è proprio la rivisitazione dell’organico il punto nodale della questione: lo ribadiamo ancora una volta. Dimostrazione del fatto che, tante volte, si può inventare poco. Soprattutto se il progetto non possiede fondamenta solide: indebolite, nel caso specifico, da un ripescaggio affiorato a ridosso della stagione agonistica. E dimostrazione del fatto che, per galleggiare, occorre necessariamente investire. Con oculatezza, certo: ma investire. Verbo utilizzato, a Barletta, con un po’ di ritardo, ma abbastanza in tempo: a metà percorso. E che la società è chiamata ad adoperare di nuovo, in estate. Perché la piazza non mancherà di esigere. Provando, perché no, ad aggrapparsi alla struttura esistente. Che, adesso, non è affatto male. Ma di questo e di altro se ne parlerà più avanti: i giorni per farlo non mancheranno. Per il momento, è meglio godersi il risultato, assolutamente prezioso. E stimolante, in prospettiva: proprio perché arrivato in corsa, nel pieno di una perturbazione pericolosa.

mercoledì 4 maggio 2011

Il Lecce si sgonfia

La verità: il Lecce, a Verona, in novanta minuti più delicati di altri, si imborghesisce e si affloscia. Perdendo una partita insipida, destinata al pareggio. E sgretolando molte speranze di salvezza. Lo scontro diretto deraglia tra le esitazioni solite e un vago senso di impotenza e timore che sembra essersi impossessato improvvisamente della formazione guidata da De Canio, proprio nel suo momento migliore. Da un paio di settimane la squadra esita: contro il Chievo, scende in campo lo stesso Lecce di Genova. Così diverso da quello immediatamente precedente. L’aggravante è che il campionato si sta esaurendo: a tre turni dal traguardo, il terz’ultimo posto occupato garantisce solo rimpianti. La Sampdoria precede i salentini di un punto, il Cesena due: ma il calendario soffia contro. C’è da affrontare ancora il derby, a Bari. E la Lazio, che cerca punti buoni per la Champions League. E, per concludere, domenica prossima scende in Puglia il Napoli, terza forza nazionale con qualche altro stimolo da appagare. Vincere almeno due match su tre, dunque, diventa imprescindibile. E materia di un collettivo spavaldo, sicuro di sé, convinto, mentalmente fresco, reattivo, pronto fisicamente e anche sotto il profilo puramente nervoso. Il Lecce, è vero, ci ha già abituati a impreviste inversioni di tendenza, a rinascite inattese. E De Canio infonde ancora serenità all’ambiente. Però, le antagoniste hanno trovato vigore nuovo proprio nel rush finale. Mentre il Lecce si è sgonfiato. Senza, forse, neppure capire il perché.

martedì 3 maggio 2011

Foggia, caduta fatale

L’ultima caduta del Foggia semplifica tutto: a due giornate dal traguardo della regular-season, l’accesso ai playoff è già blindato da Benevento, Atletico Roma, Juve Stabia e Taranto. Che, pur pareggiando in casa propria con il Siracusa, ottiene quel che cercava. La formazione del boemo, dunque, si scrolla il pensiero di dover inseguire. E di dover necessariamente far suo il derby imminente, proprio con gli jonici. Eppure, domenica a Benevento, gira bene per un’ora: vantaggio doppio (zero a due, poi uno a tre), sembra l’impresa del giorno. Negli ultimi ventidue minuti, però, Sau e compagni sprecano tutto: i sanniti, in inferiorità numerica, corrono, stringono e asssaltano. Spunta, al novantesimo, un quattro a tre: fine della storia. Ovviamente, i commenti del lunedì non sono troppo teneri. Il film è quello già visto troppe. E la spigliatezza del Foggia è archiviata come ingenuità, strafottenza o supponenza. Zeman non se la sfanga: il modulo sfrontato diventa, ancora una volta, la causa del male. Che si chiama discontinuità. Ovvero, inaffidabilità. La critica infierisce: dimenticando, però, che probabilmente è proprio la mentalità accessivamente aperta del collettivo il vero motore di un campionato vissuto al di là delle attese e, chissà, anche delle reali possibilità di una squadra nata per costruire un ciclo. E non per vincere sùbito. La controprova, ovviamente, non esiste. Ma un’opinione, almeno, vale l’altra. Non è un’opinione, magari, la ruvidezza di certe decisioni arbitrali a cui, piaccia o no, il Foggia si è aggrappato nel corso della stagione e si aggrappa ancora, a playoff sfumati. Che, semmai, sposterebbero l’immaginaria lancetta del gradimento verso le posizioni del della società e del tecnico. Accusato, anche nei salotti televisivi, di aver allestito una formazione esageratamente giovane, quindi inesperta. Difficile pensare, tuttavia, che proprio il coach abbia alzato il veto, in estate, sull’arrivo in Capitanata di due o tre elementi di maggior personalità, nei punti nevralgici del campo. Che avrebbero innervato l’organico, senza nulla sottrarre al progetto. Diciamo piuttosto che il progetto è nato così, tra le scrivanie del club. Con molto buon senso, aggiungiamo. E che il boemo, attratto dalla situazione, ha acconsentito. E’ un altro punto vista: che valuta ancora di più il cammino del Foggia in questo torneo e che rende giustizia a Zeman, Pavone e Casillo.

lunedì 2 maggio 2011

Un Taranto da playoff

La soddisfazione è condivisa, alla fine. E c’è un sorriso per tutti. Per il Siracusa, fiero e deciso sino in fondo. In vantaggio, rimontato e, infine, ancora lucido per inseguire il pareggio, che piove a match morente, sugli sviluppi di un calcio piazzato. E per il Taranto, a cui è sufficiente un punto per festeggiare la matematica certezza di un posto nei playoff: anche perché il Foggia, a Benevento, si lascia sfuggire il successo di prestigio che sta maturando. Due a due: il risultato spiega una partita importante solo per gli jonici, che arrivano alla sfida un po’ inamidati e contratti, faticando più del previsto, soprattutto in avvio. Ma che, più tardi, si ritrovano e accelerano, prima di inchinarsi ad un calcio franco maligno di Mancino, un fantasista che conosce la porta. E dove la formazione di Ugolotti, esuberante di ex (Spinelli, Abate, Cosa) risponde alla richiesta legittima di un ultimo scorcio di stagione venato di dignità e orgoglio. Riuscendoci con pienezza. Ma quel che conta, tante volte, è il risultato. Che la squadra di Dionigi raggiunge con centottanta minuti di anticipo: durante i quali, tuttavia, potrà provare a migliorare la propria posizione finale in previsione negli spareggi. Argomento non esiziale, ma significativo. Come è significativo il fatto che, finalmente, il Taranto si sta facendo bastare quello che possiede: tutti i disponibili – chi più, chi meno – stanno cioè offrendo il proprio contributo, cooperando fattivamente alla causa comune. Reagisce anche chi, sin qui, ha calpestato poco l’erba. E pure chi, anche spesso, ha dovuto convivere con critiche nette e pagelle negative. Adesso è il momento del gruppo. E il gruppo, oggi, sembra coeso, carico. E nelle condizioni migliori, psicologicamente parlando.