lunedì 31 ottobre 2011

A Grottaglie è notte. Fonda

Troppa differenza: di esperienza, di risolutezza, di furbizia. E di serenità. Il Grottaglie frana pure di fronte all'Ischia, vicecapolista sgraziata che bada solo alla concretezza, senza preoccuparsi delle modalità, dalla manovra un po' sporca e dai lineamenti tecnici tutt'altro che brillanti. Ma determinata e ben carrozzata dal gol trovato in apertura di match. Sul green (assai sconnesso) del D'Amuri, gli uomini di Vincenzo Pizzonia s'irrobustiscono e s'incattiviscono solo a svantaggio avvenuto, producendo una mezz'ora di pressing: invano. La storia della partita, piuttosto, sembra già scritta. Anche perchè gli isolani raddoppiano presto, incaricandosi della gestione dell'ultima ora di gioco. Il sigillo del due a uno di Cristofaro (centrocampista che, a vederlo così, non trasmette appeal, ma che - in realtà - è il migliore dell'Ars et Labor) incoraggia solo un forcing infruttuoso degli jonici, che tuttavia l'Ischia gestisce con sufficiente autorità. E, allora, per Solidoro e soci si fa notte. Fonda. E' sempre più dura: soprattutto perchè i singoli più rodati del Grottaglie ribadiscono i limiti già conosciuti, denunciando un difetto di crescita. Il fondo della classifica scotta. Proprio mentre la trasfusione societaria, più volte rinviata, è definitivamente tramontata. E nel momento in cui la tifoseria ha ribadito (pochissime presenze, sugli spalti) di aver abbandonato la squadra e, probabilmente, la speranza.

venerdì 28 ottobre 2011

Andria, la tenacia che va sostenuta

La tenacia del gruppo va bene, è consacrata. Dall'opinione della gente, degli addetti ai lavori. L'Andria sa soffrire, navigare nelle acque agitate. Digrignando i denti. I risultati non arrivano sempre: anche perchè lo spessore dell'organico galleggia nella media del campionato di terza serie e la concorrenza di qualità, nel girone B, è sufficientemente ampia. E poi perchè, per ottenere più visibilità, manca qualcosa: oggettivamente. Ma la frmazione di Di Meo non si genuflette a nessuno: replicando con determinazione, quando può. Le sette reti subite nelle ultime tre partite, tuttavia, parlano pure di una penetrabilità che, attualmente, ne mina il consolidamento del progetto. Le ultime due, peraltro, arrivano a Lanciano, a casa di una delle realtà più prolifiche di questa prima parte di stagione. Il rovescio, allora, non è materiale di cui vergognarsi: soprattutto perchè l'Andria non sfigura, pur lasciando agli abruzzesi una maggiore supremazia territoriale e la gestione complessiva della gara. La soglia del quartiere playout, certo, è sempre lì, ad un passo. Ma questa squadra sa di dover combattere sempre e sembra che lo faccia volentieri, con naturalezza: garantendosi buone quotazioni di stima e di fiducia. Malgrado il gioco praticato sin qui non lasci sognare qualcosa di meglio. Ma il mercato di metà stagione si sta avvicinando: se la società può, ci faccia un pensiero. Basterebbero un paio di ritocchi, ai posti giusti. Per liberarsi da qualsiasi problema prossimo ed eventuale, innanzi tutto. E, poi, per consolidare le basi del progetto.

giovedì 27 ottobre 2011

L'esordio felice di Stringara

L'esordio è giusto. Paolo Stringara prende il Foggia dalle mani di Bonacina e lo conduce alla vittoria di Foligno. Uno a zero, sigillo di Venitucci, ma risultato più facile del previsto. In fondo ad una gara più che accettabile, dal punto di vista della qualità di gioco prodotta e dalla discreta quantità di occasioni da rete imbastite (intanto, però, quando non ci arriva il guardasigilli avversario, si spreca abbastanza: un particolare su cui studiare, al di là di tutto). Non vale, comunque, illudersi. Non ancora, almeno. E non solo perchè il Foligno (ultimo del girone, a fronte del solo punto conquistato e, peraltro, azzerato dalla penalizzazione e, oltre tutto, in inferiorità numerica nell'ultimo scorcio della gara) non può oggettivamente essere considerato, allo stato, un test pienamente attendibile. Ma anche perchè il Foggia di Stringara ha soltanto confermato la migliore predisposizione alle gare lontane dallo Zaccheria della vecchia gestione. E niente di più. Bonacina, in realtà, ha pagato il pessimo rendimento nelle gare interne: dove il nuovo trainer dovrà necessariamente indovinare lo scacchiere più adatto ad affrontare ogni sfida con più personalità, più equilibrio e maggior coraggio, ma anche la squadra più salda per fronteggiare l'indifferenza del pubblico amico. Che, probabilmente, è diventato nel tempo un ostacolo serio.

mercoledì 26 ottobre 2011

Il Barletta in casa non va

L'infortunio del Barletta, in casa, di fronte al Trapani, indispettisce. E confonde le idee alla gente che tifa. Cancellando l'ancora fresca, bella e fruttuosa esperienza di Trieste (successo denso di significati e necessario per recuperare autostima). Tutto da rifare, quindi: non tanto in funzione della classifica, sempre sufficientemente corta (il Pergocrema si ferma, il Frosinone non ne approfitta), quanto del processo di riappropriamento di un'identità non ancora stabile. Perchè, se in trasferta i risultati arrivano (nove punti sui dodici sin qui disponibili), al Puttilli la formazione di Cari non carbura (tre pari e una sconfitta): è limpido, ormai. Atteggiamento, questo, che rischia seriamente di danneggiare il cammino di una delle favorite al salto di categoria, obiettivo che la società continua a non nascondere. E di tranciare, prima o poi, il rapporto tra il club e l'allenatore: ancora sulla panchina barlettana, ma non troppo sicuro di rimanerci sino alla fine de torneo. A dispetto di una frangia di tifoseria, che avrebbe già deciso: per l'esonero. Cari è l'accusato principale, adesso: per aver disegnato una squadra che confida nell'invenzione del singolo, più che nella manovra del collettivo. E che, proprio per questo, fatica puntualmente a scovare il varco che conduce verso la porta avversaria: soprattutto in quelle occasioni in cui la controparte si allinea e si copre, riducendo gli spazi. Cosa che, oggettivamente, accade spesso: almeno nei match disputati di fronte al pubblico amico. Concetto, questo, che sottolineava Roberto Boscaglia, tecnico del Trapani, proprio in coda al match di domenica, davanti a telecamere e microfoni. Critica non troppo sottile e neanche tanto velata: che in parecchi sono pronti a condividere. Mentre, in sala stampa, il disappunto (e il nervosismo) del coach cresce. Sintomo dei tempi che corrono. E di un countdown che è già dolorosamente partito.

martedì 25 ottobre 2011

Davide Dionigi e la pressione

Una sconfitta, sull'erba di casa, di fronte alla Ternana. Un pareggio, nella trasferta di Vercelli, senza molta allegria, ma buono per riappacificarsi con il risultato. E una vittoria, allo Iacovone, proprio domenica, sul più sparagnino Monza: vagamente sofferta nelle modalità, ancorchè tenacemente inseguita e raggiunta in prossimità dei titoli di coda. Complessivamente più che legittima, ma non eccessivamente brillante, comunque utilissima per mantenere il passo della Ternana, leader con tre punti in più (ventidue contro diciannove). Le ultime tre uscite del Taranto sono più o meno discretamente distanti, per qualità ed intensità di gioco, dalle esibizioni di settembre. Lo stop nel confronto diretto con gli umbri sembra aver interrotto (o depotenziato) il feeling tra la formazione di Dionigi e il campionato: da allora, qualcosa è cambiato. E il passo si è affaticato. Il collettivo ha smarrito un po' della propria sicurezza, delle proprie certezze. Ritrovando, peraltro, qualche slancio di rabbia proprio contro i brianzoli. Al di là del turn over robusto a cui il trainer emiliano ha più volte costretto l'elenco dei disponibili e che qualche osservatore ha indicato come causa fondamentale dei primi disagi. Il Taranto, nel tempo, sembra persino aver smemorizzato qualche automatismo, qualche punto di riferimento. Rallentando sulle corsie laterali, dove cioè la manovra ha saputo spesso fortificarsi, in altre circostanze. Disperdendo il lavoro prodotto in prima linea, dove un calo di lucidità non è mai una controindicazione banale. E pagando, si dice, pure l'assenza, in panchina, dello squalificato Dionigi: rientrato al proprio posto giusto per salutare il ritorno al successo. Il tecnico stesso, tuttavia, è consapevole di una verità. Anzi, di due. La prima: la terza serie, più di altri campionati, non è un torneo di realtà assolute. E di squadre dotate di antidoti efficaci contro la discontinuità. Ovvero, l'appiattimento dei valori non è solo pura letteratura. La seconda: questo Taranto vive nel mezzo di sogni proibiti e di attese ventennali, quindi nel vortice di una pressione che, giorno dopo giorno, si appesantisce. E la pressione, sui due Mari più di altrove, rischia di nuocere gravemente. Appena consumato il match con il Monza, del resto, Dionigi ha rivendicato il diritto di giocarsi il campionato senza dover necessariamente mirare alla leadership del girone. Preferendo inseguire l'obiettivo del miglioramento del precedente piazzamento: che, tradotto, significa promozione attraverso i playoff, fatali nel maggio scorso. La dichiarazione, evidentemente ponderata nel corso di una settimana un po' così, arriva dopo una vittoria: ed è la cosa più saggia che il caudillo di Reggio potesse dire.

lunedì 24 ottobre 2011

Il Lecce si suicida nel match della svolta

Dice giusto Adriano Galliani, il numero due del Milan. Ci sono due partite distinte, negli stessi novanta minuti: quella del primo tempo, dove il Lecce si esalta (tre a zero), e quella della ripresa, quando Boateng e soci si risvegliano, travolgendo i salentini (zero a quattro). Il problema è che, alla fine, dal match di mezzogiorno non esce neppure un punto. Ma solo un impasto di amarezza, impotenza, rabbia, delusione. Occasione immensa, distrutta con autolesionismo crudele: la squadra di Di Francesco scrive la pagina più controversa del suo affaticato campionato, rendendo inutile la prima porzione di match, assolutamente storica, addirittura eroica. Il Lecce raddoppia puntualmente, riparte bene, assalta il Milan, lo costringe ad affannarsi, colpisce e affonda con sicurezza altre due volte. Non c'è più storia, verrebbe da dire. E, invece, è la storia che si ritorce contro: ma, prima ancora della storia, sono la supponenza (o la leggerezza) a pianificare la rimonta dell'avversario. Che, peraltro, possiede nel suo dna il seme dell'impresa. La squadra sicura che guadagna gli spogliatoi con scioltezza si decompone, si raggomitola, s'inchioda alle proprie paure, al proprio destino. Smette di giocare e si rintana, esponendosi al sacrificio, all'ineluttabilità degli eventi. Il gap non è tattico, ma mentale. Oltre che tecnico, evidentemente. Davanti ai microfoni, più tardi, Di Francesco giurerà di aver avvisato per tempo la truppa, auspicando un governo del risultato assai più dignitoso. E prendendo, ancora una volta, le distanze dalla truppa. Tutto inutile, però. La gara che avrebbe potuto rilanciare le quotazioni del Lecce rischia di ratificare, così, la lontananza della squadra dalla realtà del campionato, sancendo l'inadeguatezza dell'organico per l'obiettivo dichiarato. O, se non altro, l'insufficiente struttura psicologica dei giallorossi. Della quale già dubitavamo da tempo, in attesa di una conferma. Arrivata: abbastanza presto, anche.

domenica 23 ottobre 2011

Bari, nuovo calo di tensione

Il penalty (contestato) spacca la partita del Bari a Castellammare. Di qua una formazione, quella di Torrente, presente e robusta. Di là, un collettivo incapace di reagire allo svantaggio, isolata in una timidezza che l'avvolge, che la limita, che disegna una sconfitta scomoda, antipatica. La Juve Stabia di questi tempi è tonica, tosta: quattro vittorie in cinque turni, gli ultimi. Ma il Bari sembra esserci. Non per tutti i novanta minuti, però: condizione insufficiente per guadagnarsi spazio. Si lamenta anche il coach, che non si dimentica di bacchettare i suoi, come sempre più spesso accade. Tuttavia, il rendimento discontinuo della squadra sembra essere diventato una regola di questo campionato. In cui il Bari si ferma e riparte, per inchiodarsi di nuovo: sciupando assai presto la riapertura di credito appena acquisita. Una regola a cui, pare, dovremo abituarci, se non l'abbiamo già fatto. E', questo, un campionato di fatica, sudore e stizza: è scritto. Dall'inizio della stagione.

giovedì 20 ottobre 2011

Stringara rincuora il Foggia

Fuori va sempre bene. Anche a Monza, nel turno infrasettimanale della settimana scorsa. Ma, in casa, il Foggia si accartoccia su se stesso, con una continuità imbarazzante. Sprecata anche l'ultima occasione, quella di domenica: allo Zaccheria s'impone anche la Reggiana, senza troppo dannarsi. Limitandosi, cioè, a controllare un avversario indigente e irritante e a governare il vantaggio acquisito, sino al raggiungimento della sicurezza (finisce due a zero). Ginestra e soci si assentano, sugli spalti si mescolano frustrazione, malanimo e aggressività. La contestazione è vigorosa: determinante, in casi come questo, per le sorti della guida tecnica. La società non perde tempo e defenestra Bonacina: soluzione scontata. E, in poco più di ventiquattr'ore, assume il secondo condottiero della stagione, un motivato Stringara («questo Foggia è forte», si lascia scappare: assumendosi tutte le responsabilità, da sùbito). Casillo, così, risponde operativamente alle accuse ricevute personalmente (qualcuno, però, giura che sia successo anche dell'altro) dalla frangia più calda della tifoseria. Non vorremmo, però, che il presidente cominci a stancarsi. Certi interventi del recentissimo passato suffragherebbero, del resto, questa ipotesi. E poi, al patron, il disamoramento della gente verso il Foggia non è passato inosservato. Sarebbe, questo sì, un guaio grosso. Che il Foggia e Foggia, ora, non possono permettersi.

martedì 18 ottobre 2011

Il Martina ritrova il gioco e corre

Se il Brindisi s'ingolfa, nel derby il Martina riprende a giocare. A far girare il pallone, a verticalizzare, a manovrare. I risultati, dopo un break un po' oscuro, si vedono. E si sentono. La squadra affidata alle cure di Francesco Bitetto dilaga, fino a fermarsi per manifesta superiorità. Nelle operazioni di possesso c'è anche più fluidità, più movimento: gambe e testa. E, probabilmente, non è un caso che l'affermazione convincente coincida con il ritorno al rombo. De Tommaso si sistema quasi subito alle spalle delle punte (Pignalosa e Picci: quatro gol in due in novanta minuti), lasciando Irace (baravissimo) a destra e Memolla a sinistra, mentre Fiorentino protegge la difesa. Chiesa, invece, parte (e resta) in panchina: proprio nel match in cui avrebbe potuto riaccarezzare il proprio ruolo, quello di trequartista. Pagando le ultime opache prestazioni, consumate però sulla fascia, dove non incide. Tra le linee, allora, cambia il protagonista, ma non la resa. Questo Martina, del resto, è un collettivo costruito per produrre calcio, oltre ai punti: e un uomo, in quella posizione, riesce a macinare la quantità di gioco che serve. Ora esiste anche la controprova: Bitetto ne prenderà nota.

lunedì 17 ottobre 2011

Derby angusto, il Brindisi crolla

E' vero: mancava, dietro, un centrale di impeto e di esperienza come Taurino. E poi, davanti, gente come D'Amblè e Galetti, sistemato in panca e poi entrato nel derby a risultato spacciato. Ed è vero pure che il Martina rompe gli equilibri proprio sùbito, dopo appena tre minuti, consegnando al campionato un'altra partita. Ma il Brindisi, onestamente, ieri ci ha deluso. Molto. Senz'anima, senza cuore, senza grinta, senza soluzioni. Destinata alla sconfitta, senza opporre resistenza, la formazione di Boccolini affonda in Valle d'Itria, salvando l'onore (gol di Guadalupi, uno sprecato per la serie D, sullo zero a cinque) solo perchè Leuci, guardasigilli di casa, fa di tutto (ma davvero tutto) per concederlo. Traballa la difesa: sulle corsie laterali (dove maturano i due penalty trasformati da Picci e dove il Martina si guadagna un altro calcio di rigore, che però il direttore di gara non si sente di concedere, sul tre a zero) e al centro. Non punge l'artiglieria: Prisco è solo, Mignogna è altrove, Greco non può incidere. E diventa insufficiente anche il lavoro della linea mediana: anche se Kettlun assicura per un tempo un po' di quantità e nient'altro, Guadalupi qualche inserimento e Stabile un po' di movimento. Cancellate, appena sette giorni dopo, le belle parole spese sul carattere del Brindisi, che aveva superato in rimonta la Viribus al Fanuzzi. Mentre nuovi dubbi spengono gli entusiasmi. Evidentemente, l'intelaiatura necessita di correzioni, a dicembre. Anche se, prima di tutto, il coach dovrà operare sullo status psicologico della squadra. Ammaccata e in crisi di crescita.

giovedì 13 ottobre 2011

Il Taranto si ferma nella notte

La Ternana oscura il Taranto e la leadership jonica si scioglie. Nella manche infrasettimanale di terza serie il primo stop della formazione di Dionigi scombina la classifica: adesso fuggono proprio gli umbri. Match difficile, sin dall'inizio: sotto i riflettori dello Iacovone (che, storicamente, non portano molto bene) Bremec e soci non incidono, poi si smontano, quindi subiscono lo svantaggio, infine si arrendono alle buone argomentazioni di Ambrosi, guardasigilli stagionato, e a una robusta dose di ostruzionismo dell'avversario. Ridurre tutto alla malizia ospite, però, è riduttivo e allontana il discorso dalla verità. La Ternana imbriglia il Taranto, lo stringe, lo asfissia. Pressa e aggredisce alto, riparte con risolutezza: cioè, s'inventa la partita ideale. Ma, di contro, la squadra bimare non è quella di altre volte: più costretta, più prevedibile. Manca l'apporto sulle corsie laterali, Rantier non indovina il guizzo, Chiaretti è molto cercato dai campagni, ma pure dalla controparte. Girardi, artigliere di riferimento, lavora tantissimo per la squadra: però, giocando così, non segnerà mai. Anche dietro si accumula qualche esitazione (Coly, ad esempio, sembra un po' superficiale, in alcune situazioni). La partita più importante, cioè, è quella più imperfetta. Càpita: in particolare, quando l'atmosfera si gonfia di pressione. Quella pressione che, forse, il Taranto comincia ad avvertire. Cambia poco, comunque: il campionato va avanti. Adesso, tuttavia, l'ambiente (la tifoseria) è obbligato a gestire il momento, le prime difficoltà. Vivendo la caduta come un incidente di percorso e niente più. Stimolando, anzichè caricare toni e attese. Supportando, senza calarsi negli atavici timori che si trasformano in polemica. Può essere l'anno giusto, malgrado un antipatico equivoco. E' sufficiente non avvelenarlo con l'autolesionismo dei tempi più o meno antichi.

mercoledì 12 ottobre 2011

Foggia, difetto di entusiasmo

Il campo di casa è sempre il problema in più. Neanche l'affaticato Viareggio riesce a incoraggiare il Foggia, deludente nel risultato (un pareggio) e nella sostanza. Il Foggia che continua a non piacere alla sua gente. Che, soprattutto nella seconda parte del match, patisce una squadra spenta, senza nerbo, priva di accelerazioni, un po' seduta, svogliata. Praticamente impalpabile. E corrosa, analizza il tecnico Bonacina, dal timore di doversi impossessare della partità, cioè dalla paura di vincere. Malattia, questa, peraltro pure plausibile per un organico molto giovane che, evidentemente sta vivendo una fase assai travagliata della propria maturazione. E, dunque, motivo assai valido per abituarsi ad un rendimento incerto. Eppure, la tifoseria sembra progressivamente allontanarsi, sotto il profilo emotivo, dal Foggia: sempre di più. Non a caso il presidente, proprio prima dell'ultima fatica in campionato, aveva caldeggiato un avvicinamento, non solo formale, tra il pubblico e i protagonisti del campo. La proposta, però, sembra essere passata veloce, senza lasciare grandi tracce di sè. Scarsamente assistita dal gioco prodotto, ovviamente. Ma mal surrogata da un difetto di entusiasmo popolare. Andato via con Zeman, probabilmente. O consumatosi nel progetto societario, creduto diverso, cioè suntuoso. E, invece, intriso di sano realismo. Il realismo che, alla gente, fa paura. E che neppure l'amarcord della scorsa stagione è riuscito a puntellare.

martedì 11 ottobre 2011

Grottaglie, svolta cercasi

Il Grottaglie esita. E non avremmo potuto attenderci di meglio, con le premesse che sappiamo. Marrone e Pizzonia, certo, alla fine sono riusciti a mettere su una squadra: capace di galleggiare in attesa degli eventi. Affidando le maglie a diversi volti già conosciuti: gente attirata con promesse, affetto e lusinghe, ma probabilmente non abbastanza temprata da garantire con certezza la salvezza. La classifica, oggi, dopo un mese e mezzo di campo, è quella che è: zoppicante, seppure ancora non drammatica. Cinque punti sono esattamente quelli ci saremmo aspettati, al culmine dell'ottimismo. Maturati con fatica, anche a fronte di sventure vistose (il sette a due rimediato a Caserta, per esempio) e di tredici reti già incassate (peggior difesa del girone, dopo quella del Real Nocera). Anche di fronte al Nardò, domenica, l'Ars et Labor ha denunciato i limiti noti: pure in fase di possesso. E sotto il punto di vista del carattere. Pochi argomenti e zero a zero scontato: anche per la cattiva giornata attraversata anche dall'avversario, raccontano le cronache. Parallelamente, si evolve lentamente la questione legata all'avvicendamento della società: Ciracì conferma di voler lasciare, ma le trattative (sotto traccia) non decollano ancora. L'alone di incertezza si allarga e, evidentemente, questi sono momenti in cui l'ambiente (esterno ed interno) si deprime ancora di più. Facile dedurre che, a questo punto, una svolta (una qualsiasi) è improcastinabile. Proprio per rassodare il profilo psicologico di squadra e tifoseria. Per tutto il resto, invece, sarà necessario attendere dicembre e la nuova sessione di mercato. Non se ne può fare a meno.

lunedì 10 ottobre 2011

Martina, il passo è cambiato

E' ufficiale, adesso: il Martina di oggi non è quello di avvio torneo. Più prevedibile, meno fluido, vagamente impacciato. Nonostante a Nardò, appena domenica scorsa, avesse cancellato qualche distonia emersa nel corso della gara pareggiata con la Viribus. Questa volta, si trova di fronte il contratto Campania di Piscinola e mastica amaro per un po'. Vince, certo, ma su calcio piazzato (De Tommaso, dopo venti minuti di match). Lasciando credere che avrebbe dovuto penare parecchio, se non avesse trovato il gol nell'unica occasione favorevole. Oltre tutto, sotto un temporale che, generalmente, premia chi si difende. E che, invece, finisce per avvantaggiare i ragazzi di Bitetto, ormai in vantaggio. La volontà non manca, sia chiaro. Ma la manovra è più compassata, il passo è più pesante e le idee scarseggiano. Soprattutto se Chiesa viaggia sulla fascia (sinistra), avulso dal gioco. Mentre Irace deve pensare ad assicurare quantità, in mezzo al campo. Chiesa, peraltro, fa molto meglio nella ripresa, quando si accentra (ovvero, quando il modulo, dal 4-4-2 iniziale, che in fase di possesso si trasforma in 4-2-4, passa al 4-2-3-1). Successo sofferto, dunque. Ancorchè complessivamente legittimo: un dettaglio, tuttavia, che non contraddice il concetto. E che, però, solleva il morale dell'ambiente e, in particolar modo, di Bitetto, che alcune voci volevano già in pericolo, a beneficio di Pizzulli, un ex dedicatosi recentemente alla panchina. Proprio perchè partire bene non basta: ma occorre ripetersi. E perchè Martina pretende immediatamente la C2, senza voler attendere.

Il giorno dopo la partita, intanto, scopriamo su un organo d'informazione d'oltre confine che il clima caldo non è peculiarità esclusiva dei campi campani, tristemente noti. La società del Campania, infatti, denuncia il clima di aperta ostilità sofferto a Martina. Dentro del campo. Può darsi: non potremmo mai testimoniare sulle parole spese e sui fatti accaduti lontano dalla tribuna. Da dove, però, non sono passate inosservate certe rudezze del Campania. Difficile assumere una posizione. Anche se resta il sospetto che club e squadra napoletana abbiano preparato il terreno fertile per il match di ritorno.

venerdì 7 ottobre 2011

Nardò, leader inatteso

Partenza sprint, flessione e poi allungo: la leadership del Nardò (un punto su Ischia, Casertana, Campania e Francavilla) nel girone appulocampano di serie D possiede una sua storia. E, di certo, un po' sorprende quanti, piuttosto, attendevano in vetta altri concorrenti. Ma l'appiattimento delle forze del torneo permette questo ed altro. E, comunque, la formazione di Alessandro Longo non usurpa nulla: malgrado domenica, nel derby vinto sul Martina, non abbia abbagliato gli osservatori. Riuscendo a rimediare tre punti in un match in cui sono gli avversari ad avvicinarsi più spesso alla marcatura. E nonostante sette giorni prima, ad esempio, un altro derby (quello di Casarano) abbia generato uno zero a zero insipido e anonimo. Il Nardò, tuttavia, è una realtà solida, che si appoggia a qualche singolo di buoni propositi (i sudamericani Garat, Pablo Veron e Pereyra). In attesa che diventi disponibile Pierguidi, una punta su cui il tecnico punta dichiaratamente. Nel frattempo, molta risolutezza e la capacità di adattarsi, sul campo, a qualsiasi situazione riescono a spingere una squadra ordinata. Che, evidentemente, non pretende di brillare, ma di appoggiarsi all'affidabilità. Una dote che premia spesso, in quinta serie. Più della tecnica pura e dei cognomi importanti.

giovedì 6 ottobre 2011

E l'Andria cresce

Il derby, cioè la svolta. Dalla sfida con il Barletta in poi, l'Andria è cresciuto. Si è rassodato. L'Andria scorbutico e tignoso di Di Meo comincia a realizzare e realizzarsi. E ad attirare qualche simpatia. La gente che tifa fiuta il carattere della squadra e approva. L'Andria ha diritto di cittadinanza nel torneo. Anche a Trapani sa farsi apprezzare. E si fa rincorrere da un avversario attrezzato. Pari meritatissimo e utilissimo: in coda ad una gara diventata più difficile a lavori in corso (l'espulsione, peraltro contestata, di Cossentino) e interpretata bene, soprattutto in fase di non possesso. O, se preferite, di interdizione. Fuori casa, da tre match, l'Andria non si piega: e questo significherà pur qualcosa. Dimostrando di possedere solidità e resistenza alla sofferenza. Assomigliando sempre più al suo caudillo Di Meo, tecnico pratico ed essenziale. Un grintoso o, come si dice, un combattente: che sembra essere riuscito a plasmare la squadra, avvicinandola al proprio concetto di calcio. Una squadra che si è guadagnata un'identità, un marchio di fabbrica. Tutto, ora, dovrebbe diventare più semplice. E, sicuramente, su questo organico sarà più agevole lavorarci, adesso. Senza illudersi troppo: il processo di lievitazione, in casi come questo, è lungo. Ma, spesso, consequenziale.

mercoledì 5 ottobre 2011

Bari, un pericolo chiamato fallimento

Il Bari scopre di saper vincere anche a casa propria. Piega il Livorno di misura e la seconda affermazione di seguito, oltre che al profilo psicologico di una formazione di ancora difficile definizione e di complicata lievitazione, fa benissimo anche alla classifica. Che adesso, però, sarà immediatamente indebolita dall'imminente penalizzazione di due punti, conseguenza diretta della fallita corresponsione, da parte della società, di alcune mensilità alla squadra: le restrizioni federali, in materia di amministrazione, non risparmiano nessuno. Non che il Bari non possegga dei crediti da esibire: ma, tecnicamente, il ricavo dell'ultima campagna acquisti potrà essere goduto soltanto più tardi. E' quello che sapevamo e di cui non dubitiamo. Ma, se l'operazione bancaria di copertura è fallita all'improvviso, proprio mentre sembrava che l'ier fosse in via di felice definizione, significa che qualcosa non va. Nella realtà, Vincenzo Matarrese, proprietario del club malgrado l'allontanamento dalla gestione quotidiana e, quindi, primo referente legale della società di via Torrebella, non firma il documento decisivo, quello che avrebbe tranquillizato i due istituti di credito: detto così, certo, il concetto è semplicistico, ma rende l'idea. Capire la motivazione diventa arduo, ma il ventaglio di possibilità non è ampio. Il pericolo vero, allora, è che i crediti non bastino, già ora, a colmare il deficit. E che la situazione stia velocemente precipitando, aprendo diverse strade: una delle quali, si sussurra, porta al fallimento. Fatto singolare per un club che, per lungo tempo, si è vantato di non aver accumulato passività, a fronte di un'oculata gestione del pallone sull'Adriatico. Ovviamente, navighiamo nel campo delle supposizioni: malgrado la penalizzazione sia un fatto incontrovertibile, che non può nascondere un disagio ormai acclarato. Che, magari, non inficierà più di tanto sulla classifica finale. E che, però, impone a tutti (e, ovviamente, soprattutto a Matarrese) di raccontarci cosa è successo, cosa sta succedendo e cosa accadrà.

martedì 4 ottobre 2011

Lecce, un film già visto

E' un film già visto: il Lecce cede troppo presto e non recupera. Affondando prima del tempo, cioè dopo mezz'ora. Il Salento fa felice anche il Cagliari e, adesso, il terz'ultimo posto (tre punti, due gradini sopra Cesena e Bologna) comincia a disturbare una squadra che giostra senza grinta e poco disposta ad aggredire (parole di Mesbah e anche del coach), erroneamente ritenuta competitiva per centrare l'obiettivo minimo di partenza, ma - tecnicamente e caratterialmente - ancora inaffidabile in una competizione che non ammette debolezze congenite. Di Francesco, intanto, riesce a salvare la panchina, almeno per il momento, e si pregia di poter approfittare della sosta: intermezzo utile per lavorare e per studiare le soluzioni idonee a correggere il passo. Che, così com'è, conduce alla retrocessione: senza dubbio alcuno. Ma una verità amara, tra le tante, è che il Lecce parte quasi sempre con l'handicap del gol subito a match appena aperto, nonostante i frequenti rimescolamenti tattici pensati per la fase difensiva. E' accaduto quasi sempre: e, quando non è accaduto, è arrivata la vittoria (a Bologna). Handicap da combattere con la paura di non farcela, con l'assillo di non essere all'altezza del compito, con il sospetto di non possedere gli argomenti giusti per rimediare. Con l'aggravante di coltivare gli stessi errori, all'interno della stessa partita: è il caso di domenica, ma non solo di domenica. Il gap, allora, diventa un fosso troppo profondo per un collettivo che non sa risalirlo e dal quale il tecnico (se non altro, davanti ai microfoni.) comincia a prendere le distanze.

lunedì 3 ottobre 2011

Taranto, adesso si può ragionare

Quando non affonda Chiaretti, punge Rantier. Due gol del francese e il Taranto va. Riconquistando, almeno sino al posticipo che attende il Como, la vetta della classifica. Il Viareggio non può opporsi: il divario di forze sembra evidente: due a zero limpido. Ma la formazione curata da Dionigi sembra poter pienamente disporre di se stessa, in ogni situazione. Possiede la personalità per schivare i pericoli e per puntare sempre al risultato. E l'efficacia per inseguire il progetto che si è disegnato. E' un gruppo, un blocco unito. Concede poco (anche e soprattutto a Sorrento, la settimana scorsa, in un confronto delicato, considerata la caratura dei campani) e arriva puntualmente al gol. Sa governare l'avversario e approfittare di un ingranaggio ormai oliato, affidabile. E' una squadra matura, di carattere solido. Approccia ogni gara con intelligenza, praticità, disciplina. Senza stress, senza convulsioni. Infine, l'ultimo match dello Iacovone spiega pure che il Taranto sta velocemente fortificando il proprio processo di autostima. Si sta, cioè, definitivamente appropriando della consapevolezza del proprio spessore. E sta seriamente cominciando a credere nelle proprie possibilità. C'è proprio tutto: adesso, si può ragionare.