lunedì 28 novembre 2011

Grottaglie, un derby vissuto sfrontatamente

Il derby, quello di terra jonica, stuzzica il Grottaglie: più aggressivo, più tosto, più ardimetoso, persino più temprato in fase di non possesso, malgrado le solite debolezze congenite. Complessivamente, più intenso del Martina, per una buona mezz'ora. E, per una fetta di gara, certamente più lucido dell'avversario, costretto ad esprimersi con palle lunghe. Ma è vero anche che chi sta dall'altra parte è una squadra più esperta e carrozzata per invertire la tendenza, accelerare e rassodarsi, confidando pure su un leggero rimpasto tattico. L'Ars et Labor, allora, finisce per subire l'unica realizzazione del match (testa di Picci, su palla inattiva) senza trovare la strada del pareggio, nonostante una reazione più convinta e un possesso di palla più accettabile di altre occasioni. Zero punti, quindi, e un'altra domenica spesa invano. O quasi: perchè, se i punti non arrivano, lanciando un segnale di discontinuità (la formazione di Pizzonia, del resto, arrivava dalla trasferta felice di Somma Vesuviana, in casa dell'ultima collocata in graduatoria), forse il derby riesce a riavvicinare emotivamente la tifoseria (agitata, al novantesimo, ma ostile solo nei confronti degli ospiti) alla squadra. Una squadra, sin qui, abbastanza appartata nelle proprie sofferenze. Eppure bisognosa di sostegno morale, di comprensione, di complicità. E di un certo calore: che, ovviamente, non basta a saltare tutti gli ostacoli. Ma che, a questo punto della stagione, potrebbe servire. Se una certa sensazione respirata in tribuna è esatta, ben venga il derby e il suo risultato grigio, condito dalle tensioni che una sfida più sentita delle altre sa provocare e diffondere. E ben venga pure una prestazione ricca di coraggio e di sostanza, eppure povera di riscontri. Purchè questo non rimanga un episodio isolato: è il campionato (o quello che resta del campionato) la partita della vita. Non può esserla esclusivamente un derby vissuto sfrontatamente.

domenica 27 novembre 2011

Lecce ultimo, Di Francesco resta: vantaggi e pericoli

Il Lecce perde la partita che va assolutamente vinta. Perchè, ultimamente, sono poche le soddisfazioni che allietano la casa giallorossa. L'erba di via del Mare diventa sempre più nemica: perchè piove l'ennesimo referto negativo. Che neanche fa più notizia. E' l'argentino Catania di Montella a godere, questa volta. Proprio mentre la gente di Di Franceco comincia a pregustare il sapore indefinibile di un pareggio che non risolve i guai e non li allevia neppure, ma che almeno alimenta la classifica. Il sigillo di Barrientos arriva a giochi quasi chiusi: impossibile riparare al danno, a quel punto. E inutile cercare nuove attenuanti. Soprattutto perchè, neanche ventiquattr'ore dopo, il Cesena supera il Genoa e scavalca i salentini, adesso ultimi e affranti. In questi casi, altrove, la ricetta è scontata: e a pagare, per primo, è il responsabile tecnico. Così, in ques'angolo di Puglia, invece non è: la società continua a blindare il coach. E lo fa sapere velocemente, senza troppo pensarci sopra. Bel gesto: che si ripromette di cementare il gruppo e i rapporti. Che prova a impermeabilizzare la squadra dalle sventure e dalle critiche. Che offre un'altra porzione di tempo a Di Francesco: obbligato a comprendere definitivamente i disagi di sempre e a porre finalmente i rimedi. E che si sforza di non drammatizzare il momento. E che, così come dodici mesi addietro, ai tempi della gestione Di Canio, responsabilizza maggiormente il collettivo, sollevando contemporaneamente (ma solo appena) i vertici del club. L'esonero, cioè, avrebbe bocciato definitivamente il progetto societario, che non sembra reggere alla concorrenza della serie A. E sottoporre al tecnico una nuova chance significa distribuire un'altra possibilità ai responsabili di una programmazione che, però, adesso non può assolutamente prescindere da un rafforzamento tecnico nel prossimo mercato invernale. Perchè ogni scelta possiede qualche vantaggio e, di contro, molti pericoli.

giovedì 24 novembre 2011

Penalizzazione e trasparenza

La penalizzazione, in terza serie, arriva per chiunque, prima o poi. E' una maledizione ad orologeria. Questa volta, tocca di nuovo al Taranto, secondo in classifica a due lunghezze dalla Ternana. Non per la malastoria del calcioscommesse (un punto, già psicologicamente assorbito), ma per inadempienze economiche. Eppure non l'avrebbe ipotizzato nessuno, neppure molto tempo fa: il club di via Martellotta, anzi, era unanimemente considerato virtuoso. Tra i pochi, nel pianeta della Lega Pro. Invece, notizia di queste ore, non sarebbero stati saldati alcuni impegni per il trimestre che va da luglio ad settembre. Peraltro, un dubbio (o un sospetto) circolava da tempo: malgrado patron D'Addario avesse ufficiosamente depotenziato certi sussurri. Il fatto germoglia alla luce del lavoro di intelligence, diciamo così, della stampa: e il Taranto, adesso, non può più nascondersi. Il vertice dirigenziale spiegherà a breve: ma il danno (uno o, molto più facilmente, due punti di penalità sono già assicurati, anche se pioveranno più in là nel tempo). Del resto, abbiamo detto altre volte che il momento è difficile: per tutti. Pure per l'imprenditoria più solida. E il sodalizio jonico non merita, per questo, accuse strumentali o censure eccessivamente acide. La società, però, ha nascosto il disagio, anche a termini scaduti. Smentendo il problema, cioè, persino pochi giorni addietro, anche a penalizzazione già guadagnata. Appartandosi in un mondo tutto proprio, esattamente come in altre situazioni passate. E' questo che non piace, che non conviince. La gente che tifa, probabilmente, avrebbe gradito trasparenza. Un messaggio semplice e chiaro. E avrebbe capito meglio. Matarrese e il Bari insegnano.

mercoledì 23 novembre 2011

Il Bari riapre le porte a Castillo

La Sampdoria, di questi tempi, fa un po' meno paura. Ma il Bari, in casa, è un'espressione senza troppi risultati felici. Il pareggio che sprizza dai novanta minuti, allora, è accettato con stile: non fosse altro perchè la gente di Torrente, sin dalla prima mezz'ora di gioco, si ritrova a rincorrere lo score, agguantato con la seconda soddisfazione personale di un difensore, Borghese (bravo sotto porta, molto meno in fase di festeggiamento: irridere un avversario della settimana precedente non giova neppure al pedigrée personale), ma anche voluto e poi difeso in inferiorità numerica (Kopunek è inutilmente e pericolosamente falloso: gesti del genere possono pregiusicare il lavoro di un'intera settimana, di un intero collettivo). Un punto non è il massimo, però mantiene oltre tutto la squadra nelle immediate vicinanze del sesto posto, una condizione che si propone di rubare spazio ad altri argomenti (la trattativa tra i Matarrese e la Meleam, che vorrebbe rilevare la società di via Torrebella, continua lentamente, in attesa di un'auspicabile evoluzione) e che si augura di soppiantare certe fibrillazioni (la crisi societaria non è affatto risolta, anche se il pericolo della seconda penalizzazione è stato temporaneamente sventato). I problemi, dunque, non mancano mai. Tra questi, poi, si inserisce l'infortunio occorso a uno degli artiglieri a disposizione del coach di Cetara, il brasiliano De Paula. Una disavventura che, peraltro, apre una nuova prospettiva per Nacho Castillo, argentino esiliato ad inizio stagione, ma regolarmente pagato. E diventato, a questo punto, quasi necessario. Il ragazzo si sta già allenando con il gruppo e sta per essere reintegrato nell'elenco dei preferiti. Sconfessando, va detto, il concetto che ne ha consigliato l'accantonamento qualche mese addietro: legato, come è noto, al processo di rinnovamento tecnico a cui la società ha sùbito creduto. Da un'altra angolazione, però, la decisione sana gli effetti un'errata valutazione: perchè, se è vero che Castillo appartiene a quella squadra retrocessa senza troppi onori in B e non si appoggia ad un grande sentimento di fiducia popolare, è anche vero che rinunciare alle prestazioni di una punta importante (almeno nel campionato di seconda serie) e, soprattutto, puntualmente retribuita ci è sempre apparsa un'idea autolesionistica e anacronistica. Ma tant'è: e poi il tempo, molto spesso, rende giustizia alla logica calpestata dalle stranezze del pallone.

martedì 22 novembre 2011

Nardò, leadership tra gli ostacoli

Corvino è un under che si sta integrando. E il suo acuto, l'unico del derby con il Trani, serve ad integrare sempre meglio il Nardò nell'aristocrazia del girone appulocampano di D. Anzi, il Francavilla pareggia (sabato) e, adesso, si commenta di una leadership ritrovata. La formazione di Longo, peraltro, sembra aver ottimizzato pure il suo calcio, provando a offrire un'impronta più netta alle sue partite: è da un po' che Garat e soci, del resto, si sono imposti un'identità più spendibile e dotati di una manovra più convincente. Se, prima, il Nardò otteneva punti, ma non sempre consensi pieni, ora appare più deciso, più credibile. Il match di domenica conferma. E dire che, in settimana, la gente che tifa aveva tremato. E che lo sciopero dei protagonisti (il club non aveva saldato le ultime spettanze) è stato scongiurato poche ore prima di scendere in campo. Ma, evidentemente, la squadra si sta appropriando di una certa solidità, anche fuori dal rettangolo verde: utilissima a saltare gli ostacoli e a pianificare un futuro migliore. Per niente inseguito, vale ripeterlo: la promozione, cioè, non era nell'elenco degli obiettivi estivi. Il campionato, però, non attende la naturale semplificazione della situazione societaria e detta i suoi ritmi: tra cinque giorni è già scontro diretto, in Lucania. Con il Francavilla di Lazic è una questione di prestigio, ma soprattutto di sostanza. E, come si dice, un test di alta definizione. Che potrebbe invogliare qualche nuova forza imprenditoriale ad affiancare il presidente Russo. L'operazione sembra vicina: ma, se arrivasse prima del match più atteso, non sarebbe affatto male.

lunedì 21 novembre 2011

Martina, solo i tre punti. E un sospetto che cresce

Il Martina è ancora ammalato. Il pari con lode di Torre del Greco, una settimana addietro, migliora il morale del gruppo, ma la brillantezza è un'altra cosa. Tornata sull'erba di casa, la formazione di Bitetto incontra il Real Nocera, ordinato e tecnicamente povero come l'Oppido, ma anche molto meno malizioso della Viribus, tanto per chiarirci. Cioè, una squadra che subisce stoicamente, ma che però non si barrica, lasciando fare. Eppure, il gol non arriva: nè nel primo tempo, affrontato da De Tommaso e soci con poca grinta e non troppa convinzione, nè per quasi tutta la ripresa, in cui l'ingresso di Irace assicura un pizzico di dinamismo in più. Affiorando solo a recupero inoltrato, dagli undici metri, perchè Tundo riesce a procurarsi (diciamo pure ad inventarsi) un fallo che non esiste. Il successo, macchinoso ed incerto, lenisce il dolore, ma non le preoccupazioni. Salvando la panchina al coach, ma non tranquillizzando la società e neppure la gente. Gambuzza e Chiesa, squalificati, sono un'attenuante debole. E, tatticamente, il ritorno al rombo (proprio quando il trequartista argentino manca) non evolve la manovra. Anzi, De Tommaso (che, sulla fascia, rende tradizionalmente di più) non se ne avvantaggia. Ma è la prestazione dei singoli, al di là del modulo, che non convince. Portosi è imballato e si incarta spesso, non è assolutamente quello di inizio stagione: il recente infortunio si sente ancora. Pizzolla s'incaponisce su qualche soluzione dannosa. L'under Patierno è abbastanza spento. Fiorentino, in fase di possesso, si limita al compitino. Picci non dispone di palle giocabili. E Tundo si vede solo nell'azione decisiva, al minuto quarantotto della seconda frazione di gioco. Ovvio, certe partite si vincono anche così. E anche questi sono segnali precisi. Ma un po' di dubbi cominciano a stagnare. Mentre un vecchio sospetto si rafforza: e qualcuno (Pignalosa, che ieri non era neppure in panchina? Irace?) sembra ormai destinato a salutare prima del tempo. In settimana potrebbe accadere qualcosa: lo sentiamo.

giovedì 17 novembre 2011

Brindisi, caos feroce

Roberto Quarta lascia. Forse. Anzi, niente affatto: il presidente rilancia. Roma si prende il Brindisi: così sembra, sistemandosi al fianco due soci, De Finis e Galluzzo. Ma non è ancora proprio così. Francioso, in panchina, sostituisce il dimissionario Boccolini, sostenuto dal numero uno uscente: bugia. Il nuovo coach del Brindisi, piuttosto, è Enzo Maiuri, ex Nardò, Grottaglie, Fasano e Matera: viene anche presentato ufficialmente, nella mattinata di ieri. E, il pomeriggio successivo, conduce il primo allenamento. Non sia mai. Le dimissioni piovono in serata. Che poi, dimissioni non sono neppure: semplicemente, l'accordo non viene consacrato. Caos assoluto, sull'Adriatico. Il club, oggi, non dispone ancora di un vertice societario unanimemente accettato e pienamente operativo. E, ovviamente, neppure di un allenatore destinato a durare: anche perchè il mandato di Gagliano è assolutamente temporaneo. Cioè, il Brindisi non possiede alcuna certezza: nè organizzativa, nè tecnica. Ovvero: ancora non sappiamo chi è il padrone e chi sono i dipendenti. La guerra intestina prosegue. Di più: si inasprisce, si complica. Manovrata dalle differenti fazioni in cui si divide il tifo. La giovane struttura calcistica nata in estate è già implosa. Definitivamente, a quanto pare. E a nulla sembrano essre serviti gli inviti al buon senso. Che, più di tutti, può: soprattutto in casi come questo. Senza soffermarci sulle ragioni e sui torti di ciascuno (fosse facile scoprire dove abitano: ci stiamo capendo pochissimo, lo ammettiamo) e senza poterci orientare, possiamo solo attendere che qualcuno ceda, si faccia da parte, si eclissi. In fretta, possibilmente. Forzando i propri propositi, violando i propri interessi, scavalcando i propri diritti. Non intravediamo margini di trattativa, a questo punto. E non ci auguriamo lunghi procedimenti legali. L'atmosfera, però, è gravida di tensione. E l'impressione è che, a Brindisi, ci si sta facendo del male. Per l'ultima volta, probabilmente.

mercoledì 16 novembre 2011

Il derby conferma i limiti del Foggia

Al di là di qualsiasi introspezione tattica e - soprattutto - tecnica, il derby spiega la differenza di qualità, di sostanza, di ambizioni: il Taranto è più completo, più scafato, più saldo. E il Foggia più permeabile, più fragile, più insicuro. Lo dice il campo, inequivocabilmente. Lo conferma il risultato: uno a zero per la formazione di Dionigi, che non si disfa mai del controllo delle operazioni, della gestione emozionale della partita, della certezza della propria superiorità. La squadra di Stringara, piuttosto, è quello che è:¨giovane, zoppa nel temperamento, ancora sconosciuta a se stessa, in cerca di identità. E di puntelli. Non serve nascondere la verità: piuttosto, è (anche) questo il prezzo da pagare nel conto della rifondazione dell'organico. E in quello del contenimento delle spese. Il Taranto è di un'altra categoria, il Foggia è destinato a tribolare sino in fondo: nessuno lo dice apertamente, ma tutti lo pensano, ormai. Il recente cambio di panca, in Capitanata, non sembra aver offerto grandi sconvolgimenti. Il materiale umano su cui sta operando il nuovo coach (quattro punti in altrettante gare) è lo stesso su cui aveva lavorato Bonacina: ne va preso atto. Con onestà. Il lavoro, ovviamente, potrà limare certi difetti. Però, fondamentalmente, è questo il campionato che attende Agodirin e compagni: un campionato di sofferenza e sudore. Che non può colpevolizzare l'impegno di Stringara. Ma che, contemporaneamente, comincia a rendere giustizia al suo predecessore, immolato dietro il paravento della ragion di stato. E sull'altare dei giudizi: affrettati.

lunedì 14 novembre 2011

Bari, pareggio sul campo e vittoria fuori

Il Toro è il miglior Toro della stagione, almeno a casa propria: parola di chi segue costantemente la formazione di Ventura, l'ex nobile della sfida. La sua spinta è decisa, robusta. Ma il Bari interpreta una gara corposa e densa di sacrificio, si arma di resistenza e, anzi, si ritrova persino in vantaggio, prima dell'intervallo. Annettendo, alla fine, un punto solo (che fa, comunque, benissimo) alla sua classifica: essì, dal momento che Antenucci pareggia agli albori della ripresa. A nulla, peraltro, serve il forcing finale granata. Il carattere della gente di Torrente, dunque, si riaffaccia: come spesso accade nei match più aristocratici. Disseminando, al contempo, la rabbia della propria tifoseria, che ancora non si spiega i frequenti cali di concentrazione palesati in questi primi tre mesi di campionato. Carattere e risolutezza, come sottolinea l'entourage del Torino dopo il novantesimo: lamentandosi, anzi, di un trattamento ruvido, sul campo. E della malizia di Caputo e soci. Ma il risultato è di quelli importanti, considerata la caratura dell'avversario. E la prestazione è di quelle che allontanano le amarezze più recenti: fino al prossimo infortunio. C'è, però, un'altra partita ancora in corso. Quella della sopravvivenza economica. Intanto, però, la società comunica di aver saldato gli impegni per il trimeste che andava da luglio a settembre, scongiurando una seconda penalizzazione e scacciando l'odore di un imminente fallimento. Ovviamente, è la famiglia Matarrese a fornire le garanzie da girare agli istituti di credito: cioè, il Bari continua a non poter prescindere dall'esposizione di chi, negli ultimi trent'anni, ha garantito il calcio in città. Annunciando, a inizio di stagione, un disinteresse sostanziale. La verità è questa: piaccia o non piaccia. Anche perchè non emerge ancora un'ipotesi vera e credibile di ricambio, malgrado la processione di voci e di proposte. Di chi non può o, magari, non vuole. Almeno adesso. O di chi, forse, attende gli eventi. Perchè acquistare domani potrebbe diventare più conveniente. Ma non sappiamo a quale prezzo: per l'intero movimento calcistico barese.

venerdì 11 novembre 2011

Emerge la solidità del Casarano

Sostanzialmente, il campionato (meglio, il girone appulocampano) di serie D attende chi si è attardato: la Turris, la Casertana e il Martina. Magari anche il Brindisi, che (se le lotte intestine al club dovessero risolversi) potrebbe rivedere il roster e correggersi a dicembre. Di certo, non fugge il Francavilla, non sprinta il Nardò e non incanta neppure l'Ischia. Sono tutte lì, nel breve spazio di pochi punti. E manca un leader forte, autorevole. Tanto da autorizzare a sperare persino chi non è partito per imporsi. Un nome per tutti, il Casarano. Spinto, in questo momento, da otto risultati positivi di sèguito e dal pareggio prezioso e lusinghiero di Ischia, dove la gente di Fabrizio Caracciolo ha approcciato la sfida con sufficiente autorevolezza, dimostrando sul campo di poter reggere il discorso con le avversarie più aristocratiche. Nessuno, adesso, si spende troppo per suffragare gli eventuali appetiti della formazione salentina: probabilmente, neanche la stessa tifoseria, consapevole delle consegne impartite dal club e dal basso profilo dettato dalla prudenza con cui la Virtus ha affrontato la stagione. Tuttavia, la compattezza di fondo che lega il collettivo rossazzurro (soli tre punti dalla seconda piazza, cinque dalla vetta) sembra consigliare alla concorrenza di non sottovalutare Villa e soci. Una squadra, cioè, che segna meno di altre e che, comunque, subisce poco (cinque gol, miglior difesa del raggruppamento). E che può sempre appoggiarsi a gente di buon bagaglio calcistico e di esperienze vissute (Sportillo, Galdean, Calabro, Zaminga, Alessandrì, lo stesso Villa, l'attualmente infortunato Rosciglione, il brasiliano Aragão). Non ci nascondiamo: non scommetteremmo grosse cifre sul Casarano. Se non altro, perchè - in fondo, verso il traguardo - emergeranno i valori altrui. Ma, se a Tricase (domenica, in campo neutro), la Virtus dovesse regolare il Campania, formazione ordinata e discretamente carrozzata, allora necessiterà prendere atto di una realtà che pulsa, che si arrampica, che cresce. E che, di fatto, contribuisce a intorbidire la chiarezza di un torneo in attesa di decollo.

giovedì 10 novembre 2011

Lotte intestine, calcio a rischio

Le dimissioni di Boccolini (e di Sensibile, il ds, oltre che del team manager Giannattasio), augurate da una parte della tifoseria del Brindisi e arrivate nel corso della settimana passata, in realtà non hanno semplificato la complessa situazione che gravita atorno al club. Perchè, di fatto, hanno sancito una precaria coesistenza tra le diverse anime della società, che poi ha finito per avvelenare il terreno della conduzione tecnica e della squadra. La prova è nel disimpegno di alcuni imprenditori, nella guerra dichiarata tra i tre fondatori della società nata appena l'estate scorsa e, se volete, anche nei cattivi risultati degli ultimi tempi. Il problema (l'altro problema: forse, quello principale) è però che le dimissioni di Boccolini, Sensibile e Giannattasio non vanno ancora considerate definitive. Perchè, dietro di loro, agiscono dirigenti di riferimento che si vantano di utilizzare il proprio portafoglio: e questo non è un particolare trascurabile. Proprio mentre il presidente Quarta, che non può esibire lo stesso requisito, prova a imporre la sua scelta tecnica: Mino Francioso, l'anno passato alla guida del Martina, brindisino del rione Paradiso. Il trainer che s'incarica di gestire il momento di interregno (Galliano) esordisce intanto con un punto e con qualche soddisfazione nell'anticipo di Marano, sabato passato di fronte all'Internapoli Camaldoli: ma il periodo di convalescenza non può ritenersi concluso. Soprattutto se non verrà chiarita la posizione di ciascun socio. E, di conseguenza, la competenza della guida tecnica. Il resto non conta. Come non conta confidare sulla prossima sessione di mercato, necessaria per rafforzare la struttura della squadra. Con certe premesse, non è detto che dicembre arrivi: non a Brindisi, almeno. Il concetto non è una semplice alternativa. Anzi, è molto facile che diventi una certezza. Che, sull'Adriatico, rischierebbe persino di passare inosservata. Succede sempre così, quando c'è assuefazione. Assuefazione da fallimento, in questo caso.

mercoledì 9 novembre 2011

Bussa il Lecce formato trasferta

Ossigeno puro. La vittoria di Cesena è articolo pregiato. Pagato con il sudore (difendere il vantaggio in dieci contro undici, dopo l'espulsione rimediata da Muriel nella prima parte della ripresa, è anche motivo di orgoglio) e con l'agilità (il Lecce, soprattutto nella prima frazione di gioco, penetra nell'area avversaria, provocando apprensione). Pregiato e pure opportuno, considerata l'inabitudine ad approfitare dei match in Salento, che ormai delega le speranze di salvezza alla gestione delle trasferte. Dove, a proposito, la formazione di Di Francesco ha, sin qui, piegato due avversarie dirette nella lotta per la sopravvivenza (Bologna e, appunto, Cesena: più avanti, magari, sono dati che potrebbero contare). Ecco, Di Francesco: il tecnico, diciamolo pure, più che rafforzare la panchina, la trattiene. Attirando su di sè, all'improvviso, un carico inatteso di congratulazioni, dopo due mesi di critiche feroci e di accuse diffuse: in Italia, del resto, funziona così. Quando, cioè, l'opportunismo si impossessa dei giudizi. Giudizi globali che, tuttavia, tengono conto anche della prestazione luccicante di Morris Carrozzieri, corazziere di una difesa finalmente imbattuta che, peraltro, si era già assicurato delle simpatie, ultimamente. Confermando il punto nodale della questione, che avevamo già sviscerato. Ovvero: per ottenere il traguardo finale, il Lecce non poteva (non può) neppure lontanamente pensare di rinviare il quadramento della fase difensiva e, in particolare, l'acquisizione di una maggior disciplina negli atteggiamenti tattici della terza linea. Migliorando il rendimento nelle retrovie, la resa è automaticamente maggiore: facile. Anche se diventerebbe rischioso accontentarsi della lievitazione del reparto senza guardarsi attorno, in prospettiva mercato di riparazione. E' una richiesta precisa: la società, se possibile, risponda.

martedì 8 novembre 2011

Il Bari dura poco

Quarantacinque minuti di discreto calcio a Castellammare di Stabia, non tanto tempo fa: e il crollo irritante, nel corso della ripresa. Un tempo soltanto (e, forse, neanche intero) contro il Pescara, sùbito dopo. E sconfitta bruciante, al San Nicola. Infine, venti minuti di manovra accettabile, di nuovo in casa, di fronte al Verona. E nuova pagina amara, proprio ieri, nel posticipo: uno a zero per i veneti. Meritato. Tre partite, tre delusioni: che vanno al di là del risultato. Passando, è vero, per i tre punti conquistati a Grosseto, a metà settimana. Il momento è oscuro, complessivamente. E la squadra sempre più insondabile. Inaffidabile, sotto il profilo della continuità. Spesso svagata, più di talvolta umorale. Condizionata, magari, dalle chiacchiere che circondano il club, ma soprattutto dai suoi stessi atteggiamenti, sul campo. E, va detto, anche da un elenco degli indisponibili che, ultimamente, si è ingrossato. Complicando, oltre tutto, il processo di potenziamento della condizione atletica, uno dei limiti sottolineati da questo primo quarto di stagione. Ma un Bari che si distingue per un quarto d'ora, che resiste per un tempo e che si apparta per il resto dei novanta minuti non coinvolge, non attrae, non è sufficiente a se stesso, non serve a garantirsi l'immunità. Nè la fiducia popolare: anche se il campionato di B resta aperto a tutti sino in fondo, anche se la classifica non è ancora così male. Anche se, davanti a certi dettagli finanziari che sorvolano la vita societaria, assicurarsi un futuro nel panorama calcistico nazionale è e resta l'unico obiettivo sensato.

lunedì 7 novembre 2011

I gol che spengono i dubbi. Per ora

Due esperienze in trasferta, di fila. E due sconfitte. Per sentirsi sminuiti e tristi. Per bruciare qualche sicurezza, per accettare i termini di un'involuzione strisciante e per minare il rapporto di fiducia tra ambiente e squadra. Prima a Marano (casa dell'Internapoli) e poi a Francavilla sul Sinni, il Martina si è inceppato, naufragando. Attirando verso di sè soluzioni drastiche (silenzio stampa di un mese imposto dai vertici del club) e preparandosi ad eventuali provvedimenti futuri (allenatore sotto osservazione, big immersi nella prospettiva di un taglio o di una riduzione dell'ingaggio). Il ritorno a casa, di fronte al modesto Cristofaro di Oppido, diventa così una questione densa di ansia e di interrogativi: da soddisfare. In un'atmosfera riscaldata dai dubbi. Però, sul campo, quando la formazione di Bitetto trova un avversario che la lascia esprimere con scioltezza, fallisce difficilmente. Soprattutto se lo sparring partner è manifestamente tenero, debole. Come, appunto, la formazione lucana: magari dispiegata sull'erba con ordine, ma impalpabile. E destinata ad affondare, con lucida naturalezza. A mezz'ora dal calcio d'inizio, è già tre a zero: finirà con cinque gol di scarto. Questa volta, poi, non c'è neppure bisogno di concedersi il rombo, per recuperare la manovra e il gol. Chiesa è sempre là, a sinistra, un po' avulso dal gioco: dove si affaccia appena si accentra: ma è sufficiente che De Tommaso indovini due calci d'angolo (Gambuzza e Pignalosa monetizzano nel modo migliore). Quindi, diventa tutto troppo facile. Come facile è, adesso, cadere nella tentazione di credere che i recenti disguidi, tutti i disguidi, siano stati assorbiti e che certe incongruenze comportamentali siano state definitivamente sconfitte. La pioggia di segnature, disseminate qua e là sul percorso, non possono - del resto - lenire certe ferite, che la società e l'ambiente, attratte dall'unico obiettivo della promozione, non nascondono di soffrire. A Torre del Greco, la prossima domenica, conterà l'atteggiamento, prima di tutto. E poi l'abilità di arrampicarsi sulla partita, senza appoggiarsi ai limiti della controparte. Cioè, di una squadra (la Turris) che sembra essere mentalmente entrata nelle coordinate del torneo. In ritardo, ma ancora in tempo.

giovedì 3 novembre 2011

Il Taranto e il reclamo sbagliato

Ritorniamo, per un attimo appena, sul Taranto e sul match di Benevento. Anzi, sugli sviluppi di una sconfitta digerita male: sin dall'inizio, cioè davanti ai microfoni e alle telecamere, dopo il novantesimo. E anche nel corso della settimana. Dionigi, il trainer, aveva sbottato sùbito, lamentandosi dei presunti (e inesistenti) torti arbitrali sofferti. Lasciandosi andare ad una stizza nervosa, probabile appendice di altri episodi accaduti altrove, ma recentemente. Che, intanto, ha provato ad occultare una disamina serena sulle responsabilità oggettive della squadra. In realtà, però, il direttore di gara ha operato bene, in quasi tutte le situazioni controverse (il calcio di rigore concesso ai sanniti, la conseguente espulsione del portiere Bremec, l'annullamento del gol jonico per una carica vistosa sul portiere di casa). Meno bene, certo, il giudice di gara sembra aver gestito la questione legata al calo di tensione dell'impianto di illuminazione. Doverosa (ma, a pensarci bene, anche esagerata, almeno di fatto) la decisione di interrompere la partita. Incomprensibile, invece, quella di continuarla, in coda a ventidue minuti di stop: se non altro, perchè nulla era cambiato, nel frattempo. I riflettori, cioè, garantivano visibilità sufficiente: prima e anche dopo. Giusto per capirci. Anche per questo motivo, allora, non condividiamo l'esigenza di appellarsi alla giustizia sportiva con un reclamo formale: che, per il momento, ha congelato l'omologazione del risultato. Ma che, in fondo all'iter burocratico, non porterà alcun vantaggio. Come chiunque segue le cose del pallone sa. Un dettaglio, peraltro, che conosceva pure la società jonica, assai infastidita. Tanto da inoltrare ugualmente la pratica, allegando il pagamento di una tassa che, pertanto, non verrà restituita. Strana strategia aziendale: anche perchè, proprio prima dell'avvio del campionato, il club di via Martellotta rinunciò ad opporsi all'ingiusta penalizzazione ereditata dall'ultimo caso di calcioscommesse. Per non sperperare denaro, insinuarono - tra l'altro - i più maligni. Un'operazione, quella, che forse sarebbe servita di più. E che, comunque, avrebbe avuto un senso. Compiuto.

mercoledì 2 novembre 2011

Cassano e il talento sprecato

Dribbling, acuti e colpi di testa. Quelli nocivi: per se stessi. Ingegno e autolesionismo. Assist e diverbi, piedi dolci e scatti d'ira. Antonio Cassano si è abituato e ci ha abituato al meglio e al peggio. Senza mai arrivare, però, ad un livello assoluto: per quei chili di troppo, per quelle scelte sbagliate, per quell'istinto autodistruttivo. Stop e ripartenze. Continue: il cammino nel pallone del ragazzo di Bari Vecchia è gravido di frenate brusche e di nuovi slanci. A Roma, a Genova, a Milano. A Madrid, invece, un solo calo di rendimento: fatale. E sufficiente per il foglio di via. Per il biglietto di ritorno in Italia. Alle soglie dei trent'anni, poi, Cassano sembrava sul punto di riappropriarsi di un posto sicuro nel circolo privato dei più ammirati: con la maglia di un club importante e con quella della nazionale. E, invece, va male anche questa volta, come in un film noir, come in incubo perfetto, come in un romanzo di malefica letteratura. Dalla scala di un aereo al policlinico: un malore improvviso (un fenomeno vascolare ischemico transitivo, tecnicamente parlando), l'indisponibilità forzata. Chissà per quanto. Adesso, l'istrionico carattere dell'indisponente Cassano non c'entra. Non è lui la causa marcia del suo stesso futuro. No, e non c'entrano neppure la stizza di un momento o la naturale predisposizione a non sottomettersi mai a nulla e a nessuno. Ma c'entrano il destino, o la fatalità. Quanto basta per rendersi conto che il tempo è passato e che molto, troppo talento è andato sprecato.

martedì 1 novembre 2011

Taranto, riflettori nemici

Altro posticipo, altra notturna. Il Taranto ci riprova a Benevento. L'approccio è interessante: pensa e preme, la gente di Dionigi, che entra sùbito nel cuore della partita. Obbligando l'avversario a presidiare, cogliendo la traversa e, immediatamente dopo, passando in vantaggio (con Guazzo). Piace la mentalità della squadra, la sua autorevolezza. Il Benevento, però, rimedia con prontezza e il match si reinventa gli equilibri. O meglio: il Taranto smarrisce un po' le geometrie e alza il pallone troppo spesso, complicando il proprio fraseggio. Tuttavia, Giorgino e compagni non cedono troppi metri, nè molte possibilità. Almeno sino al momento in cui cambia la rotta della gara (espulsione di Bremec e penalty a favore dei sanniti, che raddoppiano). Da qui alla fine, allora, è sudore, fatica, sterile possesso di palla (l'uomo in meno pesa, ma non troppo), attesa elettrica (in tutti i sensi: l'impianto di illuminazione dello stadio campano subisce un calo di tensione e la contesa si interrompe inutilmente per una ventina di minuti, senza che il problema tecnico sia stato risolto) e, infine, rabbia. Per una decisione singolare (perchè bloccare la gara? Oppure: perchè riavviarla?), per l'occasione sprecata e per la vetta del girone che si allontana, nonostante la prova difettosa della Ternana, appena ventiquattr'ore prima. Intanto, il Taranto tosto e robusto che sembrava essere tornato, alla fine, si eclissa di nuovo. Per motivi contingenti, anche e soprattutto. Perdendo, probabilmente, un altro po' di sicurezze. Eppure, guadagnando una certezza: la notte gli è nemica.