venerdì 23 dicembre 2011

Il Taranto ritrova gli stipendi. Scaglionati

D'Addario, presidente in difficoltà come tanti altri, comincia a pagare. Scaglionando gli importi, ma comincia a pagare. Questo raccontano le note delle ultime ventiquattr'ore. E lo sciopero della manovalanza (la squadra del Taranto) si arresta (o dovrebbe arrestarsi: attendiamo conferma). L'operazione, seppur in ritardo, rende merito alle promesse (reiterate) del patron jonico: infastidito, dice, per il clamore mediatico suscitato inutilmente. E per la scarsa fiducia riposta nei suoi confronti dai propri dipendenti. Ma i difetti (di comunicazione e di forma) restano nel retrobottega. Perchè, giusto per chiarirci, il punto nodale della questione non era (e non è) la solidità dell'imprenditore, nè il suo profilo manageriale. Il problema, piuttosto, è nato e cresciuto con le reticenze, con quella superficialità un po' snob, con la disc utibile scelta di dribblare qualsiasi confronto e con certe parole inevase: non una, ma due volte. Nessuno, soprattutto oggi, può e vuole colpevolizzare l'indisponibilità temporanea di liquidi: viviamo in Italia e capiamo. Nessuno può e deve accanirsi sulla situazione transitoria di chi, per il pallone, si sta adoperando in prima persona. Dopo averlo in qualche modo salvato, in riva a Mar Piccolo. Ma le parole possiedono un proprio valore. Ancora per poco, forse: ma lo possiedono. E poi è sempre meglio raccontare la verità: soprattutto in un caso come questo, dove non c'è dolo, non c'è infamia, non c'è premeditazione. Meglio la verità: segnatamente in una città difficile, depressa, emotiva e altamente infiammabile come Taranto. Che, non potendo compiacersi con molto altro, vive anche di una palla che rotola, anche se con scarse fortune. Ricordandosi, magari, di non addossare la responsabilità a chi, per mestiere, deve cercare di sapere. Per distribuire un'informazione credibile, seria, onesta.

giovedì 22 dicembre 2011

Il Nardò ricomincia da zero. Anzi, no

Tutto da rifare, si ricomincia. E' nuova, totalmente nuova, la squadra: sventrata dalla recessione e per niente risparmiata dal rimpasto societario. E' nuovo il progetto: più giovane, decisamente più indigeno. E sono nuove le prospettive: non più quelle di primato, trovato sulla strada e custodito con appetito per un paio di mesi, ma di permanenza decorosa. Possibile, possibilissima grazie alla dote messa da parte sin qui dalla prima versione del Nardò di Longo: trentuno punti, ai quali si aggiunge quello scaturito dal pareggio di domenica, in casa, davanti al pericolante Real Nocera. Dote importante: che richiede solo un piccolo sforzo suplettivo, cioè l'assalto a quegli otto, nove e, magari, anche dieci punti che mancano per centrare il traguardo. Ed è nuovo, ovviamente, il campionato di una formazione che, intanto, dovrà scoprirsi, misurarsi, trovarsi. Partendo, dicevamo, da una tranquillità di fondo, che tuttavia non potrà sconfinare nell'incoscienza. Questo Nardò, peraltro, assomiglia un po' al Trani del passato campionato. Allora, fini bene, anche se la formazione di Pettinicchio conquistò la salvezza all'ultima giornata, in uno scontro diretto in campo avverso. Ammicca, dunque, anche l'ultimo dei precedenti: tanto quanto basta per non cadere nella trappola dell'ansia. E per convincersi da sùbito che le previsioni del club salentino sono sostanzialmente esatte.

mercoledì 21 dicembre 2011

Taranto, stanno tutti bene

Stanno tutti bene. Sta bene Davide Dionigi, il tecnico più celebrato negli ultimi cinquant'anni di calcio tarantino, il timoniere che parla al cuore della gente, che cerca la strada del calcio giocato e che ha assimilato i concetti fondamentali della comunicazione, verificando con soddisfazione la convenienza mediatica delle lettere aperte, utilissime a fare audience e a produrre meritati consensi. L'allenatore che costituisce il vero collante di un gruppo che naviga (il verbo non è casuale: basta sfogliare i suoi appunti) tra l'entusiasmo dei giorni importanti e l'incertezza di quelli che arriveranno, arrampicandosi su una propria serentità interiore che diventa energia viva, forza pura da trasmettere agli uomini da coordinare e schierare sul campo. Sta bene la squadra, industriosa e fiera, ambiziosa e tignosa, decisa a dimenticare punti di penalizzazione, qualche incidente di percorso e un assegno che non arriva mai. Quella stessa squadra che tallona la Ternana e continua a credere nel traguardo finale, riappropriandosi di quelle qualità tecniche e comportamentali smarrite per un momento e non di più. Sta bene la gente che tifa, che si veste di nuova speranza, che blinda il proprio orgoglio di appartenenza, che riguadagna la considerazione di se stessa e del simbolo che rappresenta sugli spalti. Malgrado troppi anni di oscurantismo. E sta bene anche la società, una di quelle inserite nel nucleo ristretto delle virtuose, molto autoreferenziale e poco abituata alla comunicazione diretta (del resto, ci pensa il coach). Quella società che, da giugno ad oggi, non ha ancora saldato lo stipendio alla squadra, ma che si ripropone di farlo al più presto. Venendo meno, però, ai principi della reciproca fiducia: e finendo così per essere sconfessata dalla squadra, tradita almeno un paio di volte. E, infine, spinta allo sciopero, già inaugurato. Quella società che continua a rivendicare la propria solidità: perchè la liquidità è un'altra cosa e il problema, prima o poi, si risolve. Ma che soffre di antiche antipatie e che deve lottare contro le ultime sacche di inconfidenza, retaggio dei decenni che furono. E del ruolo corrosivo e ingrato della stampa, che avrebbe inventato quello che non è. Perchè la classifica mente: e la penalizzazione non esiste. Come non esiste lo sciopero, mera fantasia dei media. Sì, stanno tutti bene.

martedì 20 dicembre 2011

Bari-Meleam, fine (unilaterale) delle trattative

Adesso siamo alle accuse incrociate, agli screzi verbali. La trattativa, mai definitivamente sbocciata, tra il Bari e la Meleam tramonta tra le polemiche distribuite dai microfoni di una trasmissione televisiva e, prima ancora, dalle righe scarne di un comunicato ufficiale. Tramonta, seppur unilateralmente: perchè, mentre la società di via Torrebella si impunta e saluta, i compratori si ritagliano (o si illudono di ritagliarsi) ancora uno spiraglio per operare. Nella realtà, però, scorrono i titoli di coda su un'operazione nata con difficoltà e cresciuta in un'oceano di diffidenza. Dalla quale, però, esce apparentemente rafforzata la posizione della famiglia Matarrese: se è vero, come la proprietà del club afferma, che il gruppo finanziario bitontino non avrebbe mantenuto fede all'impegno di fornire dettagli più circoscritti sulla cordata interessata all'acquisto. Un particolare che, peraltro, il Bari si dice pronto a provare: con documentazione. Il punto, tuttavia, non è questo. Oggi fa paura, piuttosto, la consapevolezza di aver sprecato altro tempo e altra pazienza popolare. E intimorisce l'incedere poderoso di nuove scadenze: a cui occorrerà fare fronte, per non patire una nuova penalizzazione e per non cominciare a ipotizzare seriamente un panorama fosco come quello di un fallimento. Proprio nel momento in cui, passando a questioni più squisitamente tecniche, la formazione di Torrente conferma il proprio disagio davanti al pubblico di casa, sciupando il doppio vantaggio maturato sul Vicenza e finendo per accontentarsi di un punto. Lasciando intendere, dunque, che il periodo di convalescenza è tutt'altro che sorpassato. E che, allo stato, non è esclusivamente un problema di scelte o di uomini, ma anche e soprattutto mentale. Un impedimento collettivo che va al di là di chi gioca e di chi non lo fa, di chi sta arrivando (Castillo, che deve recuperare la condizione) e di chi potrà aggiungersi a gennaio. Sempre che la società, ovviamente, lo voglia e possa. E sempre che la querelle ingaggiata con la Meleam venga deglutita in fretta. Essì, perchè ora il senso di vuoto che potrebbe gocciolare dalla delusione è una conseguenza da prendere in considerazione.

lunedì 19 dicembre 2011

Il nuovo Brindisi salta il primo ostacolo. Con riserva

La versione seconda (e, più o meno, definitiva) del Brindisi possiede il sorriso di una vittoria edificata sulla concretezza, sulla sobrietà. La formazione recentemente affidata (o riaffidata) a Maiuri, scappato via la prima volta dopo aver sostenuto un paio di ore di allenamento e tornato a querelle societaria quasi chiarita, si veste di volti nuovi (ci sono gli ex Nardò Corvino e Centanni, entrambi under, e il difensore Miale, mentre Zaminga si accomoda in panca; è partito D'Amblè) e sbanca il D'Amuri di Grottaglie. Non è un successo luccicante, ma di robusta utilità e di invidiabile praticità. Fondato sulla perizia delle ripartenze, da cui nascono le occasioni migliori, gol compresi. Il 4-4-2 (e i due, là davanti, sono Prisco e Galetti, che un po' si assomigliano, anche per caratteristiche fisiche) appiattisce forse le risorse di gente come Guadalupi (che, per esempio, Boccolini preferiva schierare più avanzato per poter approfittare degli inserimenti e delle conclusioni in porta del ragazzo) e Mignogna (abituato a incidere come laterale di prima linea), ma solidifica l'assetto. Che, però, comincia a sussultare nella parte finale del match, quando il Grottaglie riapre il match (con il tre a due firmato da Lenti), intravedendo la possibilità di un pareggio che sembra persino vicino alla maturazione. Contestualmente alla doppia sostituzione ordinata dal tecnico (fuori Galetti e poi lo spento Mignogna, dentro due centrocampisti di contenimento come Zaminga e De Padova), che probabilmente detta alla squadra un messaggio di timore o, meglio, le suggerisce di presidiare e rintanarsi. I tre punti, però, alla fine arrivano ugualmente, fortificando il morale in prospettiva della seconda manche, che partirà dopo la sosta. E mantenendo invariato il disavanzo dalle concorrenti meglio piazzate in classifica. Una classifica che permette ancora tutto, a chiunque. Ma che stride con quello visto complessivamente sul campo: questo Brindisi, oggi, per come è, non ci sembra destinato a scalare troppi gradini. Nè a nutrirsi eccessivamente di molti entusiasmi (il pubblico, sugli spalti, continua a contestare la società) e di grandi slanci tecnici. Detto per inciso.

giovedì 15 dicembre 2011

Dalle nubi sbuca il Foggia

La sfida con la capolista, il ritorno sulle frequenze modulate della trasmissione radiofonica più celebrata del Paese, la necessità di riaccattivarsi le simpatie della gente che contesta (la società, più che la squadra): non c'è migliore occasione di questa per rimediare una gran bella figura. E la vittoria. Il Foggia spedisce la Ternana tra le ombre, liquidando l'avversario senza misteri. Quella appena passata è sicuramente la domenica migliore della stagione: anche sotto il profilo squisitamente tecnico. Che non risolve tutti i problemi, squarciando però quella nube un po' bassa che seguiva la formazione prima di Bonacina e poi di Stringara dall'inizio della stagione. Stagione di pubblici tormenti, di lente risalite e veloci ripiegamenti, di insoddisfazioni profonde e di malintesi covati al lume del rancore. In cui chi scende in campo finisce per soffrire la battaglia ingaggiata dalla curva nei confronti del vertice societario, ma soprattutto una certa impreparazione di fondo al campionato che, magari, l'acclimatamento alla terza serie riuscirà a mitigare, prima o poi. Senza poter contare, tuttavia, sul carisma di Zeman, il parafulmine di un passato recente che non c'è più. Ma affidandosi all'esperienza e all'ottimismo del nuovo condottiero, che ormai confida di aver lentamente conquistato un più o meno deciso possesso del gruppo a sua disposizione. Quel gruppo che, probabilmente, attende la definizione del proprio processo evolutivo, necessariamente passato attraverso diversi incidenti di percorso. Il tempo delle conferme arriverà assai presto, comunque: lo attende la piazza, lo attende la società. Perchè questo è l'unico ingrediente che potrà fermare l'emorragia dei consensi popolari e allontanare il pericolo di un fastidioso scollamento dell'ambiente. Stringara, per primo, si è caricato le responsabilità più pesanti, più o meno inconsapevolmente. E, adesso, gli tocca perseverare, proseguire. I riflettori sono tutti sopra di lui e i giovani interpreti di un progetto senza un porto sicuro, ma appena affiorato all'orizzonte. Eppure ancora troppo lontano per credersi al riparo dei venti.

mercoledì 14 dicembre 2011

L'Andria è in crisi. Di risultati e di nervi

Al limite della crisi. Di nervi. L'ambiente andriese è nel vortice dei venti. Il presidente Fusiello è indignato con il Palazzo e, sul campo, chiede una giustizia che non vede. Ha ingaggiato una battaglia personale con il mondo arbitrale, porgendo le proprie polemiche dimissioni. Ma la gente, dagli spalti, si scontra con la realtà dei fatti e preferisce scandire il dissenso sulla squadra, che fatica anche di fronte al Pergocrema, in casa (altro passo falso, uno a due). Finendo per sconfessare e contestare il condottiero del gruppo, Di Meo. Che non prende tempo, provando a riconsegnare alla società il mandato. Inutilmente, peraltro: perchè continuerà a guidare la squadra, almeno sino a nuovo ordine. Cosa, questa, che non rasserena parte dei supporters. E', dunque, un momento difficile, torbido. Che rischia di sfuggire al controllo del vertice del club, accusato - anche - di voler disimpegnarsi, smobilitare. Non serve sorprendersi, però: la squadra fatica ad imporsi, sbanda. Non tanto sotto il peso dell'avversario, quanto per proprie amnesie. La classifica non è ancora grave, ma comincia a infastidire. Soprattutto perchè questa è una stagione che molti (anche noi) credevano differente, ovvero meno sofferente, seppur ingabbiata in un campionato di grandi nomi e di tanti pretendenti. E, di conseguenza, crolla tutto il resto. Lasciando libero il timore che Andria, nel migliore dei casi, abbia perso un altro anno. Per crescere, calcisticamente parlando: dentro e fuori dalla società.

martedì 13 dicembre 2011

Taranto, apoteosi dopo mezzanotte

Stringere i denti. Lo chiedeva il campionato. Lo chiedeva al Taranto, smarrito sulla rotta verso il consenso. Lo chiedeva ad una squadra non tanto sfiancata dalla rincorsa alla capolista Ternana, quanto da un sintomo oscuro: la sensazione di non poter disporre più di meccanismi limpidi, del controllo assoluto di se stessa, della propria facilità di espressione. Nei momenti belli e, soprattutto, in quelli più ruvidi. E particolarmente ruvido (e ostico) sembrava il momento. Sporcato da prestazioni meno convincenti (l'ultima, contro il Foligno, la settimana scorsa), da qualche dubbio tecnico affiorato sul cammino (uno per tutti, l'impressione netta di dover cominciare a pagare dazio per la mancanza, in organico, di una prima punta con una dote di gol garantita) e da quell'involuzione societaria mai messa in preventivo, negli ultimi due anni. Tradotta nei due punti di penalizzazione che si assommeranno presto a quello già sofferto e nella confusione nata a ridosso dei silenzi del club, che non aiutano a gestire il presente, rabbuiando la mente di chi gioca e l'ambizione di chi tifa. Silenzi buoni a depistare, certo, ma non ad assicurare la gente o a catturare la comprensione popolare. Che, in casi come questi, è persino urgente invocare. Stringere i denti e sgomitare. Lo chiedeva la trasferta, giustamente temuta, di Reggio Emilia. Che, dopo il novantesimo, si trasforma invece in una festa. Quasi in un'apoteosi. Uno a zero, risolve Girardi, ultimamente uno dei più criticati, uno dei più motivati. Il successo, fiorito a novanta secondi dalla fine dei giochi, diventa l'atto di forza (e di coraggio) di un gruppo che non vuole smettere di sentirsi tale. Malgrado certi rumori e certi timori liberi di ramificarsi sotto i due Mari. Malgrado le ombre che circolano da giorni. E che non sempre possono essere considerate conseguenza di fantasie. La vittoria del Giglio sembra anche il frutto di un rinnovato impegno della formazione di Dionigi: con la piazza e con il programma condiviso. E finisce per intrecciarsi perfettamente alla sconfitta della Ternana, maturata in casa del Foggia (il divario quasi si appiattisce: un punto). Ma è anche una dichiarazione suplettiva di consapevolzza: in ciò che questo stesso collettivo può dare. Il coach, poi, davanti ai microfoni, sùbito dopo la conclusione del match, invita la tifoseria a ringraziare la squadra. Invitandola allo Iacovone, appena la comitiva sarà rientrata a casa, ben oltre la mezzanotte. E la risposta è inimmaginabile. Mille persone, riferisce chi c'è stato. Con bandiere, fumogeni ed entusiasmo. Nonostante il sinistro concetto dettato dal presidente D'Addario ad un magazine locale, in settimana («Saliamo in B e me ne vado»). «Qualcosa, a Taranto, è cambiato», riferiva Dionigi, sempre alla stampa. Forse. Magari. Ma questi, intanto, sono dettagli importanti. Altre volte, la rincorsa allo sfascio avrebbe mietuto vittime numerose. L'intero movimento calcistico jonico, innanzi tutto. Oggi, però, tira un vento migliore: che è già un trofeo da esibire. Ed è per questo che è doveroso provarci, nonostante la crisi, nonostante tutto. Ed è per questo che D'Addario deve farsi capire e farci capire: possibilmente, prima del sedici dicembre, quando dovranno essere coperti tutti gli impegni economici assunti. Quando la città realizzerà se è davvero arrivato il momento, oppure no, di tornare a credere almeno nel pallone.

lunedì 12 dicembre 2011

Fortis, ordine e pulizia non bastano. E il Martina va

A vedersi, è persino discreto. Pulito quando manovra, se si decide a forzare. Propositivo, mai ostruzionista. Organizzato, pur senza abbagliare. Ma leggero, appena occorre dotarsi di sostanza, di argomenti tangibili. Il Trani di Dellisanti è squadra che non potrà mai arrampicarsi sul campionato: la sua dimensione è il centro della classifica, lontano dai giochi di potere, possibilmente distante dalle amarezze dei quartieri meno nobili. Artiaco, uno degli artiglieri più celebrati del girone, fa quel che può e quel che deve. Ma niente di più. E Campo si limita a distribuire con raziocinio. La fantasia, però, è un'altra cosa. E la qualità non è un accessorio troppo diffuso, nel gruppo. Eppure, sul campo del Martina, la Fortis non sfigura. Subisce il gol senza riuscire a rimediare, ma si avvicina al pareggio almeno un paio di volte. Dannandosi per quell'antipatica incapacità di graffiare. E, però, rimanendo in partita sino all'ultimo. Dietro, certo, la gente di Bitetto soffre più di quanto dovrebbe: almeno, nell'ultima mezz'ora. I meriti del Trani, tuttavia, sono innegabili. E, soprattutto, eterei. Il derby, così, rilancia solo le quotazioni di Gambuzza e compagni, rinvigoriti dalle recenti operazioni di mercato. Amodeo, per esempio, è una punta che sa dialogare, di buona tecnica. Che, nell'occasione, non trova la porta: ma che, in fondo, sembra potersi garantire anche in Valle d'Itria un certo feeling con il gol. E anche Ottonello, mediano che tende a gestire palloni e ad attaccare, fa la sua figura, guadagnandosi i primi attestati di stima. Il Martina, del resto, ha modificato il suo volto, ultimamente: è partita un po' di gente (Irace e Pignalosa su tutti, ma anche Pizzolla, Melis e gli under Montrone e Patierno) ed altri nomi (Basile, Bruno, Scoppetta, oltre ad Amodeo e Ottonello) sono stati aggiunti. Portando, dicono i più maligni, grande beneficio allo spogliatoio. Sul quale, giura chi è rimasto, il tecnico possiede il più totale controllo: questione, questa, di peso specifico. Il controllo del Martina sul torneo, invece, va ancora testato. Anche se le ultime esperienze al Tursi e il pari conseguito a Caserta, giovedì scorso, lasciano pensare positivo. Innanzi tutto perchè le chances di promozione, oltre che dall'erba amica, passano anche per i campi della Campania. Dove domenica prossima il Martina tornerà: sul terreno della nuova capolista Sarnese, per la precisione. Questo, peraltro, è un campionato che premia la continuità e l'abitudine di mantenere la media inglese. Vincere a domicilio e pareggiare fuori, per il momento, sembra essere sufficiente. E, se il gruppo biancazzurro l'ha capito, è già una buona notizia.

domenica 11 dicembre 2011

Lecce, segnali di speranza

Cosmi comincia discretamente, anzi male. Dipende dai punti di vista: perchè il Lecce, di fronte alla Lazio, ci mette più cuore, più volontà. Esattamente quello che ci si attende da una squadra che si fregia del contributo di un coach come Serse da Pontevecchio, uno che tradizionalmente inietta grinta al gruppo. Il risultato, però, è negativo, ancora una volta. L'erba di via del Mare dice male (finisce due a tre). E, da questa angolazione, non c'è soluzione di continuità dalla gestione Di Francesco. Comunque, scavando, si intravede qualche segnale di speranza. Per il temperamento speso nei novanta minuti e per qualche altro dettaglio (la manovra si è vagamente ravvivata). La nuova guida tecnica, peraltro, trae dall'anticipo del sabato un po' di appunti buoni per confidare nel domani. Lasciandosi scappare pure un concetto impegnativo («le salvezze arrivano a maggio, non prima. E, delle formazioni che ho raccolto a lavori in corso nella mia carriera, questa è la migliore, qualitativamente parlando»). Chissà se si riferisce pure al Lecce che si ritrova a gestire la fase difensiva: dove, cioè, nascono i problemi più evidenti di un collettivo oggettivamente rattristato da una situazione che si intorbidisce (Cesena, Novara e Bologna fanno punti). Ma, oggi, uno dei compiti di Cosmi è quello di infondere nell'ambiente un po' di buon umore. E va compreso. Sperando che non venga preso troppo sul serio da chi, nei prossimi giorni, dovrà operare sul mercato di riparazione. Non potrà bastare qualche messaggio di incoraggiamento. E la prestazione di ieri, da sola, non può sollevare: che sia chiaro, da sùbito.

venerdì 9 dicembre 2011

Grottaglie, vittoria con astio

Paradossale: il momento più prolifico del Grottaglie (sette punti in quattro partite, quint'ultima piazza rinsaldata, due punti di disavanzo dalla zona della tranquillità) coincide con il livello massimo di bassa pressione che soffoca l'ambiente (l'assetto societario sembra liquefarsi inesorabilmente, il fallimento si avvicina progerssivamente, la gente abbandona emotivamente anche la squadra, la squadra denuncia pubblicamente lo stato di crisi e pare ribellarsi ai giudizi della tifoseria). Tra contestazioni e gesti gravi, nel momento di festeggiare quella che sta per diventare una vittoria, si scava un'ulteriore solco tra chi scende in campo e chi resta sugli spalti: oppure è solo un'apparenza, che evaporerà con il tempo. Ma il tempo, di contro, sta per scadere. Proprio adesso che l'Ars et Labor mette da parte un po' di ossigeno, in fondo ad una gara (quella di ieri, nel turno infrasettimanale) povera di contenuti, anche per demerito dell'avversario, l'Internapoli di Camaldoli. Una gara che si mette benissimo dopo neppure un minuto di gioco (gol di Carta), ma che non può nascondere i disagi, le incertezze, il nervosismo, la fragilità e lo scoramento di un gruppo che non si nutre del vantaggio, perdendosi nell'affannosa rincorsa alla propria identità e al traguardo prefisso. Meno male, però, che i campani sono ingenui e insipidi, eterei e tristi: la formazione di Pizzonia, così, si ribella al pareggio, arrivato dagli undici metri. Trovando i tre punti con Solidoro, il capitano irritato: proprio lui, l'accusato numero uno di quel momentaneo pareggio che una parte di supporters non digerisce. Di quel che resta della partita, invece, meglio sorvolare: spettacoli così non dovrebbero appartenere alla serie D. Detto senza perifrasi. E nessuna perifrasi neppure sul caso-Ciracì: con un comunicato stampa, il presidente ha raffreddato gli ultimi entusiasmi rimasti, proprio alla vigilia del match. Lasciando capire che, ormai, siamo al capitolo finale. O quasi. E calamitandosi addosso nuove antipatie. Mentre la gente si chiede, compatta, cosa aspetti a dileguarsi. A cedere il club, diciamo così: una volta per tutte. Velocemente. Fosse facile. Perchè, di fronte ad una parte che lascia, serve qualcuno che rilevi. E che dia alla trattativa un'impronta forte, seria. Una volta òper tutte. E velocemente. Tutti sicuri, però, che questa componente esista davvero? Cominciamo a dubitarne: sinceramente.

mercoledì 7 dicembre 2011

Città e squadra, feeling per un sogno

Ci sono momenti in cui l'ansia da emolumenti (non percepiti) non incide. E in cui il gruppo rivela le sue fondamenta, le proprie certezze, il suo dna, la propria saldezza morale. Dove lo stato di crisi circola, ma non alberga e non condiziona. Dove l'evoluzione delle vicende societarie è lenta e ingombrante, senza che però leda gli interessi comuni. E ci sono momenti di gioia e rabbia muta. Ma anche di solidarietà e di gratitudine. A Nardò, di questi tempi, si vive molto di pallone. E di pallone, altrettanto, si parla: sugli spalti, per strada e anche dietro le quinte di Palazzo di Città. La squadra è in testa al girone appulocampano di serie D e sembra voler fortificare, giornata dopo giornata, la sua posizione, il suo prestigio. Dopo l'affermazione di Francavilla sul Sinni, torna a giocare sull'erba amica e regola un'altra lucana, il meno ambizioso e meno robusto Matera. Ma il disagio economico del club è sempre più grave e gli stipendi tardano ad essere corrisposti. Allora, per cercare di non perdere la priorità acquisita, la tifoseria si mobilita e organizza una colletta, prima dell'ultimo match. Corrispettivi corrisposti (forse in larga parte, forse no: poco ci interessa, in questa sede), ecco la solidarietà. Mantenimento della leadership, ecco la gratitudine di chi rincorre la palla: versata diettamente sul campo. Difficile capire (anzi, no: è facile) quanto potrà durare. Poco, immaginiamo. Ma, intanto, questa è la realtà attuale e tanto fa. E la collaborazione, per il momento, funziona. Qualsiasi cosa accada, da qui in avanti (ma se accade qualcosa di concreto, molto meglio), questo di Nardò sembra una bel capitolo nel mezzo di una storia scomoda. Che va sottolineato. Con un inchino. Chapeau: alla gente che tifa, già travolta dalla crisi universale, e alla formazione di Longo. Attaccata ad un sogno, prima ancora che al portafoglio.

martedì 6 dicembre 2011

Barletta, Cari respira

Marco Cari, adesso respira davvero. Cioè, con il conforto dell'affermazione sul campo: che è sempre qualcosa di più della semplice fiducia condizionata, verbale. O a termine: anche se nessuno lo rivela apertamente. Il Barletta che batte la Cremonese è una buona notizia per tutti e motivo di nuova autostima per un gruppo troppo spesso sminuito da prestazioni zoppicanti, da attese inevase e da risultati difettosi. Un gruppo molto più che vagamente inespresso: nella forma e nella sostanza. Il successo dell'ultima domenica rivaluta così la funzione di Mazzeo (di nuovo scintillate) e compagni nel girone B della terza serie. E premia una prestazione, dicono le cronache, più ordinata. E, probabilmente, meglio studiata, meglio architettata, anche e soprattutto tatticamente. Al di là del modulo (4-2-3-1), che tuttavia sembra poter ingabbiare certi movimenti più utili alla causa. Perchè, alla fine, è un difensore (il cipriota Pelagias) a risolvere la contesa, a metà ripresa. Ristabilendo un contatto emotivo più solido tra la squadra e i supporters. E ancorando il collettivo alla zona playoff (quarto posto, meno quattro dal leader Siracusa). La classifica, però, era e continua ad essere cortissima. E insondabile. Probabilmente, più di ogni altro, il particolare che ha mantenuto, sin qui, Cari sulla panchina del Barletta. Una formazione, questa, sempre nella mischia, ma non troppo. Per demeriti propri e per limiti altrui. Che il campionato sta ratificando, domenica dopo domenica.

lunedì 5 dicembre 2011

Il derby distratto di Martina e Casarano

Partite come Martina-Casarano sono situazioni da fine campionato, quando molto spesso difettano la concentrazione e l'attenzione. Invece, il derby plana a metà stagione, quando nulla è definito e tutto va giocato, sino in fondo. E, allora, certi infortuni nelle retrovie lasciano riflettere su quanto i protagonisti di questo campionato di serie D abbiano da lavorare, per raggiungere il livello medio di altre epoche. Sbaglia Palazzi, guardasigilli salentino, più volte. E pecca, ripetutamente, il pacchetto arretrato della formazione di Bitetto: ne esce, così, un match sempre in bilico sulle apprensioni, eternamente aperto, maledettamente inaffidabile. Vince il Martina, che crea qualcosa di più. E perde la Virtus, che accetta il confronto sin dall'inizio. Concetto assai gradito alla formazione di casa che, però, finisce quasi (e paradossalmente) per pagarlo. Decide l'undicesimo sigillo stagionale di Picci, arrivato in coda agli acuti di Chiesa (sempre incisivo, quando agisce tra le linee, centralmente) e di De Giorgi, un '93 da seguire. Ma, in fondo, è fondamentale la volontà di Gambuzza e soci: quella volontà (o, meglio ancora, quella praticità) che sembra aver soppiantato da un po' il calcio più fluido ed evoluto dei primi tempi. Rispondendo, evidentemente, alle precise e niente affatto velate richieste del club. Che, per inciso, sta provvedendo a ridefinire l'organico a disposizione dell'allenatore, al quale ha ultimamente regalato un po' di rinforzi a metà campo, diventati impellenti dopo la rinuncia a gente come Irace e Pizzolla. In attesa di un altro artigliere, che arriverà. E sperando che non diventi necessario puntellare la squadra anche più dietro. Da questo punto di vista, il derby potrebbe aver lanciato un messaggio. Di allarme.

domenica 4 dicembre 2011

Di Francesco, Napoli fatale

L'intransigenza sopravanza l'attesa. La realtà denuda la speranza. L'urgenza di patron Semeraro azzera tutte le riflessioni passate, presenti e future. E la proroga concessa a Di Francesco appena la settimana scorsa si consuma in fretta, a Napoli. Dove il Lecce, nell'anticipo del sabato, affonda sotto quattro gol (a due), perdendo una partita che è anche logico perdere (la differenza di qualità è enorme, ammettiamolo), ma che è imbarazzante perdere con la pesantezza di certe proporzioni. Scavando, però, l'esonero (comunicato in serata dalla società) è la precisa evoluzione di un pensiero comune, piegato dal sentimento dell'impopolarità e dalla crudezza dei risultati. Ed è, soprattutto, la naturale definizione di una situazione incancrenita da tempo: e, quindi, attesa anche con impazienza. Al di fuori e al di dentro del club. Il rovescio del San Paolo, cioè, sembra quasi opportuno: nei tempi e nei modi. Perchè chiude la questione, prima che avanzi il sospetto che sia tardi, per riparare. La sconfitta è brutta, ma appare il pretesto migliore. Ed è, soprattutto, la somma di diversi dettagli: tecnici, tattici, ambientali. Si cambia, allora: e, forse, è pure meglio così. Per tutti: persino per il coach. Al posto del quale arriva Cosmi. Uno che avrà bisogno di assistenza, innanzi tutto. La stessa assistenza in cui confidava Di Francesco, alla fine del girone di andata. Ma, alla soglia del mercato, l'allenatore pescarese non ci è neppure arrivato. Cosmi, allora, si faccia sentire, sin da ora. E pretenda rinforzi: come vedete, non c'è più tempo. Per nessuno.

giovedì 1 dicembre 2011

Andria, la rabbia di Fusiello

Probabilmente, il successo sul Piacenza, nel recupero di qualche tempo fa, aveva rafforzato l'appetito. Che i pareggi arrivati dopo hanno poi mortificato. L'Andria, cioè, è sempre lì, nel limbo del pericolo. Con il Feralpisalò, in casa, sono piovute anche critiche, sufficientemente pesanti. E la gente che tifa ha contestato, abbastanza apertamente. Quello del doppio centravanti (Innocenti più Gambino) è un esperimento fallito sul nascere, oltre tutto. E il sacro furore del collettivo non sembra più in grado di tappare qualche falla, nè di zittire l'opinione pubblica. A tre giorni di distanza, nel nuovo match di recupero, la formazione di Di Meo impatta ancora, contro il sin qui incerto Bassano: ma, questa volta, interviene Fusiello, il presidente che ha ormai intrapreso una serrata battaglia verbale con il pianeta arbitrale. La polemica si accende e il numero uno del club alza i toni del concetto, promettendo di non presentare la squadra a Siracusa, domenica prossima, in casa della nuova capolista del girone. Se non avrà ricevuto dal Palazzo garanzie tangibili, ovviamente. Cose che si dicono. Alle quali nessuno bada più. L'Andria, in Sicilia, si presenterà ugualmente: esattamente come fa chiunque, malgrado le dichiarazioni avvelenate del post partita. E si presenterà con le speranze di sempre e con i disagi del momento: che la querelle non riesce e non riuscirà a nascondere.