sabato 30 giugno 2012

Foggia, il terreno scotta

Il Taranto è scomparso. E, adesso, potrebbe toccare pure al Foggia. Non è un 'ipotesi lontana, purtroppo. Anche in Capitanata il tempo passa veloce. E non si trova un antidoto vero alla crisi. L'ultima conferenza stampa convocata dal contestato sindaco Mongelli, che si è accollato il fastidio di mediare tra le parti e di prospettare un sentiero d'uscita, e dall'altrettanto contestato presidente (uscente?) Casillo non risolve nulla. Anzi, amplia il fronte del dissenso popolare. L'idea ardita (invogliare la gente a sottoscrivere l'abbonamento per i due prossimi campionati, ricevendo in regalo altri quattro anni di tagliandi) non è piaciuta e, dunque, naufragherà prima di salpare. Certo, il Foggia si iscriverà al torneo: lo stesso Casillo l'ha promesso. Così come ha promesso di andar via, incalzato dalla tifoseria. Ma non è detto che basti. Occorrerà, cioè, regolarizzare alcune faccende, a luglio: in caso contrario, l'iscrizione è superflua. Inutile. Del resto, l'imprenditoria del capoluogo si è eclissata, non appena ha cominciato a concentrarsi sulle spese vive. E l'interesse di qualche volenteroso che arriva dalla provincia si riassume in uno o più accordi di sponsorizzazione. Che, evidentemente, non sono sufficienti a sanare la situazione. Un milione e duecentomila euro sono una cifra. E chissà se, alla fine, basteranno davvero. Il punto, allora, è proprio quello: in città non esistono risorse reali per mantenere il pallone. Un dettaglio già noto: sin dai tempi della gestione Capobiaco. Ancora prima che tornasse Casillo. Destino, questo, che accomuna molte piazze che, ormai, possono vantare solo storia, tradizione, prestigio e passione, ma non un presente e, soprattutto, un futuro. E che, ciclicamente (vero, non è il caso del Foggia, mai fallito prima di adesso, ma non è che il discorso cambi di molto), sono costrette a resettare tutto e a ripartire dal basso. Senza capire quanto possa davvero servire un reinvestimento corposo: utile, magari, solo a guadagnarsi il diritto di implodere ancora, sotto il peso di nuove difficoltà.

venerdì 29 giugno 2012

Dalla B all'eutanasia: il Taranto chiude

Dalla serie B (si fa per dire) all'eutanasia. In ventiquattr'ore. Patron D'Addario ufficializza la resa, prima che scadano i termini. E conferma che non c'è futuro. Il Taranto non possiede il contante neppure per regolarizzare l'iscrizione al prossimo campionato di C. Fine delle trasmissioni. Che potranno riprendere, nella migliore delle ipotesi, dal quinto gradino, la serie D. Con qualcun altro al timone, ovviamente: pronto a investire trecentomila euro sùbito e il resto più tardi. E' l'epilogo più naturale. E' il tramonto che si accoda alla beffa già raccontata ieri. Beffa o scherzo, chiamatela come vi pare. Al quale, involontariamente, parte di stampa (superficiale) si è prestata. Proprio quella parte di stampa che sa arruffianarsi e che, puntualmente, viene osannata dal popolo che tifa. E che (certamente inconsapevolmente, ma impunemente) continua a remare contro, convinta che siano gli altri (ad esempio, la parte di stampa che osserva e critica, senza necessariamente sedersi sul carro) ad ostacolare il progresso del pallone sullo Jonio. E' così da sempre, peraltro. Che la città, allora, si tenga questo tipo di informazione che ama proteggere. La professionalità, però, è un'altra cosa. Al di là del caso specifico.

giovedì 28 giugno 2012

Il Taranto, il Tar e la beffa



Gloria al Taranto che ci offre sempre da scrivere, da spigolare, da intervenire. Anche quando il tempo sta per scadere. Dunque: novità vere, sulla questione societaria, non ce ne sono. Attorno, danzano solo propositi, desideri, polemiche, congetture, ipotesi e, quando va bene, progetti: privi, però, del rimorchio in contanti. L'iscrizione al prossimo campionato è sempre più in pericolo, patron D'Addario non ha appianato i problemi economici del club e l'ormai datato intervento del sindaco Stefano non ha attirato offerte destinate ad un'evoluzione snella della questione. Chi si è affacciato sull pallone dei due Mari, cioè, ha cercato di coniugare il salvataggio della maggior espressione calcistica della provincia con parallele operazioni economiche che avrebbero toccato territorio, enti, ambiente e valutazioni politiche. Abbastanza per mettere in movimento un microcosmo che reclama tempo: utile a vagliare, discutere e, eventualmente, decidere. Tempo che la situazione contingente (e, in generale, le esigenze di qualsiasi club) non possono concedere. Italiani, spagnoli ed inglesi, al di là dell'agibilità e della credibilità delle singole iniziative, sono appena riusciti ad aprire le porte a nuove problematiche che non possono essere liquidate velocemente e che neppure possono essere trattate con nonchalance. Alla fine, così, restano solo le intenzioni, le parole. Anche loro spazzate, in un pomeriggio di fine giugno, da una notizia che più notizia non si può. In due parole, il Tar del Lazio, sollecitato ad intervenire dalla pratica legale inoltrata dall'avvocato Russo, leader del comitato Taranto Futura, accoglie la richiesta ed ammette il Taranto in serie B. Invalidando sei dei sette punti di penalizzazione inflitti dalla giustizia sportiva a campionato in corso. Senza dei quali, ricordiamolo, la formazione di Dionigi (a proposito: ha rescisso il contratto e dovrebbe finalmente approdare a Reggio Calabria) avrebbe raggiunto la promozione senza neppure dover passare dai playoff. Valutazioni a parte (sui regolamenti federali, ad esempio: che esistono e vanno rispettati e accettati, all'atto delle iscrizioni), il problema è bello grande, adesso. Per la Federazione, che deve inghiottire amaro e, sostanzialmente, adeguarsi: non prima di aver battagliato, immaginiamo. Per una sfilza di società: alcune punite da altre penalizzazioni, altre avvantaggiate dalle stesse sanzioni. Per D'Addario: che, proprio quando sembrava aver deciso di azzerare tutto, si ritrova senza volerlo con l'obietivo dichiarato il giorno del suo insiedamento sulla massima poltrona societaria, ovvero la seconda serie. E per la città: con la serie B, diciannove anni dopo. Ma senza una società che possa raccogliere il regalo più gradito. A meno che la spinta emotiva di una promozione ormai insperata non lasci emergere dalle tenebre antichi o nuovi portafogli. A questo punto, l'unica soluzione per raccogliere l'ennesima sfida del destino. Fuori, però, fa caldo. Molto caldo. E l'estate, si sa, travolge. Fuorvia. E corrompe l'integrità di chiunque, incidendo sul circuito di tutti noi. Consiglia (male) i ministri della Repubblica. Figurarsi la stampa che attinge senza indagare. Il sogno è finito. E la federa è bagnata di sudore. Falso allarme, hanno scherzato. Non è vero niente: le bandiere, in piazza Ebalia, si ammainano meste, nel pieno della festa spontanea. I canali di informazione si smentiscono, si ricredono. La Federazione ha un problema in meno. Le alre società coltiveranno i problemi di sempre. E anche D'addario può rifiatare. Per la città, invece, è solo l'enesima beffa.

sabato 16 giugno 2012

Semeraro, parole chiare. O una difesa efficace

Ogni promessa è una promessa. E la decisione della famiglia Semeraro era una promessa. Da un anno. Patron Giovanni sancisce la fine del rapporto tra il suo clan e il Lecce. Chiudendo idealmente, prima di qualsiasi sviluppo prossimo ed eventuale, una storia di diciotto anni, calcisticamente molto impegnativa e, comunque, sufficientemente longeva per mettere in fila parecchie gioie (i diversi campionati di A) e discreti dolori (le retrocessioni, anche in terza serie, e l'ingresso - dalla porta principale - nell'inferno del calcioscommesse). Una storia racchiusa tra l'epoca-Iurlano e il buio del domani. L'impegno, sembra, finirà ad un'altra famiglia, quella dei Tesoro, affacciatisi sul pallone giallorosso già in inverno. Sempre che la serie B non venga requisita dalla giustizia sportiva. Perchè i Tesoro, l'hanno fatto capire chiaramente, dalla C non hanno neppure l'intenzione di ripartire. Altrimenti, a condanna consumata (e non è un'ipotesi da scartare, niente affatto), il titolo finirà direttamente a Palazzo di Città, in attesa di eventi. Ovvero, di imprenditori veramente interessati, ancorchè coraggiosi. In tempi di crisi, è la soluzione più ovvia, più gettonata. A qualsiasi latitudine. Non c'è, al momento, una terza strada. Come, ad esempio, quella dell'autogestione, soluzione ibrida che, negli ultimi mesi, ha lasciato il club nelle mani di professionisti del settore, comunque sostenuti dai capitali della proprietà. Cioè, di Semeraro. L'incubo della seconda retrocessione di fila, dunque, è il punto nodale della questione. In cui l'intervento della società (proprio in questo momento e proprio con queste considerazioni) sembra persino una minaccia: se non al sistema calcio, ai suoi equilibri. Se la giustizia sportiva azzera il Lecce, il Lecce diventa un altro problema per il calcio nazionale: più o meno, può suonare così. Forse forziamo le intenzioni reali e i termini del discorso. O, forse, neppure tanto. E, probabilmente, sottovalutiamo l'indipendenza di chi, tra un po', andrà a decidere su una vicenda che rischia di modificare la geografia dei campionati. Però, vista così, quest'operazione targata Semeraro potrebbe persino puntare a far fruttare qualcosa, in sede di giudizio. Chissà. E poi, quando è necessario difendersi, servono forza, ostinazione e, talvolta, pure idee.

Qualche ora dopo, la smentita dei Tesoro: che rileverebbero il Lecce anche in terza serie. Bene. Ma Semeraro, che afferma il contrario, lo sa?

mercoledì 13 giugno 2012

Dionigi, addio con dignità

Crollato il castello delle illusioni (la serie B, che viene festeggiata lontano, a Vercelli: proprio da quella Pro che, in semifinale playoff, si è liberata dell'ostacolo Taranto), crolla anche la palafitta delle certezze di un tempo, cioè un intero progetto edificato sulle apparenze. E sulle supponenze della società. Il calcio, sui due Mari, è nuovamente dentro un buco nero. L'impero di D'addario frana, senza suscitare meraviglia. Anzi, legittimando i dubbi degli ultimi mesi. Perchè, nel pallone, qualcosa accade per caso: ma non tutto. Senza denaro (spesso sperperato) e con qualche astuzia imprenditoriale, il patron ha continuato a navigare sin dove ha potuto: mascherando i problemi, allontanando maldestramente quesiti e dubbi legittimi, aspettando una promozione persa davanti al traguardo: che, forse, avrebbe potuto addolcire una situazione economica precaria da tempo. O, almeno, ingolosire un nuovo compratore. Invece, niente. Non c'è serie B, non c'è più società e, al momento, latita persino un futuro. Bene che vada, l'abbiamo già sottolineato, si apriranno le porte della D, sfruttando i cavilli dei regolamenti: sempre c he Pieroni o Blasi o chi per loro riusciranno a riunire i cocci e a trovare il capitale per ripartire. Intanto, chi può scappare lo fa: per esempio, la maggior parte dei giocatori, già automaticamente svincolati. Vorrebbe accodarsi anche il tecnico, Dionigi: che, però, è bloccato da un contratto pluriennale al club di via Martellotta. E, in più, ha rinunciato a cautelarsi con la pratica della messa in mora, impugfnata dalla truppa. Forse, in nome di quell'aziendalismo che, in un anno e mezzo sullo Jonio, ha assistito il concetto di gratitudine pubblicizzato varie volte nei confronti del presidente. Che, adesso, vorrebbe gestire direttamente il passaggio del tecnico sulla panca della Reggina: monetizzando qualcosa. Ecco, Dionigi. Uno che, sul campo, ha complessivamente convinto, malgrado un approccio al mestiere un po' ostico (l'esperienza, del resto, non si fabbrica). Modellando lentamente la squadra attorno alle proprie esigenze tattiche e al proprio modo di vedere il calcio. E infondendole un'identità, una quadratura: perse (per stanchezza, nervosismo, scadimento fisico) un mese prima dell'atto finale, nel pieno di un'involuzione partita dall'esterno. Ma anche un personaggio troppo spesso ostaggio di tensioni forti, malamente custodite. Che, ad un certo punto, ha persino trasmesso ai suoi uomini. E, spesso, anche disposto a saltare la barriera delle proprie competenze: dicendo più di quello che sarebbe stato logico affermare. Rischiando, talvolta, di apparire pure quando non ce ne sarebbe stato bisogno. Certi atteggiamenti, lo confessiamo, ci sono piaciuti meno. Consumati, ne siamo sicuri, per proteggere il gruppo da un mondo che si stava rovesciando contro. E un po', qua e là, ha stonato pure quel suo stesso aziendalismo: in un ambiente in cui viene considerato un dovere, più che una concessione interessata. Però, adesso, prima di sbarcare in Calabria, a Reggio, e prima ancora di divincolarsi da D'Addario, Dionigi decide di salutare la città e la tifoseria, in una conferenza stampa organizzata congiuntamente al sindaco bimare, Stefano. Gesto gradito, elegante. E per niente condito da sapori forti, come qualcuno aveva immaginato. Parole di circostanza, approfondimenti superficiali, nessun attacco al potere. Il tecnico non svela quadri sconosciuti di vita vissuta, non rivela intimi fotogrammi di una stagione sofferta, nè particolari nascosti dietro le quinte. O dettagli scomodi di dieci mesi per certi versi irripetibili. Questa volta, cioè, anche se il giocattolo si è rotto per sempre, il capitano non si affretta ad elencare i difetti dell'ingranaggio. In attesa, magari, che lo facciano altri. Piaccia o no, Dionigi professa coerenza. E serietà. Troppo facile coprire falle e magagne con uno strato di solido aziendalismo e poi sbottare per forzare il proprio destino. Anche questa si chiama dignità.