venerdì 28 dicembre 2012

E il Trani perde anche Loconte

Chi scivola rivaluta il cammino della concorrenza. E, se il Grottaglie amplia il proprio ventaglio di possibilità, di contro c'è chi completa il proprio processo involutivo. Nel girone appulocampano di serie D la Fortis Trani sta lentamente affogando: nei suoi mali, nelle sue debolezze, nelle sue umoralità. L'ultima caduta sa di umiliazione: zero a cinque, in casa. E neanche davanti ad una formazione che, solitamente, abbaglia. Il Francavilla, riacquistata nell'ultimo mese un po' di solidità, non incontra però nessun ostacolo, nessuna censura: fa quel che deve e incarta il risultato con facilità. I giorni che seguono l'ultimo match sono, poi, di ordinario scoramento. Tanto che anche Gino Loconte, il quarto tecnico della stagione, decide di abbandonare la panchina. Il disagio, cioè, non sembra solo di natura tecnica. Il progetto, piuttosto, si è definitivamente sgretolato. E, certo, il ridimensionamento ordinato dal patron Abruzzese ha contribuito seriamente a minarne le fondamenta. La società cerca un nuovo nocchiero: ma è facile immaginare che, dietro la porta, non ci sia la fila dei pretendenti. Il rischio di retrocedere è alto, il materiale a disposizione  non brilla per qualità e quantità, il morale è basso, il mercato di riparazione si è ormai esaurito e la società è distante: proprio adesso che si comincia a fare sul serio. Chi arriverà, dovrà possedere pazienza e motivazioni al di sopra della media. Molto coraggio e altro sprezzo del pericolo. Ma, evidentemente, anche poco da perdere.

giovedì 27 dicembre 2012

Grottaglie, c'è qualche segnale

Non è mai tardi per coltivare la speranza. Anche se la classifica è sempre avara e la quotidianità troppo precaria. Malgrado il Grottaglie, dal mercato di metà stagione, non è che sia poi uscito troppo rivalutato (ecco, comunque, un difensore centrale: si chiama Buono). E nonostante la formazione di Pellegrino debba continuare a confrontarsi con limiti e assilli ampiamente conosciuti. Certo, almeno Formuso (cioè uno che dovrebbe garantire qualche gol) è rimasto, dopo essere stato dirottato per pochi giorni a Brindisi: dove, nel frattempo, il tecnico Francioso, che l'avrebbe accettato volentieri, ha dovuto abbandonare l'incarico. E proprio Formuso, a Potenza, si è scoperto decisivo, firmando i due gol e la conseguente vittoria - la prima lontana dal D'Amuri - che rinfranca un po' l'ambiente, allontanando Salvestroni e compagni dalla penultima piazza. E che, soprattutto, rilancia l'Ars et Labor in prospettiva playout, ovvero il male minore. Sbagliato, però, credere che la realtà sia diversa da quella che è: l'organico, vagamente consolidato a dicembre e plasmato dalle difficoltà finanziarie, è tuttora lontano da quel concetto di robustezza che garantirebbe qualche chance in più. Ma, almeno, il gruppo sembra aver ultimamente carpito un pizzico di aggressività in più, che spesso si trasforma in coraggio e convinzione. Difficile dire che possa bastare. Ma il Trani e lo stesso Potenza vivono, adesso, molto più pericolosamente: e, talvolta, i guai altrui aiutano a crescere. O a rianimarsi. Il Grottaglie, cioè, ora emette qualche segnale di vivacità. E, comunque vada, potrà raccontare di averci provato. 

lunedì 24 dicembre 2012

Monopoli, avanti con saggezza

Non va neppure a Battipaglia, malgrado il vantaggio acquisito in due occasioni diverse. Ma il Monopoli, nell'anticipo di sabato, si ritrova anche e soprattutto penalizzato da quel penalty concesso generosamente ai campani praticamente al fotofinish, che lo inchioda sul pari (tre a tre) dopo una gara prima sofferta e poi più fluida. E, comunque, condizionata dagli errori individuali che frenano ora la squadra di De Luca (Di Gennaro, ad esempio, è difettoso sul sigillo del temporaneo due pari), ora l'avversario. Se si aggiunge, poi, che il sigillo di Lanzillotta, molto probabilmente, si stempera al di qua della linea di porta, dopo aver sbattuto sotto la traversa, è facile capire che tipo di match sia stato quello che ha chiusa ufficialmente l'anno di grazia duemiladodici. E che, al di là degli episodi, conferma come il Monopoli continui a perdere buonissime occasioni per forzare il ritmo e per sistemarsi immediatamente a ridosso della battistrada Ischia e della sua migliore inseguitrice. cioè il Gladiator. La manche di andata, così, si riassume in quel quinto posto chiaro e limpido, praticamente inattaccabile, che sa di giusta dimensione e che plaude sinceramente ad un organico partito per per fare bene, ma non per vincere. Tanto per ripetere un concetto già discusso e universalmente accettato. A proposito: la società, nel frattempo, sta provvedendo a pianificare il futuro: provando, magari, a rassodare questo gruppo, in previsione dei playoff (nel caso servano a qualcosa: ma, ripetiamo, non è bello illudersi) o della prossima stagione. In cui, partendo dalla base di questo campionato, potrebbe essere sufficiente adottare pochi accorgimenti: quelli necessari, cioè, per tentare il salto. Del resto, anche la seconda sessione di mercato (tre tesseramenti in entrata, cioè una punta importante come Majella e due operazioni di complemento, a basso costo di gestione, contro altrettante uscite, con conseguente risparmio sugli ingaggi) va valutata in quest'ottica. E va condivisa: nonostante la gente che tifa non abbia particolarmente gradito la partenza di Anglani, collante dello spogliatoio particolarmente apprezzato sulle gradinate del Veneziani, e quella della punta Ventura, ormai chiuso dalla concorrenza. Se non altro, perchè oggi non conviene svenarsi, di fronte alla mancanza di un obiettivo concreto. E neppure inseguire ciecamente chi fugge (la capolista è di un'altra categoria e dispone di un budget illimitato). E' saggio, piuttosto, concentrare tutti gli sforzi la prossima estate, se le energie si moltiplicheranno: accontentarsi della realtà non è una vergogna, ma un'esigenza lungimirante. Anche a Monopoli.

giovedì 20 dicembre 2012

Il Brindisi frena il crollo verticale

Il Brindisi frena il crollo verticale. Servono, principalmente, quattro mosse: qualche nuovo tesseramento (il più importante è quello di Mino Tedesco, artigliere di affidabilità, ma anche un brindisino verace al servizio della squadra), la risoluzione del rapporto con i meno convinti o, comunque, con chi aveva perso un po' di motivazioni (pensiamo all'argentino Villa: anche se la sua partenza, tecnicamente, dispiace), il successo di pregio ottenuto domenica scorsa sul Matera (poca accademia, ma tanto cuore: e lo svantaggio viene ribaltato, per la felicità di una tifoseria nuovamente riaccostatasi al club e ai protagonisti del campo) e il pareggio, forse deludente (si poteva e doveva vincere), ma ugualmente interessante per morale ed autostima, nel recupero di ieri, a Potenza. All'improvviso, cioè, spunta un'altra classifica. Più sicura, più beneaugurante. Ed emergono energie (fisiche e nervose) nuove. Si profila, ecco, tutta un'altra situazione. Anche se la trasferta in Lucania si concretizza in un match affaticato dal campo pesante e da automatismi ancora non perfettamente lubrificati. Il Brindisi, quello sì, è più squadra dell'avversario, appena reinventato e ancora fragile per un campionato come quello appulocampano di serie D. La superiorità di Laboragine (al rientro dopo la squalifica lunga) e soci, però, si sfarina davanti ad un legno colpito pochi attimi prima del fischio finale, di fronte ad una rete annullata a Bartoccini e alla leggerezza palesata, troppe volte, sulla trequarti potentina. La seconda metà della prima frazione di gioco e l'intera ripresa, comunque, sono lì a certificare la predisposizione alla battaglia e la fame del gruppo: ritrovato, da questa angolazione. Forse anche, e il dettaglio non sembra affatto marginale, rinvigorito dal seppur doloroso e recente passaggio di consegne in panchina (Ciullo per Francioso). Quella panchina che, si vocifera, aveva lacerato l'intesa con parte dello spogliatoio. Il motivo migliore per resettare tutto o quasi. E ripartire.

mercoledì 19 dicembre 2012

Il Lecce e l'ansia da risultato

Il Lecce comincia ad abituarsi e abituarci alle prestazioni magre, ansiose, peccaminose. Viagga per Carpi, la casa della ex vicecapolista del girone e, questa, sembra l'occasione migliore per ribadire quel rango e quella forza scheggiate nell'ultimo mese. O, almeno per allontanare le pretese altrui. Servirebbe lucidità, innanzi tutto. E poi serenità. Ancora prima delle virtù più squisitamente calcistiche. Gli emiliani, invece, fanno quello che devono. Ma il Lecce, affranto e intimorito da se stesso, non sempre. Il rovescio non è inevitabile, ma si abbatte ugualmente. E, soprattutto, il cospicuo vantaggio sulle inseguitrici di un tempo si azzera del tutto. La leadership è conservata, seppur in coabitazione (perchè non ripartire da questa certezza?), ma il morale della truppa emigra nel sottosuolo. C'è, in verità, più coraggio nel Lecce visto in Emilia. Ma c'è, ovviamente, una matrice tecnica che stoppa la squadra di Lerda: gente come Giacomazzi, Jeda, Memushaj e Piá vive un momento d'involuzione preoccupante. Poi, la manovra si accentra puntaulmente verso l'ingresso dell'imbuto. Di più: l'insicurezza, il nervosismo crescente e la frustrazione (Giacomazzi, ad esempio, si fa espellere prima dell'intervallo) non aiutano. La mancata corresponsione di un calcio di rigore (intervento su Piá), ancora sullo zero a zero, abbruttisce i pensieri. E il penalty che, invece, offre la vittoria al Carpi, ad un quarto d'ora dalla conclusione del match, fa il resto. Ma è, probabilmente, l'atmosfera che si è venita a creare, nel tempo, attorno alla squadra che rischia di aggredire la quotidianità di un gruppo che sembra essersi spersonalizzato. La proprietà (Tesoro padre), oltre tutto, è stanco e sta per esplodere. Anche se Tesoro junior, il direttore generale, spiega che è inaccettabile pretendere la promozione del Lecce a febbraio (il problema è spiegarlo al presidente, semmai). E, in pratica, il tecnico non è affatto sicuro di superare il prossimo turno (sabato arriva in Salento l'Albinoleffe e non è ammesso neppure il pareggio). Come dire: i risultati incattiviscono gli animi. Ma il surriscaldamento del terreno non attrae i risultati.

martedì 18 dicembre 2012

Il Taranto e l'euforia spezzata

L'euforia della speranza non paga, tante volte. Ed è, questo, uno degli esempi. La stampa che vive quotidianamente attorno al Taranto si era convinta, o forse solamente illusa, che il nuovo corso avrebbe invertito tendenza e prospettive. La lenta assimilazione del calcio in cui crede coach Pettinicchio, la maturazione graduale dei giovani made in due Mari, l'interruzione del rapporto con troppe figure mal sopportate e, da tempo, ai margini del progetto tecnico, l'acquisizione del cartellino di un certo numero di rinforzi (Mignogna e l'argentino Molinari su tutti), l'ultimo successo (in casa, domenica l'altra con la Puteolana, farcito di buone recensioni9 e qualche altro segnale sparso di ricompattamento, probabilmente, avevano alimentato il buon umore della critica e della piazza. Costrette, almeno per un'altra settimana, a pentirsi. E a riflettere. A Francavilla sul Sinni torna il Taranto già conosciuto: quello distratto, quello incerto. Quello che non possiede ancora un'identità. Quello che non si è calato nella psicologia della quinta serie. Quello che subisce in silenzio. Il rovescio (tre a uno) è grave: non tanto per il risultato in sé. Ma, anche e soprattutto, per le condizioni che lo hanno forgiato. E per le complicazioni che possono derivare, dal punto di vista mentale, da una prestazione che neppure l'allenatore, apertamente infastidito, ha voluto commentare dopo il novantesimo. E, certo, non aiuta molto sapere che è proprio Manzella, un tarantino, ex Berretti e nipote d'arte (parliamo degli anni cinquanta, quando il pallone, in riva a Mar Piccolo, era uno svago di qualità ben superiore) a spingere i lucani verso i tre punti. Il Taranto retrocede, sotto l'angolazione del gioco, del modulo, dell'approccio alla partita, dell'interpretazione delle singole situazioni. E il risveglio, questo risveglio, infastidisce. Soprattutto perchè il mercato suplettivo è fatto e, quindi, già andato. E poi perchè non è più opportuno continiuare a scherzare. Oppure, a confidare sul tempo rimasto e sull'evoluzione di una squadra che non decolla. La realtà è quella che sembra: oggi come oggi, i playout sarebbero assicurati. Il disfattismo non serve, ovvio. Ma, in sede di analisi, è illogico scartare i dettagli più evidenti. Oltre tutto, adesso comincia a non reggere più l'alibi di un mercato (il primo, quello estivo) disegnato e gestito da manager sgraditi. Anche se corre l'obbligo di concedere a Pettinicchio e ai suoi il diritto di peccare, all'interno di un processo di lievitazione collettivo. Proprio perchè il Taranto è stato plasmato e poi reinventato in corsa. Per la soddisfazione della gente e della stampa: che necessitano di certezze. Anche a costo di forzare i tempi. E di fronteggiare le controindicazioni  del caso.    

lunedì 17 dicembre 2012

La flessione del Martina

Due cadute, una dietro l'altra, confondono e incidono. E il Martina, di fronte al Pontedera, sembra trascinarsi da sùbito ruggini e pensieri. L'approccio al match è soft e l'avversario - di sufficiente quadratura, ma anche abbastanza ermetico, con cinque pedine in terza linea - può godere di spazi ed autonomia per ritagliarsi il copione. Il legno timbrato dal toscano Regoli, dopo sei minuti, conferma. L'undici ospite fa viaggiare la palla e, talvolta, prova a nasconderla. Di contro, il Martina non accelera, non forza. Il dispositivo di gioco soffre e stagna. Il Pontedera, ordinato e rapido, gradisce. Tendenzialmente, gestisce la situazione. Ma, appena può, punge. Poi, fioccano le proteste martinesi: prima per un calcio di rigore non concesso. E, immediatamente dopo, per un penalty accordato irragionevolmente alla controparte: che approfitta dell'omaggio, ponendo le basi per il successo. Legittimato, peraltro, dalla tonica prestazione dei pisani: almeno sin lì. La gente di Di Meo, allora, cresce in intensità, si arma di un pizzico di grinta: ma l'irritazione e l'orgoglio si spengono sulla traversa sbucciata da Mangiacasale e sulla linea di porta, su conclusione di Gambino. Decide, allora, quel rigore che non c'è: ma Marsili e compagni sono in flessione. La fatica si accentua nelle occasioni in cui occorre fare la gara. Anche perchè la manovra non sgorga come in passato e, in fase di possesso, il terminale offensivo (Gambino) non ottiene l'altrui collaborazione, rimanendo isolato. Il tecnico dovrà cominciare a rifletterci sopra. O a confidare nell'utilità dei rinforzi che potranno arrivare: perchè a una punta di movimento questa squadra, per come è stata pensata e costruita, non può rinunciare. Senza dimenticare le esigenze vecchie (quella di un centrale di difesa) e nuove (un ricambio in mezzo è opportuno: Marsili non è indistruttibile).

venerdì 14 dicembre 2012

Meno sei: e Il Bisceglie ci crede ancora

Punto primo: il Bisceglie, da un po', sembra essersi dotato di una certa regolarità. Che, poi, assicura quella credibilità al di fuori e al di dentro del gruppo: utilissima, quando la società e la squadra continuano a confidare nel domani e a puntare al podio più alto. Anche se la vetta del girone appulocampano di quinta serie è già lontana sei punti. E anche se il leader del campionato si chiama Ischia, cioè una formazione di livello superiore a chiunque e che, anche nelle giornate peggiori, costruisce sempre un numero ragguardavole di occasoni da gol. Alcune delle quali, per la legge dei grandi numeri, si concretizzano fatalmente. Sperare, però, è lecito, finchè la matematica lo consente. E finchè, soprattutto, il Bisceglie riesce a coniugare con profitto le virtù tecniche di parecchi suoi esecutori. A Matera, peraltro, di fronte alla terza forza del torneo, la formazione di Ragno reagisce bene allo svantaggio, disegnandosi una seconda frazione di gioco convincente che prelude al pareggio. Pareggio che, tuttavia, non verrà omologato, per una disattenzione della segreteria del club lucano: il nuovo acquisto De Vezze avrebbe dovuto scontare una squalifica non consumata e, invece, subentra a match in corso. La giustizia sportiva, con calma, offrirà al club stellato altri due punti (per questo parliamo di sei lunghezze di disavanzo dalla capolista: che, altrimenti, sarebbero otto). A proposito, sono proprio i numeri a tenere il Bisceglie sulla scia di Ischia e Gladiator: due sole sconfitte, a fronte di nove successi e quattro pareggi. E trentuno reti realizzate (terzo reparto avanzato dell'intero lotto), a fronte delle quattordici (ma diventeranno tredici, dopo l'intervento del giudice) incassate. Ovviamente, però, qualsiasi passo falso può diventare fatale, già a metà del percorso. E la truppa gestita da un tecnico minacciato più volte dagli eventi dovrà abituarsi a convivere con questa nuova pressione. Del resto, mantenere il ritmo altrui sta diventando faticoso: anche perchè, fuori casa, il Bisceglie non è stato sempre irreprensibile. O, meglio, sempre fortemente ostinato nel recuperare il risultato. Che, da ora in poi, è l'unico dato che conta: senza se e senza ma. E anche l'unico argomento a disposizone per non doversi accontentare, prima del tempo, dei semplici playoff, una storia a parte dai contorni ancora sfumati. Dove non esistono certezze, ma solo supposizioni.

giovedì 13 dicembre 2012

Andria, i complimenti non sono tutto

L'Avellino ci mette il mestiere. E qualche nome grosso. L'Andria, di contro, s'imballa quando è il momento di accelerare. O di reagire. Il risultato, in casi come questo, è scontato. E la gente di Cosco deve arrendersi. Succede davanti al pubblico di casa: e lo stop non aiuta ad emergere. Innocenti e compagni sono sempre lì,  un paio di passi sopra la linea di fuoco, cioè sei punti al di là delle tre concorrenti che chiudono la classifica (Sorrento, Barletta e Carrarese). Ma sempre nel mezzo della lotta per la sopravvivenza. Anche perchè il secondo punto di penalità, piovuto ultimamente per le inadempienze economiche della vecchia gestione, impedisce di agganciare Benevento e Catanzaro, appaiate a quota quindici. Oltre tutto, la squadra dimentica di salutare come conviene l'insediamento freschissimo di Francesco De Pasquale, il nuovo presidente. Che, tra parentesi, promette qualche nuovo ingaggio, a breve. Qualche rinforzo, peraltro, male non farà: malgrado i frequenti attestati di stima che l'Andria riceve dagli avversari, dalla critica e dalla sua stessa tifoseria, che spesso ne apprezza il coraggio o la predisposizione alla lotta (non è il caso di domenica, ovviamente: del resto, il coach, a fine gara, parla chiaramente di una prestazione al di sotto delle possibilità del gruppo). Complimenti sinceri che, però, alla lunga, rischiano di ovattare la squadra o, meglio, di impermeabilizzarla dalla realtà di un campionato che non bada troppo alla forma, prediligendo la sostanza. Anzi, di offrirle domenicalmente lo stesso alibi. L'alibi che - di solito - protegge, invece di stimolare.

mercoledì 12 dicembre 2012

Barletta, adesso è recessione piena

Il Barletta si sgretola: gli attacchi di una classifica avarissima sembrano devastanti. La gente che tifa, ormai stanca, insorge. E consiglia Stringara, seconda guida tecnica della stagione, a ripartirsene per la Toscana: ottenendo, in cambio, un rifiuto. Il tecnico fa sapere che non si muoverà, puntando sul risveglio di una squadra incerta e mordida, incapace pure di fallire l'obiettivo del successo con la Carrarese: che pure condivideva e continua a condivere con Burzigotti e compagni l'ultimo vagone del girone A di terza serie. Pavone, il diesse che ha disegnato il progetto economicamente sostenibile per il club della sua stessa città, invece, si fa da parte. Per un paio di giorni soltanto, però: perchè la società, allontanando le indiscrezioni sulla sopraggiunta incompatibilità con il responsabile di mercato, respinge le dimissioni che avrebbero saputo di resa, di sconfitta. Che avrebbero definitivamente bocciato una programmazione creduta intelligente, ma ormai inadeguata per salvarsi. Almeno, con questi presupposti. Domenica lo attendevamo, il Barletta. Lo attendevano un po' tutti. L'illusione, però, si è spenta a due minuti dalla conclusione del match, recupero escluso. Anzi: due gol di vantaggio al minuto ottantacinque si sono scoperti insufficienti. Indeboliti sicuramente da un penalty concesso generosamente all'avversario. Ma anche cancellati da un atteggiamento, assicurano le cronache, presuntuoso e autolesionista. E che, soprattutto, non si coniuga con le esigenze di un collettivo attardato in campionato e mentalmente in difficoltà. Ma anche bisognoso, a questo punto, di essere sostenuto da nuovi investimenti: che il presidente Tatò pare aver garantito, oltre tutto. Rinnovando vecchi sacrifici che parte della piazza, probabilmente, ha dimenticato. E sconfessando pure certe intime convinzioni del recente passato: anche se, davanti al burrone, parare la caduta è un'operazione automatica.

martedì 11 dicembre 2012

Il nuovo campionato del Nardò

La grinta non manca. Anzi, quella abbonda, se ascoltiamo le parole di rabbia che allenatore, giocatori e società del Taranto hanno tributato sùbito dopo il derby perso in Salento due domeniche addietro. E, probabilmente, non difetta neppure il coraggio. Di crederci, nonostante tutto. Il Nardò di Luca Renna continua a galleggiare con dignità, nelle acque di un campionato approcciato con affanno e poi deglutito meglio, con l'energia di qualche acquisto più mirato. Lo scontro (sotto ogni angolazione) vinto sulla formazione di Pettinicchio prima e il pareggio rimediato, sette giorni appresso, a Battipaglia spiegano chiaramente che il nucleo portante del gruppo granata è attaccato alla maglia e al desiderio di ottenere il traguardo prefissato, ovvero la salvezza. Solo che, adesso, la situazione si complica. E non poco. Il miglior realizzatore della squadra, Majella, ha già optato verso una nuova avventura professionale, che si chiama Monopoli. E, con lui, alla riapertura delle liste di trasferimento, è emigrato qualcun altro. Mentre non si intravedono troppe possibilità di rimediare alle uscite. E di tappare le falle. E' la conseguenza prevedibile del nuovo stato di crisi che sta stringendo il club: abile nell'arginare la recessione per qualche mese, ma - si dice - incapace di fornire, sino in fondo, adeguate garanzie a chi resta. Una sola mensilità pagata dall'inizio della stagione in poi, del resto, è un dettaglio che fa riflettere chi di pallone vive. Anche in serie D. Dove, a metà del cammino, molti equilibri si alterano: spingendo verso posizioni più rassicuranti, magari, chi sin qui ha zoppicato. E depauperando, in altri casi, il patrimonio tecnico di realtà più tranquille. E' il caso della Fortis Trani di due tornei addietro, tanto per rimanere in Puglia. Quello stesso Trani che, peraltro, riuscì a salvarsi ugualmente, seppure ai playout, a dispetto di tanta gioventù inesperta: facendo fruttare il buon numero di punti collezionati nel girone d'andata. Ovvio, il Nardò non parte dalla base protettiva del secondo posto, che aiutò allora la Fortis. E, allora, la salvezza abiterà anche nel cuore e nella determinazione di gente come Vetrugno, Antico o Taurino, che hanno deciso di continuare a sostenere il progetto. Oltre che, ovviamente, sull'organizzazione di una formazione votata alla battaglia e al sacrificio. Perchè, al di là del pareggio beneaugurante di Battipaglia, per il Toro, domenica, è partito un altro campionato. Il suo vero campionato: quello della vita.

lunedì 10 dicembre 2012

Il Monopoli bello non basta

Un altro viaggio gravido di significati. Dove la prestazione è oggettivamente interessante. E irrorata di spunti su cui riflettere. Ma anche di occasioni da gol: quelle che bastano per rammaricarsi del solo punto guadagnato dopo novanta minuti di gioco densi e - però - poco redditizi. A Foggia, il Monopoli gioca da formazione titolata, lasciando la sensazione di aver smarrito un'altra chance niente male. E riscuotendo i legittimi complimenti della controparte (Padalino, tecnico dei dauni, in sala stampa non nasconde la superiorità, sul campo, di Lanzillotta e compagni). Il pareggio, cioè, è poco. E non premia la squadra che, oltre tutto, si ritrova a condurre un derby senza pedigrée, ma ugualmente allettante. E che, come in altre circostanze, finisce per trascinarsi quell'amarezza che si confonde con la stizza. Il Monopoli, ancora una volta, è stilisticamente corretto. Ma, pure in Capitanata, tradisce una certa immaturità: che, teoricamente, male si coniuga con la convivenza nel quartiere più altolocato del campionato. Un campionato, quello appulocampano di serie D, in cui - peraltro - certe gerarchie si sono ormai disegnate. E che solo le grandi manovre di metà stagione (la riapertura del mercato, per intenderci) potrebbero sovvertire. Gerarchie che, al di là di tutto, sembrano salvaguardare le ambizioni del club adriatico, ormai intimamente convinto di poter concorrere ad un posto nei playoff: nella speranza che, in estate, servano a qualcosa (l'anno scorso non fu così, ma la situazione potrebbe essere mutata, nel frattempo). Tanto da aver appena tesserato un'altra punta di spessore come l'ormai ex neretino Majella (a proposito, a Foggia ha già esordito con la nuova maglia). La classifica, del resto, spiega come il torneo sia ormai spezzato in due tronconi: di qua le big, di là le altre (confusamente raggrumate in pochi punti). Match come quelli di ieri, tuttavia, certificano quanto la formazione di De Luca, talvolta, si perda. Polverizzando la possibilità di innestare quella marcia in più. Anche per questo, allora, è consigliabile confidare nel futuro prossimo: ma senza pretendere troppo da se stessi. Libero da qualsiasi assillo, piuttosto, il Monopoli potrà vivere meglio: provando, magari, a dotarsi di furbizia e scaltrezza.

sabato 8 dicembre 2012

Martina, da Salerno solo rimpianti

Meglio di fronte agli avversari importanti. Il Martina, di questi tempi, è così. Le fatiche accumulate contro formazioni meno titolate ed equipaggiate (Fondi e Arzanese, per dirne due) si stemperano in casa dell'Aprilia (qualche domenica addietro) e a Salerno, ieri, nell'anticipo del venerdì: dove la gente di Di Meo si disegna una partita arcigna, intensa. E dove si ritaglia qualche momento di calcio intelligente, provando persino a graffiare, senza alcun timore reverenziale, e stoppando per un po' le velleità della realtà più ricca e potente del torneo. La caduta, maturata poco dopo la metà del primo tempo, proprio nel momento in cui il Martina sembra poter controllare la gara senza eccessivi intralci e con una dose discreta di mestiere (Guazzo, punta di movimento dei campani, si libera al tiro, vincendo un paio di resistenze; Daleno scivola nel momento meno opportuno, davanti alla porta da difendere), è sostanzialmente ingiusta. Ma, almeno, scaccia qualche dubbio sorto recentemente, fortificando psicologicamente il gruppo. Che, evidentemente, ha assorbito l'idea di doversi giocare le proprie fiches con l'aristocrazia del girone meridionale di quarta serie. Soprattutto, in previsione del potenziamento dell'organico (la punta che avrebbe dovuto arrivare ha firmato altrove, ma il club assicura che ne giungerà un'altra, assieme ad un under da piazzare sulle corsie laterali). Dimenticando, però, che i playoff (è lo stesso tecnico che si scopre, ufficializzando l'obiettivo) si conquistano pure superando la media borghesia: che battaglia di più e brilla di meno.

mercoledì 5 dicembre 2012

Venticinque giorni per ridiscutere tutto

La sicurezza, in dosi eccessive, fa male. Blocca la squadra, depotenzia la fame, aggredisce le gambe e la testa. La facilità di espressione, talvolta, corrompe, impigrisce. E, probabilmente, sono proprio la sicurezza e la facilità d'espressione i nuovi nemici del Lecce, che in un arco di tempo di venticinque giorni, sembra aver esaurito ingegno ed energia, bruciando buona parte del vantaggio robusto accumulato nelle prime nove giornate del torneo. La caduta brusca di Salò, domenica, risveglia il gruppo e, magari, pure qualche coscienza. Ma, innanzi tutto, incattivisce la proprietà, che non nasconde di mal sopportare inciampi e fatiche. E che non è sempre disposta a comprendere. O ad assolvere. Fa rumore la sconfitta, che si allinea ad altri risultati non proprio in linea con la marcia svelta che il club aveva ipotizzato o accarezzato. Ma, ancora di più, punge il dato numerico: il quattro a zero finale è brutale, indigeribile. Eppure, l'avversario non è di quelli che spaventano. Anzi, la classifica povera dei bresciani è un altro punto a sfavore. Però la Feralpi morde e riparte. E la squadra di Lerda si lascia trascinare nel vortice dell'involuzione, dimostrando di non aver saputo replicare alle prime difficoltà del percorso. Manovra a parte (emerge un po' di ruggine nella fase di possesso), il problema principale sembra annidarsi negli atteggiamenti. Il Lecce, ad esempio, lascia giocare l'avverasrio, senza intervenire. Sperando che gli allori recenti bastino e avanzino. E' arduo credere che il gruppo si ritenga sin d'ora impermeabile a qualsiasi intemperia. O che pensi di gestire il resto della stagione senza sacrificarsi, abbandonando il concetto di umiltà. Ma, se fosse realmente così, l'errore diventerebbe imperdonabile.

martedì 4 dicembre 2012

Brindisi, confusione e parole sbagliate

Zero risultati, molta confusione. Negli equilibri interni al club e pure tra le parole. Ma è una situazione che, in fondo, riusciamo persino a comprendere: perchè l'esperienza, nel pallone, non si compra negli ipermercati della periferia. E perchè la paura di sprofondare (eufemismo di retrocedere) destabilizza qualsiasi ambiente. Anche e soprattutto una piazza come quella del Brindisi. Dove si vive male da troppe settimane. E dove, negli ultimi sette giorni, è accaduto molto più di abbastanza. Prima la sconfitta pesante di Sant'Antonio Abate, l'ennesima di fila, la scorsa settimana. E poi le dimissioni del tecnico Francioso, respinte dalla società e anzi, lasciate nella segretezza assoluta (ma non è un reato: di più, questo può essere decodificato addirituura come un segno di forza). Quindi, l'intervento del tecnico, piovuto telefonicamente in un salotto televisivo, che svela il particolare negato alla gente che tifa: tanto da costringere il presidente Galluzzo ad addossare una colpa (che non c'è) all'addetto stampa. Pronto, quest'ultimo, a confermare la propria estraneità dalla vicenda, a divincolarsi da qualsiasi responsabilità e a dimettersi. Infine, esattemente avant'ieri, la nuova caduta della squadra, questa volta al Fanuzzi: la Battipagliese passeggia (1-5) e, a fine gara, Francioso rinuncia nuovamente al mandato. Senza successo, da principio: perchè, sùbito dopo, la società cambia parere, accettando la risoluzione del rapporto. Incassando, il giorno dopo, il sì di Totò Ciullo, ormai nuovo responsabile della guida tecnica. Nel frattempo, intanto, Galluzzo litiga con la stampa, macchiatasi del diritto di cronaca. E di critica. Trovando pure il tempo per dettare pensieri affaticati e largamente opinabili («Giochiamo bene, ma poi, se l'aversario tira in porta una volta e ci fa altri quattro gol, che volete da noi? »). Molta confusione, sì. Ma, paradossalmente, anche un primo bagliore di saggezza: perchè, se davvero esisteva conflitto tra l'allenatore e una parte dell'organico, era davvero opportuno scegliere una strategia (via il gruppo di dissidenti, oppure il nocchiero). Paga qualcosa, oltre a Francioso, anche il direttore sportivo Manzari (ora, al suo fianco, c'è Carbonella). Mentre, dalla seconda sessione di mercato, è già arrivato un primo rinforzo (Tedesco), in attesa di altre auspicabili novità (del resto, anche l'argentino Villa ha abbandonato il gruppo, mentre Rizzi è ormai ai margini del progetto). Novità che però, da sole, non basteranno a mitigare la paura e la tensione che si stanno coagulando (e alleando) attorno al Brindisi. Una società, cioè, che necessita di un piano sportivo nuovo e di tranquillità: da cercare dentro se stessa. Senza pretenderla da chi esercita un altro mestiere: quello di informare. E da chi non può ritagliarsi il ruolo di megafono della società.   

lunedì 3 dicembre 2012

Supponente o appagato, il Martina si scolla

Difficile da credere (e da digerire), ma vero. L'Arzanese, formazione mediocre (inguardabile nella prima mezz'ora, più sollevata e credibile nella seconda parte del match) affonda a domicilio il Martina. Che si prende i demeriti del caso. Tuttti. Perchè non rinfranca ricordare che la squadra di Di Meo (priva di un discreto numero di titolari, è vero) non chiude una gara che potrebbe immediatamente e tranquillamente archiviare, per poi gestirla sino in fondo, pur detenendone il pieno controllo: sotto ogni punto di vista. C'è, probabilmente, un pizzico di supponenza che guasta il regolare corso dei novanta minuti. O, probabilmente, è un letale principio di appagamento a sbarrare la strada ad un successo che appare inattaccabile. All'inizio, il Martina è quello che siamo abituati a vedere: efficace, aggressivo. Il gol arriva dopo appena trentaquattro secondi: non c'è Gambino, ma ci pensa Lattanzio. L'avversario, debole e disarticolato, s'industria come può (male), evidenziando lacune tecniche evidenti e impacci grossolani. Marsili e soci, cioè, possono disporre pienamente di tutte le zolle del campo. E, invece, non accelerano: accontentandosi di una supremazia territoriale che sembra ambire più volte al raddoppio, ma che si sfarina puntualmente. Difetta l'istinto del killer: quindi, la partita diventa zoppa. E così, come spesso accade, alla prima occasione l'Arzanese si libera e pareggia. Comincia, allora, un'altra storia: il Martina indugia, si scolla, si spegne, si perde. Il terminale offensivo (Lattanzio) non è un punto di riferimento sostanzioso. L'esperienza di Anaclerio si eclissa (infortunio). La tenuta difensiva è spesso labile (Filosa continua a non convincere). Dalle fasce non sgorga granchè. Il terreno del Tursi si appesantisce sempre più. E, con il tempo, i campani acquistano fiducia, sicurezza: usando al meglio la ripresa, fino ad ottenere il massimo con uno sforzo ridotto. Lo score finale (uno a tre) non lascia neppure troppo spazio alle parole: ma perdere in questa maniera partita e leadership del girone è davvero un delitto. Il peggior delitto, prima della trasferta di venerdì, a Salerno: dove morale e buon umore servirebbero parecchio.