giovedì 28 febbraio 2013

E il Bisceglie ripesca il Foggia

Dell'ultimo Bisceglie si è già detto: collettivo emotivamente svuotato, ormai privo di brillantezza, probabilmente già arrivato in fondo al proprio percorso. E, perchè no, distratto pure dalla sicurezza di aver blindato i playoff a febbraio. Anzi, pure prima. Ma il derby infelice di domenica scorsa provoca reazioni incontrollabili. La sconfitta maturata di fronte al Monopoli precede il disimpegno di patron Canonico, formalizzato a metà settimana. Non sapremo mai, tuttavia, se i due avvenimenti sono strettamente collegati. Forse sì. O forse no: perché la recentissima bocciatura del presidente nella corsa verso il parlamento potrebbe aver acuito, di fatto, la preesistente crisi di rapporto con la piazza. Certo, però, i problemi viaggiano spesso accoppiati. E il Bisceglie sembra scontarli per intero. E non è neppure finita. La situazione si involve velocemente: tanto da consigliare il tecnico Ragno a ridiscutere la propria posizione all'interno dell'organigramma tecnico. Il coach molfettese, domani, farà sapere: ma potrebbe lasciare la panchina. Proprio adesso, nel momento in cui il progetto sta per scollarsi. Facile pensare, a questo punto, che si fermino pure molti big dell'organico: se non altro, è una possibilità concreta. Se così fosse, si farebbe incerto non solo il futuro remoto, ma anche quello prossimo. I playoff, considerati scontati, non lo sarebbero più: all'improvviso. Ottime notizie, cioè, per il Foggia, attuale sesta forza del girone appulocampano di serie D e ancora non rassegnato all'idea di dover rinunciare ai playoff. E che, magari, potrebbe essersi finalmente ritagliato quella continuità di rendimento e di risultati lungamente inseguita. Fuori dai denti, un motivo di interesse in più: in un campionato creduto già scritto, che rischiava di annoiare. Almeno nei quartieri nobili. Come si dice: mai dire mai.

lunedì 25 febbraio 2013

Il Monopoli inatteso, il Bisceglie confuso

Le nubi sembrano abbattersi sul Monopoli: buona parte dell'artiglieria rimane ai margini, perché la giustizia sportiva si accanisce prima su Majella e poi su De Tommaso e Montaldi. E, così, coach De Luca deve inventarsi qualcosa, con quello che gli è rimasto. Qualcosa di concreto e di spendibile, dal momento che la sfida di Bisceglie è notariamente sentita dalla tifoseria. Ma pure sufficientemente rilevante all'interno della contesa che stabilisce la griglia finale dei playoff. Invece, proprio nella domenica teoricamente più ostica di questa porzione di stagione, emerge una squadra corta, compatta, agile, reattiva. Pereyra più Strambelli, davanti, assicurano credibilità e spunti. E un under come Paviglianiti, utilizzato sin qui molto più indietro, garantisce il sostegno dalla corsia di sinistra. Ma, al di là del modulo e degli uomini, è l'atteggiamento collettivo che promuove il Monopoli: sempre alto, anche quando l'avversario s'industria un po' di più e spinge. E sempre abile a dispiegarsi, quando è il momento di sfruttare le ripartenze. Non è mai rinunciataria, la squadra. Non si rintana, ma gioca con intelligenza: fortificandosi, minuto dopo minuto. E appropriandosi legittimamente del derby, nella ripresa: quando il Bisceglie implode nella sua impalpabilità, nella propria rigidità. E quando un infortunio la priva pure di Pereyra. Anzi, è addirittura un altro under, che punta non è, cioè Camporeale, a surrogarlo e, sùbito dopo, a indirizzare la partita con un guizzo vincente. L'attaccante di scorta, ovvero Laneve, rimane in panchina: ma, in campo, Lanzillotta e soci non decodificano il cambio come un tacito desiderio del tecnico di congelare la gara o di preservare il pareggio (ebbene sì, succede spesso). Diciamo anche che, tatticamente, De Luca vince il duello personale con Ragno. I cui cambi, a risultato già compromesso, non aiutano affatto il Bisceglie. Che, addirittura, si allontana dalla realtà, inghiottito com'è da una confusione mentale e da uno scoramento che intaccano le sue fondamenta e indeboliscono gli uomini. Gli errori individuali e di reparto degli stellati, poi, scrivono il resto: tre a zero è uno score rotondo e pesante. E raccontano della metaformosi del Monopoli versione trasferta. Il soffertissimo pareggio di Grottaglie, per esempio, dista appena venti giorni: ma, tra quell'esperienza a questa, ci sono cinque gradini di differenza. Alcuni dei quali, appunto, scalati con l'energia di un approccio diverso al match, peraltro impalcato su un rinnovamento dello scacchiere e delle consegne. Tanto che, magari, qualcuno si sentirà persino autorizzato a pensare all'insospettabile utilità del rimpasto obbligato.

domenica 24 febbraio 2013

La rabbia del Grottaglie ferma l'Ischia

Attende il momento giusto, il varco. Consapevole com'è della propria superiorità, tecnica e strutturale. E certo che, prima o poi, la sua artiglieria pesante troverà il gol. Quello decisivo, che serve a tenere alla migliore distanza possibile chi insegue. Invece, nell'anticipo di Grottaglie, l'Ischia trova un terreno erboso che sprigiona insidie innumerevoli (soprattutto per chi è abituato a costruire) e, soprattutto, un'Ars et Labor tignosa, antipatica, scorbutica e decisamente mal disposta. Dalla graduatoria (la salvezza sta sfuggendo e la rincorsa è già altamente improbabile: sembra davvero l'ultima occasione), ma anche dal ricordo insano del match di andata (nove a uno per gli isolani, a campo invertito: roba da non credere). Episodio, questo, che - diciamolo pure - pungola e spinge la formazione di Pellegrino: oltre ogni comprensibile esigenza di classifica. Gli jonici, ecco, non accolgono troppo bene la capolitsa: rifugiandosi, quando serve, anche nell'ostruzione. E nel fallo: talvolta superfluo, spesso energico (non a caso, finiscono il match in inferiorità numerica: nove contro undici). Ma utile a far capire all'avversario che, questa volta, non si scherza. La capolista, cioè, finisce per imbrigliarsi nelle maglie del Grottaglie, che vive di nervi e stizza. Lottando (e soffrendo, perchè l'Ischia fa soffrire) come deve lottare la terz'ultima del girone contro la squadra migliore dell'intero raggruppamento . E, con lo scorrere dei minuti, la gente di Campilongo si innervosisce. Senza riuscire, peraltro, a passare. Dunque, ricapitolando: cuore e quantità. Esattamente quello a cui deve necessariamente continuare ad aggrapparsi l'Ars et Labor. Una squadra che, però, deve replicare questo tipo di prestazioni anche (anzi, innanzi tutto) di fronte alle concorrenti dirette. Per poi sperare. Obbligando se stessa a disporre, sempre e comunque, della propria aggressività: non solo per istinto di vendetta, ma pure per legittima urgenza.   

lunedì 18 febbraio 2013

Martina, un'altra rincorsa. Riuscita

Inseguimento e sacrificio. Qualche assillo dopo, però, la rincorsa del Martina riesce. E un punto, di fronte ad un Chieti solido, ovvero l'avversario più credibile incontrato sin qui al Tursi, non è neppure tanto male. Soprattutto se il tecnico deve rivedere in corsa le scelte tattiche di partenza. Prima, infatti, c'è il rombo in mezzo al campo: Marsili basso davanti alla difesa, Petrilli tra linee, dietro le punte. E, ai lati, i più sacrificati Memolla e Mangiacasale. Mentre Scarsella si accomoda in panca. La palla circola per un po', ma la manovra si ritrova presto in un imbuto, stretta dall'ordine tattico degli abruzzesi, gente di più che discreta estrazione tecnica, titolare di un fraseggio interessante e, talvolta, persino elegante. Il Martina, è ovvio, cerca di penatrare per vie centrali: e quest'assetto, per definizione, non consente un calcio largo. Il Chieti, invece, le corsie esterne sa usarle: e pure con profitto. Il vantaggio (meritato, che altro dire) nasce così, in coda ad un'azione che sembra la fotocopia della precedente. Occorre, dunque, inventarsi qualcosa. Oppure, tornare alle origini: due punte assistite ai lati. Traduzione: quattro-due-quattro in fase di possesso. Le cose migliori arrivano con questa premessa. La squadra di Bitteto trova così più ampiezza, più spazi e ossigeno, più intensità: impalcando qualche iniziativa di sostanza. L'ingresso, ad inizio di ripresa, di Scarsella aiuta non poco, al di là del sigillo del pareggio: che arriva tardi, ma in tempo. Esattamente quando lievita definitivamente la prestazione di Mangiacasale. E' ancora dura, ecco: nel senso che il Martina non è ancora definitivamente guarito. E che deve ancora trovare la sua seconda identità. Però, qualche situazione diventa un indizio per capire. Questo organico, per esempio, possiede uomini con determinate caratteristiche: quelle sulle quali, del resto, Di Meo aveva organizzato un certo tipo di gioco. Bitetto, giustamente, ha provato sùbito a metterci qualcosa di proprio, in linea con il proprio credo: per ripiegare, dopo mezz'ora, sul passato.

giovedì 14 febbraio 2013

Barletta, brusco risveglio

Il Barletta si risveglia nell'incubo: ritrovando le antiche palpitazioni, le amnesie già conosciute, gli ostacoli di sempre. Di fronte alla Nocerina la realtà si conferma dura: quattro gol (a zero) sono una zavorra pesante, un risveglio brusco. E, sùbito dopo, l'anticipo del Puttilli (dove scende la vicecapolista Avellino) diventa un capitolo traumatico. Perché il doppio vantaggio elettrizza e illude, mentre la sconfitta (gli irpini ribaltano lo score in una manciata di minuti) provoca una serie di reazioni indigeste: la gente che tifa, cioè, torna a contestare e il presidente Tatò pensa di defilarsi nuovamente, dopo la riapertura di credito di metà stagione. Coincisa con la riaperura del mercato, in cui il club ha provato ad operare compiutamente, ottenendo qualche discreto riscontro (l'arrivo di Allegretti), ma evidentemente ancora insufficiente. Fotogrammi dell'ultimo match a parte, il gap che separa il Barletta da tante altre concorrenti appare corposo, anche ad innesti avvenuti. Il protocollo d'accusa coinvolge la prima linea, probabilmente troppo tenera e inesperta per esigere maggiore rispetto, ma non assolve neppure la fase di non possesso, in cui la squadra riesce puntualmente a distruggere quanto ha faticosamente capitalizzato sin lì. Quanto basta per azzerare l'ottimismo messo da parte a gennaio e per ripercorrere sentieri già calpestati: non sono le imprese episodiche a scrivere la storia di un campionato.

mercoledì 13 febbraio 2013

Il Lecce di Toma sorride di nuovo

I primi risultati sorridono ad Antonio Toma. Il Lecce, dopo il cambio di panca, è di nuovo vincente (due match, sei punti: prima vittoria sul Treviso e poi successo sulla Tritium, a Monza). La leadership è riagganciata: adesso è il Trapani, un gradino sotto, ad inseguire. Il buon umore è riemerso, accattivante e palpabile: pure nelle parole e nei pensieri di Savino Tesoro, presidente che non sa nascondere assilli e preoccupazioni. Qualche big fiaccato dal recente momentaccio riacquista un po' di tono e sostanza, oliando l'ingranaggio. Gli episodi, ultimamente nemici, ora girano pure nel senso giusto: domenica, ad esempio, Petrachi neutralizza un penalty, blindando una gara che, peraltro, sembrava chiusa dopo appena mezz'ora di gioco. La manovra sembra lievitata: anche se la squadra, pratica e risoluta, non tiene ancora gli interi novanta minuti, garantendone soltanto la metà. E persino la fase difensiva soddisfa il coach, che non manca di sottolinearlo. Ovvio: le ultime avversarie affrontate non brillano particolarmente. Tanto da occupare gli ultimi due posti della graduatoria. Il Trapani resta un avversario rognoso e, probabilmente, la convalescenza non può definirsi totalmente superata. Ma certi dettagli fanno credere che l'avvicendamento tecnico abbia giovato, all'interno (e, di conseguenza, all'esterno) dello spogliatoio. Dove, da qui in poi, il secondo coach della stagione dovrà però metterci per davvero qualcosa di suo, al di là delle frasi che ama spendere volentieri. Assicurando al gruppo un'identità definitita e duratura. E provando ad imporre quella mentalità che un collettivo costruito per vincere deve esibire. In ogni occasione.

martedì 12 febbraio 2013

Bari, indietro tutta

Difetti dinamici. Involuzione palese. E urgenza di sacrificio e personalità. Due sostantivi che, fusi e tradotti, possono essere riassunti in un unico vocabolo: attributi. Torrente, responsabile primo del Bari che naviga ormai ufficialmente nei mari della crisi, stabilisce alcuni punti dai quali partire per parlare del momento storico della sua squadra, sconfitta ancora una volta in casa propria (proprio sabato, dal Varese) e, quindi, risucchiata totalmente nel gruppo che chiude la classifica. E già: perchè, adesso, sono proprio alcuni numeri a descrivere minuziosamente il problema. Al di là della penalizzazione. Cinque sconfitte ormai contabilizzate sull'erba amica, ad esempio, sono un indicatore serio di disagio. Come i soli tre successi collezionati nelle ultime diciassette partite: in coda, cioè, all'esordio convincente di un organico allora entusiasta e, probabilmente, anche sfacciato e, successivamente, scopertosi impaurito e ammosciato. Al quale, prima, riusciva tutto e, adesso, molto poco. Cifre che pure si scontrano con altre: le otto vittorie confezionate (le stesse del Padova, per capiurci), le trentadue realizzazioni (due in meno di quelle del Varese, quarto in classifica) e le ventinove marcature subite (hanno fatto meglio solo Sassuolo, Verona, Brescia, Varese, Ternana e Padova: nell'ordine). Statistiche a parte, però, la regressione è di forte matrice psicologica, ma anche tecnica. Con l'abbondanza di punte (ora c'è anche Ghezzal, ristabilitosi dall'infortunio), il Bari ha contestualmente perso brillantezza in avanti. Caputo non è lo stesso giocatore visto in autunno, Iunco non sta rendendo per quello che potrebbe e l'impego di Tallo non ha impreziosito il lavoro corale. Anche Bellomo sembra aver smarrito l'antico smalto. Il tridente proposto nell'ultimo match, infatti, non ha assolutamente convinto: tanto che qualcuno reclama una squadra a due punte, che possa irrobustirsi nel mezzo. Forse, anche la partenza di Borghese potrebbe aver disorientato la linea difensiva. Passata, nel frattempo, da una linea di quattro pedine a un assetto a tre. Attorno, infine, l'atmosfera non è affatto leggera: la società è sempre più distante e il rischio di una nuova penalizzazione (un paio di punti, perchè no) si avvicina minaccioso. Il diesse Angelozzi, intanto, assicura che le vicende del club non inficiano sul rendimento in campo, si duole della scarsa aggressività del gruppo, chiede umiltà e lancia qualche messaggio tra le righe. Uno per tutti: il Bari, sul campo, non cura i dettagli come una volta. Verrebbe da pensare, così, ad un collettivo ostaggio della propria supponenza, fuorviato dai risultati immagazzinati in avvio. Se così fosse, non sarebbe intralcio da poco. Non sembra, oltre tutto, una dichiarazione morbida. Che l'allenatore dovrà decodificare e soppesare. Il tempo degli sconti e dei saldi, evidentemente, è passato.

venerdì 8 febbraio 2013

Trani, game over

Game over. Giochi chiusi. E' tutto già finito: e siamo appena a febbraio. Il Trani affoga nella pochezza del suo attuale progetto tecnico, nelle troppo frequenti (ancorchè obbligate) rivisitazioni del'organico, nel vortice del ballo di una panchina indomabile (a proposito: da un po' c'è un nuovo trainer, Aquino, successore di Loconte), nel dramma finanziario deflagrato negli ultimi mesi, nelle zuffe verbali ingaggiate con l'amministrazione comunale e con i gestori dello stadio, nelle sabbie mobili di una classifica che non può dare ragionevolmente più niente. L'ultimo posto del girone, spartito e scambiato con il Potenza sin dall'inizio della stagione, adesso è una disgrazia irreversibile. Lo scontro diretto disputato e perso sotto la neve, in Lucania, domenica scorsa è la colonna sonora dei titoli di coda. Da ultima speranza spendibile, il match diventa pietra miliare del fallimento, di una retrocessione ormai scritta. Troppo lontano è il Grottaglie, già di suo lontanissimo dalla salvezza: che si cominci pure a pensare al futuro, ammesso che esista. Al prossimo campionato di Eccellenza, sempre che il titolo sportivo non affondi prima. Ad un assetto societario più solido: purchè Abruzzese, presidente in difficoltà, trovi qualcuno disposto ad investire, dopo di lui. Senza poter contare, oltre tutto, su una struttura pienamente fruibile: in grado, ad esempio, di accelerare il processo di ricostruzione del settore giovanile, necessario per impalcare le fondamenta di un nuovo ciclo. Comunque vada, però, non si avvertirà il bisogno di resettare tutto: a Trani, calcisticamente parlando, non è rimasto più niente.

giovedì 7 febbraio 2013

Il nuovo obiettivo del Bisceglie

Due settimane: è il segmento temporale sufficiente per capire che non è più il momento di insidiare la prima piazza, di rincorrere l'avversario che sfugge, di pensare alla promozione diretta. Troppo robusto, l'Ischia. Ma, innanzi tutto, continuo. E forte della capacità, praticamente inesauribile, di costruire insidie in serie, contro qualsiasi avversario, domenica dopo domenica. E, poi, ormai troppo confuso è il Bisceglie: che prima perde a Taranto (nei minuti che precedono immediatamente l'archiviazione del match, è vero) e dopo si fa imporre il pari, al Ventura, da quel Nardò grintoso e fiero che non smette di ringhiare. La distanza tra il vertice e la treza poltrona, così, si allarga eccessivamente: disfacendo anche la migliore delle intenzioni, l'ottimismo più spinto. E adesso conta poco, persino, sapere che il match tra la Puteolana e l'Ischia, già vinto in prima battuta dagli isolani, sarà ripetuto. Anche perché, evidentemente, la formazione gestita da Ragno ha preso atto di una verità: mantenere soltanto il passo è già un assillo. Figuriamoci recuperare strada. Malgrado i nomi interessanti che innervano un organico importante e lo spessore della prima linea. Lo stesso allenatore ha ufficializzato il nuovo obiettivo: cercare la posizione migliore nella griglia dei playoff. Una dichiarazione di resa. Oppure, più semplicemente, un'ammissione di consapevolezza dei propri mezzi e del proprio campionato, ostacolato da quella brutta abitudine di specchiarsi, molto spesso, nelle proprie grazie e di dimenticare le ragioni della concretezza.

martedì 5 febbraio 2013

Monopoli, in trasferta è più dura

Il Monopoli più censurabile degli ultimi tempi si aggrappa a Majella e recupera un punto al fotofinish, senza meritarlo per davvero. Ma la trasferta di Grottaglie è sostanzialmente infelice. Anche perchè certifica quel vizio della squadra di De Luca, ormai antico, di accontentarsi del proprio status: che si nutre della tranquillità della quinta piazza. Praticamente prenotata: da mesi. Lontano dal Veneziani, a dispetto di tanti risultati anche gratificanti, Lanzillotta e compagni si dimostrano, cioè, spesso fragili. Finendo per rimandare sistematicamente l'assalto a poltrone più ambite. E per invalidare i benefici ottenuti sull'erba di casa. La prestazione di domenica, oltre tutto, segue la brillante e convincente affermazione ricavata sul Matera, un avversario diretto in proiezione playoff, esattamente sette giorni prima. Il Monopoli, invece, al D'Amuri soffre in mezzo al campo, dove la quantità dell'avversario si fa preferire. La scelta delle tre punte più Pereyra sulla linea dei mediani non paga: Lanzillotta e Marini, meno presenti del solito, non bastano. E, nella prima parte di gara, è evidente il solco che separa il reparto dalla difesa. Proprio lì, allora, il Grottaglie ammassa i palloni che gli servono per condurre il gioco, per fare il match. E' scollegato, il Monopoli: al di là di assenze significative quali possono essere considerate quelle di Strambelli ed Amato. Ma anche meno mobile e meno rapido degli jonici. E tatticamente pure abbastanza compresso (la manovra non si allarga mai sulle corsie esterne). Decidono i colpi del singolo: nello specifico, Majella. Che sembra essere definitivamente entrato nel ruolo assegnatogli e negli schemi (adesso, peraltro, sembra difficile impedirgli di aspirare legittimamente alla maglia di titolare). Quegli stessi schemi che, tornando al discorso di partenza, la squadra non riesce sempre a duplicare in trasferta. Dove i pareggi arrivano copiosi e, di contro, i successi sono rari: malgrado la differenza di caratura tra la gente di De Luca e buona parte delle concorrenti. Che la classifica, del resto, conferma prontamente. Il coach, ovviamente, non gradisce l'ipotesi del rilassamento, che qua e là affiora, ad intervalli regolari. Però, almeno a Grottaglie, un dubbio sorge spontaneo: l'approccio al match, vagamente superficiale, potrebbe aver trattenuto il Monopoli nella rincorsa al quarto posto, che sembrava (e ancora sembra, per la verità) alla portata. Impedendo, un'altra volta, il salto di qualità.

lunedì 4 febbraio 2013

Grottaglie, solo rabbia e un punto

Il grigiore di sempre. Nell'espressione numerica dei risultati e tra le geometrie disegnate sul campo. Gennaio come dicembre. E novembre. E classifica, ovviamente, sempre più precaria. Attorno, infine, un assillo in più: il pericolo di non poter puntare neppure sulla scappatoia dei playout. Impossibili se, alla fine della regular season, il divario con la sest'ultima dovesse alimentarsi oltre gli otto punti: cioè, un'ipotesi niente affatto improbabile, per come vanno le cose nei bassifondi del girone appulocampano di serie D. Ma il Grottaglie, a febbraio, si rianima. In una di quelle gare ritenute tendenzialmente più ostiche. Di fronte, il Monopoli (chè è pur sempre, con merito, la quinta forza del torneo) rischia parecchio e si salva solo all'ultima palla utile, collezionando un punto che va oggettivamente largo. E non solo perché il secondo pareggio, quello definitivo (bravo, comunque, Majella a difendere palla e a colpire con freddezza e precisione) arriva proprio in coda ad un lungo (e, forse, esagerato) minutaggio di recupero. Ma, soprattutto, perché la formazione di Pellegrino (anche se, in panca, siede il secondo Piroscia) è più viva, quadrata, meglio disposta al confronto. Per tutti i novantasei minuti. E anche sufficientemente continua, all'interno di una partita che sembra ormai vinta e che, invece, sfuma atrocemente. Il due a due finale premia ingiustamente la formazione di De Luca e, contemporaneamente, sembra affossare l'Ars et Labor: che approccia la contesa con maggior convinzione, con più personalità. Tanto che il temporaneo ed episodico sigillo dell'uno a uno viene aggirato e bypassato in pochi secondi: segno che la squadra, dopo un lungo periodo di digiuno, sembra aver acquisito tonicità e robustezza. Niente da fare, invece: un punto solo fa rabbia e, dispiace dirlo, sa di poco. A meno che il Grottaglie non abbia raggiunto, all'improvviso, il momento della sua maturazione definitiva. Ovvero, l'unico requisito che permetterebbe a Vitagliano e soci di pianificare la rimonta in prospettiva playout. E' l'ultima occasione utilizzabile: tempo non ce n'è più.

venerdì 1 febbraio 2013

Bari, un campionato tutto nuovo

L'ultima fatica è anche una sconfitta che apre un capitolo sconosciuto, sino ad ora. Il Bari si arrende, oltre tutto in casa, all'Ascoli e si lascia scivolare addosso una classifica divenuta, nel frattempo, preoccupante. Non tanto, lo ricordiamo ancora, per zoppie congenite, ma per la crudeltà della penalizzazione. Che, tuttavia, aritmeticamente vale e, anzi, impera. La trasferta di domani, a Terni, si fa improvvisamente delicata. Forse anche perchè, là dietro, si sono rinforzate tutte: dal Vicenza alla Reggina, dal Cesena alla Pro Vercelli, dal Lanciano al Grosseto. Proprio mentre il club dei Matarrese, angustiato dagli assilli della liquidità, si è limitato negli acquisti (c'è, però, Andrea Rossi, un difensore). Perdendo, peraltro, le prestazioni di Borghese. Anche tecnicamente parlando, tuttavia, la squadra di Torrente appare in recessione: adesso è meno tonica, probabilmente si è un po' distratta, magari è venuta a mancare anche quella facilità di espressione che aveva colorato la prima parte della stagione. E che si è trascinata con sè una bella fetta di allegria. Lo sforzo serio di quattro mesi, poi, non è riuscito a mantenere l'impermeabilità all'ansia e all'apprensione: e, psicologicamente, questo si paga. L'attuale quart'ultimo posto non ripaga il gruppo e, probabilmente, lo addolora. E lo demoralizza. Ci può stare. Eppure, è proprio questo il momento di mostrare la maturità del gruppo. E di permutare l'antica spensieratezza dell'incoscienza e la leggerezza dell'euforia con la fatica muta e il calcolo. Che, generalmente, soccorrono all'ombra dell'urgenza. Giusto: molto spesso, per chiunque, il girone di ritorno segna un passaggio epocale, all'interno dello stesso torneo. Ma, davanti al Bari, si è spalancato un altro campionato: per davvero.