lunedì 29 aprile 2013

Martina, si fa dura

Basta metà Salernitana (Perrone rinuncia, forzatamente o per scelta, a gente come Ginestra, Guazzo, Perpetuini, Chirieletti e Mounard, per esempio) per zittire il Martina. E non è sufficiente neppure un Perina assolutamente ispirato per bloccare la capolista. Che, da capolista, gioca e s'impone. Con autorevolezza, sicurezza, naturalezza. Disponendo, sin da sùbito, della palla: e lasciando all'avversario scampoli di match. E sì che le assenze abbondanti, nella formazione di Perrone, avevano autorizzato l'ambiente a confidare in un risultato di prestigio e, al contempo, utilissimo per aggiungere un altro tassello al mosaico della permanenza. Niente da fare, invece: i campani fanno di più e meglio. Gestendo la partita, passando in vantaggio e non offrendo mai la sensazione di scomporsi o di sgonfiarsi. La gente di Bitetto mantiene i ritmi alti imposti dalla Salernitana, ma non imbastisce mai un'autentica occasione da gol. Gambino cerca soluzioni giocabili, ma è sempre lontano dalla porta. Mangiacasale non salta mai l'uomo. Petrilli è opaco. Ancora, impiegato dall'inizio (Anaclerio e Rana, neppure convocati, galleggiano ormai ai margini dei pensieri del coach), è etereo e la sua partita dura appena quarantacinque minuti. Scarsella, in mezzo al campo, è schiacciato dal potere ingombrante di Zampa, Montervino (fin quando i muscoli tengono) e Adeleke, un '91 che calcia ottimamente con entrambi i piedi. Fiorentino e Filosa sbagliano molto. Gambuzza sgomita, ma soffre. Logico che non sgorghi calcio. E ovvio che la squadra finisca con il subire sino in fondo. Decide un acuto di Capua, prima dell'intervallo: anche se la deviazione di Filosa appare determinante. E la salvezza, così, è ancora tutta da conquistare: prima a Pontedera, domenica prossima, e poi nello scontro diretto con i toscani del Borgo a Buggiano, al Tursi. I soli due punti di vantaggio conservati sulle sest'ultime (Arzanese e, appunto, Borgo a Buggiano) non tranquilizzano. Come non tranquillizza il debole speso specifico di una squadra che, al di là del successo recuperato sette giorni prima proprio ad Arzano, sembra mentalmente logorata e persino svuotata. Cioè, in cronica difficoltà. Anche e soprattutto davanti: dove manca chi possa incidere, graffiare. Anche numericamente parlando.

martedì 23 aprile 2013

Il Lecce tiene il passo

Il Lecce bussa (sconfitto il Feralpisalò), il Trapani risponde (uno a zero sul San Marino, nella Repubblica). Il vantaggio dei siciliani (due punti) resta, dunque, invariato: ma il campionato di terza serie si accorcia di un'altra settimana. Ormai è battaglia dichiarata, punto su punto: come nelle previsioni. Ed è guerra fondata sullo sfruttamento degli episodi, delle risorse fisiche, atletiche e nervose. E finirà, sembra di capire, all'ultimo minuto dell'ultimo match (ne rimangono tre). Intanto, la formazione di Toma sembra imporsi con facilità, come sembrano testimoniare i tre gol inflitti ai bresciani: ma occorre attendere una grave indecisione dell'avversario, per sbloccare lo score. E affidarsi ad una prestazione di sostanza, che limita qualche disfunzione. Eppure, il successo non entra mai nell'elenco degli argomenti in discussione: soprattutto quando Falco - parole del tecnico - si allarga, evolvendo la manovra. La squadra, tuttavia, rafforza la propria impermeabilità: che non è cosa da poco, a questo punto del cammino. La porta del Lecce, cioè, è inviolata da cinque partite: dato da accarezzare con cura per tentare l'assalto finale alla prima piazza, che consente l'accesso diretto alla B. Traguardo niente affatto scontato per i siciliani, che domenica si affacciano sul campo dell'Albinoleffe, complesso che attraversa un periodo di piena salute. E tutto da guadagnare per Giacomazzi e compagni, che rendono visita alla terza forza del torneo, il Sudtirol. E che, giorno dopo giorno, stanno imparando a calcolare il rischio del logorio psicologico e il peso dell'ansia. Di cui si accorgeva, già sette giorni fa, lo stesso Toma: lamentando la condizione di inseguitore, malgrado la media di due punti e mezzo fatturati in ogni gara. E la sua condanna: quella di dover recuperare il terreno perso ai tempi della precedente gestione tecnica. Omettendo, però, il concetto essenziale, ovvero le difficoltà patite, praticamente a metà campionato, da Franco Lerda: senze le quali, ovviamente, Toma non avrebbe abbandonato la panca della Berretti e non si sarebbe ritrovato a condurre la rincorsa.

lunedì 22 aprile 2013

Foggia, c'è sempre tempo

C'è sempre tempo per rincorrere. Almeno sino a quando l'aritmetica lo consente. E l'avversario diretto (il Bisceglie, cioè) lo permette. Perdendo troppi punti in poco tempo (ieri, tutti e tre, in casa, di fronte al Matera). C'è sempre tempo per sperare. Se un pizzico di continuità, dopo una decina di prove fallite, comincia ad assistere chi insegue (il Foggia): che, alla fine, ci crede pure. Con il conforto dei fatti, ovvero dei risultati (la squadra di Padalino, ora, viaggia persino veloce). E c'è sempre tempo per ricredersi: noi per primi, che nella scalata dei dauni verso il quinto posto e i playoff non avremmo scommesso affatto. Ma il successo di Monopoli cambia oggettivamente le prospettive di Agnelli e soci: a soli due punti dal traguardo a centottanta minuti dalla conclusione dei giochi. Però, con tanto buon umore da spendere. Proprio mentre la paura, i dubbi e lo scoramento cominciano ad impossessarsi della concorrenza. Vero è, anche, che il Monopoli serve al Foggia la partita ideale: perchè si schiera, sin dall'inizio, con circospezione e atteggiamenti blandi. Attendendo (anche parecchio), invece di incidere (se non altro, perchè gioca sull'erna di casa). Presidiando un risultato che, così, non può raggiungere. Gli ospiti giocano di più e meglio: dispongono della linea mediana, imbastiscono e sprecano più di qualcosa. La gente di De Luca si chiude, si lascia stringere. E l'atteggiamento tattico non aiuta: dietro, tre centrali più due laterali significano cinque uomini, a fronte di una punta (Giglio) e mezza (Leonetti). Mentre, in mezzo al campo, gli arretrati e spaesati Strambelli e Montaldi soffrono. Notoriamente, il Foggia soffre, se attaccato. E incalza, se agevolato nella costruzione: esattamente quello che accade. Il Monopoli delude: per intensità e dinamismo. Sembrando scarico. Certo, la quantità non basta: e il Foggia deve accontentarsi della semplice supremazia territoriale. Il coach di casa, anzi, poco prima dell'intervallo comprende che qualcosa di meglio è possibile: spazio al 4-3-3. Ma, evidentemente, l'impasse non è di esclusiva natura tattica: la manovra resta vaga, sfilacciata. Malgrado dal piede di Camporeale nasca la palla che si infrange sul palo. In dieci, poi, sembra tutto più difficile: Lanzillotta si fa espellere e lascia il campo stizzito con la panchina. Il vantaggio del Foggia, tuttavia, è destinato a concretizzarsi, prima o poi. E si materializza, paradossalmente, in situazione di parità numerica, ristabilita dal cartellino rosso rimediato da Agostinone. Più tardi, i dauni raddoppieranno, con piena facoltà. E legittimamente. Riaprendo, di fatto, una storia (massì, quella dei playoff) creduta già conclusa. E obbligando il Monopoli a guardarsi dentro. La sensazione, però, è che il campionato della quarta forza del torneo si sia chiuso sùbito dopo il successo storico ottenuto sul Gladiator. Nel momento più bello.

giovedì 18 aprile 2013

Il Barletta ritrova il sorriso

Un punto quando càpita: è la realtà di chi soffre. Come il Barletta: per cui, ultimamente, il campionato non è cambiato affatto. Nessuna novità sostanziale. E non troppi argomenti da vantare. La formazione di Orlandi, malgrado qualche recente segnale di compattamento (ma, facendo i conti, poco suffragato dai risultati) era ancora sul fondo della classifica, a contendersi la penultima (e la terz'ultima piazza) con Sorrento e Carrarese, compagne di viaggio ormai inseparabili. Poi, all'improvviso (o, magari, no), il successo - persino rumoroso, robusto - sul Prato, proprio domenica scorsa (tre a zero): in coda ad una prestazione assai più tonica delle precedenti e ad una gara affrontata dai toscani - va detto - in piena emergenza. Quanto basta per riaccendere il sorriso e per recuperare posizioni e morale. Il tecnico rimescola lo scacchiere di partenza, come fa abbastanza spesso e anche giustamente (gli uomini sono quelli: eppure, occorre trovare soluzioni spendibili sul momento), ma appare molto più incisiva la concretezza recuperata nell'ultimo mese da una squadra che non abbaglia, ma che adesso, almeno, perde poco (una sola volta, da quando è in panca Orlandi, cioè da cinque giornate). Inventandosi, così, un finale di stagione più credibile: perchè non sempre ci si può affidare alle sventure e allo spirito autolesionistico delle concorrenti (il Sorrento affoga impunemente, riuscendo a sbagliare tutto e anche di più). Ad un punto del cammino in cui nemmeno la più ottusa delle squadre può permettersi di continuare a nascondersi dietro il paravento dell'inesperienza o dell'ingenuità.

mercoledì 17 aprile 2013

Grottaglie, speranze finite

Il Foggia è il Foggia: spesso incerto, sicuramente discontinuo, ma pur sempre robusto, se assistito da un minimo di ispirazione. E il Grottaglie è il Grottaglie: a disagio, se attaccato frontalmente. Troppo morbido, se infilato agli albori del match. E ormai in via di liquidazione. Cinque gol di differenza fanno la storia di questo derby senza passato. E chiudono, una volta per tutte, la porta della serie D alla formazione di Claudio Pellegrino. Un risultato diverso, sia chiaro, avrebbe cambiato poco. Sia detto per una questione di serietà, innanzi tutto. La retocessione - non ancora aritmetica, ma virtuale - dell'Ars et Labor possiede radici più antiche e affonda nella realtà sconnessa di un campionato nato zoppo e confermatosi, settimana dopo settimana, assai arduo da scalare. Un paio di successi, quelli recentemente conquistati da Vitagliano e soci, avevano ravvivato qualche lontana speranza di agguantare i playout, ma - pensandoci bene - non avrebbero oggettivamente potuto trasfomare la stagione. Scandita, lo sappiamo, dalla ristettezze economiche (non a caso, il Grottaglie ha persino rischiato di non presentarsi, in Capitanata: sciopero scongiurato, comunque) e poco rivalutata dal leggero e, probabilmente, tardivo restyling tecnico di metà torneo: arrivato, cioè, a classifica già abbastanza deteriorata. Si chiude, dunque, un ciclo. Lungo. Segnato da tanti campionati di quinta serie, quasi tutti archiviati con legittima soddisfazione. Impostati, spesso, sul vivaio del club. E mantenuti con passione, malgrado le lotte intestine maturate recentemente e più in là nel tempo all'interno della società. E se ne dovebbe aprire, intanto, un altro: eventualità niente affatto scontata, peraltro. Perché troppe nubi si addensano, sin da oggi, sul Grottaglie che sarà. E che, però, potebbero velocizzare il processo di riappropriamento di un settore giovanile efficace e prolifico: esattamente quello che serve per ripatire dall'Eccellenza. E per contenere la crisi.              

martedì 16 aprile 2013

Nardò, cercasi stimoli

Il disagio finanziario del club resiste: perché l'auspicato rinnovamento, dietro le scrivanie, non decolla. La corresponsione degli stipendi tarda ancora: e la squadra attende persino la mensilità dell'ultimo novembre. La Commissione Accordi Economici, anzi, impone al Nardò di saldare vecchie questioni. Mentre, ormai, la sfiducia si impossessa della formazione di Vito Sgobba: la più deludente, dal punto di vista dei risultati ottenuti da febbraio in poi. Escludendo, ovviamente, Trani e Potenza, cioè le peggiori dell'intero lotto del girone appulocampano di quinta serie. Va male anche nel derby di Taranto (uno a quattro): e non potrebbe essere diversamente, considerando il buon momento tecnico e ottimo l'umore che arricchiscono il rush finale degli jonici e la stizza conservata in riva a Mar Piccolo per mezzo campionato (le vicende sgradevoli consumatesi nel match di andata, in un certo senso, vengono ripagate con una prestazione sentita, che non concede nulla alla disperazione dell'avversario). Non c'è partita: che la gente di Pettinicchio doma dopo appena sette minuti di gioco. E non c'è sufficiente reazione in un collettivo stanco, demoralizzato e minato nelle fondamenta. La situazione, oggettivamente, si complica: anche perché le dirette concorrenti alla salvezza diretta collezionano score importanti (e, diciamolo pure, imprevisti), sulla spinta delle motivazioni che - di conto - qualcun alto non coltiva più (l'Ischia perde a Francavilla e il Bisceglie cade a Pozzuoli: quasi impensabile, in altri periodi della stagione). Anche per questo, forse, il gruppo imprenditoriale interessato a rilevare il club interviene con un comunicato stampa, promettendo di azzerare la situazione d'impasse: a patto, però, che l'amministrazione comunale collabori fattivamente e, soprattutto, Vetrugno e compagni riescano a conservare il titolo di serie D. Siamo, cioè, alle estreme soluzioni, al tentativo di riscatto degli stimoli rimasti. In un ambiente che, evidentemente, si sta progressivamente abituando all'idea di disputare i playout, ritenuti abbastanza improbabili sino ad un paio di mesi addietro.

domenica 14 aprile 2013

Bari, diciannove minuti di fuoco


Affonda e risorge, il Bari. Nello spazio di novanta minuti. O anche meno. Sotto di tre, rimonta e vince in poco più di un quarto d'ora: il quattro a tre della formazione di Torrente porta il sapore del match storico. Il Lanciano crede troppo presto di aver passeggiato al San Nicola. E il risveglio è scabroso. Gli abruzzesi affondano con facilità: e si ripetono. Il primo tempo accarezza l'undici di Gautieri e sbugiarda le amnesie di Caputo e compagni. Sembra una partita segnata: ma Sciaudone imposta la rincorsa, appaltata anche sulla rabbia e sul sacrificio. Gli accadimenti dell'ultimo sabato, tuttavia, ratificano la sensazione dell'ultimo mese: questa squadra ha riconquistato ardore, colore e vivacità. Continua ancora a complicarsi il cammino, appena può: ma il collettivo, adesso, è vivo e reagisce alle sollecitazioni. Talvolta, persino, riesce a riprodurre buoni scampoli di calcio. E, comunque, sgomita e ringhia: provando seriamente ad allontanarsi da quelle posizioni scomode che portano, nei migliore dei casi, ai playout. La parentesi buia potrebbe essersi esaurita qui, eppure è meglio non fidarsi delle apparenze. E ripiegare, piuttosto, sull'entusiasmo ritrovato da un gruppo che ha saputo combattere la recessione senza potersi appoggiare sulla comprensione altrui (la tifoseria è sempre un po' distante, la società anche). Sorprendendo, pure. Anche e soprattutto chi già scommetteva su un Bari disarmato e perso, senza più carburante e stimoli, senza prospettive. Ma, al contrario, in grado di toccare quota cinquanta, almeno sul campo. E, allora, chapeau: qualsiasi sia il responso finale.

martedì 9 aprile 2013

Taranto, squadra da derby

Bene il Monopoli, per i primi venti minuti: personalità, voglia e anche un po' di foga. Quella foga che, peraltro, sbarra la strada al vantaggio. Ma il Taranto non si apre, non si concede, resiste con pochi assilli e non sbanda. Con il tempo, anzi, si solidifica: facendo la sua gara, onestissima. De Tommaso, tarantino che gioca contro il club del suo passato, dei suoi desideri e, probabilmente, anche quello del proprio futuro, sente il match, anche troppo: E, con lo scorrere dei minuti, si confonde. Come si confonde, del resto, la manovra della formazione di De Luca. Poi, il gol. Quello degli jonici. Quello di Grieco, difensore giovane che studia per migliorarsi e per garantirsi la riconferma, cioè l'accesso al progetto che verrà: e che vuole il club bimare, sin da ora, protagonista del prossimo campionato. Quel gol che spacca la partita e la indirizza. Il Monopoli, chiaro, non ci sta. Riprende a giocare. A tenere palla. Costruisce anche qualcosa, ma non sa incidere. Non offrendo, però, mai l'impressione di poter pareggiare il derby. Che, così, finisce per regalare (forse, non aritmeticamente, ma ragionevolmente) la salvezza all'undici di Pettinicchio. Successo senza macchia, dunque. E senza paura. Vicedomini e soci, tra l'altro, confermano la propria perizia nelle sfide regionali (dopo le vittorie di Trani, Grottaglie e Brindisi, ecco anche quella al Veneziani). Mentre Lanzillotta e compagni distruggono un'occasione interessantissima per attaccare il Gladiator, ormai in seria difficoltà psicologica (un punto nelle ultime tre sfide: sembra in caduta libera). Ma il torneo continua: e tutto resta assolutamente possibile. Intanto, qualcosa si muove al lato del campo. A Monopoli (c'è un nuovo presidente, Mastronardi, e stanno per arrivare nuovi investitori) e anche a Taranto. Dove si rincorrono troppe voci. Neanche troppo tenere. E, probabilmente, costruite anche per ferire. Intanto, il vecchio presidente (Zelatore) si riaffaccia, lasciando intendere di voler riappropriarsi della poltrona di comando. Ma lasciandosi accompagnare da vecchie figure poco gradite alla piazza. Nardoni, attuale numero uno del club, rilancia: auspicando una convergenza di interessi. Nel frattempo, il barlettano Di Cosola, imprenditore interessato a sbarcare sullo Jonio, preme ancora e vorrebbe entrare in società, trovando la resistenza di una parte (o di tutta) la struttura dirigenziale in carica. Proprio nel momento in cui, appunto, si moltiplicano indiscrezioni maligne: così com'è, cioè, il Taranto non avrebbe la liquidità per puntare al professionismo. Di sicuro, tuttavia, gli stipendi sono coperti puntualmente  i fornitori soddisfatti di tutto. Non è accaduto spesso, in riva a Mar Piccolo. Adesso, comunque, si decide il domani. E troppe chiacchiere non aiutano. Anche per questo, l'ambiente deve stringersi: attorno al Taranto. Per scongiurare il ritorno verso il passato. Verso un certo passato, soprattutto. Che possiede determinati nomi e cognomi, magari.

lunedì 8 aprile 2013

Martina, pari al fotofinish. Con ansia

C'è qualcosa, nel ménage quotidiano del Martina, che non convince. E non è soltanto una questione di risultati. Qualcosa - se non altro, è un sospetto - si è rotto. Negli equilibri, prima di tutto. Tra la squadra e il campo. Ma anche tra la società e la squadra. Marsili, ad esempio, ha salutato il gruppo nel corso della sosta. Disimpegnandosi molto prima della fine del campionato. Un campionato che non è affatto chiuso, peraltro. Soprattutto perché, fa male dirlo, la salvezza non è ancora raggiunta. E sì: visto che di salvezza adesso occorre parlare. Fattivamente. Dimenticando che la distanza di Gambuzza e compagni dalle quint'ultime (cinque punti) è la stessa che intercorre dal sesto posto (anche quello, per la cronaca, dà diritto di accesso ai playoff). Marsili, era evidente, accusava un po' di fatica, da tempo. Dopo essersi ritagliato una stagione preziosa: per lui e per la formazione allora gestita da Di Meo. Calato Marsili, diciamolo pure, si è sfilacciato progressivamente anche il Martina. Che, lo ripetiamo ancora, non ha saputo - nel frattempo - ovviare alla partenza di Del Core: cioè, il padre di tutti i problemi tecnici incontrati nella seconda parte del campionato. Eppure, per questo collettivo, Marsili rappresentava un valore aggiunto. Era (e lo sarebbe ancora) la pietra miliare della squadra. Che, tra l'altro, non possiede un altro giocatore con le sue caratteristiche. Molto, probabilmente, potrebbe aver influito la qualità non eccelsa del rapporto tra il centrocampista e il tecnico Bitetto. Ma così è, ormai. Di sicuro, però, questo Martina accumula ansie. Riversandole sull'ambiente tutto. Anche a Gavorrano, per esempio, il gruppo ha patito i novanta minuti, rischiando parecchio. Sciupando diverse occasioni, va detto, ma realizzando il sigillo del pareggio a recupero già scattato. Di più: passando dallo zero a due al due a due negli ultimi cinque minuti. Moto d'orgoglio, si dirà. Vero. Un dettaglio affatto da poco, anzi. Perchè una sconfitta in Toscana avrebbe ufficialmente aperto lo stato di allarme in una squadra abituata sin qui ai quartieri alti della classifica e per nulla preparata alla battaglia che conduce alla permanenza. E che, forse, anche per questo, non saprebbe ribellarsi con convinzione a queste nuove condizioni. Tanto da poter compremettere tutto: pagando il conto finale.