mercoledì 31 luglio 2013

Grottaglie, ritorno alla base

Una notizia buona. E, ormai, attesa. Ancorchè ancora da ufficializzare (non prima del cinque agosto). Ma, ormai, praticamente sicura. Cioè, legittimata dalle graduatorie già diffuse dal Comitato Interregionale della Lega Nazionale Dilettanti. Perchè il castigo degli uni (molti club condannati alla resa) coincide con la riabilitazione di altri (le società appena retrocesse, affamate di ripescaggio). Il Grottaglie, è questa la novità, è riammesso al campionato di serie D. Ci torna dalla finestra, dopo esserci uscito dalla porta. Soltanto due mesi dopo. Il pédigrée, ovvero la militanza storica nella quinta divisione nazionale, in certi casi aiuta. E qualche altro dettaglio ancora contribuisce a rielevare il blasone un po' sbiadito del club jonico. L'Eccellenza, dunque, può aspettare. Quella stessa Eccellenza, per ironia, sacrificata nella cantina dei dubbi per una questione puramente economica. La stessa che aveva, di fatto, scritto la retrocessione recente. Non è un segreto, infatti, che l'Ars et Labor non goda di imprenditori volenterosi al proprio servizio. E che debba, da tempo, affidarsi a politiche di saggia gestione delle parche risorse. Qualche movimento concretizzatosi nel corso dell'estate, del resto, era naufragato presto nel mare dei disguidi, delle parole: dette, non dette o vagamente pensate. Veri o presunti compratori si erano affacciati, tra lo scetticismo della piazza e i sospetti dell'amministrazione comunale: per poi eclissarsi, anche abbastanza in fretta. Sogni (o incubi) di mezza estate, ecco. Eppure, malgrado tutto, la serie D riappare: come un miraggio, come un premio alla serietà di fondo di un club che ha saputo, sempre e comunque, viaggiare sui binari del realismo. Ma la quinta serie, che tra poco diventerà il quarto gradino del pallone italiano, pretende certe esposizioni economiche, determinati budget. In pratica, solidità. Dunque, contanti: che possano garantire, anno dopo anno, una decorosa salvezza. Sarebbe a dire: eliminato un problema (la retrocessione), non svanisce l'altro inconveniente (la debolezza societaria). E una seie D senza finanze sembra, sin da adesso, la condanna ad altri dodici mesi di programmi minimi, incertezze, patimenti e disagi.

sabato 27 luglio 2013

Martina, segnali di nervosismo

C'è aria di bassa pressione, attorno al Martina. Voci, mezze voci, dichiarazioni, reticenze e polemiche più o meno sotterranee dichiarano, di fatto, un malessere di fondo. E poi ci sono un po' situazioni (niente di gravissimo, certo) che intorbidiscono la partenza della nuova squadra, affidata all'emergente Riccardo Bocchini, trainer perugino che ama lavorare con i più giovani, verso la nuova avventura. Un'arvventura che la speranza comune vuole si concluda con il mantenimento del professionismo, ovvero con l'ammissione alla nuova serie C unica (basta raggiungere uno dei prime nove posti della graduatoria del prossimo campionato: obiettivo per niente facile, considerata la concorrenza e il progetto di contenimento dei costi appena varato). Non ci riferiamo a certe frasi dettate nel corso della presentazione ufficiale del nuovo organico, consumatasi in piazza. E secondo le quali il nuovo allenatore sarebbe stato sottratto agli interessi, tutti da verificare, di alcuni club di serie A. Del resto, si sa, le parole cotte sulla griglia dell'entusiasmo, certe volte, debordano. E neppure alle dimissioni dell'amministratore delegato Petrosino, rassegnate proprio alla chiusura dello scorso torneo e prevedibilmente ritirate all'inizio della nuova stagione: in fondo, è giusto così. E non solo perchè il dirigente porta investirori e fa parte del nuovo corso del club sin dall'inizio del cammino. Senza dimenticare, peraltro, che alzare la voce serve sempre a muovere l'ingranaggio: anzi, chissà, l'operazione avrà mosso pure qualche coscienza. Nè ci impunteremmo sul discusso (ma non per questo discutibile) e apparentemente sugellato patto di cooperazione tecnica con la Ternana, che lo stesso presidente Muschio ha però negato alla stampa, non più tardi di un paio di giorni fa. Quanto basta, cioè, per rinfrancare i meno soddisfatti e per rafforzare il comune senso di martinesità. Ma anche per riaprire la porta a certi dubbi (se il contante manca, come più volte ha pubblicizzato dallo stesso gruppo di comando societario, come si arriverà a maggio?). Potremmo, invece, soffermarci su altro. Ad esempio: il gruppo affidato nel corso dello scorso campionato prima a Ciullo, poi a Di Meo e quindi a Bitetto (a proposito: confermato dal presidente a salvezza appena avvenuta e scaricato in estate da altri soci) ha cominciato assai bene e, infine, ha deluso. Sul campo e anche fuori: motivazioni sufficienti per azzerarlo (sono rimasti, infatti, in pochi: Petrilli e qualcun altro). Una risposta già di per sè schietta, netta, chiara. Inappuntabile. Eppure, inseguita da qualche virgolettato societario, decisamente piccato. Che, in questi casi, va persino collocato nel conto. Sin qui, dunque, tutto bene. Inutile e dannoso, però, ci sembra continuare a soffiare sul fuoco del contenzioso. Con Mangiacasale, tanto per fare un nome. Che, semplicemente, non ha ritenuto congrua la nuova offerta economica e che, legittimamente, si è guardato attorno. Guadagnandosi l'etichetta di mercenario, prontamente e pubblicamente respinta. Oppure, con il Brindisi e con il suo presidente Flora, che con il recente passato del Martina non c'entrano assolutamente nulla (semmai, dovranno rendere conto alla città e ai tifosi adriatici, non ad altri). Colpevoli soltanto di aver offerto un contratto all'esterno catanzarese. Che, per la cronaca, si è poi goffamente svincolato dall'accordo (ma questa è un'altra storia, per la quale si è scusato). Ecco: certi dettagli, elaborati tutti assieme, lasciano passare all'esterno un messaggio intriso di nervosismo, se non di disagio. Dal quale si potrebbe provare ad uscire: tracciando un punto, una linea. E ricominciando a lavorare: a fari spenti.

A margine: proprio nel pomeriggio di oggi una nota ufficiale del Martina smentisce le dchiarazioni piccanti tributate a Mangiacasale. Malgrado chi fosse presente continua a giurare il contrario. Sarà. Prendiamo nota. Lo stesso giocatore, di questo, si sentirà evidentemente più sollevato. E, dal momento che la società dice di non nutrire preclusioni su un eventuale rinnovo del contratto, se ne potrà riparlare con maggiore serenità. Del resto, il ragazzo (che si sta allenando con la Casertana di Ezio Capuano) non ha ancora firmato con il club campano. Nessun accenno, invece, sul Brindisi e su Flora. Sull'Adriatico se ne facciano una ragione.

mercoledì 24 luglio 2013

Il passo doppio del Foggia

Nell'estate foggiana si è arrampicato un sogno indecente, un desiderio strano: il ripescaggio in quarta serie, la vecchia C2, l'attuale Seconda Divisione. Quel campionato che, tra dieci mesi, non esisterà più, spazzato dalla rivisitazione federale. Un torneo, di per sè, improvvisamente diventato pericolosissimo. Ovvero, dispendiosisissimo: dal momento che, per non scivolare nella serie D che sarà (e dove, adesso, il Foggia si trova) occorrerà attrezzarsi: nove retrocessioni (che poi, in realtà, vere e proprie retrocessioni non saranno) sono tante e la concorrenza sgomiterà parecchio. Pelusi, Masi, l'intero entourage societario e la tifoseria tutta si sono tuttavia calati nella fossa dell'ottimismo, dell'illusione. Lasciandosi trascinare dalle correnti della lucida incoscienza. Malgrado un passato recente assai scomodo (il fallimento dell'epoca casilliana segna ancora l'ambiente), qualche divisione interna al club (faticosamente ricucita), la recessione robusta (il contante manca ovunque e, soprattutto, in Capitanata), la distanza tra l'imprenditoria locale e il pallone e un piazzamento non felicissimo nella graduatoria degli aspiranti alla promozione burocratica. Ma la serie D è fastidiosa assai e, a certe latitudini, non ci si abitua facilmente alla realtà. E poi vincere il prossimo campionato di quinta serie (che, comunque vada, diventerà la quarta divisione italiana, come un tempo) presuppone un certo esborso: senza contare che spendere non significa ottenere automaticamente il traguardo. Tutt'altro. Perciò, anche per questo, quel sogno si è arrampicato veloce. Attenzione, però: perchè il ripescaggio, ormai da un po', presuppone una certa saldezza economica alla base del progetto. Saldezza che una società può dimostrare accettando di sottoscrivere una corposa fidejussione, che si aggiunge alle spese di iscrizione, già leggermente lievitate. E, ovviamente, all'esigenza di modificare pesantemente il proprio roster (sono altre spese, cioè). Ma, nel Foggia, il miraggio di riconquistare la C (quella unica della prossima stagione) è sembrato, da sùbito, convincente quanto basta. Eppure, il problema di fondo è stagnato a lungo, complicando il percorso burocratico: il denaro. La raccolta di fondi è avanzata adagio: la grande imprenditoria locale è rimasta dov'era, lontana. E non ha sottoscritto quei contratti di sponsorizzazione che sarebbero serviti a rimorchiare il progetto. La tifoseria stessa, in larga parte, si è mantenuta abbastanza fredda, sottoscrivendo meno abbonamenti del previsto, malgrado la promessa del rimborso in caso di mancato rpescaggio. L'ultima frontiera della speranza, dunque, si è raggomitolata attorno alla concessione dello scorporo delle fidejussioni, all'impegno suppletivo dei soci della club e alla sana, vecchia colletta. Risultato: il contante per garantirsi il passaggio di categoria, adesso, c'è. O, almeno, così sembra. E non è stato affatto semplice trovarlo. Il ripescaggio, teoricamente, potrebbe concretizzarsi: basta attendere qualche giorno, per sapere. Ma una società che arriva a confezionare la domanda d'iscrizione alla C e a trovare il denaro necessario quasi al fotofinish riesce ad offrire garanzie a se stessa?  E, soprattutto, a guardare oltre? La squadra va potenziata: e anche abbastanza. E le collette, così come i sacrifici personali di pochi, non possono duplicarsi in tempi stretti. Così com'è, questo passo del Foggia ci sembra sinceramente un po' azzardato. Ma, ovviamente, speriamo di sbagliarci.

venerdì 19 luglio 2013

La comunicazione ai tempi della globalizzazione

Internet, molto spesso, fa male. Perchè offre spazio (incontrollato) anche e soprattutto a chi, di mestiere, non si occupa di comunicazione. E che, però, con il concetto di comunicazione deve convivere e operare: affidandosi al fai-da-te. E l'ormai larghissima fruibilità del mezzo di comunicazione, ne siamo consapevoli, ha da tempo imbastardito e imbarbarito la rete e, ovviamente, anche i rapporti interpersonali. L'informazione globalizzata, poi, è spesso più dannosa del silenzio. Perchè la comunicazione è imprescindibile: ma solo se corretta. Sotto ogni punto di vista. Proprio la rete, intanto, ci offre un elemento di riflessione. A Francavilla, una delle due società locali (la ricca e solida Virtus, che attende di essere ripescata nel campionato di Eccellenza) non ha apprezzato le ultime indiscrezioni di mercato di alcuni organi di informazione (e qua un discorso a parte andrebbe pure speso, se vogliamo parlare di professionalità: ma sorvoliamo) e, di conseguenza, ha pensato di diffondere una nota, che vale riportare integralmente, giusto per capire: «Si informano tutte le testate giornalistiche che a partire dalla data odierna, le informazioni meritevoli di diffusione che riguardino la società e/o i suoi tesserati dovranno essere espressamente autorizzate dal nostro ufficio stampa inviando una mail Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. o contattando i nostri Dirigenti Responsabili che forniranno indicazioni in merito». Sappiamo, però, come va il mondo e siamo convinti di essere inciampati in un caso palese di sano pressapochismo mediatico: ai tempi della massificazione della comunicazione, in cui chiunque prova a comporre due o tre frasi di fila, può accadere. Massì, altro non si tratterà che di una cattiva esemplificazione di una richiesta di confronto: o, almeno, ci speriamo. Perchè, altrimenti, dovremmo preoccuparci di un antipatico tentativo di censura preventiva.

mercoledì 17 luglio 2013

Il Bari ai Matarrese, ancora

Montemurro e il suo gruppo rimangono dietro la porta. Lontano dal Bari. Non ci sarà avvicendamento societario. Non ora, almeno. La storia, in realtà, si ripete. Il club di via Torrebella rimane saldamente tra le mani della famiglia Matarrese. Rinnovando la sensazione dei più pessimisti e dei più maligni: il presidente, padrone del pallone in riva all'Adriatico da più di trentacinque anni, non si è mai totalmente convinto ad abbandonare la poltrona. Anche se soluzioni diverse, dopo tutto, si sono succedute: senza privarsi, peraltro, dell'acre contorno della polemica. Nuova Grigliati Meridionali (Montemurro, appunto) e Sideralba (Rapulino) come la Meleam di qualche mese fa: vicini al traguardo e, poi, irrimediabilmente confinati al rancore. Dopo una dual diligence estenuante, incontri e confronti controversi, parole piccate ed incrociate, promesse di definizione imminente e ciclici allontanamenti. Sì, perchè l'operazione, ad un certo punto, sembrava correttamente avviata. Per poi impantanarsi in troppe paludi. Ultimamente, poi, la stampa e la gente che tifa e che sperava aveva capito qualcosa: ancora troppi problemi, ancora troppa distanza. Del resto, nel frattempo, i Matarrese avevano rinnovato il contratto di Angelozzi, il loro punto di riferimento sul mercato: un segnale abbastanza netto. E Angelozzi aveva praticamente chiuso con il nuovo allenatore (Gautieri, ex Lanciano: Torrente aveva già salutato per raggiungere Cremona): un altro messaggio chiaro. Il colloquio tra le parti, oltre tutto, si era interrotto bruscamente. E, quindi, si era riallacciato: per poche ore, però. Quanto basta per incendiare, questa volta definitivamente, gli animi. Per scatenare lo scambio di accuse. E per sollevare le emozioni di Montemurro e Rapulino: che, adesso, pretendono un pubblico confronto. Che spieghi alla città la verità. Tutta la verità. Ottima idea: ci incuriosirebbe capire qual è o quali sono i tremendi dettagli che, nel passato, hanno spaventato e, ancora oggi, continuano ad intimorire i potenziali compratori. Tutti i potenziali compratori. E, magari, anche le eventuali, sotterranee e inenarrabili richieste dell'attuale proprietà. Oppure, infine, in quale anfratto delle trattative hanno albergato il bluff e le indecisioni dei gruppi che, negli ultimi anni, si sono avvicinati al Bari. Sempre che di bluff ed indecisioni si sia realmente trattato. Questo la sequenza interminabile degli irritati comunicati stampa e delle dichiarazioni stizzite non ce lo hanno ancora detto.

giovedì 4 luglio 2013

Andria, un vestito tutto nuovo

Cadere dalla terza alla quinta serie in poco più di un mese è violenza pura. Ma, oggi come oggi, è la migliore soluzione possibile. L'Andria è retrocesso, in coda alla lotteria dei playout. Malamente. Ritrovandosi, oltre tutto, nel mezzo di un vortice pericolosissimo, cioè di una crisi societaria priva di spiragli. Di più: con la prospettiva di affrontare la C2 anche in piena recessione tecnica e psichica. E sì, perchè affrontare il prossimo campionato con l'handicap della forte penalizzazione (otto punti) maturata negli ultimissimi tempi e con il timore di doversi piegare ad una nuova decurtazione (due, tre punti?) sarebbe davvero troppo. A fronte, ovviamente, della ristrutturazione dei campionati che assicurerà la retrocessione in D della metà dei club della quarta serie che sta per partire. Meglio, molto meglio, aggirare l'ostacolo. Ci hanno pensato bene, ad Andria: l'iscrizione non è stata formalizzata, la società è già stata esclusa dal prossimo torneo di competenza e, se tutto andrà come deve andare, il pallone ripartirà da un titolo privo di debiti, pulito. Cioè dalla serie D: esattamente da dove la vecchia società sarebbe con tantissime probabilità finita, seppure con dodici mesi di ritardo. La nuova Fidelis resetterà tutto e non sarà angustiata da nessuna penalizzazione. E poi, male che vada, la serie D che verrà possiederà lo stesso spessore della C2 che sta salutando: ecco, non c'è davvero nulla da perdere. Ma, anzi, solo da guadagnare. Il calcolo è semplice, la gente ha capito e appoggia l'operazione. I regolamenti, del resto, consentono il travaso e la riforma della Lega arriva nel momento più opportuno. Non approfittarne sarebbe stato inconcepibile: onestamente.

martedì 2 luglio 2013

Taranto, una stagione da decifrare

Tutto come previsto. Pettinicchio, abbondantemente rammaricato, lascia la panca del Taranto ad Enzo Maiuri, già condottiero della Casertana verso il ripescaggio post-playoff. Il club bimare, cioè, torna a guardare alla C partendo da nomi diversi. E rivedendo le strategie, adesso affidate al nuovo diesse Desolda. Anche la squadra, si dice, verrà rivoluzionata: e, della vecchia gestione, potrebbero rimanere in pochi. Il passaggio di consegne, intanto, non è apparso indolore. Tanto da aver rischiato di intaccare certi equilibri lentamente consolidati nella seconda parte della stagione appena sorpassata. Ma il pallone, come la vita, continua a rotolare ugualmente. In attesa di raccontarci, magari, a quale tipo di campionato si sta avvicinando una delle piazze più insidiose, temibili, affamate ed esigenti dell'intera quinta serie. E che, lo sappiamo sin d'ora, non saprà e non vorrà facilmente rassegnarsi ad un torneo definito dal presidente Nardoni soltanto.importante. Là dove importante non significa automaticamente vincente. Qualche indizio, però, già c'è. Ed è di qua che si può partire. Dunque, vediamo: il budget di partenza, per esempio, non sembra robusto quanto quello di altre concorrenti. Settecentomila euro, certo, rimangono una base interessante, da cui trarre elementi utili per convincere a scendere in riva a Mar Piccolo quella gente di categoria che possa determinare un po' di risultati. Eppure, così com'è, la cifra non consentirebbe di avventurarsi troppo oltre. Facile, allora, che la società jonica provi a far fruttare il fascino del marchio Taranto, sempre stimolante. Tuttavia, tutto questo potrebbe non bastare. Primo, perchè altre realtà si atnno muovendo pesantemente e da tempo (il club jonico, invece, si è sostanzialmente tenuto abbastanza distante dalle logiche del mercato, per sanare certe questioni amministrative). Secondo, perchè Maiuri e Desolda sembrano orientati a riedificare l'organico: privandosi, così, della possibilità di sostenersi ad un progetto tecnico fondato sul concetto di continuità. E terzo perchè la struttura societaria non ha ancora assorbito quelle energie nuove che riescano a surrogare la perdita, ormai certificata, di qualche vecchio investitore di secondo piano. A proposito: proprio dietro alle scrivanie del Taranto si è appena consumata un'operazione interessante. La Fondazione Taras, cioè quella congiunzone di tifosi che hanno fattivamente partecipato alla rinascita del calcio sui due Mari e accompagnato da vicino il club nel suo primo anno di vita, ha deciso di accollarsi per la prossima stagione il peso dell'intero settore giovanile. Cose mai viste, prima d'ora, in Italia. La città, in pratica, sta per diventare la palestra di un nuovo modo di programmare e di organizzare il pallone: la sfida è particolarmente intrigante e va seguita con attenzione, oltre che con simpatia. Anche perchè, teoricamente, da questo primo passo potrebbe nascere qualcosa di più interessante, nei mesi e negli anni che verranno. Purchè i tifosi comincino a ragionare con la testa del manager, piuttosto che dell'innamorato un po' umorale. E, possibilmente, senza farsi imprigionare da quei luoghi comuni che, quando si è parlato di vivaio, hanno ammanettato tutte le espressioni dirigenziali che si sono rincorse negli ultimi trent'anni. Ricordare, infine, che il settore giovanile merita, sempre e comunque, investimenti e qualità degli uomini che lo dirigono tecnicamente, non fa male. Il talento dei più giovani, se c'è davvero, non è mai sufficiente.