mercoledì 30 ottobre 2013

Barletta, è già bufera


Le fatiche di Coppa Italia non mentivano: il Barletta impacciato e lento di allora non si evolve neppure in campionato. Dove, a due mesi dallo start, la classifica sembra già condannare gli investimenti estivi, le sicurezze e gli ottimismi del presidente Tatò, il lavoro dell’operatore di mercato Martino e le scelte del tecnico Orlandi: partito, quest’ultimo, con una discreta dote di credibilità, guadagnata sul campo nella seconda parte della stagione trascorsa e ormai praticamente sperperata tra settembre ed oggi. Tre punti, quelli collezionati sin qui, dicono molto: dei disagi del gruppo in fase di impostazione, dello scarso appeal nel cuore delle difese avversarie, della difficoltà a sterzare a gara in corso, della fragilità della terza linea in quasi tutte le occasioni. Il penultimo posto occupato attualmente in graduatoria (al di sotto, naviga la sola Nocerina) sembra oggettivamente autentico. Come autentici sono gli altri numeri che illustrano il caso: soltanto due gol segnati, dieci marcature sofferte e cinque sconfitte in otto gare. E come autentico è disappunto della tifoseria, mortificata anche dall’ultima prestazione della squadra, piegata a Pagani da un’altra formazione zoppicante. Tifoseria che, per la verità, rumoreggia da un  po’. E che, pressando la proprietà, ne ha consigliato il disimpegno: ancora formale, cioè da confermare. Ma ugualmente preoccupante. Tatò, riconoscendo i limiti del Barletta e i propri errori, ha rassegnato le dimissioni già a ridosso dell’ultimo match: garantendo, tuttavia, la copertura gestionale sino alla fine del campionato. E, dunque, lasciando indifese anche le posizioni dei suoi più stretti collaboratori, Martino su tutti. Non c’è più tanto feeling, tra la gente che tifa e il vertice societario: e questa è una notizia datata. Eppure, l’episodio è assai più fastidioso di quanto possa sembrare: perché, quest’anno più di altri (la terza serie non contempla retrocessioni), sarebbe stato opportuno lavorare con profitto in prospettiva, più che per l’immediato. E perché, soprattutto, ci priva di una certezza: quella di una stagione priva di grandi assilli, in quanto liberata dagli incubi di un’ipotetica partecipazione alla lotteria della permanenza.

martedì 29 ottobre 2013

Il Lecce, finalmente



Cinque gol ad Ascoli diradano le nuvole. E si accodano ai punti raccolti da quando, in panchina, c’è Lerda. Il Lecce cresce: risultati e calcio prodotto confermano. Il fondo della classifica è decisamente più distante. I quartieri più nobili del campionato un po’ più prossimi (si viaggia appena una lunghezza sotto). Chiaro: adesso, nel Salento, sarebbe persino logico sbirciare spudoratamente verso i playoff. Ma, forse, per il momento sarebbe pure meglio non pensarci troppo: in attesa che Bogliacino e compagni acquisiscano un passo definitivamente deciso, regolare. In attesa, cioè, delle conferme che servono. Intanto, però, l’ambiente si è rasserenato un po’. Ritrovando tonicità, smalto, respiro. Il successo di domenica, peraltro, spinge a credere che il periodo più buio sia ormai sorpassato. E a constatare che la squadra sta cominciando a capire se stessa, a fidarsi delle proprie potenzialità. I punti, lo sappiamo, aiutano a carburare meglio: ma è anche vero che il Lecce, ora, sa cosa fare sul campo. Prendendo iniziativa, soprattutto. Ovvero, cercando di costruirsi da solo il destino che l’attende. Ad Ascoli, certo, sono due penalty di sèguito ad aprire la strada, che nel frattempo si fa insostenibilmente angusta per l’avversario. Ma la formazione di Lerda possiede il pregio di non confondersi e di non smarrirsi, come in passato. Dimenticando i suoi indisponibili (Miccoli, Sacilotto, Perucchini, Bencivenga) e riscoprendo Bogliacino, che firma una prestazione convincente. Come Zigoni, del resto. Il 4-2-3-1, sintetizzando, funziona meglio di altri moduli provati in precedenza. E, dunque, il coach comincia seriamente a solidificare il suo progetto tattico. Assolutamente determinante, una volta che gli atteggiamenti giusti sembrano recuperati. Possibilmente, per sempre.

lunedì 28 ottobre 2013

Monopoli, profumo di leadership



Il Monopoli crede compiutamente di poter ancora pretendere molto da se stesso. E il successo recuperato a Grottaglie, nell’ultima trasferta, consolida certe convinzioni. Scalfite, ma non per questo cancellate, appena una settimana prima: quando la meno nobile Puteolana aveva imposto, al Veneziani, il pari alla gente di Claudio De Luca. Questa volta, sull’erba di casa, si presenta il Gladiator: giovane (in panchina solo under) e niente affatto abbottonato. Ancorché infiacchito da troppe assenze. Un avversario che affronta l’impegno tenendo la palla a terra, cercando di giocarla: e non solo per tenere lontano dalla propria area l’artiglieria di casa. I casertani sono tutt’altro che inguardabili, per capirci. Ma, evidentemente, assai poco corazzati alle intemperie. E, dunque, affondano troppo presto. Sì: il Monopoli passa dopo dieci minuti (Montaldi), raddoppia dopo quattordici giri di lancetta (deviazione di un difensore campano, su traversone secco di Stambelli) e, al minuto venti, chiude definitivamente la questione (Di Rito). Il match, dunque, smarrisce immediatamente ogni stimolo, si priva di palpitazioni ed emozioni e veleggia placido, da sùbito, verso la sua naturale conclusione, macerandosi nelle ovvietà di una situazione che non possiede più alcuna storia. Non ci sono molte parole da aggiungere: chi gode del largo vantaggio lo governa senza assilli, riducendo tensione e fatica. E chi si ritrova sotto si accontenta di limitare i danni. Lo score, per la cronaca, cambia ancora nella seconda metà della ripresa (va a segno anche il cloured Adeshokan, appena inserito in luogo di Di Rito): ma non accade altro: davvero. Successo facile: molto più facile del previsto. Che minimizza anche l’indisposizione di Laboragine (ma sarebbe stato interessante confrontare in un test più credibile il centrocampo varato per l’occasione da De Luca, che schiera Marini al fianco di Lanzillotta e Camporeale, a ipotetico vantaggio dell’equilibrio tattico). Eppure, le notizie più liete arrivano in coincidenza della fine delle altre gare in calendario: il Matera pareggia in casa, il Marcianise pure, il Brindisi perde. Vince solo la Turris, a Vico. Dunque, il Monopoli schizza in testa alla classifica, seppur in coabitazione: a quota diciannove anche il Marcianise e, appunto, la Turris. In definitiva, la domenica diventa affascinante. Perché la zona più nobile del campionato sembra recuperare definitivamente la formazione adriatica: cioè una delle più attese, alla vigilia. Attenzione, però: il girone resta assai livellato. E ancora non c’è il collettivo che può scavare la differenza tra sé e il resto del gruppo. Il confine tra chi precede e chi insegue è sempre più labile: facciamocene una ragione. E, soprattutto, tutti possono battere chiunque. Sarà conveniente ricordarsene. Inoltre, le vittorie troppo semplici possono persino fuorviare, distorcere la realtà. Significa che il Monopoli non può cullarsi. Ecco, l’abbiamo detto.

domenica 27 ottobre 2013

Bisceglie e Manfredonia, ombre e chiarori


Oggettivamente, il momento del Bisceglie è delicato. E il cambio di panchina (ancora recente: Favarin per Francesco Bitetto) sembra non aver ancora del tutto guarito i problemi di un gruppo accreditato sin dall’avvio di buone chances, ma immediatamente arenatosi nelle complicazioni di percorso (una su tutte: la tenuta dei novanta minuti), a neppure un quarto di stagione. E neanche il momento del Manfredonia è propriamente florido: e non solo per una questione di continuità (la sensazione è che squadra di Cinque potrebbe puntare a qualcosa in più, se magari sfruttasse meglio gli impegni sul proprio terreno di gioco). Il derby del Miramare, anticipo televisivo del sabato, pur promettendo di chiarire qualcosa, fallisce sostanzialmente il compito. E, anzi, rafforza certe convinzioni: Bisceglie e Manfredonia vivono di ombre e chiarori, di slanci genuini e involuzioni improvvise. Sipontini e stellati, in coda a novanta minuti disomogenei, si dividono tempi e spazi, opportunità e reticenze: prelevando dall’erba sintetica un punto ciascuno. Che deve obbligatoriamente sanare la fame di tutti. Si parte: e il Bisceglie ci mette più personalità, più geometrie. Le ripartenze funzionano e tengono i padroni di casa lontani dalla porta di Iurlo. Il sigillo del vantaggio, anzi, è meritato. Il Manfredonia è un po’ sfiatato e manovra con impaccio: capisce, però, che intensità e quantità possono aiutare. Il pareggio, maturato proprio in apertura di secondo tempo, sovverte di fatto molti equilibri: rinvigorendo i dauni e sgonfiando gli ospiti, ormai in difetto di lucidità. Poi, Portosi ne approfitta e inganna Iurlo: rimonta completata. Il Manfredonia, però, non regge. E il Bisceglie si affida all’orgoglio e alle finalizzazioni di Titone (due gol per lui). Eppure, è proprio la gente di Favarin ad aprirsi (più volte) e consegnarsi al rischio di perdere una partita in cui finisce per concedere tanto. Alla fine, è due a due: senza troppa allegria. Ed un pareggio che non argina le apprensioni e che neppure risolve i quesiti: rimandando a nuovi collaudi.

sabato 26 ottobre 2013

Foggia, i punti arrivano anche a Cosenza



E’ da un po’ di settimane che il Foggia sorride. Per i punti che arrivano, finalmente puntuali (la svolta sembra essere stato il derby con il Martina: tre a zero a favore senza complicazione alcuna). E per le trame di gioco, adesso mediamente molto più che rassicuranti. Malgrado, negli ingranaggi dello scacchiere di Padalino, si addensino ancora amnesie locali e insicurezze individuali (l’assetto difensivo non è sempre irreprensibile, dietro e nel mezzo la lievitazione di qualcuno coincide puntualmente con le contemporanee esitazioni di altri singoli, che compromettono la tenuta dei reparti, la vena realizzativa non brilla per continuità). Però, è un mese che la squadra prende punti. Più o meno da quando il miglior artigliere della scorsa stagione, Giglio, ha riconquistato intimità con il gol. Ed è un mese che il collettivo respira: dopo aver abbandonato i bassifondi scomodi e aver recuperato autostima nell’affollato centroclassifica del girone. Dove, è bene ricordarlo, è e sarà necessario garantirsi regolarità, per recuperare uno dei tagliandi per l’ammissione alla prossima serie C unica: che resta l’obiettivo del club. Ora è un po’ più solido, il Foggia. E lo dimostra anche a Cosenza, nell’anticipo del venerdì, in casa della prima forza del torneo. Soffrendo in partenza (i calabresi impattano sul match con più autorità, giocano meglio la palla e spingono, realizzando abbastanza presto il sigillo del vantaggio e gestendo, sino all’intervallo, una partita caratterizzata dai ritmi bassi) e riemergendo alla distanza, nella seconda frazione di gioco. Il pari sgorga, cioè, appena Agnelli e soci decidono di affrontare l’impegno con maggior densità e più densità. Dopo che un acuto di Giglio è stato invalidato dal direttore di gara (offside). Il particolare più interessante, tuttavia, è che il Foggia cresce e reagisce nonostante l’inferiorità numerica su cui è inciampato (Pambianchi interviene su un avversario senza coordinazione e lucidità, rimediando il secondo cartellino giallo nell’arco di pochi minuti: giusto così). Lasciando all’avversario poche recriminazioni. Dunque, questa squadra non è il meglio che la tifoseria possa pretendere. Ma, anche così, appare perfettamente inserita nella realtà di questa quarta serie: in cui basta innanzi tutto conservare la compattezza e le qualità caratteriali. Preoccupandosi, talvolta, di inventarsi qualcosa. Gente come Agnelli, Quinto, Giglio, Leonetti e Agostinone, allora, serve proprio in quest’ottica. Nella speranza che le leggerezze, in fase di non possesso, si riducano sensibilmente (vero, D'Angelo?). Chi ha guardato il match di ieri, l’ha capito: una volta per tutte.

martedì 22 ottobre 2013

Grottaglie, ora Bosco rischia



Partenza più che decente: qualche punto, anche pesante, buone recensioni raccolte qua e là e, soprattutto, un paio di successi di spessore e di prospettiva (quello sul neutro di Matera, nella casa temporanea del San Severo, e quello di Francavilla sul Sinni, di fronte a due concorrenti dirette della lotta per la sopravvivenza). Poi, l’infiacchimento: dell’intensità, della concentrazione. E la flessione: comportamentale, ma anche tecnica. Il Grottaglie, cioè, recupera in fretta quelle posizioni di classifica a cui gli osservatori l’avevano obbligata, in sede di previsione: sull’orlo del burrone. E’ il destino amaro di una società che non può concedersi spese suppletive, di una squadra costruita in sana economia e che, anzi, è persino riuscita a dotarsi di qualche possibilità in più del previsto. Senza, però, corazzarsi di grandissima esperienza complessiva e di fantasia facilmente spendibile. La composizione del suo calendario, tuttavia, spiega qualcosa: più soft in avvio, si è indurito con il passare delle giornate. Nelle ultime due settimane, l’Ars et Labor ha incrociato la strada di Matera e Monopoli, ad esempio (risultato: due sconfitte). E, peraltro, va incontro al derby di Taranto (domenica prossima, allo Iacovone). E, questa, un’attenuante da considerare, oggettivamente. Anche se è difficile negare quello scollamento con la realtà che lo stesso Bosco, il tecnico, ha denunciato già un paio di settimane addietro. E che pure il club ha riconosciuto: addossando la responsabilità anche e soprattutto all’infinita trattativa tra l’attuale gruppo dirigente e la cordata Picchierri, intenzionata a rilevare le quote sociali (l’impressione, però, è che il passaggio di consegne non decollerà mai: tanto che il colloquio è stato interrotto per la seconda volta, forse definitivamente). In sintesi: realisticamente, al Grottaglie mancano i punti persi in casa con la Gelbison, concorrente alla portata. O con il Gladiator. Non certo quelli di Matera. O quelli lasciati al Monopoli, seppur in coda ad una gara interpretata con scarso vigore. In cui l’avversario si è imposto con la concretezza, più che con la manovra. Ora, ovviamente, è l’allenatore a rischiare. Bosco, per la verità, sembra aver dribblato l’esonero: almeno per questa settimana. Ma il responso del derby di Taranto dovrebbe essere indicativo. Anche se la prestazione dovesse essere soddisfacente, ci sembra di capire. A questo punto, tuttavia, diventa difficile spiegarsi la fiducia accordata - com’era giusto che fosse - al coach sin da agosto e poi ritirata in coincidenza con le partite ragionevolmente più impegnative. A meno che, ovviamente,  il club non ritenga l’allenatore responsabile dell’atteggiamento rilassato dell’organico, da un po’ di tempo a questa parte. Del resto, a microfoni aperti, un difensore di lungo corso come Antonio Anglani raccontava una verità: quei punti, anche un po’ inattesi, raccolti in avvio di stagione potrebbero aver sovralimentato gli appetiti o allontanato l’ambiente dalle finalità dichiarate o, più semplicemente, dalla esigenze del campionato.

domenica 20 ottobre 2013

La personalità nuova del Taranto

Aldo Papagni è uomo quieto, di buon senso. Un psicologo, ancor prima che un gestore tecnico. Un amico, prima ancora che un condottiero. E persona saggia: che allena gli uomini, ancora prima che i giocatori. Quanto di meglio, cioè, per rilevare il compito di Enzo Maiuri e per provare a risollevare il Taranto, nove punti in sette partite, morale bassissimo, ambiente già in fermento. Ascolta la proposta, risolve il contratto che lo legava dalla scorsa stagione al Sorrento, accetta la sfida e ritrova una piazza che ha già avuto occasione di amarlo e che lo ama ancora (una promozione dalla C2, sette anni fa): arrivando quasi a metà settimana. Giusto in tempo per capire quello che serve, psicologicamente e tatticamente, alla squadra che arriva da tre delusioni cocenti di fila e che affronta, nell’anticipo del sabato, un avversario sdrucciolo come la Puteolana di Potenza. Il coach biscegliese, allora, deve strettamente affidarsi alle intuizioni. La prima, la più importante: continuare a blindare la linea difensiva, però senza dimenticare di sviluppare la fase di possesso. Approfittando, il più possibile, dell’immenso potenziale offensivo dell’organico. L’approccio alla seconda esperienza in riva ai due Mari, tuttavia, è brutale: quaranta secondi appena e Puteolana in vantaggio. Roba da ammazzare un gruppo già sufficientemente provato e, dunque, insicuro. E, invece, no. Il Taranto reagisce. Perché è vivo. Ed è dinamico. Adesso, Mignogna e soci cercano e trovano la profondità. E poi lo svantaggio appena sofferto solletica l’orgoglio di under e over. Dopo venticinque minuti di dominazione assoluta arriva il pari (il discusso Ciarcià colpisce indisturbato): giusto così. Il sacro furore, da qui in avanti, si placa: eppure, la squadra appare molto più cerebrale del recente passato. Tenere il ritmo di gioco molto alto è difficile: ma il Taranto fa sempre qualcosa in più (e di meglio) dell’avversario. Che, tuttavia, si procura un penalty, sbagliandolo. Dagli undici metri, piuttosto, non fallisce Molinari, poco più avanti. Sembra il sigillo definitivo su un successo beneaugurante ed incontestabile: però, proprio a recupero inoltrato, i campani rimediano il due a due finale. Che sinceramente, alla gente di Papagni stona un po’. Un punto è poco, certo: ma quello che spunta attorno può valere molto di più. Il progresso evidente, anche sul piano della personalità, potrebbe diventare moneta pregiata in tempi brevi.

sabato 19 ottobre 2013

Bari, non è il momento dell'accademia

La gioventù è bizzarra e, tante volte, non assicura continuità. Nel pallone, aiuta a contenere le spese di gestione: ma non garantisce linearità all’evoluzione di un progetto. E il Bari giovane è quel che avevamo sospettato di dover commentare, nel corso di questa stagione puntellata da molti punti interrogativi: una squadra che vive di acuti e debolezze. L’avevamo salutato immediatamente dopo il successo ottenuto sul Palermo: ed ora, neppure un mese più tardi, siamo costretti a condividere qualche preoccupazione. Il rovescio di Cesena, maturato ieri, riconsegna la formazione di Alberti e Zavettieri ad una classifica perigliosa e afflittiva (a turno concluso, stazionano dietro soltanto Padova e Juve Stabia). Ma, soprattutto, cominciano a sgomitare un po’ di domande. Una, tra le altre: è il caso, di fronte alla cronica necessità di collezionare punti, applicarsi con superficialità o, peggio, rilassatezza? Il problema è che, mentre i romagnoli professano concretezza e sfoggiano solidità, il Bari si perde in troppe frivolezze, accettando la realtà soltanto dopo l’intervallo: quando, cioè, la situazione è abbastanza compromessa. Ovvio, il giovane Bari deve forgiarsi: e formarsi significa passare anche e soprattutto attraverso esperienze come questa. Da un gruppo rampante, ecco, è persino logico attendersi incertezze, amnesie, supponenze, ingenuità. Ed altro ancora. Ma non proprio il difetto di coraggio o la voglia di sopperire al deficit strutturale con la quantità. Se una squadra come il Bari, per capirci, crede di poter risolvere uno scontro delicato con l’accademia, non ci siamo. Potrebbe trattarsi, comunque, di un momento. Di una distrazione. Del resto, l’avvio di stagione un po’ affaticato è stato, anche abbastanza presto, compensato. E, prima della nuova situazione di impasse, di questa squadra si parlava universalmente bene. E non lo dimentichiamo. Come non dimentichiamo, comunque, i primi quarantacinque minuti di Cesena. Dove il Bari è quasi sembrato sazio. O non totalmente coinvolto. Il particolare non può lasciare indifferenti.

giovedì 17 ottobre 2013

San Severo, un punto di prestigio


L’oblio del calcio regionale, neppure in posizioni di avanguardia. Troppi anni di anonimato e di depressione calcistica. Poi, investimenti mirati e un progetto più sostanzioso. E il rilancio. In pochissime stagioni, il San Severo si arrampica e riconquista i riflettori della serie D. Ovviamente, riacclimatarsi è un’operazione lenta, da gestire con pazienza e realismo. E, oltre tutto, questo campionato di quinta serie è di spessore più che discreto, nelle sue fasce più deboli: la concorrenza per la permanenza è qualificata e si fa sentire. La formazione di Rufini, però, comincia bene, vincendo fuori casa all’esordio. Per poi, tuttavia, riconoscere le difficoltà (previste) del percorso. Sette match dopo lo start, la dote è di cinque punti (quel successo repentino e due pareggi): dietro, in classifica, solo il superpenalizzato e disgregato Nardò, già virtualmente retrocesso. E, sullo stesso gradino, soltanto il Metapontino. Traduzione: c’è da soffrire. Ma l’ultima uscita, in ordine di tempo, lascia un sapore buono. L’uno a uno sul campo del Taranto, la grande malata del torneo, arriva proprio al novantesimo (Polani entra a partita in corsa, timbrando l’episodio decisivo: soprattutto per il coach jonico Maiuri, sollevato dall’incarico appena un’ora più tardi), difendendo il diritto dei giallogranata di sentirsi legittimi proprietari di un punto sostanzialmente meritato. Il San Severo si cautela sin dall’inizio e si ritrova in inferiorità numerica, ma complessivamente non sfigura. Gioca per il punto e l’ottiene, con umiltà. E, quando si distende, coglie persino una traversa.. Approfitta, questo è evidente, delle esitazioni e del malessere diffuso dell’avversario. Rispondendo con una prestazione più concreta e solida, però, a certe critiche piovute in coda alla gara precedente (dauni in vantaggio e poi rimontati e superati dal Monopoli, sull’erba artificiale di Agnone, sede neutra). Oltre tutto, la squadra  - che ancora non può esprimersi sul proprio terreno di gioco, indisponibile: è sempre una attenuante - salva il proprio condottiero, ritenuto sotto osservazione. Ingiustamente, forse: perché l’elenco degli arruolabili a sua disposizione è dotato di esperienza in qualche ruolo chiave, ma è oggettivamente anche bisognoso di qualcos’altro. L’abitudine ad imporsi consolidatasi negli ultimi anni, del resto, può aver indirizzato il club verso cattivi consigli. Oppure, probabilmente, certe attese maturate prima dell’inizio di questo campionato si sono sovralimentate illegittimamente. Attese che il pareggio di Taranto, peraltro, potrebbe aver risvegliato all’improvviso. Solo il tempo, allora, farà sapere se il risultato di prestigio ottenuto allo Iacovone è uno stimolo nuovo o un  insospettabile impaccio.

mercoledì 16 ottobre 2013

Brindisi, come complicarsi il cammino


Tutto procede, meglio di prima. Prima supera il Taranto, nel derby. Con merito innegabile, neutralizzando un po’ di scorie recenti. Poi, sette giorni più avanti, regola agevolmente il modesto Nardò, con sette reti di scarto. L’umore buono cresce, certe geometrie si consolidano, Pellecchia torna a segnare, Gambino continua a colpire, lo scacchiere lievita in personalità, la sopraggiunta serenità aiuta a solidificare squadra e programma. Programma che resta finalizzato ad un campionato di alto profilo, pensato per infastidire le formazioni più accreditate del girone H della quinta serie e per preparare l’assalto al professionismo, tra dodici mesi. Sempre che l’imprenditoria locale, come ricorda un’altra volta patron Flora in diretta televisiva, si ricordi di sovvenzionare – come promesso - il progetto: che, altrimenti, rischia di impantanarsi prima del tempo. Prima della fine della stagione, addirittura. La gente che tifa, però, apprezza gli sforzi del club e il calore popolare riconquista, giorno dopo giorno, spessore. Brindisi, cioè, sembra velocemente riappacificarsi con il calcio. E, invece, l’impalcatura comincia a scricchiolare in un martedì di normale amministrazione. E’ sera, il presidente spiega le prospettive future e il suo modo di intendere il pallone nel salotto di un’emittente locale. Parla di Ciullo, un tecnico a cui – dice – si è completamente affidato. Anche al di là delle semplici questioni tattiche. Il coach, cioè, gli ha suggerito dei nomi, buoni per rafforzare l’organico. E, se tutto va come deve, Flora proverà ad accontentarlo. Per operare, aggiunge, non ha bisogno di intermediari o di procuratori. Gli basta la parola del suo allenatore. Parole che, evidentemente, feriscono il direttore generale Carbonella, che poi è – di fatto – anche il gestore delle manovre di mercato della società. E, allora, il diggì interviene telefonicamente, senza risparmiarsi la stizza. I toni del confronto tra i due dirigenti si fanno immediatamente aspri. La diretta televisiva si infiamma, senza preavviso. Flora suggerisce al suo collaboratore più stretto di dimettersi, se non gradisce la linea. E Carbonella raccoglie l’invito, assicurando di averlo già fatto (quando?). Il conduttore, sorpreso e frastornato, fatica a capacitarsi di quanto accade e a limitare il danno (di immagine, ma non solo) ormai già procurato. Quindi, la trasmissione sfuma in fretta, come a liberarsi di se stessa. Imbarazzi a parte, diventa difficile capire perché, ad esempio, lo strappo sia stato consumato davanti ad una piazza assetata solo di buone notizie. E non, com’era naturale che fosse, all’interno della sede del club. E, poi, non sarebbe male sapere quali sono le cause che hanno disegnato la frattura tra presidente e direttore generale (lo sfogo di Carbonella appare la conseguenza diretta di un antefatto: e Flora, tra le righe, lo lascia intendere). Infine, lo stesso Carbonella parla espressamente di un giochino di potere, attribuendolo al numero uno. Restiamo in attesa di chiarimenti. Nel frattempo, le nubi si riaddensano. E sull’Adriatico si riscopre quel gusto antico di complicare sempre tutto.

martedì 15 ottobre 2013

Rallenta anche il Monopoli

Le più titolate indugiano. Il Taranto non sa più vincere e, sotto la spinta emotiva di una nuova delusione, si libera di coach Maiuri. Il Bisceglie (che, comunque, con Favarin in panca torna al successo) è ancora attardato. Il Matera, pur reagendo alla prima caduta stagionale, contabilizza quattro gol al passivo in una sola settimana. La Turris, sin qui mai seriamente fiorita, si schianta a Marcianise, nel match che dovrebbe soppesarne la raggiunta maturità. Il Brindisi passeggia su quel che resta del Nardò in campo neutro e si regala un po’ di regolarità nel passo, ma deve crescere ancora. Il girone appulocampano di serie D è questo: piaccia o no. Non c’è, del resto, una realtà come l’Ischia della scorsa stagione, ad esempio. E, allora, se ne avvantaggia il Marcianise, neopromossa di sostanza che non sbaglia praticamente nulla. Puntando sul collettivo e sul suo buon umore. Quel Marcianise che nessuno sospettava di dover temere. E che un po’ ricorda il Gladiator di un anno fa. Infine, c’è il Monopoli, un’altra big che potrebbe scrollarsi gli ultimi torpori e sbocciare definitivamente, inserendosi sulla scia della capolista inattesa. Basterebbe sbarazzarsi - in casa, nel posticipo - della Puteolana, titolare di una classifica dimessa. Cioè, conquistare il terzo risultato pieno di fila. Ma anche la formazione curata da De Luca sbanda un’altra volta, sconfessando il progetto. Finisce zero a zero, l’occasione è sciupata. E non serve neppure criticare la ruvidezza dei campani, scorbutici, smaliziati (anche i suoi under appaiono decisamente scafati) e oggettivamente fallosi. No, anzi: la Puteolana si disegna la sua gara e la porta avanti sino in fondo, malgrado l’inferiorità numerica maturata già nella prima frazione. Resistendo con dignità e decisione anche alla maggiore pressione monopolitana, esercitata nel quarto d’ora che segue l’intervallo. E poi la formazione di Potenza non si rifugia in trincea, ma pensa persino a qualche ripartenza tutt’altro che formale. Sono, piuttosto, proprio Lanzillotta e soci a creare problemi a se stessi. Il Monopoli è pigro, contratto, arruffato. Si lascia irretire dall’avversario e, quando il tempo comincia a scorrere, trova pochi metri quadrati in cui esprimersi. Ma, soprattutto, non approfitta dei vantaggi che, dal punto di vista tattico, la Puteolana – sistemata con un centrocampo a rombo, quindi molto raccolto – gli offre. La gente di De Luca, cioè, va ad intasare gli spazi centrali, già abbondantemente coperti dai campani, rinunciando ad allargarsi. Certe gare si possono vincere sulle corsie esterne: invece, niente. Qualcosa di più e di meglio arriva, appunto, agli albori della ripresa: prima che gli spazi si attoglino rigorosamente. Ancora: a fronte di una sola punta da sorvegliare, la linea difensiva rimane ancorata alle quattro pedine di partenza. E, magari, neppure questo particolare aiuta. Ma tant’è: certe partite nascono così, sono segnate. Di sicuro, però, così come il Brindisi o la Turris, come il Bisceglie o lo stesso Matera (del Taranto non parliamo nemmeno), anche il Monopoli non sembra ancora pronto a sostenere un serio dialogo al vertice. Lo dicono i numeri, ma lo dice soprattutto il gioco.

lunedì 14 ottobre 2013

Imbarazzante, irritante Martina

I tre gol (a zero) di Foggia, sofferti sette giorni prima, pesano parecchio sul Martina. Che, ormai esaurito il break di un paio di settimane decisamente più rassicuranti, si riscopre nuovamente piccolo e povero. La prestazione di ieri, di fronte al nuovo viceleader del girone Teramo, è imbarazzate. No, di più: irritante. Perché l’analisi va approfondita necessariamente oltre il risultato (scabroso: uno a quattro al Tursi) e dirottata sui comportamenti della squadra (molle, frenata, appesantita, svogliata, anche a svantaggio acquisito) e sugli atteggiamenti collettivi (rincorrere presuppone determinazione, volontà e coraggio: e rimediare diventa praticamente impossibile, se troppo spesso nove elementi su undici si raccolgono dietro la linea della palla). Gli abruzzesi non aggrediscono tanto e non viaggiano neppure su ritmi alti (ma la cortesia è ampiamente ricambiata, va detto): però il Teramo è più compatto e solido, fa viaggiare il pallone, pratica un calcio lento ma pulito, conosce le geometrie e il concetti di inserimento. Sbloccare lo score, prima della mezz’ora di gioco, è facile: poi, la formazione di Vivarini si contiene e sembra non voler infierire (quel torello, a metà match, è antipatico: per il Martina, ovviamente). Il raddoppio, comunque, arriva ugualmente. E la gente di Bocchini si ribella troppo tardi, quando manca una manciata di minuti alla chiusura delle ostilità. Certo, il recupero lungo accordato dal direttore di gara accorre persino in soccorso di Leuci e compagni: ma, in realtà, finisce per offendere i sentimenti della tifoseria di casa (arrivano, cioè, il terzo e il quarto sigillo teramano). Gran brutta figura, in sostanza. Scolpita, più che dall’appurato deficit tecnico (che l’indisponibilità di Petrilli aggrava), dalla scarsa reattività  - anche e soprattutto nelle situazioni di ripartenza concesse dall’avversario - e dal debolissimo spessore caratteriale del Martina. Tatticamente, il tecnico cambia la pedina che staziona davanti la difesa (non più Gai, ma De Lucia, almeno per un tempo, perché poi torna tutto come prima): al di là degli uomini, tuttavia, la squadra non sa replicare e non riesce a guadagnare densità in mezzo al campo, né può vantare un minimo di personalità: dissipando pure quelle coordinate pulite di un tempo. In coda al rovescio, intanto, i numeri incombono (terz’ultimo posto) e il morale cala. Oscurando pure la buona notizia degli ultimissimi giorni: il club, adesso, può respirare con l’aiuto economico garantito da un nuovo socio, il bresciano Gherardini. Che potrebbe (dovrebbe) regalare qualche rinforzo (ne servirebbero tre, quattro): a gennaio e, magari, anche prima (occorrerebbe, perciò, sondare la lista degli svincolati). Ma non sarà semplice operare: perché sbagliare le scelte è vietato.  



lunedì 7 ottobre 2013

Brindisi su, Taranto giù. E Maiuri rischia

Brindisi-Taranto, all’improvviso, diventa un derby di alto valore. Per i due tecnici, essenzialmente. Ciullo, il caudillo adriatico, si ritrova a sgomitare tra le prime critiche mirate: la squadra, sicuramente più carrozzata di quella della scorsa stagione, non duplica più molte giocate di allora e non sviluppa quel calcio largo e tagliente dei suoi giorni migliori. La manovra si è un tantino involuta e sembra difettare anche la personalità necessaria per inseguire il risultato. E Maiuri, coach che lavora in riva ai due Mari, è già un osservato speciale: la formazione probabilmente più titolata del campionato, sùbito dopo il Matera, si apre troppo spesso sotto il peso delle insidie degli avversari di turno e sembra soffrire la scarsa predisposizione della mediana ad assicurare un filtro rassicurante. Tanto che i risultati non arrivano (l’ultima prestazione è coincisa con la caduta casalinga di fronte alla Turris e, prima ancora, soltanto un finale di gara grintoso aveva garantito il pareggio a Bisceglie). Lo scontro incrociato, così, si tinge di apprensioni. Che il Brindisi supera con la volontà e con la determinazione che occultano certe distonie (troppi lanci lunghi, fraseggio continuo, ma talvolta affaticato), mentre il Taranto – confuso, contratto, impaurito, scollegato, abbastanza fermo – affonda. Vince (due a zero) la squadra più meritevole, cioè quella meno sgranata, quella più coraggiosa. Quella che tiene più palla, che copre meglio il campo. E che cerca il successo, sin dall’avvio. Legittimandolo prima dell’intervallo, quando costruisce il meglio, prima di raddoppiare (Gambino è sempre più leader della classifica riservata agli artiglieri del torneo). Perde il collettivo che approccia il match con troppe riserve mentali e con un impianto che assicura più protezione alle retrovie (due mediani davanti a Miale e Pulci centrali di difesa, dal momento che Prosperi torna sull’out sinistro), ma non la creatività. Ma, se nella zona nevralgica Menicozzo battaglia, il coloured Muwana osserva e basta. Servirebbe, perciò, che uno tra le due punte Clemente e Balistreri e il fantasista Mignogna galleggi tra le linee, per catalizzare palle e gioco: e, invece, niente. Senza ritmi e senza idee, cioè, non si va da nessuna parte. L’acciaccato Carloto, uno abituato a pensare, entra a gara ormai compromessa, quindi troppo tardi. Il Brindisi, più vivo e più in partita, rischia in un paio di occasioni, ma gestisce il doppio vantaggio senza troppe fibrillazioni. Autoalimentandosi, probabilmente, con i correttivi tattici adottati da Ciullo (il vecchio 4-4-2 si trasforma in 4-3-3 e, se non altro, Pellecchia se ne avvantaggia). Resistono, tuttavia, alcune sensazioni: gli adriatici, seppur in crescita, non sembrano ancora pronti per affrontare le insidie di un campionato proiettato verso le primissime proiezioni (necessita una manovra più lineare, più pulita). E questo Taranto, partito per vincere, oltre alla tranquilla permanenza – oggi – non può ambire.