venerdì 20 dicembre 2013

Lecce, operazione aggancio riuscita



Aggancio riuscito. E rincorsa (al quartiere playoff) conclusa. E’ bastato aggrapparsi alla puntualità dei risultati, senza strafare. Cioè, acquisire solidità di gruppo E viaggiare sul binario dell’umiltà. Poi, gli avversari (tutti, praticamente) hanno agevolato il compito: in terza serie, quest’anno, è dura per chiunque. E neppure gli organici corazzati di Salernitana, Benevento, L’Aquila, Pisa e altre ancora passeggiano senza incontrare problemi. Anzi. Il Lecce, così, vincendo il recupero infrasettimanale di Nocera continua a scalare la classifica. Malgrado il disastro di inizio stagione, la formazone di Lerda, adesso, è quarta. Lontana dalla prima piazza (sette punti e, per ora, non è neppure il caso di pensarci, oggettivamente), ma assolutamente nel vivo della competizione per il secondo posto disponibile in ottica serie B. Da non credere. Due successi in quattro giorni rilanciano le quotazioni, aprono orizzonti nuovi, liberano la fantasia. Ma, soprattutto, spazzano quella cappa di cattivo umore che non ha mai abbandonato la squadra sin dall’avvio del torneo. In Campania, mercoledì, ci pensa Bogliacino a sbloccare lo score, prima che arrivi l’intervallo, dagli undici metri (è questa la svolta: anche perché la Nocerina rimane contestualmente in dieci): quindi, tutto diventa più semplice. Ma il Lecce, al di là degli episodi, sfrutta un momento di maggiore serenità e i propri valori tecnici, superiori alla media del campionato. Che, seppure in ritardo, si sforzano di emergere. Contando, da qui in poi, anche su un altro requisito, da non sottovalutare. La continuità, appunto: che, in questo momento solo la capolista Perugia e – in parte – il Catanzaro possono ugualmente vantare. Una dote da sfruttare, prima che la riapertura del mercato favorisca una ridefinizione delle forze nello scacchiere del torneo.

mercoledì 18 dicembre 2013

Bisceglie, meglio adesso



Il secondo segmento di mercato rimodella la serie D, praticamente ad ogni latitudine, e stravolge gran parte delle protagoniste di Puglia. Ma c’è un dato, soprattutto, che colpisce e lascia riflettere: i club tagliano molti big, riducono le spese d’ingaggio, puntano sul concetto di completezza dell’organico e cominciano a preferire la sostanza alla forma. Seppure in ritardo, cioè, le società scoprono (o riconoscono) un’antica verità: ogni campionato necessita dei giocatori più adatti a quel tipo di palcoscenico. Traducendo, gli elementi di categoria offrono, alla lunga, maggiori garanzie. Ancora: sono pochissime le operazioni da urlo (ricordiamo, nel girone H, quella di Picci, transitato dalla C di Barletta al Matera: per il resto, niente di speciale). Non solo: la capolista Marcianise, ad esempio, non si muove o quasi. Tra lo Jonio e l’Adriatico, invece, il Monopoli rivoluziona il look, reinventando la difesa. Il San Severo cambia pelle. Il Grottaglie, teoricamente, si irrobustisce. Il Brindisi si libera di qualche impegno oneroso e, però, mantiene il suo miglior realizzatore, il ricercatissimo Gambino. Il Manfredonia perde qualcosa (Arigò e Lacarra, ad esempio) e prova a rimediare. Mentre il Taranto, senza grandi capitali da investire, assiste, recuperando un solo under (Picascia, ex Foggia). Infine, il Bisceglie. Che – potremmo sbagliarci, ma anche no – si giova più di tutti delle transazioni dicembrine. Innanzi tutto, il presidente Canonico dimentica le intemperanze recenti della tifoseria e dribbla le angosce dell’ambiente, sconfessando nuovamente i propositi di abbandono. Resta al timone, pur senza rilanciare. Cogliendo, tuttavia, l’occasione per pulire l’organico di molti elementi poco propedeutici al progetto. Va via, in sintesi, un po’ di gente dal curriculum importante. Ma, di contro, arrivano ricambi più spendibili, più affamati. E anche economicamente più sostenibili. Non a caso, la prima (proprio domenica passata, a Grottaglie) è assolutamente positiva: successo netto e pesante. Sgomitava, soltanto pochi giorni fa, l’ipotesi di un tracollo tecnico, il rischio di una retrocessione annunciata. Scommettiamo, invece, che la salvezza è assai più vicina adesso di un mese fa?    

martedì 17 dicembre 2013

Due storie inversamente proporzionali



Il Brindisi perde male – molto male – anche sul campo del San Severo (non è una novità, per la formazione di Totò Ciullo, sfigurare di fronte a formazioni teoricamente niente affatto trascendentali) e, nell’ambiente, sgomita la sensazione che qualcuno, all’interno dell’organico, abbia volentieri sperato nell’insuccesso con scarso decoro per poter contare, immediatamente dopo, sullo svincolo. E, di conseguenza, sul trasferimento, proprio in dirittura d’arrivo della seconda sessione di calciomercato. Non ne fa mistero, del resto, neppure il presidente Flora: che abbandona gli spalti del neutro di Lucera prima del novantesimo, precisando con rabbia che nessuno lascerà Brindisi. E che, anzi, la squadra verrà potenziata ulteriormente. Al di là degli episodi e di certe oscure pieghe, sull’Adriatico sta accadendo qualcosa. La squadra si è inabissata in una certa mediocrità di fondo e, soprattutto, le operazioni di mercato sembrano aver corroso – più del previsto, più del normale – la quotidianità del club. Mentre, sullo sfondo, passano determinate immagini già viste negli studi televisivi di un’emittente locale e le polemiche, ancora recenti, consumate tra lo stesso Flora e il direttore generale Carbonella, tra il presidente e un procuratore assai vicino (un tempo, almeno) alle scrivanie di via Brin. Tanto per capirci, proprio mentre scriviamo, sembra dissolversi anche la pace temporanea tra i due massimi dirigenti brindisini: condizione che porterebbe, questa volta definitivamente, il diggì lontano dal Brindisi che sarà. Epilogo inevitabile, ma – probabilmente – anche opportuno: se la situazione si è incancrenita, meglio recidere il rapporto. Sarà meglio per tutti. In queste ore, intanto, la società potrebbe rafforzare l’elenco a disposizione del trainer (con Marinucci Palermo? Con altri nomi?), zittendo ulteriori illazioni e nuovi sospetti. E, magari, provare a rimarginare in fretta la ferita di Lucera: che rimane, però, profonda. Anche perché patita in casa di un San Severo decimato dalle ultime evoluzioni di mercato e, perciò, scarsamente accreditato. Un San Severo liberatosi di molti fedelissimi del tecnico Rufini (che, comunque, continua – almeno ufficialmente – a sposare la filosofia societaria) e rimodellato attorno ad interpreti meno considerati, ma evidentemente dotati di maggior appetito e di stimoli superiori. Proprio due ingredienti che, attualmente, fanno difetto al Brindisi. Due storie distinte e inversamente proporzionali: questa riapertura del mercato rischia di terremotare il campionato. O di condizionarlo, chissà per quanto. Davanti e indietro.

lunedì 16 dicembre 2013

Nuovo Monopoli, vecchio trend

Calcio discontinuo e profitto limitato, se comparato alle attese. Il Monopoli, così, a dicembre si reinventa, approfittando della seconda sessione di mercato. E sconfessando larga, larghissima parte delle scelte estive: Di Rito, De Toma, Vetrugno e Adeshokan, sull’Adriatico solo per quattro mesi, trovano altre sistemazioni e nuovi stimoli tra la serie D e l’Eccellenza. Se ne va anche Strambelli, uno dei big un tempo (neanche troppo lontano) molto amati e, ultimamente, particolarmente criticato (e contestato) dalla parte più intransigente della piazza. La società, cioè, coniuga in una mossa unica l’esigenza di liberarsi di qualche ingaggio pesante e la prospettiva di recuperare qualche pedina più affidabile per i sistemi di gioco ideati da coach De Luca. Non senza qualche difficoltà, arrivano dunque un difensore esperto come Esposito, una punta di peso come Pedalino, un’alternativa come Aprile e, infine, un ulteriore rinforzo in terza linea (Castaldo). Tra il pericolo di un incidente diplomatico con Leo Vinci (direttore sportivo attualmente senza vincoli, contattato dal presidente Mastronardi, ma bloccato dalle altre anime societarie) e una certa preoccupazione popolare. Ancora in bilico tra il vecchio e il nuovo corso, però, la squadra si presenta (è storia della settimana passata) sul campo della capolista Marcianise, ritagliandosi una prestazione di personalità, salda e solida, e intascando un punto pregiatissimo. E, oltre tutto, rispondendo indirettamente alle accuse di smobilitazione che la tifoseria ha appena riversato sulla società. Ma, sette giorni dopo, tornando ad operare sull’erba di casa, il Monopoli frena un’altra volta, di fronte al rinnovato e abbottonato Real Metapontino. C’è ancora un po’ di ruggine, nell’ingranaggio. E mancano il sacro furore, l’atteggiamento della squadra consapevole della propria forza.. Soprattutto, però, il 3-5-2 di partenza non si sviluppa, non alza i toni, non intensifica il ritmo, difettando in dinamismo e agilità. La squadra è lenta e i lucani si portano in vantaggio in due occasioni. Lanzillotta a parte, il Monopoli appare bloccato, imbalsamato. Laboragine, a cui adesso è ufficialmente delegato il compito di creare, non si accende. Il nuovo terminale offensivo, Pedalino, è ancora un po’ estraneo alla manovra (e non esclusivamente per amnesie proprie). Lo stesso Pinto rinuncia spesso alla sua progressione possente. E, se non fosse per il colpo di testa risolutore di Montaldi, a recupero quasi consumato, parleremmo di un rovescio amaro e scomodo. Il collettivo, è chiaro, si sta ancora cercando, senza trovarsi per due partite di fila. E, nel frattempo, sembra aver perso i contatti dalle prime della classe. Certo, i nove punti che distano dalla vetta sono tecnicamente ancora colmabili, se ricordiamo che il leader Marcianise deve ancora riposare, proprio domenica prossima (diciamo pure che, virtualmente, sono sei) e un nuovo torneo si sta ufficialmente aprendo, come sempre accade al termine della prima manche della stagione: ma, probabilmente, questo è anche il momento di cominciare ad osare qualcosa in più, pur salvaguardando gli equilibri fondamentali. E di spendere una dose in più di coraggio.

domenica 15 dicembre 2013

Bari, mezzo passo falso



Alberti e Zavettieri superano qualche problema di formazione. Ma il Bari non si libera dal Carpi. Raggiungendo, anzi, il risultato minimo solo in prossimità del fotofinish. Dopo aver condotto il match per un po’. Ed essere passato in vantaggio, legittimamente. Eppure, globalmente, la prestazione non fortifica il morale del gruppo e della tifoseria. Aprendo, per qualche ora, il dibattito sulla posizione dei tecnici, minacciati da un esonero che, comunque, non si concretizza. E dire che il match sembra ammiccare, da sùbito. Il Bari, è vero, non forza, non alza il ritmi. Ma tiene palla, premendo con discrezione: e, sostanzialmente, fa la partita. L’avversario è fragile e non filtra: sembra poco convinto e persino poco dinamico. Galano, di contro, è ispirato. Fedato si accoda. Il 4-2-3-1 e qualche accelerazione bastano a creare i presupposti giusti che permettono a Ceppitelli di colpire. Uno a zero, il compito appare facile. Così non è, invece. Gli emiliani si svegliano, si consolidano in mezzo al campo, conquistano la superiorità nella zona nevralgica e cominciano ad aggredire, guadagnando metri e occupando più spazi. Il nigeriano Mbakogu, un po’ di tecnica e molti doti atletiche, s’inventa il pareggio e cambia le sorti del match. Che inverte il suo corso nella ripresa, quando lo stesso Mbakogu escogita la maniera per raddoppiare. Il Bari si concede al 4-3-3, poi – con l’apporto di João Silva - al 4-4-2, quindi al 4-2-4: ma vengono a mancare la continuità e la brillantezza. Marotta e soci rincorrono senza trovarsi. Sciaudone si perde un po’ e difetta pure la fantasia. Brilla solo Sabelli, che a destra si propone con continuità e personalità. Resta la disperazione, oppure l’orgoglio: a cui, infine, la squadra si aggrappa, riuscendo a rimediare almeno un punto. Che non è molto, ma che tuttavia basta a non deprimersi. E, probabilmente, a salvare i condottieri, peraltro già sonoramente scaricati dalla curva più calda a gara ancora in corso. Però, è bene sottolinearlo, il Bari non rinuncia mai a mettere la palla a terra, anche nei momenti meno fecondi. Pagando (troppo) certe pause e determinati cali di tensione. Come in passato. Si tratta, evidentemente, di un limite congenito, che la bassa età media del gruppo contribuisce a spiegare. Ma non ad assolvere. Mentre la classifica non migliora: reclamando, semmai, un pizzico di esperienza. Angelozzi, se potrà operare nelle prossime due settimane, ormai dovrebbe sapere  in che direzione rivolgersi.  

giovedì 12 dicembre 2013

Taranto, serve ridimensionare il progetto?


Questa volta si gioca, normalmente. Niente pioggia scrosciante, niente freddo pungente: il Taranto recupera di mercoledì il match di Francavilla sul Sinni, rinviato l’altra domenica. E trova un pareggio non eccessivamente ammiccante, che tiene – magari – la squadra ancora sulla scia del pratico, rapido e ben organizzato Marcianise, sempre più capolista (con merito) del girone appulocampano di D. Quel Marcianise che, peraltro, proprio domenica scende allo Iacovone (dove, uscendo indenne, potrebbe ipotecare la promozione: fatti, non fantascienza). La formazione di Papagni si ritrova sotto, pareggia e ribalta lo score, quindi si fa raggiungere: ma, al di là dei dettagli statistici, dopo un periodo promettente, quella di Papagni non sembra ancora la squadra sicura di sé e proprietaria insindacabile del proprio destino che tutti gradirebbero applaudire. Rischia poco, cioè: ottenendo il minimo indispensabile. Così com’è, diciamolo tranquillamente, non può ambire a molto di più del terzo o del secondo posto finale. Il coach, è vero, è costretto a rinunciare agli attaccanti migliori. E, in fase difensiva, continua a soffocare (le esitazioni, ormai, sono sistematicamente imbarazzanti). Ciarcià, ispiratore designato dall’urgenza, fallisce la prova, sostanzialmente: spiegando, una volta per tutte, che l’ingaggio di un catalizzatore di gioco è esiziale. Ma, in realtà, la seconda sessione di mercato non decolla. Per ora, solo movimenti in uscita. E c’è un motivo, sottolineato – del resto – dagli sviluppi dell’ultimo confronto societario: il club, come confessa candidamente il presidente Nardoni, ha capito di aver fatto affidamento su entrate inesistenti, di fatto. La situazione è più complicata del previsto: come certi segreti sussurrati qua e là avevano, sin dalla fine dell’estate. già abbondantemente lasciato intendere. Nessun problema, però. In questo caso, è sufficiente abbozzare un passo indietro e moderare gli appetiti. Se il Taranto non può competere per la serie C, che venga detto chiaramente. Definitivamente. La gente capirà. O se ne farà una ragione. I programmi possono pure cambiare, a lavori in corso. Non è una vergogna. Per nessuno. Nemmeno per una piazza di prestigio antico: che deve preferire la continuità al sogno folle.   

martedì 10 dicembre 2013

Il Martina non c'è. E, ora, il mercato



Due trasferte redditizie (quattro punti in due gare, nello spazio di sette giorni) possono persino non significare niente. O meglio: gli effetti sulla classifica, in qualche maniera, resistono: ma quelli sulla psiche di gruppo e sulla qualità di calcio possono addirittura evaporare in fretta. Se ne accorge il Martina. Se ne accorge la gente che tifa. E dobbiamo augurarci che se ne accorga anche la società. Il successo di Sorrento e il successivo pari di Aversa, probabilmente, avranno illuso la squadra, attenuato la tensione, liquidato la concentrazione, colmato l’appetito. Privando la formazione di Bocchini, sulle zolle di casa, davanti al Chieti, dell’energia - fisica e mentale - che serve ogni domenica per ambire ad un traguardo ancora troppo lontano, la permanenza tra i professionisti. Tornando a casa, cioè, Martina si ritrova senza ritmo, senza voglia, senza coraggio. Svuotato. L’avversario è oggettivamente modesto: fa appena quanto la situazione gli chiede e intasca tutti i punti a disposizione: legittimando, peraltro, il sigillo decisivo di un ex, Mangiacasale. Ma Leuci e soci sono assolutamente inguardabili. Timidi, inconsistenti, inadeguati. E’ la verità: anche se dispiace dirlo. Non è, quello che viviamo, un campionato di grande spessore. E, proprio per questo, è necessario tentare, sempre. Ed è obbligatorio provare a fare il match, almeno di fronte al pubblico amico. Del resto, in una stagione anomala come questa, tanti pareggi (quando arrivano) non possono e non potranno bastare. Ma il Martina si estranea dalla battaglia, dalla partita. Non regge neppure il paragone con un allenamento infrasettimanale: là c’è più agonismo, garantito. Il 5-3-2 (sì, in fase di possesso dovremmo parlare di 3-4-3, ma è proprio il possesso di palla che manca) preparato dal tecnico si assenta da sùbito: ma non è un inconveniente di natura tattica. E’, piuttosto, una questione di approccio. O, peggio, di mentalità. Anche Petrilli è svagato oltre il consentito: difficile, allora, pretendere qualcosa da una squadra che, praticamente, arriva ad una vera conclusione solo in prossimità del novantesimo. E mai prima. Gli ultimi dieci minuti di leggero forcing non cancellano gli imbarazzi degli altri ottanta. E non c’è troppo da aggiungere. Se non che, ormai, è tempo di rimediare: con qualche rinforzo di personalità, magari anche di esperienza. Serve gente che sappia trascinare il gruppo, ecco. Che possieda intraprendenza, decisione, grinta. Le mezze figure non risolveranno nessun problema. Con o senza Bocchini: che parte della tifoseria, evidentemente, continua intimamente a non amare troppo. E che, invece, continueremo a difendere: almeno sino a quando il roster rimarrà quello che attualmente è. Dopo avergli chiesto, perché no, di dotare al Martina più aggressività. E più rabbia. Ce n’è bisogno, al di là del livello tecnico degli interpreti.



lunedì 9 dicembre 2013

Bisceglie e Ostuni, la provincia si sveglia

Il presidente Canonico, appena cinque giorni fa, puniva l’irrazionale e vendicativa irruzione della frangia più calda della tifoseria biscegliese, azzerando il piano di rilancio della squadra e, sostanzialmente, firmando il proprio disimpegno. E ieri, ad Ostuni, un altro presidente (Luca Marzio) ha praticamente sgomberato parte della tribuna, delegittimando la presenza degli ultras. Colpevoli di aver lanciato in campo materiale pirotecnico e, soprattutto, di aver stordito – senza successive conseguenze, peraltro – un assistente di linea, durante il match tra la formazione di casa e il Galatina (campionato di Eccellenza). Sembra che - timidamente, lentamente - il pallone di casa nostra  e, principalmente, i suoi gestori comincino a svegliarsi, a ribellarsi ad un certo trend. Sono piccoli segnali, ma indicativi. Che rallegrano non poco. Se certe turbolenze si affacciano pure in provincia, è proprio la periferia dell’impero a mobilitarsi: con misure concrete. Sembra una traccia, un messaggio. E sono misure che meritano un sostegno, anche e soprattutto da parte delle istituzioni: morale e, innanzi tutto, pratico. Se, poi, è proprio la Puglia a dettare una determinata linea, ben venga. Sperando che i fatti di Bisceglie e di Ostuni non si rivelino solo una semplice coincidenza. Intanto, dove non arrivano le restrizioni, i tesseramenti, i prefiltraggi e tutto il resto, emerge il buon senso. L’ultima stampella a cui ci è concesso aggrapparci.   

giovedì 5 dicembre 2013

Bisceglie, dalla rifondazione al disimpegno



Il Bisceglie zoppica ancora. E, pur tranquillizzando la sua gente per soli sette giorni (pari a Torre del Greco, con onore e rimpianti), torna sùbito a sbandare. Consigliando il patron Canonico a riconsiderare l’idea di investire: sul mercato di riparazione, è ovvio. Tanto che il ventaglio delle possibilità si allarga progressivamente: cominciano, così,  a circolare nomi suggestivi, rinforzi preziosi. L’ultima performance, però, si trascina imbarazzi inimmaginati: la caduta, nella nebbia di Lucera, in casa del San Severo, è rovinosa. E la manovra improponibile. Ma c’è di più, purtroppo: la tifoseria, stressata, non accetta spiegazioni. E insorge, veemente. Al rientro dall’ultima trasferta, la squadra è accerchiata, sbeffeggiata, insultata. Nell’assalto, non solo verbale, maturano spintoni, forse anche schiaffi. Qualche effettivo dell’organico, colpito, comunica di voler cambiare residenza calcistica, immediatamente. E, allora, già sufficientemente provato dall’esperienza sull’Adriatico, ovvero pentito di una scelta rinnegata anche nel corso della stagione sportiva passata, il presidente interviene con chiarezza. Duramente. Stop alla campagna di rafforzamento, innanzi tutto: Strambelli, dunque, si muove da Monopoli, ma si sistema ad Andria, in Eccellenza. E lo stesso fa Di Rito, il miglior realizzatore del campionato scorso, proprio a Bisceglie. Via i pezzi più interessanti (Titone, ad esempio, si sistema a Matera). E, ovviamente, nuove dimissioni. Irrevocabili: come qualche mese fa, è vero. Ma, questa volta, più pericolose. Più credibili. Il Bisceglie, all’improvviso, si ritrova senza sovvenzioni. Senza guida. Con un titolo teoricamente in vendita. Senza un organico competitivo. E con la prospettiva di dover affrontare il resto del torneo con la formazione Juniores. Anche e soprattutto perché altri emigreranno, da qui sino al diciassette dicembre, data di chiusura della seconda sessione di calciomercato. Eppure, non ci sentiamo di censurare l’operazione di Canonico. Niente affatto. Anzi, ci sembra una buona idea. Anche se coincide con il fallimento ufficiale di un progetto e anche se dovesse accompagnare lo stato d’agonia di un club storico, titolato. E’ una buona idea perché non si può e non si deve, sempre e comunque, fingere di non vedere e di non capire. Perché, a queste condizioni, non regge il sacrificio di uno o più imprenditori: al netto degli errori e di tutto il resto. Perché è il momento di cominciare a tracciare una linea, in fondo alla pagina. E di calcolare controindicazioni e benefici di ciascuna avventura calcistica. E perché le illusioni (e, eventualmente, le disillusioni) non devono sistematicamente spingerci nel fango di un tifo miope o, peggio, illegale. Del problema specifico, altrove, se ne parla, anche troppo: e fioccano messaggi privi di soluzione. Quello di Canonico, invece, è un segnale concreto: sempre che la decisione venga confermata, come sembra. Un segnale che presuppone un’azione precisa. Che va condivisa. Seppur con dolore.

lunedì 2 dicembre 2013

Se Gambino non segna



Nella domenica del diluvio si fermano forzatamente il Taranto e il Francavilla, il Matera e il Marcianise: infiacchendo l’irriverenza (e la bellezza) del calendario, che avrebbe voluto contrapporre quattro delle prime sei concorrenti del girone appulocampano di serie D. A Brindisi, tuttavia, si gioca. Anche se il terreno è ovviamente pesante. C’è la Turris: e il fascino di una sfida importante, malgrado l’afflosciamento temporaneo delle prospettive dei campani, peraltro rimaneggiati in prossimità della rivoluzione tecnica di metà stagione, si sente tutto. Anche per questo, la gente di Ciullo e la formazione di Pensabene, coach all’esordio, faticano a ragionare. La Turris è contratta, preoccupata: e, a lavori in corso, preferisce badare alla quantità. Tralasciando decisamente la qualità della manovra. Il Brindisi, di contro, è nervoso. E si esprime con lanci lunghi. Le condizioni del campo incidono, evidentemente: ma difetta la fluidità di altre occasioni. Con il tempo, però, le cose migliori sono degli adriatici, che ampliano la supremazia territoriale e rafforzano la pressione. Ma Gambino, al rientro dopo tre turni di squalifica, non è irreprensibile. La sosta, probabilmente, lo ha arrugginito: oltre tutto, l’estremo torrese Liccardo gli si oppone dagli undici metri, ad inizio della ripresa. Dopo il penalty fallito c’è solo il Brindisi: la Turris si difende soltanto. Pellecchia coglie il palo, però a De Martino e soci difetta la marcia in più, il guizzo. Il pari senza marcature, alla fine, trattiene il Brindisi: senza rilanciare i campani. Dalla sfida, infine, fioccano altre indicazioni. La più vistosa: malgrado il Brindisi abbia terminato il match con tre punte di peso (Gambino, Tedesco e Albano), la fase di possesso non si è finalizzata. E’ mancato il gol. Cioè, è mancato Gambino. Che i compagni di squadra non sempre possono sostituire.