Qualche volta inciampa, il
Foggia. Come domenica. Ma i risultati continuano pur sempre a sbocciare con
gradevole continuità. Il dato, così com’è, è assolutamente rassicurante. E la
classifica non se ne svantaggia granché. Anche se la Casertana, vincendo a
Martina, scavalca la gente di Padalino, che peraltro continua a tallonare
Cosenza e Teramo, mantenendo la quarta poltrona. Controllando a distanza,
soprattutto, la concorrenza (il margine sulla nona piazza è di otto punti).
Certo, l’ultima prestazione è unanimemente considerata tra le peggiori
dell’intera stagione. E lo spreco, di fronte al Melfi, sul terreno amico, è
immediatamente sembrato evidente. Due gol di vantaggio e, alla fine, soltanto
un punto: che, comunque, fa ugualmente comodo e si fa sentire. I lucani lottano
anche quando lo score sembra
definitivamente compromesso e, invece di disunirsi, si compattano.
Monetizzando, probabilmente, quel momento della gara in cui il Foggia deve
soltanto governare e devitalizzare gli appetiti avversari. Vero è pure che
Agnelli e compagni segnano e raddoppiano senza brillare troppo, punendo oltre i
demeriti la squadra di Dino Bitetto. Ma queste sono contraddizioni di cui il torneo
tradizionalmente si nutre. Il coach, intanto, nell’urgenza (ecco, di nuovo,
qualche disfunzione nell’assetto di presidio), rispolvera la difesa a quattro,
modificando il modulo di partenza che quest’ultima parte del campionato aveva
provveduto a quotare. Segno che le impurità di un tempo, talvolta, possono
riemergere: innanzi tutto, se cala il livello di attenzione e applicazione. E
se la squadra finisce sotto pressione avversaria. Il match con il Melfi, in
realtà, svela quanto il Foggia continui a dipendere fortemente dallo stato di
forma di Agnelli, il metronomo che molto spesso assicura equilibri e spessore
tattico, e da quello di Giglio, il miglior realizzatore della squadra, che appare
vagamente appannato da qualche settimana. Eppure, dicevamo, il collettivo – pur
faticando - funziona ugualmente. O, meglio, arriva puntualmente a nutrirsi della
sostanza dei punti: e solo chi conosce a fondo questo torneo sa quanto sia
fondamentale fermarsi il meno possibile. E sì: arrivare a marzo con una dote serenamente
spendibile non può che sostenere il progetto della C unica. In estate,
probabilmente, non ci avrebbe scommesso nessuno.
mercoledì 29 gennaio 2014
martedì 28 gennaio 2014
Ciullo, da inattaccabile ad esautorato
Difficile che Ninì Flora
nasconda quello che intimamente pensa. Il presidente coltiva una convinzione:
quella di aver allestito, tra dicembre e gennaio, uno degli organici più affidabile e
completi del girone H della quinta serie. Modificando, in corso d’opera, il
frutto delle operazioni gestite da Palomba e Carbonella, lontani dal Brindisi
ormai da un po’. Questa squadra, sostiene, deve imporsi. O, comunque,
battagliare al fianco delle concorrenti più titolate sino all’ultimo minuto
dell’ultima giornata. Senza inciampare rovinosamente negli ostacoli del
cammino. Anche se uno di questi ostacoli si chiama Matera, formazione in cerca
di un’identità definitiva e, tuttavia, sempre fastidiosa in quelli che vengono
definiti scontri diretti: dove, cioè, talvolta si abbandonano le posizioni e si
tenta contemporaneamente il colpo, la giocata e lo sviluppo della fase di
possesso. La sconfitta di domenica, peraltro, fa rumore: per l’espressione
numerica (tre a zero per i lucani, score
insindacabile) e per le situazioni che la determinano. Che bypassano anche il dato dell’avvenuta inferiorità numerica: senza
dubbio vincolante, nelle pieghe del match. Scatenando la stizza del massimo
dirigente. Le contromisure, allora, diventano devastanti: almeno per Totò
Ciullo, tecnico tenacemente confermato in estate ed esautorato ancora prima di
febbraio. Il tecnico di Taurisano è liquidato in meno di dodici ore: è
sufficiente un summit societario,
quello di domenica sera. Sicuramente influenzato, però, dell’allontanamento
graduale di Flora dalle idee dell’allenatore: un allontanamento palesato anche
pubblicamente, davanti ai microfoni e alla telecamere. E, ammette qualcuno,
pure dalle scelte tattiche del coach: che, questa è l’accusa, non avrebbe
offerto continuità ad un unico modulo di riferimento. Finendo, così, per
disorientare la squadra. Motivazioni di fondo a parte (a proposito: non
capiremo mai se evolversi tatticamente è una risorsa oppure no), sono sempre e
comunque i cattivi risultati a condannare il responsabile tecnico: nel caso
specifico, troppo spesso incensato per la bontà e lo spessore della manovra del
Brindisi e, dunque, ritenuto inattaccabile. Senza Ciullo, intanto, si apre un
nuovo capitolo. C’è già il suo sostituto, da ieri: si tratta di Marcello
Chiricallo, personaggio a cui non difetta l’esperienza. Ma allenatore che,
notoriamente, insegue un’idea di calcio totalmente diversa da quella del suo
predecessore. La manovra di Ciullo amava nascere nelle retrovie e si nutriva
anche e soprattutto della spinta consegnata dagli esterni. Quella di Chiricallo
è più immediata e concreta, diciamo anche più pragmatica, votata alle
verticalizzazioni che vorrebbero raggiungere il terminale offensivo. Cambiando
gestore, il Brindisi dovrà perciò mutare anche atteggiamenti e stile:
operazione che, a questo punto della stagione, in piena corsa per la
promozione, presuppone pure qualche rischio. E, ovviamente, il pericolo di
qualche esitazione suppletiva.
lunedì 27 gennaio 2014
Martina, faccia a faccia con la realtà
Come previsto: il Martina sottratto a Bocchini e consegnato a Tommaso Napoli rivede il proprio look e si ridisegna profondamente. I copiosi acquisti di gennaio si aggiungono alle integrazioni di dicembre, finendo per modificare l’anima del collettivo e, magari, anche il senso della stagione. Giorno dopo giorno, cioè, la decomposizione della vecchia versione della squadra, inadeguata a mantenere la categoria (lo dicono i numeri), concede timidamente spazio alla speranza. Suffragata dalla personalità di qualche nuovo arrivo (le punte Montalto e Arcidiacono, ad esempio, ma anche De Martino) e dalla superiore caratura tecnica di gente come Guadalupi. La seconda manche del torneo, del resto, è la prova d’appello: fallire non si può più. E la società appare decisa a rincorrere l’ottavo posto o, nel peggiore dei casi, i playout. Le recentissime uscite (vittoria, al Tursi, sul Castel Rigone e pareggio, sette giorni dopo, ad Aprilia) dicono di una squadra rivitalizzata: nell’umore e nelle situazioni di gioco. Ma l’ultimo match, contro l’attrezzata Casertana, trascina nuovamente il Martina di fronte alla realtà, edificata sulle apprensioni e i timori. La sconfitta, come uno schiaffo, si materializza esattamente un istante prima della fine. La partita non riprende neppure: e resta sull’erba la rabbia, la frustrazione. L’impronta decisiva è del pulsanese Antonazzo, indisturbato davanti all’angolo scoperto: e il gol, va detto, è un premio eccessivo per la formazione curata da Ugolotti, molto coperta e attendista, ma anche ben strutturata e sufficientemente furba. Il pari calzerebbe meglio, molto meglio: perché è il Martina che spreca, per tre volte in una manciata di secondi, l’occasione migliore per passare in vantaggio. E, soprattutto, perché è il Martina a tenere palla e ad orchestrare più a lungo. C’è, all’interno del collettivo di Napoli, l’autorevolezza per impostare e per dialogare con un avversario tecnicamente più evoluto. E c’è una mentalità più solida, che si forma sulla consapevolezza di potersi finalmente esprimere con argomenti migliori. Manca, piuttosto, un ritmo alto che permetta alle dinamiche di gioco di svilupparsi sino in fondo. E mancano accelerazioni e cambio di passo. Il Martina, così, finisce per non approdare mai dove vorrebbe. Si sente, oltre tutto, l’assenza di una prima punta: Montalto è squalificato e un suo sostituto, al momento, non esiste. Guadalupi, lì davanti a tutti, è un ripiego: si sacrifica e prova a gestire la palla, tentando di agevolare i compagni di reparto, ma l’operazione non riesce sempre. Arcidiacono, invece, si sistema largo a sinistra, un po’ lontano dal vivo dell’azione. E Petrilli continua a non produrre i guizzi che servirebbero. L’esperienza di De Martino, nel mezzo, non basta: la fantasia reclama altre caratteristiche. E il dinamismo di De Lucia (a proposito: ormai Gai sembra ai margini del progetto) non può sopperire ad altre carenze. Il giovanissimo Kalombo, all’esordio, banalizza qualche palla in fase di possesso e, proprio al tramonto del match, commette un paio di ingenuità pesanti. Per buona parte della gara, infine, la Casertana si ritrova in inferiorità numerica: che il Martina non riesce a monetizzare. Ed è proprio questo uno dei peccati originali, puntualmente pagati. Lo stop è assolutamente inopportuno, in questo momento: che è, poi, il momento della pianificazione della rincorsa. Quello in cui si immagazzina morale nuovo, cioè. Ci incuriosisce sapere come risponderà la squadra, adesso. E cosa riuscirà a proporre ancora il mercato di riparazione. Il tempo comincia ad assottigliarsi e scalare troppe posizioni, a dispetto di tante concorrenti, è un percorso saturo di incognite e, innanzi tutto, dispendioso.
domenica 26 gennaio 2014
Bari, bonus sprecato
Il giovane Bari, nella sua affascinante incoscienza, ama giocare la palla, contro chiunque. Logico, allora, che si industri anche e soprattutto di fronte alla Reggina, formazione complessivamente modesta e penultima forza di un campionato che si riaccende in coda ad una lunga sosta. Ma, se il campo è decisamente pesante e la manovra s’impantana presto, le difficoltà crescono vertiginosamente. Peggio: se l’avversario, alla prima occasione utile, realizza il gol da capitalizzare e poi trova sufficientemente conveniente attendere e ripartire, il match diventa maledettamente difficile. Sotto dopo appena due minuti, la formazione di Alberti e Zavettieri esprime un calcio lento, prevedibile, privo di soluzioni spendibili. La palla avanza tranquillamente sino alla trequarti: sùbito dopo, però, si perde. Fatica persino Sciaudone, uno che solitamente possiede intuizioni utili alla causa. E che, tuttavia, in mezzo al campo sembra il più indicato ad escogitare una trama: almeno sino a quando non gli viene preferito Delvecchio, tra l’indispettito dissenso che piove dalle tribune. Del resto, Romizi appare un po’ a disagio. E, oltre tutto, difetta anche lo storico apporto, sule corsie laterali, di Sabelli, Calderoni e dello stesso Fedato, che appare e scompare. Il Bari, spesso, è impacciato. Cambia gioco appena può e appena deva, ma senza saltare lo sbarramento reggino. I ritmi bassi e qualche imperfezione non l’aiutano. I tecnici invertono le posizioni di Fedato e Galano (che, peraltro, vanifica la possibilità più allettante di pareggiare, da pochi passi), ma il problema di fondo persiste: gli spazi si restringono puntualmente e smarcarsi, davanti, è un’autentica impresa. Eppure, la situazione potrebbe risolversi, malgrado tutto. Contatto in piena area, penalty: dal dischetto, però, il discontinuo Defendi si fa neutralizzare il pallone del pari da Pigliacelli, guardasigilli calabrese. La partita continua, facendo spazio, poco più tardi, ad un 4-2-4 che assalta la Reggina, ma senza scavalcarla. Il Bari, peraltro, finisce in nove: fallendo l’appuntamento con la serenità. Rimane, cioè, la classifica scomoda. E la sensazione di aver sprecato un bonus niente male.
giovedì 23 gennaio 2014
Barletta, serve chiarezza
Tre mesi, o quasi, di navigazione piatta. Nessun sussulto, nessuna decompressione insanabile. Il Barletta, oggi, è esattamente dov’era alla fine di ottobre, nelle retrovie di un campionato dove si lotta esclusivamente per apparire, in ottica serie B. E non per tutelare la categoria. Quella è già garantita, comunque vada. Anche per questo motivo (e ci mancherebbe, aggiungiamo), la polemica popolare si è un po’ raffreddata, decomposta. Non resta, cioè, che attendere la prossima stagione e ragionare in prospettiva: un’operazione semplice, che avrebbe dovuto assolutamente essere attuale pure l’estate scorsa. E, nei fatti, ingiustamente dimenticata per inseguire sogni irrealizzabili, eterei. Durati, ovviamente, pochi giorni: quelli utili a capire che non era il caso abbandonarsi alle fantasie. Certo, da allora ad oggi l’organico a disposizione di Nevio Orlandi si è pure rigenerato: via qualche pezzo un po’ più pregiato (ad esempio, Picci, che ha preferito guadagnare bene in D, a Matera, mentre Allegretti sta per salutare), più spazio ai progetti rampanti dei giovani che potranno costituire la spina dorsale della squadra di domani (facile pensare, soprattutto, a Daniele Guglielmi, un ’98 che ha già collezionato due gettoni in terza serie e che, peraltro, sembra piacere alla Juve). Eppure, va sottolineato un concetto: nonostante quella che poteva apparire una sostanziale smobilitazione, le prestazioni e il rendimento complessivo non sono affatto peggiorati. Anzi: il Barletta sembra aver persino proposto qualcosa in più, ultimamente. Sul piano della continuità e della vivacità. Riscuotendo, oltre tutto, qualche punto accattivante, come quello di domenica scorsa, realizzato sul campo del quadrato e ancora ambizioso Prato. Un punto che non cambia il corso della storia, né il senso del torneo. Ma che, in definitiva, spruzza sul gruppo e sull’ambiente un po’ di umore lieve e qualche argomento di serena conversazione. Quello che è, sin qui, mancato. E che, forse, avrebbe frenato l’avvilito e irritato presidente Tatò. Che, peraltro, fluttua ancora tra il disimpegno formalizzato da mesi e un ancora possibile ripensamento. Due condizioni contrastanti entro le quali, pare di capire, si consumeranno anche i prossimi mesi. Utilissimi, di regola, per reimpostare il lavoro e organizzare il futuro. E, invece, accerchiati dalla minaccia delle ambiguità.
mercoledì 22 gennaio 2014
Brindisi, malumori al novantaquattresimo. E anche dopo
Il Brindisi riveduto e corretto tra dicembre e gennaio è più robusto, più tonico. E, crediamo, anche più continuo. Nel rendimento. E, di conseguenza, nei risultati. E’ più solido, innanzi tutto, in mezzo al campo: dove Troiano e Pollidori sembrano offrire un tipo di calcio più propedeutico al campionato di quinta serie. Più di Marsili e De Martino, per intenderci: tanto da avvalorare la decisione del club di sostituirli a lavori in corso. Nel frattempo, poi (e il particolare non è affatto di secondaria importanza), Gambino sembra essersi definitivamente riappropriato del passo brillante esibito ad inizio di stagione: tre gol in due match, gli ultimi, confermano. La gara di domenica scorsa, però, semina malumori diffusi. I supporters più critici non gradiscono il pareggio maturato al Fanuzzi, quattro minuti oltre il novantesimo: e, in certi ambienti, si riallarga l’alone di sfiducia o di scoramento. E, di conseguenza, anche coach Ciullo si rinzela un poco: difendendo il gruppo (e provando ad assorbire personalmente tutte le inquietudini della piazza) e, infine, contrattaccando. Non è uno stupido, dice. E avverte il subdolo tentativo di qualcuno (qualche collega, magari) che starebbe per addossare proprio sul Brindisi il peso di molti pronostici di vittoria finale. E, dunque, una discreta dose di pressione. Segno evidente che la situazione comincia decisamente a fibrillare, ovunque. Del resto, questo è il momento in cui tutti cominciano a prepararsi al rush finale. E in cui molti cercano di fortificarsi nell’intimo del proprio profilo mentale: Papagni, nella vicina Taranto, insegna. Sicuramente, comunque, il pareggio (due a due) realizzato di fronte alla Gelbison è deglutito male. Per quella palla che arriva in area dopo essere stata spizzata e che trova due avversari liberi davanti a Novembre, a partita ormai consumata. E per quel fallo inesistente vicino all’out di sinistra che determina il calcio franco da cui nasce quella palla. Gambino non commette alcuna scorrettezza e, giustamente, l’assistente di linea lascia correre. La pensa diversamente, invece, il direttore di gara, che non si fida e lo sbugiarda, sbagliando. Malgrado molti metri di distanza dalla zolla dell’episodio. Lasciandoci pensare: all’utilità, in certi casi, del guardalinee. Nel caso specifico, addirittura sminuito. E all’eccessiva fame di protagonismo del primo giudice. Momenti di calcio, questi, che meriterebbero un’analisi approfondita. Non tanto del designatore, quanto dello psicologo.
martedì 21 gennaio 2014
Il Monopoli e il coraggio dimenticato
Basta un risultato eccellente per prenotare la vetta del girone. Anche se il Monopoli, volutamente ovattato prima di accendere il motore e di affrontare la sfida di Bisceglie, non lo sa.. L’occasione, comunque, è irripetibile. Il Marcianise, in campo con due ore di anticipo, ha già perso. La Turris pure. E vincere il derby vuol dire agganciare proprio i casertani e scavalcare tutti gli altri. Però, l’atmosfera non è quella di altre volte. Sarà per la formazione che coach De Luca sceglie di spedire sul campo (centrocampo irrobustito da Pinto, che affianca Marini e Lanzillotta, a svantaggio del più creativo Laboragine, costretto alla panchina; prima linea privata di Corvino e affidata a Pedalino e Montaldi, troppo vicini tra loro, e integrati nella sola fase di possesso da Camporeale). Sarà per l’atteggiamento del collettivo (un po’ pigro e schiacciato, che fatica a salire). O sarà per qualche altro particolare (difettano la rapidità e il coraggio). Il Bisceglie fa di più e fa meglio, almeno per un po’. Almeno sino al momento in cui il Monopoli capisce che il pallone deve transitare dalle zolle di riferimento di Lanzillotta. Nasce così una ripartenza che Montaldi vanifica di fronte a Loiodice, guardasigilli di casa. Ma che, se non altro, spaventa un po’ l’avversario, riconsegnando autostima alla squadra. Che sùbito dopo, con freddezza, si costruisce il vantaggio (primo sigillo di Pedalino, per la cronaca). Ma il vantaggio non aiuta sino in fondo: Pinto retrocede di qualche metro e il Monopoli si schiera a cinque, dietro. Invitando il Bisceglie a stringere. Oppure è semplicemente la veemenza degli stellati a consigliare più prudenza. Di fatto, però, la formazione di De Luca non esce dalla propria trequarti per almeno mezz’ora. Rimodellandosi (dentro Corvino e Laboragine, ma anche Bensaja) quando lo score è già compromesso. La sconfitta si fa dolorosa: perché delude l’interpretazione, ancora più del dato statistico (tre a uno). E perché la classifica rimane ferma. Il Monopoli, in quarantacinque minuti, scala dalla prima alla settima piazza. Lasciando, soprattutto, una sensazione di incompiutezza.
lunedì 20 gennaio 2014
Bisceglie, il derby del rilancio
Tra un’accelerazione e una pausa, il Bisceglie si arrampica sul derby e mortifica gli appetiti del Monopoli. Osando, esitando, ritrovandosi. E, infine, dilagando. Rischiando di compromettere tutto, poco prima della fine della prima manche di gioco: quando, cioè, l’avversario si fa furbo, sfruttando gli episodi. E prendendosi tutto, in coda ad un secondo tempo in cui riesce a coniugare la gestione della palla con l’aggressività. Probabilmente, perché ci crede sino in fondo. Sicuramente, perché cerca il risultato con la forza della quantità e con un bel po’ di qualità complessiva in più. Tre a uno, meritato: e già scalpita il desiderio di rincorrere la quinta posizione del girone. Chissà. Il 4-2-3-1 di Favarin s’incarica di costruire la partita: Lacarra fluttua nel cuore della difesa monopolitana, incupendola. Ceccarelli, la prima punta, sfugge spesso. Zotti agisce di mestiere. In mezzo al campo, l’inferiorità numerica non intralcia. Maglione, a sinistra, sbuffa e spinge. Venti minuti di supremazia territoriale, però, non rendono. Il ritmo cala e la manovra s’affloscia. Fisicamente, il Bisceglie sembra inchiodarsi. Anche le idee si annebbiano. E l’abbottonato Monopoli, alla seconda (e ultima) occasione, si ritrova in vantaggio. Superato l’intervallo, piuttosto, è tutta un’altra storia. C’è la rabbia, c’è la corsa, c’è la voglia. La squadra di Favarin martella, quella di De Luca si cautela. E subisce. Il pareggio arriva dagli undici metri (Lacarra), abbastanza presto. Il sorpasso (Zotti) è una conseguenza, inevitabile. E, in dirittura d’arrivo, Lattanzio triplica. Non sapremo mai, in realtà, quanti meriti possieda globalmente il Bisceglie e quanti demeriti debba farsi perdonare il Monopoli: ma il verdetto è, nella sostanza e nell’espressione numerica, inappellabile. Sembra, quella stellata, una squadra ancora in carburazione. Praticamente reinventata a metà percorso e, dunque, ancora bisognosa di conoscersi, di capirsi. E di lavorare. Però, potenzialmente ben strutturata. Molto più propedeutica a questo campionato della sua versione precedente: e, del resto, da questo punto di vista non nutrivamo dubbi neppure prima del derby. Che, in un certo senso, riconsegna definitivamente il Bisceglie ad una classifica più importante. Che potrebbe legittimamente essere migliorata: con la continuità di rendimento, anche all’interno di ogni singolo match.
domenica 19 gennaio 2014
Molinari si risveglia, il Taranto reagisce
Il processo di crescita del Taranto, come qualunque processo
di crescita, si nutre di ritmi lenti. E, probabilmente, la scelta di operare il
meno possibile nella seconda sessione di calciomercato non accelera i tempi di
recupero sulla classifica. Cercando, di contro, di rinsaldare e affinare il
gruppo di partenza: un particolare che, magari, tornerà buono più avanti. In
fondo, però, la vetta del girone non è affatto lontana. Malgrado la sconfitta
maturata sabato scorso allo Iacovone,
davanti all’intraprendenza del Manfredonia. Che la formazione di Papagni,
ancora di sabato, riscatta una settimana dopo sul campo della Mariano Keller.
Ecco, sul sintetico di San Giorgio a Cremano la squadra risponde benissimo: con
applicazione, corsa, continuità di manovra. Si mantiene sempre alto, il
Taranto: e, di conseguenza, fa la partita. Molinari, che arriva da un paio di
mesi di ombre e fatiche, c’è: il sigillo del vantaggio è suo. L’avversario
rintuzza e controbatte, fermandosi spesso alla trequarti: il 3-4-1-2 di Prosperi
e compagni sembra offrire le garanzie necessarie. E, in più, la mediana
assicura filtro e consistenza. Il momento migliore dei napoletani, attorno alla
mezz’ora, è però premiato con la sanzione di un penalty, i cui contorni non
sono prontamente chiari. La situazione di parità è, tuttavia, assolutamente
transitoria: il Taranto si ingegna sin dalle retrovie, taglia spesso il campo e
si alimenta di un dinamismo fresco. Molinari, ormai, si è sbloccato e, allora,
graffia ancora e insiste. Prima dell’intervallo, firma sul tabellino dei
marcatori altre due volte. La terza marcatura, peraltro, si arricchisce di un
gesto tecnico assolutamente apprezzabile. Il match sembra già deciso: la gente
di Papagni pensa meglio e agisce con fluidità e furbizia. Anche per questo,
alla ripresa dei giochi, il Taranto può permettersi di abbassarsi e rifiatare. Per
organizzare ripartenze pungenti: come accade in occasione del quarto gol, voluto da Balistreri. Al quale si accoda, più tardi, la quinta rete griffata
Clemente (si fanno sentire, dunque, tutti i principali attaccanti: buon segno,
anche in considerazione di certe problematiche più o meno affiorate,
ultimamente). Punto e a capo, quindi. E Taranto nuovamente al centro della
battaglia per la promozione, nonostante il tecnico azzeri apertamente le possibilità del gruppo che guida («Non siamo maturi per vincere il campionato»). In piena corsa. Con nuovi appunti su cui riflettere. Ad esempio:
evidentemente, questo è un organico che offre il meglio sotto il peso della
pressione, psicologica e mediatica. Quando vincere è qualcosa in più di un’esigenza
di routine, ovvero un vero e proprio obbligo, quasi un'ultima possibilità.
domenica 12 gennaio 2014
Manfredonia, rivoluzione assorbita
Il mercato di riparazione (anzi, di rivoluzione: in D,
ormai, funziona così) rimodella il Manfredonia. E il collettivo di Cinque, in
partenza, sembra risentirne. La caduta rovinosa del Miramare, di fronte al Monopoli, certifica un disagio. Ma a
Taranto, sei giorni dopo, nell’anticipo passato dalla Rai, la formazione
sipontina non teme il confronto e allontana qualsiasi sospetto di sudditanza
psicologica. Il sistema di gioco non si abbassa mai troppo, la manovra è
sufficientemente aggressiva, l’applicazione costante. La gente di Papagni prova
a fare la gara e non riesce. Il Manfredonia, con lucidità, ne impedisce gli
slanci e la profondità, trovando pure gli argomenti giusti per portarsi in
vantaggio. E, malgrado Balistreri riesca a ravvivare per un po’ l’iniziativa
jonica e a raddrizzare i risultato, Laporta e compagni restano vigili, reattivi,
scaltra: sfruttando come meglio non si può l’infortunio fatale di Marani,
guardasigilli di casa. Il successo, dunque, non stona affatto: meglio il
Manfredonia, al di là del verdetto. Perché è migliore l’approccio, è migliore
la gestione della gara, è migliore il ritmo impresso ai novanta minuti ed è
preferibile la sua continuità di espressione. Tutte indicazioni buone a
rassicurare l’ambiente: lentamente, la rivoluzione di dicembre sta per essere
assorbita. E la permanenza sembra soltanto l’obiettivo minimo.
martedì 7 gennaio 2014
Martina, l'ora delle nuove strategie
Il Martina può risollervarsi: per una o anche due settimane.
Ma, fondamentalmente, è questo: complessivamente inadatto ad un campionato di
C2 come quello di quest’anno. Dove è necessario agganciare la zona medioalta,
per scongiurare la collocazione nel prossimo torneo di D. E, per questo,
assolutamente bisognoso di risultati frequenti. E, dunque, di nuove cure.
Ovvero, di innesti di qualità e, dicevamo ultimamente, di personalità. Ad
Arzano, in casa dell’ultima forza del girone, la formazione di Bocchini cade
ancora. Senza potersene lamentare troppo, tra l’altro. E, allora, è proprio il
tecnico, già il giorno successivo alla sconfitta, a pagare. Non con l’esonero:
che, ufficialmente, non è ancora sancito. Ma il congelamento dell’allenatore
umbro, comunicato ieri dal club, è un defenestramento come qualunque altro.
Cambiano i termini, non la sostanza. Sin dal pomeriggio di oggi, infatti, sarà
il preparatore dei portieri Alfredo Cimino ad operare sul campo, alla ripresa
degli allenamenti. In attesa di ulteriori novità. Domani, magari, arriverà il
coach del futuro prossimo: forse Chiancone, presente sulle tribune del Tursi nell’ultimo match del
duemilatredici e, si dice, particolarmente vicino alle posizioni dello sponsor
Ghirardini e del suo entourage. O,
chissà, qualcun altro. Al di là di tutto, però, dispiace per Bocchini: che, ancora
oggi, appare il meno colpevole di tutti. Riteniamo, anzi, che con il suo lavoro
(parliamo di ordine tattico e di esposizione della manovra, malgrado la scarsa
cifra tecnica e temperamentale del collettivo) il Martina si ritrova in
classifica due o tre punti in più di quelli che avrebbe potuto collezionare sin
qui. Analisi forte, è vero: che, tuttavia, continueremo a custodire
gelosamente. Al di là di qualche atteggiamento talvolta eccessivamente cauto,
che non ha giovato alla causa (il riferimento, ad esempio, è al match con il
Chieti. E, probabilmente, non solo a quello). Ma anche un concetto che nessuno
potrà verificare: perché il nuovo allenatore, qualunque sia il suo nome, potrà
beneficiare – come spesso avviene – di energie suppletive (almeno quattro
elementi, sembra) sulle quali il primo condottiero della stagione non ha potuto
contare. Immaginiamo, a questo punto, anche
lo sconforto di Bocchini. E, magari, pure la sua rabbia: quanto basta per
maledire il suo forte aziendalismo.
lunedì 6 gennaio 2014
Il Grottaglie e il messaggio di Pettinicchio
Nuovo anno, risultato vecchio. Il Grottaglie cambia nomi,
caratteristiche, impostazioni. Recupera tonicità, energie più spendibili, idee
e motivazioni. Il problema, però, è quello di sempre: e la classifica è ancora
ferma, anche dopo il derby di Brindisi (due a uno, condito da un penalty abbastanza
contestato, che poi determina anche l’inferiorità numerica, per l’espulsione di
Papa). Eppure coach Pettinicchio, sulla panca da oltre un mese, sta lavorando
con intensità e pazienza. Possiamo testimoniarlo. E anche il materiale a sua
disposizione è assolutamente lievitato, sotto il profilo della qualità e della
credibilità: gente come Fumai, De Toma, El Kamch e Albano può e deve contribuire
seriamente ad alzare la barra della speranza. La manovra ha guadagnato in
fluidità: anche perché la corporatura del collettivo è, adesso, più robusta. E
più consapevole. La società si è sforzata di accrescere lo spessore della
squadra: e chiunque – tecnici, protagonisti del campo e tifoseria, passando
anche per la frangia dei supporters
tradizionalmente più critica – ne ha puntualmente preso atto. Con
soddisfazione: che si trasforma in morale alto.
Ma, evidentemente, il cammino è più sconnesso del preventivato. Primo,
perché la rincorsa è sempre dura: anche con molte più carte da giocare. Secondo,
perché il livello del campionato è tecnicamente alto, nelle retrovie della
graduatoria. Terzo, perché il Grottaglie deve ancora saccheggiare il baule
della malizia, della furbizia e della scaltrezza. Quarto, perché il tempo per
riorganizzarsi non basta mai: e il lavoro chiede settimane intere. Quinto,
perché ormai non c’è domenica in cui l’Ars et Labor finisce la gara in undici.
E successo praticamente sempre, negli ultimi tempi: e anche queste sono
situazioni che, alla lunga, si pagano. A Brindisi, ieri, dopo Papa, cartellino
rosso pure per Prete. E, al di là di ogni singola valutazione, il dato si è
fatto preoccupante. Tanto da agitare Giacomo Pettinicchio: che, a microfoni
aperti, ha ponderatamente lanciato un messaggio ai naviganti: «Il Grottaglie non retrocederà». Chi pensa il contrario, cioè, se
ne faccia una ragione. Chiaro, pulito. Chi deve capire, capisca. Certo: le
forze occulte, se davvero ci sono, non si sciolgono sotto il peso delle parole,
figuriamoci. Però, il tecnico sa che, molto spesso, alzare la voce non fa male.
Anzi. E che il messaggio può essere interpretato in tanti modi. E da bersagli
diversi. Anche dalla sua stessa squadra, ad esempio. Il mercato è finito, le
forze in campo sono queste. E non si può più scherzare.
venerdì 3 gennaio 2014
Angelozzi, vacanza di lavoro
Il Bari s’infila nel lungo tunnel di vacanza (si fa per
dire: il mese di stop è utile soprattutto per rivedere la preparazione
atletica, quindi è un momento di sana fatica) con il sapore buono dei tre
punti, che cancella l’alito delle prestazione consumata precedentemente di
fronte allo Spezia. Il successo di Novara, cioè, scalza il ricordo dell’ultimo
match del San Nicola: aiutando la società a pensare positivo (la realtà è dura:
le difficoltà di gestione si stanno inasprendo e, in più, sta per abbattersi
sul club una nuova penalizzazione di un punto) e consentendo ad Alberti e
Zavettieri di rinsaldare la panchina. Per il diesse Angelozzi, piuttosto, si
apre un periodo di fibrillazioni e di lavoro: perché il mercato rischia di
modificare il volto di una squadra che, al di là dell’inesperienza di fondo,
riesce a praticare spesso un calcio assai più che discreto, anche se non sempre
remunerativo. Ma, ovviamente, per mercato si intende soprattutto movimenti in
uscita: il Bari non può spendere e deve, invece, incassare. E’ una necessità,
punto. E da qui occorre ripartire. Sciaudone sta per lasciare l’Adriatico,
pare. E qualcun altro potrebbe seguirlo. Conosciamo il rischio che potrebbe
comportare anche una sola di queste cessioni eccellenti. E già intuiamo la scia
di pessimismo che si porterebbe dietro. Condita, magari, da una nuova ondata di
insoddisfazione popolare. Ma così è: e, in questa situazione, è necessario
continuare a navigare, chissà per quanto. Non c’è altra soluzione,
all’orizzonte. Se, da una parte, resta ben visibile il fosso della terza serie,
dall’altra è ancora vivo il pericolo finale: quello dell’umiliazione, della
liquidazione totale. Che, tuttavia, neppure una robusta campagna di
indebolimento scongiurerebbe, giusto per essere chiari. E, allora, scegliere il
male minore diventa abbastanza semplice. Per tutti.
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