Continua
a succedere di tutto un po’, in C2. Oggi sogna qualcuno, domani chissà. E chi
sembra affondare, non sprofonda mai. Tornando, anzi, a galleggiare. Il
calendario offre sempre una possibilità, a tutti. L’ultima possibilità. O la
penultima. La corsa verso l’ottava piazza, cioè verso la salvezza che sa di
promozione, è ancora aperta. E lo sarà, presumibilmente, sino in fondo. Di
conseguenza, anche la battaglia per i playout è assolutamente da decifrare. Se,
cioè, anche la nona, la decima, l’undicesima e dodicesima piazza serviranno ad
alimentare – seppur per pochi giorni ancora - la speranza di questo o di quella
società, significa che c’è ancora tanto da vedere e da decifrare. E non ci
meraviglieremo se, all’ultimo minuto dell’ultima giornata della regular season, un palo, un gol, un
penalty o un episodio qualunque trascineranno, come per incanto, questo o quel
club dalla iattura della serie D alla nuova terza serie: magari senza neppure
passare dagli spareggi. Per questo, allora, è assolutamente fondamentale essere
sempre lì: nonostante quei punti fastidiosamente dispersi per indolenza o
imperizia, per una coincidenza o per un’esitazione. Il discorso vale anche per
il Martina: che Tommaso Napoli, talvolta, riesce a far girare con toni
soddisfacenti, soprattutto quando si viaggia (anche ad Ischia, ultimamente). E
che, in certe occasioni, si perde: sciupando ripetutamente l’opportunità di
agganciare le avversarie che lo precedono in classifica. Il Martina che la
campagna di rafforzamento di metà stagione ha fortificato, ma che ancora non
riesce ad agganciare il concetto di continuità. Il Martina che, appunto, sembra
definitivamente franare sotto i colpi del Melfi e che, appena due settimane
appresso, riconquista chances e
posizioni liberandosi a domicilio del Sorrento. Dopo aver sostanzialmente
governato il match per gli interi novanta minuti e dopo essere rimasto
colpevolmente in inferiorità numerica. Ma questo è un campionato troppo strano:
il Martina che si complica il cammino da solo, riaprendo con le proprie mani
una partita che i campani sono assolutamente incapaci di forzare, è pure in
grado di reagire alla mazzata del pareggio, minimizzando il disagio dell’uomo
in meno e archiviando la sfida con due gol di scarto a favore. Storie di quarta
serie, esatto. A queste latitudini, non esistono più certezze, non c’è più
logica. Se non quella di fondo: a fronte di larghi equilibri, non difetta mai
il tempo per rimediare. Tanto, la qualità non si spreca. Meglio, perciò, non
farsi scrupoli di niente ed approfittarne, appena si può. Nessuno, alla fine,
potrà vantare troppi argomenti di conversazione: il peccato è nella casa di
chiunque.
lunedì 31 marzo 2014
domenica 30 marzo 2014
Foggia, piccoli passi verso la C unica
Infiacchimento, difetti di concentrazione, rivoluzionamento settimanale di
formazione e schemi, defezioni nel mezzo e anche dietro. Quanto basta per
scadere, nella forma e nella sostanza. E per rallentare la corsa verso la C unica. Alla quale, tuttavia,
il Foggia continuava corposamente a mirare. Negli ultimi tempi, la formazione
di Padalino si era fermata spesso, collezionando appena quei punti utili per
mantenere praticamente invariata la distanza dalla nona in classifica e per non
perdere l’umore più sano. E nutrendosi, soprattutto, dell’altrui incapacità di
ridurre il gap. In coda ad un mese e
mezzo di fatica muta e di esitazioni diffuse, però, la quarta forza del
campionato si presenta sul green
senza barriere di Castel Rigone e, in un sabato più chiaro e fluido, si prende
la partita senza assilli, guadagnando nuovo colore e abbreviando sensibilmente
la pratica promozione. Sei gol (ad uno) spiegano meglio di molte parole,
scavando un burrone incolmabile tra le certezze perdute degli umbri e la
volontà di resistere di Agnelli e compagni: baciati, innanzi tutto, dalla buona
notizia di un vantaggio precoce che riesce a semplificare il compito, oltre
ogni ottimistica previsione. Il Foggia riacquista corpo e lucidità (ma anche
cuore e grinta, detta il tecnico a fine match) proprio in prossimità dello sprint finale, ufficialmente inaugurato.
Ed è un bene enorme che la squadra abbia recuperato prima di qualsiasi
eventuale complicazione il pregio della concretezza, arma necessaria per
salvaguardare il cammino regolare, che è poi il segreto della felicità e, nello
specifico, di una stagione partita tra le apprensioni e, poco dopo, sbocciata
con grazia. Anche se, prima o poi, toccherà omaggiare sinceramente pure la concorrenza un
po’ sciatta e l’anima nascosta di questo irripetibile campionato di quarta
serie. Spaccato a metà, a dispetto delle previsioni. In cui la battaglia è
infuriata soltanto nei bassifondi. Lasciando le battistrada libere di gestire
il proprio destino: pigramente, talvolta.
mercoledì 26 marzo 2014
Il bastone e il fiore
Accettare la realtà del campionato e abbandonare l’élite del torneo, quello di quinta
serie, é un esercizio amaro e indigeribile. E piegarsi alla cruda verità dei
numeri, che sembrano proibire persino l’inserimento nella griglia dei playoff
di fine stagione, é un’operazione costosa, mediaticamente parlando. Il Brindisi
del girone di ritorno frana sui suoi stessi limiti: innanzi tutto di organico
(sfibrato dalla serie robusta di infortuni, che finiscono per minimizzare la
mediana e per minare le strategie del tecnico) e, quindi, caratteriali
(conosciuti già ai tempi della gestione tecnica firmata da Ciullo e lievitati
tra le mani di Chiricallo). Per questo motivo, del resto, il coach barese era pesantemente intervenuto, nel corso della
settimana appena trascorsa: argomentando, senza mezze misure, di un organico
privo di tempra e di caratura, dunque inadatto ad un cammino di vertice.
Avvalendosi, peraltro, del sostegno di patron Flora: già abbastanza chiaro, in
passato, nell’analisi di un’annata compromessa prima del suo epilogo naturale.
Analisi che, tra parentesi, rilancia con energia il concetto utilizzato per
spiegare le ambizioni sbrecciate del Monopoli, tanto per fare un altro nome:
senza un rendimento mediamente produttivo nei match lontano da casa, cioè, non
si va da nessuna parte. Tornato, però, sull’erba di via Brin, il Brindisi
recupera smalto e successo, sbarrando la strada al Manfredonia, avversario in
controtendenza (fallimentare a casa propria, più convincente fuori). E, con la
vittoria, riemergono pure termini più concilianti. Chiricallo (per sua stessa
ammissione vicino alle dimissioni, immediatamente dopo la caduta di Marcianise)
e Flora, davanti ai microfoni, si impegnano a recuperare, accarezzando il
gruppo («Ci crediamo ancora»,
ammette il presidente) e scacciando alcuni malumori maturati all'interno allo spogliatoio. A pensarci bene, tuttavia, non è la prima
volta che, in quest’angolo di Puglia, da settembre in qua, si rincorrono
scudisciate e toni più morbidi e accondiscendenti. Il bastone e il fiore, per
capirci. Probabilmente, è questo il percorso migliore per salvaguardare gli
uomini che scendono in campo, gli equilibri interni e, contemporaneamente, la
gestione del rapporto con la piazza e la tifoseria: a cui, meglio ricordarlo,
non si possono nascondere le evidenze. Anche se, vista dall’esterno,
quest’altalena di sentimenti potrà apparire bizzarra, umorale e piuttosto
anarchica.
martedì 25 marzo 2014
Girone H, una questione di equilibri
Questo girone appulocampano di serie D possiede un grande
pregio: l’insindacabile equilibrio che lo governa e che, sin dalle prime
settimane della stagione, gli ha regalato umori, sapori, insondabilità,
sorprese, appeal. In una sola parola,
interesse. In un’altra, emozioni. Ma il raggruppamento più perfido e stressante
della quinta serie nazionale comincia a trascinarsi anche un enorme quesito.
Perché non ci è ancora perfettamente chiaro un dettaglio. Cioè: l’equilibrio
granitico presuppone davvero un livello medio delle forze sul campo al di sopra
della norma - alla cui idea, onestamente, ci eravamo abituati un po’ tutti – o,
invece, nasconde una certa inattendibilità di fondo di molte protagoniste di
vertice? Non scomoderemo i concetti più abusati: ad esempio, troppe litiganti,
poco spazio per chiunque. Oppure: l’abbondanza degli scontri diretti finiscono
irrimediabilmente con lo scolpire la classifica. Oppure, ancora: la distanza
tra chi lotta per vincere e chi battaglia per salvarsi è quasi impercettibile.
E potremmo continuare. Ci limitiamo, piuttosto, a prendere atto della realtà:
non esiste la controprova dell’alta competitività di qualsiasi rappresentante
del girone H in un altro contesto. Anche se, intimamente, lo pensiamo. O,
almeno, lo pensavamo. E, al contempo, costringiamo noi stessi a valutare un
dato: anche in una situazione di altissimo equilibrio come questa, la fragilità
conclamata delle formazioni migliori (Matera, Marcianise, Taranto, Francavilla,
Monopoli) comincia ad insospettire. Soprattutto, se i risultati si abbinano ad
un calcio fondamentalmente privo di sostanza. E, talvolta, di robustezza.
Analizziamo brevemente il caso del Matera: furbo quando deve prendersi i punti
di Grottaglie, o corposo quando si ritrova a respingere il Monopoli in
inferiorità numerica (è accaduto domenica). Ma vulnerabile, a dispetto di certe
statistiche che dobbiamo pur rispettare, e assai poco brillante (e la
brillantezza, a fine torneo, conta sempre). Prendiamo, allora, il Marcianise:
sicuramente la formazione più continua e, da un certo punto di vista, più
affidabile del lotto. Eppure, sostanzialmente incapace di gestire mentalmente
il momento più delicato, in cui il campionato chiedeva freddezza e sacrificio.
Quindi, il Francavilla: pratico, organizzato e assistito dai benefici di una
pressione limitata. Ma puntualmente assente, appena è necessario fare e dare
qualcosa di più. Del Monopoli, poi, si è già detto diffusamente: troppo
distante da se stesso, appena si muove dal Veneziani.
Per passare, infine, al Taranto. Che, nell’ancora recente derby di Grottaglie,
si ritagliò una vittoria ingiusta. E che, proprio per questo, non offrì troppe
garanzie in prospettiva. Da quel giorno, ha incrociato il Gladiator (successo
allo Iacovone, non senza qualche difficoltà) e la Gelbison (caduta
ingloriosa a Vallo). Mostrando, peraltro, poche idee e tutte strettamente
dipendenti dalle risorse tecniche di Ciarcià e Mignogna: entrambi impalpabili,
nell’ultima uscita. Ecco, il punto è
questo: nessuna delle quattro migliori del campionato vince con facilità.
Nessuna convince per due gare di fila. Nessuna è riparata da una manovra
avvolgente e limpida. Ma nessuna, soprattutto, è quel blocco pragmatico che
serve a bypassare quel calo
qualitativo che appare persino fisiologico. Il girone che si consuma tra Puglia
e Campania è il più duro della D. Ed è il più dispendioso, il più avvincente.
Ma siamo ancora così sicuri che l’appiattimento dei valori guardi ancora verso
l’alto? La domanda sarà, probabilmente, maliziosa. Ma il dibattito è
ufficialmente aperto.
lunedì 24 marzo 2014
Il Monopoli tra numeri e passione
Malgrado tutto, a Monopoli erano affiorati nuovi
entusiasmi. Sì, il rapporto tra il tecnico De Luca e buona parte della tifoseria
rimane conflittuale. E l’atteggiamento discontinuo della squadra - blindata e
coraggiosa in casa, timida e spesso sperduta lontano dal Veneziani – insospettisce ancora l’anima più calda del tifo
adriatico. Però, il campionato di serie D più strano degli ultimi trent’anni
autorizza a valutare attentamente tutte le soluzioni possibili, ma davvero
tutte. Escludendo e riammettendo nel valzer dei sogni, nell’arco di tempo di
una settimana appena, tutte le candidate al salto di categoria. Confondendo, di
fatto, i concorrenti al primo posto e ai playoff. Senza contare le conseguenze
inimmaginabili degli scontri diretti: tanti. E tutti inseriti dal calendario
proprio nella parte finale della stagione. Nuovi entusiasmi, dunque.
Suffragati, sull’Adriatico, dalle nuove difficoltà del Matera, leader non così indiscusso del
raggruppamento. Dalla zoppia diffusa degli inseguitori. E da un disavanzo (due
punti dalla vetta) tornato improvvisamente colmabile, anche e soprattutto in
virtù della sfida incrociata, da consumarsi in Lucania. Dove si riversano
settecento appassionati monopolitani, forse di più. Ma il match si incupisce
presto: otto minuti e la capolista passa. Di contro, sùbito dopo, il Matera
rimane in dieci. Ma il Monopoli non sa approfittare della superiorità numerica,
producendo una forza offensiva limitata. E, probabilmente, perdendo minuti
preziosi, prima di rimodellarsi in mezzo al campo (Laboragine parte dalla panca
e viene utilizzato solo più in là, nella seconda frazione di gioco). Finisce
uno a zero: ed il risultato, una volta in più, racconta di una formazione
troppo tenera nelle sfide che contano e nel mezzo di un campionato incompiuto.
Il divario dalla prima piazza si riallarga (cinque punti, ora). Ma è, più che
altro, la carenza di maturità del collettivo a indispettire la gente che tifa. Sentimentalmente
legata, ovviamente, al concetto di promozione diretta: che sembra, ormai,
definitivamente sfuggire. A meno che il Matera, ad esempio, non cada a Taranto,
domenica prossima. E che, poi, il Taranto e il Marcianise non cadano a
Monopoli, tra qualche tempo. Intanto, il curriculum esterno di Lanzillotta e
soci dice quanto lo staff tecnico si affretta puntualmente a negare: nella
classifica redatta esclusivamente in base alle partite disputate lontane dal
terreno amico, il Monopoli è sesto (dietro Taranto, Francavilla, Matera,
Marcianise e Gelbison, dieciassette punti). E nella graduatoria degli scontri
diretti tra le prime sette del torneo è ultimo. Numeri, non parole.
lunedì 17 marzo 2014
Il Martina attende un tempo e frena
Nove punti negli ultimi duecentosettanta minuti, di cui sei
recuperati lontano da casa, rivalutano la classifica, i programmi e il profilo
psicologico del Martina. Ipotizzando un campionato tutto nuovo, proprio in
prossimità del rush finale, ma pure
un atteggiamento assolutamente risoluto nel match, quello del Tursi con il Melfi, che potrebbe
ufficialmente spalancare la porta che conduce direttamente alla nuova C unica.
E, invece, proprio nel momento più convincente e in piena fase di decollo, la
formazione di Tommaso Napoli si scontra con una certa indolenza che lo frena
per un tempo, perdendo partita e quota. Il 4-2-3-1 disegnato dal coach
palermitano è, da sùbito, poco dinamico. Smarcarsi è faticoso e, senza palla,
le difficoltà crescono. L’approccio non è vigoroso e, oltre tutto, l’avversario
è pratico, ordinato: esattamente come piace al suo tecnico Bitetto. Il Melfi
non si sbilancia, ma si mantiene alto. Attendendo il suo momento. O, meglio, le
esitazioni di un Martina che continua ad
esprimersi sotto ritmo, che non accelera e non stringe. Prima inciampa Dispoto,
poi si confonde l’intero assetto difensivo: e, ancora prima dell’intervallo, i
lucani si ritrovano sopra di due gol. Quella della ripresa, piuttosto, è una
formazione più viva, più carica, più rapida e aggressiva: il Martina cresce e
si arrampica su un match peraltro già abbastanza compromesso. Le premesse per
recuperare, però, si rafforzano quando il Melfi perde un uomo e rimane in
dieci. Solo che il tempo passa veloce e nulla di concreto accade:
quarantacinque minuti più quattro di recupero non bastano, come non è
sufficiente rimestare il modulo (3-4-3). Tutto da rifare, o quasi. Perché
Napoli non sbaglia, quando afferma che i suoi, ormai, sanno di possedere i
requisiti per reagire alle contrarietà del percorso. Anche se la linea del
traguardo si avvicina sempre più e i margini di errore si assottigliano
sensibilmente. Malgrado, psicologicamente parlando, questa caduta rischia di
rivelarsi un macigno ingombrante. E nonostante resti vivo il rammarico di non
aver potuto contare, all’inizio della sfida, sul Martina migliore: quello
visto, cioè, sulla spinta della disperazione, tra le pieghe di una rincorsa
affannosa. Quel Martina che, oggettivamente, sembra aver sprecato mezza gara. E
un’occasione unica per azzerare il gap che
si trascina dall’autunno passato.
domenica 16 marzo 2014
Bari, iniezione di entusiasmo
C’è sempre più gente, sui gradoni del San Nicola. Come se l’entusiasmo lievitasse giorno dopo giorno.
Invece, il Bari prosegue a battagliare – non senza timori fondati - per salvarsi: prima sul
campo e poi fuori, tra le scrivanie di un tribunale e della Federcalcio. Sono
in quindicimila, allo stadio. Il doppio dell’ultima volta, sette giorni prima.
Il doppio del doppio della penultima. E c’è un altro avversario di prestigio,
dall’altra parte della barricata. L’Avellino si dispone alto, contra bene e
riduce gli spazi. E, fondamentalmente, il match è tra i piedi degli uomini di
Rastelli. La gente di Alberti e Zavettieri, di contro, ha il baricentro basso
e, al momento di ripartire, si frena e non sboccia. Anzi, nella difficoltà, il
Bari si scopre pure falloso. Prova a forzare, ma è spesso costretto a bloccarsi
e a ricominciare da capo. Tatticamente, gli irpini sono più ordinati e coprono
meglio il campo e gli spazi. Ma Ceppitelli e soci, come sovente accade, si
armano di pazienza e volontà: recuperano metri e cominciano a gestire la palla
con continuità e convinzione. Aumenta, cioè, la quantità: anche se la resa non
cambia. La parte finale della prima frazione di gioco, tuttavia, promette. Eppure,
dopo l’intervallo, il Bari non torna sull’erba con la stessa grinta: tanto che
l’Avellino, con mestiere, si riprende le zolle perdute. Accontentandosi, però:
ovvero, limitandosi a controllare il traffico, rinunciando a inventarsi
qualcosa in più. Rifiutandosi di costruire l’impalcatura del successo. Partito
con tre difensori, Rastelli rafforza il dispositivo difensivo con la quarta
pedina: dimostrando di gradire abbondantemente il punto. Ed è proprio questo,
invece, l’humus in cui il Bari germoglia,
scassinando l’equilibrio dello zero a zero. João Silva trova la soluzione
vincente, di testa, ad otto minuti dalla conclusione della gara. Il secondo
successo di fila finisce così per
accelerare il discorso permanenza, alimentando la distanza dal Novara, attuale
quintultima forza del torneo. E la squadra immagazzina altra considerazione e
ulteriore stima di se stessa. Le difficoltà, attorno, si infittiscono. Ma
l’euforia creatasi all’interno dell’ambiente soccorre. Senza i Matarrese, la
città sembra essersi ricompattata a presidio dell’organico e dell’obiettivo che
si è prefisso. E’ la realtà insospettabile di una storia complicata che si sta
evolvendo. Converrà cavalcarla. I risultati sono il motore di tutto: anche se
questo capitolo non possiede certezze e neppure una prospettiva chiaramente
visibile. Chi può, formuli la proposta giusta. Non c’è un momento migliore di
questo, nonostante tutto.
lunedì 10 marzo 2014
Grottaglie, tanta fatica per niente
E’ la formazione più brillante del momento. Almeno, nel suo
girone. Ed è quella che, da un po’, esprime il calcio più fluido, più
aggressivo. Diciamo da un mese in qua. Ma è anche la squadra che, negli ultimi
ventuno giorni, ha conosciuto esclusivamente insuccessi: illogici, illegittimi,
frustranti. Il Grottaglie avrebbe meritato di superare il Matera, senza dubbio
alcuno. Poi, avrebbe potuto anche guadagnare un punto sul campo del Monopoli:
che però, a casa sua, difficilmente fallisce. E, infine, avrebbe dovuto
ottenere molto di più anche dal derby con il Taranto, consumato proprio ieri.
Invece, al D’Amuri, fa punti solo il
collettivo gestito da Papagni: in coda ad un match costruito sugli episodi,
sulle contromisure tattiche, sullo sfruttamento delle situazioni contingenti.
Zero punti invece di sei, facciamo così: ed è un guaio grosso. Perché la
classifica si accorcia di nuovo. E perché l’Ars et Labor, soprattutto adesso,
vorrebbe circondarsi di buon umore, nutrirsi di serenità. La gente di
Pettinicchio è reattiva, veloce. La manovra sboccia e si allarga. Il fraseggio
trova generalmente sfogo. Il Taranto, invece, si fa schiacciare: in mezzo al
campo è morbido e dietro si soffre. Papagni deve rimestare il modulo la prima
volta: partito con quattro difensori e tre centrocampisti, chiede a Mignogna,
quarto basso a sinistra, di salire in mediana, mentre Muwana retrocede in terza
linea. Non cambia granché, tuttavia: è sempre il Grottaglie a dettare ritmi e
trame. Anche se la pressione, qua e là, si allenta. Permettendo a Ciarcià e
soci qualche ripartenza: come quella che, in prossimità dell’intervallo,
conduce al vantaggio rossoblu, assolutamente iniquo. Si riparte e il Taranto si
modifica ancora (4-4-2), guadagnando robustezza – anche nei contrasti - e raggiungendo
un equilibrio più credibile. E riuscendo a controllare con più naturalezza (lo
schermo davanti alla difesa, ora, funziona meglio). L’Ars et Labor, un po’ più
imbastito, concede un calcio franco dai venti metri: il raddoppio degli ospiti
nasce così. Tutto si fa più facile, per chi è avanti. E tutto si complica, per
chi insegue. Anche se il Grottaglie non smette di crederci: riprendendo a
spingere, riducendo lo svantaggio e trovando persino la seconda marcatura,
invalidata dal direttore di gara. Certo, però, è che il pareggio non arriverà:
neppure in superiorità numerica (il Taranto si ritrova in dieci e finisce con
un 4-3-1-1). Scoraggiando l’ambiente, quando – piuttosto – la lievitazione
dell’organico dovrebbe trascinarsi il sorriso. Così, mentre il Taranto scavalca
il Marcianise e accorcia il disavanzo dal leader
Matera, il Grottaglie si scopre defraudato e triste. Con la prospettiva di un
riposo forzato che, domenica, non porterà punti. Ci riproverà più avanti, è
normale. Ma il profilo psicologico andrà presumibilmente ricostruito. E’ questa
la prossima sfida.
domenica 9 marzo 2014
Il Bari regge alla crisi
La procedura, già avviata, di autofallimento societario
trancia l’interminabile regno dei Matarrese sul pallone barese, diventando un
ideale spartiacque tra due epoche distinte. Ed è, soprattutto, un segno
tangibile dei tempi che cambiano. E delle situazioni che, fisiologicamente, si
rinnovano. Transitato un pezzo di storia, riemerge però dall’autoisolamento,
quasi magicamente, una piccola folla dimenticata. E’ la parte più larga di quei
settemila che tornano a frequentare il San
Nicola. A conferma di alcune verità: il momento è particolare e occorre il
sostegno di tanti, il ciclo nuovo è bisognoso di calore e ottimismo, la
politica di contenimento dei prezzi di ingresso allo stadio paga (gli introiti sono sempre quelli che sono, ma
– almeno – la gente risponde meglio: e, sostanzialmente, il club non ci
rimette). E anche questo amore ritrovato è un segnale robusto della
quotidianità che si evolve. Intanto, di fronte, c’è il Lanciano, squadra
compatta che sa mantenersi alta e, all’occasione, sa ripartire. E che si fa
pericolosa da sùbito, diverse volte. Il Bari prova a far girare il pallone, ma
fatica a salire e a gestirsi in fase di possesso. Con il tempo, tuttavia, il
match si fa più fisico, più ruvido. E gli abruzzesi sono più rapidi, più
diretti. Eppure, è proprio il Bari a passare: ci pensa, come accade spesso,
Ceppitelli. Incassato lo svantaggio, il Lanciano si confonde un po’,
cominciando a perdere palla, sicurezza e permeabilità. E’, fondamentalmente,
una partita recuperata in corsa dalla gente di Alberti e Zavettieri, che in
mezzo al campo non possono godere dell’apporto di Sciaudone, Romizi e
Delvecchio. E che, pure nella seconda porzione di gara, addizionano più
quantità e intensità. A dispetto della supremazia territoriale che i frentani
esercitano sino al novantesimo, senza peraltro approfittarne. Ecco: al di là di
scompensi antichi e moderni e delle esitazioni tipiche di un collettivo che sta
perseguendo la permanenza, il Bari sembra esserci, almeno con la testa.
Nonostante tutto quello che, attorno, sta accadendo. La squadra, cioè, è ancora
concentrata, salda mentalmente, motivata. Il gruppo sta reggendo: alle
pressioni dell’esterno, alle cattive notizie, all’indecifrabilità del futuro
prossimo, alle incognite di ogni giorno. E anche questi sono indizi pesanti.
giovedì 6 marzo 2014
Taranto, acque increspate
Due affermazioni di fila, allo Iacovone, intersecate da un pari (quello deludente, per resa e
calcio prodotto, di Lucera, casa di scorta del San Severo) non alimentano le ambizioni,
né incoraggiano gli appetiti. Il Matera, ora, segna troppo e corre tanto. E il
Taranto continua ad inseguire, un po’ più in là: cinque punti. Abbastanza,
teoricamente: soprattutto in considerazione che, tra lucani e jonici, convivono
pure le sempre più legittime aspirazioni del Marcianise (e chi si nutre di
realismo sa quanto diventi difficile, a nove settimane dal traguardo, confidare
nelle contemporanee disavventure di due concorrenti alla promozione immediata).
Ma anche sostenibili: in considerazione di uno scontro diretto che si consumerà
a breve, proprio in riva a Mar Piccolo. Peraltro, ultimamente, la formazione di
Papagni sembra aver smarrito intensità, lucidità e, talvolta, anche gli
equilibri necessari per proteggersi. Il successo di domenica, sull’accartocciata
Puteolana, così come il derby intascato ai danni del Brindisi, sa di fatica e
reticenze: spianate, tuttavia, dalla differente caratura tecnica degli organici
e da un sussulto di orgoglio (Taranto in dieci sin dal corso della prima
frazione di gioco). E persino gli accorgimenti tattici scovati nel tempo dal
coach non riescono più a mascherare le controindicazioni di un impianto
esuberante di valori individuali, ma ancora troppo slegato e umorale. Però, il
campionato è ancora lì, disposto ad attendere chiunque: e a nessuno è negata
una chance. L’abbiamo imparato, il
concetto. Tra i due Mari, piuttosto, in questi giorni le questioni del campo e
gli intrighi del torneo occupano i vagoni di seconda classe. Le preoccupazioni
popolari, cioè, tornano ad accentrarsi sulle vicende di sempre: il ménage quotidiano del club e il futuro
del pallone in città. Le frizioni, già sospettate dall’intero ambiente, tra i
due principali sovvenzionatori della società (il presidente Nardoni e il suo
vice Petrelli, un tempo molto vicini anche al di fuori del calcio) sono ormai
ufficializzate dai protagonisti. Che, da settimane, non si confrontano più. La querelle è di natura interpersonale,
imprenditoriale. Ovvero, il Taranto non è la causa dei dissapori. Pur
rischiando di diventare l’improvvisato campo neutro attraverso il quale si
incrociano gli interessi di ciascuno. Di fatto, però, se la strada di Petrelli
non converge più su quella di Nardoni, o viceversa, uno dei due appare sin da
adesso in sovrannumero. Nel frattempo, infine, proprio Petrelli fa sapere di
aver individuato un gruppo di potenziali nuovi investitori. Mentre Nardoni, di
rimando, ammette di non saperne nulla. In questo preciso momento storico, in
cui si compiono i destini della stagione in corso e, tradizionalmente, si comincia
parallelamente a pianificare quella successiva, servirebbe invece un dialogo più
fitto. Diretto, oppure filtrato, se è il caso. Ma, innanzi tutto, franco.
mercoledì 5 marzo 2014
Bisceglie, a Vico l'ufficializzazione di un fallimento
Raggiunto e superato. Dal vantaggio robusto alla
sconfitta dolorosa. Sopra di due gol, il Bisceglie si arena a Vico. E lo choc,
in situazioni simili, è ingombrante. Per Giancarlo Favarin, invece, determinante.
Il tecnico pisano perde la panchina proprio quando i segnali sembrano
nuovamente confortare e quando la griglia dei playoff appare ancora all'orizzonte. E sì, perché dopo quel derby costruito sull’impegno e
sulla rabbia e vinto sul Monopoli, le quotazioni della squadra si sono
progressivamente afflosciate. Malgrado certe garanzie esibite da un gruppo
rinnovato a metà stagione, ma motivato e sufficientemente esperto per
affrontare le insidie del percorso. Invece, gli undici punti che attualmente
dividono il Bisceglie dalla quinta posizione (e i sei che stabiliscono del
distanze dal Grottaglie, sest’ultima del raggruppamento) si agitano come una
condanna. Prima per l’allenatore e poi per il progetto modificato in corsa dal
presidente Canonico e dal diesse Belviso. Che, con trasparenza, parla di un feeling – quello tra il club e
l’allenatore – interrotto e di scelte tecniche e tattiche mal digerite dal
vertice societario. Mentre Favarin preferisce non scavare nella ferita,
glissando con compostezza. Il nuovo che avanza, nel frattempo, si chiama Carlo
Prayer, barese, personaggio particolarmente legato all’universo del settore
giovanile, sin qui responsabile della formazione Juniores stellata. Le ultime
nove partite dell’anonimo campionato del Bisceglie passeranno, dunque, attraverso il suo
lavoro, la sua esperienza e la sua capacità di rimotivare un gruppo a cui si
chiede soltanto, adesso, di non lasciarsi risucchiare dal vortice per non
rischiare nulla. Offrendo, magari, a patron Canonico l’occasione di riflettere
per bene, prima di ogni altra decisione futura. Due stagioni oggettivamente
fallimentari di fila, del resto, potrebbero facilmente intaccare anche le
migliori delle intenzioni. Senza contare, poi, che certe fibrillazioni sorte
recentemente tra il presidente e l’ambiente potrebbero costituire un precedente
fondante. Non sappiamo, infine, se determinate voci (l’imminente fallimento del
Bari e la possibilità di un avvicinamento, peraltro smentito ufficialmente, di
Canonico al club di via Torrebella) sono degne di considerazione oppure meno.
Ma, tutti assieme, gli indizi non depongono a favore del prolungamento di una
programmazione pianificata: è meglio che si sottolinei la verità, sin da ora.
Per questo, allora, il compito di Prayer e dell’organico che andrà a gestire è
assolutamente più delicato di quello che, ad una prima valutazione, può
apparire.
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