lunedì 31 marzo 2014

Il Martina e l'insondabilità della quarta serie

Continua a succedere di tutto un po’, in C2. Oggi sogna qualcuno, domani chissà. E chi sembra affondare, non sprofonda mai. Tornando, anzi, a galleggiare. Il calendario offre sempre una possibilità, a tutti. L’ultima possibilità. O la penultima. La corsa verso l’ottava piazza, cioè verso la salvezza che sa di promozione, è ancora aperta. E lo sarà, presumibilmente, sino in fondo. Di conseguenza, anche la battaglia per i playout è assolutamente da decifrare. Se, cioè, anche la nona, la decima, l’undicesima e dodicesima piazza serviranno ad alimentare – seppur per pochi giorni ancora - la speranza di questo o di quella società, significa che c’è ancora tanto da vedere e da decifrare. E non ci meraviglieremo se, all’ultimo minuto dell’ultima giornata della regular season, un palo, un gol, un penalty o un episodio qualunque trascineranno, come per incanto, questo o quel club dalla iattura della serie D alla nuova terza serie: magari senza neppure passare dagli spareggi. Per questo, allora, è assolutamente fondamentale essere sempre lì: nonostante quei punti fastidiosamente dispersi per indolenza o imperizia, per una coincidenza o per un’esitazione. Il discorso vale anche per il Martina: che Tommaso Napoli, talvolta, riesce a far girare con toni soddisfacenti, soprattutto quando si viaggia (anche ad Ischia, ultimamente). E che, in certe occasioni, si perde: sciupando ripetutamente l’opportunità di agganciare le avversarie che lo precedono in classifica. Il Martina che la campagna di rafforzamento di metà stagione ha fortificato, ma che ancora non riesce ad agganciare il concetto di continuità. Il Martina che, appunto, sembra definitivamente franare sotto i colpi del Melfi e che, appena due settimane appresso, riconquista chances e posizioni liberandosi a domicilio del Sorrento. Dopo aver sostanzialmente governato il match per gli interi novanta minuti e dopo essere rimasto colpevolmente in inferiorità numerica. Ma questo è un campionato troppo strano: il Martina che si complica il cammino da solo, riaprendo con le proprie mani una partita che i campani sono assolutamente incapaci di forzare, è pure in grado di reagire alla mazzata del pareggio, minimizzando il disagio dell’uomo in meno e archiviando la sfida con due gol di scarto a favore. Storie di quarta serie, esatto. A queste latitudini, non esistono più certezze, non c’è più logica. Se non quella di fondo: a fronte di larghi equilibri, non difetta mai il tempo per rimediare. Tanto, la qualità non si spreca. Meglio, perciò, non farsi scrupoli di niente ed approfittarne, appena si può. Nessuno, alla fine, potrà vantare troppi argomenti di conversazione: il peccato è nella casa di chiunque.

domenica 30 marzo 2014

Foggia, piccoli passi verso la C unica

Infiacchimento, difetti di concentrazione, rivoluzionamento settimanale di formazione e schemi, defezioni nel mezzo e anche dietro. Quanto basta per scadere, nella forma e nella sostanza. E per rallentare la corsa verso la C unica. Alla quale, tuttavia, il Foggia continuava corposamente a mirare. Negli ultimi tempi, la formazione di Padalino si era fermata spesso, collezionando appena quei punti utili per mantenere praticamente invariata la distanza dalla nona in classifica e per non perdere l’umore più sano. E nutrendosi, soprattutto, dell’altrui incapacità di ridurre il gap. In coda ad un mese e mezzo di fatica muta e di esitazioni diffuse, però, la quarta forza del campionato si presenta sul green senza barriere di Castel Rigone e, in un sabato più chiaro e fluido, si prende la partita senza assilli, guadagnando nuovo colore e abbreviando sensibilmente la pratica promozione. Sei gol (ad uno) spiegano meglio di molte parole, scavando un burrone incolmabile tra le certezze perdute degli umbri e la volontà di resistere di Agnelli e compagni: baciati, innanzi tutto, dalla buona notizia di un vantaggio precoce che riesce a semplificare il compito, oltre ogni ottimistica previsione. Il Foggia riacquista corpo e lucidità (ma anche cuore e grinta, detta il tecnico a fine match) proprio in prossimità dello sprint finale, ufficialmente inaugurato. Ed è un bene enorme che la squadra abbia recuperato prima di qualsiasi eventuale complicazione il pregio della concretezza, arma necessaria per salvaguardare il cammino regolare, che è poi il segreto della felicità e, nello specifico, di una stagione partita tra le apprensioni e, poco dopo, sbocciata con grazia. Anche se, prima o poi, toccherà omaggiare sinceramente pure la concorrenza un po’ sciatta e l’anima nascosta di questo irripetibile campionato di quarta serie. Spaccato a metà, a dispetto delle previsioni. In cui la battaglia è infuriata soltanto nei bassifondi. Lasciando le battistrada libere di gestire il proprio destino: pigramente, talvolta.

mercoledì 26 marzo 2014

Il bastone e il fiore

Accettare la realtà del campionato e abbandonare l’élite del torneo, quello di quinta serie, é un esercizio amaro e indigeribile. E piegarsi alla cruda verità dei numeri, che sembrano proibire persino l’inserimento nella griglia dei playoff di fine stagione, é un’operazione costosa, mediaticamente parlando. Il Brindisi del girone di ritorno frana sui suoi stessi limiti: innanzi tutto di organico (sfibrato dalla serie robusta di infortuni, che finiscono per minimizzare la mediana e per minare le strategie del tecnico) e, quindi, caratteriali (conosciuti già ai tempi della gestione tecnica firmata da Ciullo e lievitati tra le mani di Chiricallo). Per questo motivo, del resto, il coach barese  era pesantemente intervenuto, nel corso della settimana appena trascorsa: argomentando, senza mezze misure, di un organico privo di tempra e di caratura, dunque inadatto ad un cammino di vertice. Avvalendosi, peraltro, del sostegno di patron Flora: già abbastanza chiaro, in passato, nell’analisi di un’annata compromessa prima del suo epilogo naturale. Analisi che, tra parentesi, rilancia con energia il concetto utilizzato per spiegare le ambizioni sbrecciate del Monopoli, tanto per fare un altro nome: senza un rendimento mediamente produttivo nei match lontano da casa, cioè, non si va da nessuna parte. Tornato, però, sull’erba di via Brin, il Brindisi recupera smalto e successo, sbarrando la strada al Manfredonia, avversario in controtendenza (fallimentare a casa propria, più convincente fuori). E, con la vittoria, riemergono pure termini più concilianti. Chiricallo (per sua stessa ammissione vicino alle dimissioni, immediatamente dopo la caduta di Marcianise) e Flora, davanti ai microfoni, si impegnano a recuperare, accarezzando il gruppo («Ci crediamo ancora», ammette il presidente) e scacciando alcuni malumori maturati all'interno allo spogliatoio. A pensarci bene, tuttavia, non è la prima volta che, in quest’angolo di Puglia, da settembre in qua, si rincorrono scudisciate e toni più morbidi e accondiscendenti. Il bastone e il fiore, per capirci. Probabilmente, è questo il percorso migliore per salvaguardare gli uomini che scendono in campo, gli equilibri interni e, contemporaneamente, la gestione del rapporto con la piazza e la tifoseria: a cui, meglio ricordarlo, non si possono nascondere le evidenze. Anche se, vista dall’esterno, quest’altalena di sentimenti potrà apparire bizzarra, umorale e piuttosto anarchica. 

martedì 25 marzo 2014

Girone H, una questione di equilibri

Questo girone appulocampano di serie D possiede un grande pregio: l’insindacabile equilibrio che lo governa e che, sin dalle prime settimane della stagione, gli ha regalato umori, sapori, insondabilità, sorprese, appeal. In una sola parola, interesse. In un’altra, emozioni. Ma il raggruppamento più perfido e stressante della quinta serie nazionale comincia a trascinarsi anche un enorme quesito. Perché non ci è ancora perfettamente chiaro un dettaglio. Cioè: l’equilibrio granitico presuppone davvero un livello medio delle forze sul campo al di sopra della norma - alla cui idea, onestamente, ci eravamo abituati un po’ tutti – o, invece, nasconde una certa inattendibilità di fondo di molte protagoniste di vertice? Non scomoderemo i concetti più abusati: ad esempio, troppe litiganti, poco spazio per chiunque. Oppure: l’abbondanza degli scontri diretti finiscono irrimediabilmente con lo scolpire la classifica. Oppure, ancora: la distanza tra chi lotta per vincere e chi battaglia per salvarsi è quasi impercettibile. E potremmo continuare. Ci limitiamo, piuttosto, a prendere atto della realtà: non esiste la controprova dell’alta competitività di qualsiasi rappresentante del girone H in un altro contesto. Anche se, intimamente, lo pensiamo. O, almeno, lo pensavamo. E, al contempo, costringiamo noi stessi a valutare un dato: anche in una situazione di altissimo equilibrio come questa, la fragilità conclamata delle formazioni migliori (Matera, Marcianise, Taranto, Francavilla, Monopoli) comincia ad insospettire. Soprattutto, se i risultati si abbinano ad un calcio fondamentalmente privo di sostanza. E, talvolta, di robustezza. Analizziamo brevemente il caso del Matera: furbo quando deve prendersi i punti di Grottaglie, o corposo quando si ritrova a respingere il Monopoli in inferiorità numerica (è accaduto domenica). Ma vulnerabile, a dispetto di certe statistiche che dobbiamo pur rispettare, e assai poco brillante (e la brillantezza, a fine torneo, conta sempre). Prendiamo, allora, il Marcianise: sicuramente la formazione più continua e, da un certo punto di vista, più affidabile del lotto. Eppure, sostanzialmente incapace di gestire mentalmente il momento più delicato, in cui il campionato chiedeva freddezza e sacrificio. Quindi, il Francavilla: pratico, organizzato e assistito dai benefici di una pressione limitata. Ma puntualmente assente, appena è necessario fare e dare qualcosa di più. Del Monopoli, poi, si è già detto diffusamente: troppo distante da se stesso, appena si muove dal Veneziani. Per passare, infine, al Taranto. Che, nell’ancora recente derby di Grottaglie, si ritagliò una vittoria ingiusta. E che, proprio per questo, non offrì troppe garanzie in prospettiva. Da quel giorno, ha incrociato il Gladiator (successo allo Iacovone, non senza qualche difficoltà) e la Gelbison (caduta ingloriosa a Vallo). Mostrando, peraltro, poche idee e tutte strettamente dipendenti dalle risorse tecniche di Ciarcià e Mignogna: entrambi impalpabili, nell’ultima uscita.  Ecco, il punto è questo: nessuna delle quattro migliori del campionato vince con facilità. Nessuna convince per due gare di fila. Nessuna è riparata da una manovra avvolgente e limpida. Ma nessuna, soprattutto, è quel blocco pragmatico che serve a bypassare quel calo qualitativo che appare persino fisiologico. Il girone che si consuma tra Puglia e Campania è il più duro della D. Ed è il più dispendioso, il più avvincente. Ma siamo ancora così sicuri che l’appiattimento dei valori guardi ancora verso l’alto? La domanda sarà, probabilmente, maliziosa. Ma il dibattito è ufficialmente aperto. 

lunedì 24 marzo 2014

Il Monopoli tra numeri e passione

Malgrado tutto, a Monopoli erano affiorati nuovi entusiasmi. Sì, il rapporto tra il tecnico De Luca e buona parte della tifoseria rimane conflittuale. E l’atteggiamento discontinuo della squadra - blindata e coraggiosa in casa, timida e spesso sperduta lontano dal Veneziani – insospettisce ancora l’anima più calda del tifo adriatico. Però, il campionato di serie D più strano degli ultimi trent’anni autorizza a valutare attentamente tutte le soluzioni possibili, ma davvero tutte. Escludendo e riammettendo nel valzer dei sogni, nell’arco di tempo di una settimana appena, tutte le candidate al salto di categoria. Confondendo, di fatto, i concorrenti al primo posto e ai playoff. Senza contare le conseguenze inimmaginabili degli scontri diretti: tanti. E tutti inseriti dal calendario proprio nella parte finale della stagione. Nuovi entusiasmi, dunque. Suffragati, sull’Adriatico, dalle nuove difficoltà del Matera, leader non così indiscusso del raggruppamento. Dalla zoppia diffusa degli inseguitori. E da un disavanzo (due punti dalla vetta) tornato improvvisamente colmabile, anche e soprattutto in virtù della sfida incrociata, da consumarsi in Lucania. Dove si riversano settecento appassionati monopolitani, forse di più. Ma il match si incupisce presto: otto minuti e la capolista passa. Di contro, sùbito dopo, il Matera rimane in dieci. Ma il Monopoli non sa approfittare della superiorità numerica, producendo una forza offensiva limitata. E, probabilmente, perdendo minuti preziosi, prima di rimodellarsi in mezzo al campo (Laboragine parte dalla panca e viene utilizzato solo più in là, nella seconda frazione di gioco). Finisce uno a zero: ed il risultato, una volta in più, racconta di una formazione troppo tenera nelle sfide che contano e nel mezzo di un campionato incompiuto. Il divario dalla prima piazza si riallarga (cinque punti, ora). Ma è, più che altro, la carenza di maturità del collettivo a indispettire la gente che tifa. Sentimentalmente legata, ovviamente, al concetto di promozione diretta: che sembra, ormai, definitivamente sfuggire. A meno che il Matera, ad esempio, non cada a Taranto, domenica prossima. E che, poi, il Taranto e il Marcianise non cadano a Monopoli, tra qualche tempo. Intanto, il curriculum esterno di Lanzillotta e soci dice quanto lo staff tecnico si affretta puntualmente a negare: nella classifica redatta esclusivamente in base alle partite disputate lontane dal terreno amico, il Monopoli è sesto (dietro Taranto, Francavilla, Matera, Marcianise e Gelbison, dieciassette punti). E nella graduatoria degli scontri diretti tra le prime sette del torneo è ultimo. Numeri, non parole.

lunedì 17 marzo 2014

Il Martina attende un tempo e frena

Nove punti negli ultimi duecentosettanta minuti, di cui sei recuperati lontano da casa, rivalutano la classifica, i programmi e il profilo psicologico del Martina. Ipotizzando un campionato tutto nuovo, proprio in prossimità del rush finale, ma pure un atteggiamento assolutamente risoluto nel match, quello del Tursi con il Melfi, che potrebbe ufficialmente spalancare la porta che conduce direttamente alla nuova C unica. E, invece, proprio nel momento più convincente e in piena fase di decollo, la formazione di Tommaso Napoli si scontra con una certa indolenza che lo frena per un tempo, perdendo partita e quota. Il 4-2-3-1 disegnato dal coach palermitano è, da sùbito, poco dinamico. Smarcarsi è faticoso e, senza palla, le difficoltà crescono. L’approccio non è vigoroso e, oltre tutto, l’avversario è pratico, ordinato: esattamente come piace al suo tecnico Bitetto. Il Melfi non si sbilancia, ma si mantiene alto. Attendendo il suo momento. O, meglio, le esitazioni di un  Martina che continua ad esprimersi sotto ritmo, che non accelera e non stringe. Prima inciampa Dispoto, poi si confonde l’intero assetto difensivo: e, ancora prima dell’intervallo, i lucani si ritrovano sopra di due gol. Quella della ripresa, piuttosto, è una formazione più viva, più carica, più rapida e aggressiva: il Martina cresce e si arrampica su un match peraltro già abbastanza compromesso. Le premesse per recuperare, però, si rafforzano quando il Melfi perde un uomo e rimane in dieci. Solo che il tempo passa veloce e nulla di concreto accade: quarantacinque minuti più quattro di recupero non bastano, come non è sufficiente rimestare il modulo (3-4-3). Tutto da rifare, o quasi. Perché Napoli non sbaglia, quando afferma che i suoi, ormai, sanno di possedere i requisiti per reagire alle contrarietà del percorso. Anche se la linea del traguardo si avvicina sempre più e i margini di errore si assottigliano sensibilmente. Malgrado, psicologicamente parlando, questa caduta rischia di rivelarsi un macigno ingombrante. E nonostante resti vivo il rammarico di non aver potuto contare, all’inizio della sfida, sul Martina migliore: quello visto, cioè, sulla spinta della disperazione, tra le pieghe di una rincorsa affannosa. Quel Martina che, oggettivamente, sembra aver sprecato mezza gara. E un’occasione unica per azzerare il gap che si trascina dall’autunno passato.

domenica 16 marzo 2014

Bari, iniezione di entusiasmo

C’è sempre più gente, sui gradoni del San Nicola. Come se l’entusiasmo lievitasse giorno dopo giorno. Invece, il Bari prosegue a battagliare – non senza timori fondati - per salvarsi: prima sul campo e poi fuori, tra le scrivanie di un tribunale e della Federcalcio. Sono in quindicimila, allo stadio. Il doppio dell’ultima volta, sette giorni prima. Il doppio del doppio della penultima. E c’è un altro avversario di prestigio, dall’altra parte della barricata. L’Avellino si dispone alto, contra bene e riduce gli spazi. E, fondamentalmente, il match è tra i piedi degli uomini di Rastelli. La gente di Alberti e Zavettieri, di contro, ha il baricentro basso e, al momento di ripartire, si frena e non sboccia. Anzi, nella difficoltà, il Bari si scopre pure falloso. Prova a forzare, ma è spesso costretto a bloccarsi e a ricominciare da capo. Tatticamente, gli irpini sono più ordinati e coprono meglio il campo e gli spazi. Ma Ceppitelli e soci, come sovente accade, si armano di pazienza e volontà: recuperano metri e cominciano a gestire la palla con continuità e convinzione. Aumenta, cioè, la quantità: anche se la resa non cambia. La parte finale della prima frazione di gioco, tuttavia, promette. Eppure, dopo l’intervallo, il Bari non torna sull’erba con la stessa grinta: tanto che l’Avellino, con mestiere, si riprende le zolle perdute. Accontentandosi, però: ovvero, limitandosi a controllare il traffico, rinunciando a inventarsi qualcosa in più. Rifiutandosi di costruire l’impalcatura del successo. Partito con tre difensori, Rastelli rafforza il dispositivo difensivo con la quarta pedina: dimostrando di gradire abbondantemente il punto. Ed è proprio questo, invece, l’humus in cui il Bari germoglia, scassinando l’equilibrio dello zero a zero. João Silva trova la soluzione vincente, di testa, ad otto minuti dalla conclusione della gara. Il secondo successo di fila finisce così  per accelerare il discorso permanenza, alimentando la distanza dal Novara, attuale quintultima forza del torneo. E la squadra immagazzina altra considerazione e ulteriore stima di se stessa. Le difficoltà, attorno, si infittiscono. Ma l’euforia creatasi all’interno dell’ambiente soccorre. Senza i Matarrese, la città sembra essersi ricompattata a presidio dell’organico e dell’obiettivo che si è prefisso. E’ la realtà insospettabile di una storia complicata che si sta evolvendo. Converrà cavalcarla. I risultati sono il motore di tutto: anche se questo capitolo non possiede certezze e neppure una prospettiva chiaramente visibile. Chi può, formuli la proposta giusta. Non c’è un momento migliore di questo, nonostante tutto.

lunedì 10 marzo 2014

Grottaglie, tanta fatica per niente

E’ la formazione più brillante del momento. Almeno, nel suo girone. Ed è quella che, da un po’, esprime il calcio più fluido, più aggressivo. Diciamo da un mese in qua. Ma è anche la squadra che, negli ultimi ventuno giorni, ha conosciuto esclusivamente insuccessi: illogici, illegittimi, frustranti. Il Grottaglie avrebbe meritato di superare il Matera, senza dubbio alcuno. Poi, avrebbe potuto anche guadagnare un punto sul campo del Monopoli: che però, a casa sua, difficilmente fallisce. E, infine, avrebbe dovuto ottenere molto di più anche dal derby con il Taranto, consumato proprio ieri. Invece, al D’Amuri, fa punti solo il collettivo gestito da Papagni: in coda ad un match costruito sugli episodi, sulle contromisure tattiche, sullo sfruttamento delle situazioni contingenti. Zero punti invece di sei, facciamo così: ed è un guaio grosso. Perché la classifica si accorcia di nuovo. E perché l’Ars et Labor, soprattutto adesso, vorrebbe circondarsi di buon umore, nutrirsi di serenità. La gente di Pettinicchio è reattiva, veloce. La manovra sboccia e si allarga. Il fraseggio trova generalmente sfogo. Il Taranto, invece, si fa schiacciare: in mezzo al campo è morbido e dietro si soffre. Papagni deve rimestare il modulo la prima volta: partito con quattro difensori e tre centrocampisti, chiede a Mignogna, quarto basso a sinistra, di salire in mediana, mentre Muwana retrocede in terza linea. Non cambia granché, tuttavia: è sempre il Grottaglie a dettare ritmi e trame. Anche se la pressione, qua e là, si allenta. Permettendo a Ciarcià e soci qualche ripartenza: come quella che, in prossimità dell’intervallo, conduce al vantaggio rossoblu, assolutamente iniquo. Si riparte e il Taranto si modifica ancora (4-4-2), guadagnando robustezza – anche nei contrasti - e raggiungendo un equilibrio più credibile. E riuscendo a controllare con più naturalezza (lo schermo davanti alla difesa, ora, funziona meglio). L’Ars et Labor, un po’ più imbastito, concede un calcio franco dai venti metri: il raddoppio degli ospiti nasce così. Tutto si fa più facile, per chi è avanti. E tutto si complica, per chi insegue. Anche se il Grottaglie non smette di crederci: riprendendo a spingere, riducendo lo svantaggio e trovando persino la seconda marcatura, invalidata dal direttore di gara. Certo, però, è che il pareggio non arriverà: neppure in superiorità numerica (il Taranto si ritrova in dieci e finisce con un 4-3-1-1). Scoraggiando l’ambiente, quando – piuttosto – la lievitazione dell’organico dovrebbe trascinarsi il sorriso. Così, mentre il Taranto scavalca il Marcianise e accorcia il disavanzo dal leader Matera, il Grottaglie si scopre defraudato e triste. Con la prospettiva di un riposo forzato che, domenica, non porterà punti. Ci riproverà più avanti, è normale. Ma il profilo psicologico andrà presumibilmente ricostruito. E’ questa la prossima sfida.

domenica 9 marzo 2014

Il Bari regge alla crisi

La procedura, già avviata, di autofallimento societario trancia l’interminabile regno dei Matarrese sul pallone barese, diventando un ideale spartiacque tra due epoche distinte. Ed è, soprattutto, un segno tangibile dei tempi che cambiano. E delle situazioni che, fisiologicamente, si rinnovano. Transitato un pezzo di storia, riemerge però dall’autoisolamento, quasi magicamente, una piccola folla dimenticata. E’ la parte più larga di quei settemila che tornano a frequentare il San Nicola. A conferma di alcune verità: il momento è particolare e occorre il sostegno di tanti, il ciclo nuovo è bisognoso di calore e ottimismo, la politica di contenimento dei prezzi di ingresso allo stadio paga  (gli introiti sono sempre quelli che sono, ma – almeno – la gente risponde meglio: e, sostanzialmente, il club non ci rimette). E anche questo amore ritrovato è un segnale robusto della quotidianità che si evolve. Intanto, di fronte, c’è il Lanciano, squadra compatta che sa mantenersi alta e, all’occasione, sa ripartire. E che si fa pericolosa da sùbito, diverse volte. Il Bari prova a far girare il pallone, ma fatica a salire e a gestirsi in fase di possesso. Con il tempo, tuttavia, il match si fa più fisico, più ruvido. E gli abruzzesi sono più rapidi, più diretti. Eppure, è proprio il Bari a passare: ci pensa, come accade spesso, Ceppitelli. Incassato lo svantaggio, il Lanciano si confonde un po’, cominciando a perdere palla, sicurezza e permeabilità. E’, fondamentalmente, una partita recuperata in corsa dalla gente di Alberti e Zavettieri, che in mezzo al campo non possono godere dell’apporto di Sciaudone, Romizi e Delvecchio. E che, pure nella seconda porzione di gara, addizionano più quantità e intensità. A dispetto della supremazia territoriale che i frentani esercitano sino al novantesimo, senza peraltro approfittarne. Ecco: al di là di scompensi antichi e moderni e delle esitazioni tipiche di un collettivo che sta perseguendo la permanenza, il Bari sembra esserci, almeno con la testa. Nonostante tutto quello che, attorno, sta accadendo. La squadra, cioè, è ancora concentrata, salda mentalmente, motivata. Il gruppo sta reggendo: alle pressioni dell’esterno, alle cattive notizie, all’indecifrabilità del futuro prossimo, alle incognite di ogni giorno. E anche questi sono indizi pesanti.  

giovedì 6 marzo 2014

Taranto, acque increspate

Due affermazioni di fila, allo Iacovone, intersecate da un pari (quello deludente, per resa e calcio prodotto, di Lucera, casa di scorta del San Severo) non alimentano le ambizioni, né incoraggiano gli appetiti. Il Matera, ora, segna troppo e corre tanto. E il Taranto continua ad inseguire, un po’ più in là: cinque punti. Abbastanza, teoricamente: soprattutto in considerazione che, tra lucani e jonici, convivono pure le sempre più legittime aspirazioni del Marcianise (e chi si nutre di realismo sa quanto diventi difficile, a nove settimane dal traguardo, confidare nelle contemporanee disavventure di due concorrenti alla promozione immediata). Ma anche sostenibili: in considerazione di uno scontro diretto che si consumerà a breve, proprio in riva a Mar Piccolo. Peraltro, ultimamente, la formazione di Papagni sembra aver smarrito intensità, lucidità e, talvolta, anche gli equilibri necessari per proteggersi. Il successo di domenica, sull’accartocciata Puteolana, così come il derby intascato ai danni del Brindisi, sa di fatica e reticenze: spianate, tuttavia, dalla differente caratura tecnica degli organici e da un sussulto di orgoglio (Taranto in dieci sin dal corso della prima frazione di gioco). E persino gli accorgimenti tattici scovati nel tempo dal coach non riescono più a mascherare le controindicazioni di un impianto esuberante di valori individuali, ma ancora troppo slegato e umorale. Però, il campionato è ancora lì, disposto ad attendere chiunque: e a nessuno è negata una chance. L’abbiamo imparato, il concetto. Tra i due Mari, piuttosto, in questi giorni le questioni del campo e gli intrighi del torneo occupano i vagoni di seconda classe. Le preoccupazioni popolari, cioè, tornano ad accentrarsi sulle vicende di sempre: il ménage quotidiano del club e il futuro del pallone in città. Le frizioni, già sospettate dall’intero ambiente, tra i due principali sovvenzionatori della società (il presidente Nardoni e il suo vice Petrelli, un tempo molto vicini anche al di fuori del calcio) sono ormai ufficializzate dai protagonisti. Che, da settimane, non si confrontano più. La querelle è di natura interpersonale, imprenditoriale. Ovvero, il Taranto non è la causa dei dissapori. Pur rischiando di diventare l’improvvisato campo neutro attraverso il quale si incrociano gli interessi di ciascuno. Di fatto, però, se la strada di Petrelli non converge più su quella di Nardoni, o viceversa, uno dei due appare sin da adesso in sovrannumero. Nel frattempo, infine, proprio Petrelli fa sapere di aver individuato un gruppo di potenziali nuovi investitori. Mentre Nardoni, di rimando, ammette di non saperne nulla. In questo preciso momento storico, in cui si compiono i destini della stagione in corso e, tradizionalmente, si comincia parallelamente a pianificare quella successiva, servirebbe invece un dialogo più fitto. Diretto, oppure filtrato, se è il caso. Ma, innanzi tutto, franco.

mercoledì 5 marzo 2014

Bisceglie, a Vico l'ufficializzazione di un fallimento

Raggiunto e superato. Dal vantaggio robusto alla sconfitta dolorosa. Sopra di due gol, il Bisceglie si arena a Vico. E lo choc, in situazioni simili, è ingombrante. Per Giancarlo Favarin, invece, determinante. Il tecnico pisano perde la panchina proprio quando i segnali sembrano nuovamente confortare e quando la griglia dei playoff appare ancora all'orizzonte. E sì, perché dopo quel derby costruito sull’impegno e sulla rabbia e vinto sul Monopoli, le quotazioni della squadra si sono progressivamente afflosciate. Malgrado certe garanzie esibite da un gruppo rinnovato a metà stagione, ma motivato e sufficientemente esperto per affrontare le insidie del percorso. Invece, gli undici punti che attualmente dividono il Bisceglie dalla quinta posizione (e i sei che stabiliscono del distanze dal Grottaglie, sest’ultima del raggruppamento) si agitano come una condanna. Prima per l’allenatore e poi per il progetto modificato in corsa dal presidente Canonico e dal diesse Belviso. Che, con trasparenza, parla di un feeling – quello tra il club e l’allenatore – interrotto e di scelte tecniche e tattiche mal digerite dal vertice societario. Mentre Favarin preferisce non scavare nella ferita, glissando con compostezza. Il nuovo che avanza, nel frattempo, si chiama Carlo Prayer, barese, personaggio particolarmente legato all’universo del settore giovanile, sin qui responsabile della formazione Juniores stellata. Le ultime nove partite dell’anonimo campionato del Bisceglie passeranno, dunque, attraverso il suo lavoro, la sua esperienza e la sua capacità di rimotivare un gruppo a cui si chiede soltanto, adesso, di non lasciarsi risucchiare dal vortice per non rischiare nulla. Offrendo, magari, a patron Canonico l’occasione di riflettere per bene, prima di ogni altra decisione futura. Due stagioni oggettivamente fallimentari di fila, del resto, potrebbero facilmente intaccare anche le migliori delle intenzioni. Senza contare, poi, che certe fibrillazioni sorte recentemente tra il presidente e l’ambiente potrebbero costituire un precedente fondante. Non sappiamo, infine, se determinate voci (l’imminente fallimento del Bari e la possibilità di un avvicinamento, peraltro smentito ufficialmente, di Canonico al club di via Torrebella) sono degne di considerazione oppure meno. Ma, tutti assieme, gli indizi non depongono a favore del prolungamento di una programmazione pianificata: è meglio che si sottolinei la verità, sin da ora. Per questo, allora, il compito di Prayer e dell’organico che andrà a gestire è assolutamente più delicato di quello che, ad una prima valutazione, può apparire.