Torneo faticoso, quello di Eccellenza. Ma, al
culmine della fatica, ecco la firma del Gallipoli. Cioè, la formazione più
continua del lotto. E quella meglio aggrappata al mai superato concetto di
solidità, abbinato ad una più che discreta cifra tecnica complessiva.
Assemblata per competere sino in fondo e scopertasi pienamente affidabile nel
segmento decisivo della stagione: quando, ad esempio, l’Andria spingeva,
recuperando il tempo perduto nel primo mese e mezzo del cammino. Mentre il
Casarano si lasciava confondere dalle sue stesse esitazioni e da un percorso
parallelo (la Coppa Italia)
assai allettante. E mentre il Mola, prima del cambio tecnico, si spegneva di
fronte alla possibilità di staccarsi dal gruppo. La serie D recuperata in riva
allo Jonio, così, appariva da sùbito come un premio alla programmazione
intelligente architettata dal presidente Barone e dal diesse Manta. E gestita
anche sul filo dei nervi, tra una polemica e un’altra: che la concorrenza
pativa e che il Gallipoli, invece, cavalcava sicuro. Quel Gallipoli che, un
mese dopo, si sforza di decifrare il proprio futuro. Lo stadio, che si rifiuta
di assicurare determinate garanzie, sembra il cruccio principale. E la
freddezza degli imprenditori del posto acuisce il disagio. Roba vecchia,
verrebbe da dire. Esatto: in questo spicchio di Salento il tempo sembra essere
passato inutilmente. Il presidente, in tempi di iscrizione al prossimo
campionato di quarta serie, non ha ancora deciso se saltare la barricata oppure
no. O meglio: le dimissioni sono formalmente rassegnate. E il titolo sportivo è
ufficialmente in pericolo. Anche se le cronache di ogni giorno ci raccontano
che il club, sul mercato, è vigile e particolarmente attivo. Particolare,
questo, che ovviamente si scontra con certe dichiarazioni e con i comunicati
diffusi. Di più: il Gallipoli appare disposto a investire quanto serve per
tutelare la categoria appena conquistata e per puntare anche a qualcosa di
meglio. Si rafforza, anzi, anche l’organigramma societario, con l’assunzione in
segreteria di Fernando Venneri: che, arrivando, lancia un messaggio. Barone,
dice, potrebbe rimanere dov’è. Basterebbe che qualcuno si avvicini al progetto,
con buone intenzioni. In pratica, quanto pochi anni fa, ai tempi della B, aspettava Giovanni Barba. Sappiamo tutti come finì: male, malissimo. E, se il
passato insegna qualcosa, il consiglio è di non costruirsi attorno troppe
illusioni. E di augurarsi un bluff di
Barone. .
martedì 24 giugno 2014
lunedì 23 giugno 2014
Taranto, chi viene e chi va
All’improvviso, ma con prevista puntualità, la
situazione societaria del Taranto si ingarbuglia, si intorpidisce. Ma,
contemporaneamente, si evolve. Abbastanza velocemente, pure. La vecchia
struttura societaria, quella che - in sostanza – ha traghettato il pallone dei
due Mari dal momento dell’ammissione alla serie D sin qui, sarebbe stata
disposta a perseguire il proprio progetto di consolidamento delle fondamenta
del club, che passava attraverso due punti fondamentali: il ripianamento dei
conti (mancano, si dice, duecentocinquantamila euro per saldare le vecchie
pendenze) e l’alimentazione delle ambizioni. Per la quale, va aggiunto, avrebbe
gradito nuovi contributi, nuove energie: quindi, ulteriori investitori.
Parallelamente, peraltro, altri soggetti si sarebbero (anzi, si sono)
avvicinati: da Cerruti, attuale patron dell’Agropoli, ai fratelli Campitiello.
Nomi, questi, che hanno finito per ingolosire la piazza. Irruviditasi, così,
nei confronti del presidente Nardoni e del suo vice (e socio forte) Petrelli:
perché, forse, simboli di un passato prossimo senza risultati sportivi
tangibili. O perché prudentemente lontani dall’idea di presentare la
fidejussione che dovrebbe accompagnare l’ipotetica richiesta di ripescaggio in
terza serie (niente affatto certa, per la cronaca). Di fatto, però, parte
dell’ambiente jonico avrebbe ultimamente delegittimato e sfiduciato i due
dirigenti. Che, un po’ offesi, si sono praticamente disimpegnati, in attesa di
ulteriori novità. Accelerando il processo di rinnovamento. Ma, nel contempo,
aprendo un’eventuale crisi societaria, se la trattativa con la famiglia
Campitiello – oggi considerata molto avviata e destinata a soluzione felice -
dovesse saltare, per un motivo o per un altro. Fermiamoci, tuttavia, alle
certezze. E una certezza è questa: il maggior investitore del gruppo uscente,
ovvero Petrelli, ha dribblato ogni problema presente e futuro e qualsiasi
complicazione, cedendo (gratuitamente, giura) le sue quote alla Fondazione
Taras. Scendendo, in questa maniera, dalla giostra delle possibilità. E
trascinandosi emotivamente Nardoni. Il primo e il secondo, intanto, potranno
non piacere (o non piacere più) alla Taranto che tifa: ci può stare. Però, sarà
anche giusto ricordare che proprio Petrelli e Nardoni hanno saputo garantire il
minimo indispensabile: cioè la dignità e la sopravvivenza del club. Che, poco
più di un anno fa, non possedeva neppure la casa, ovvero un campionato a cui
partecipare. Spingerli ad abdicare non è stato un gesto di grande riconoscenza,
da parte di qualcuno (e la
Fondazione Taras non c’entra, per essere chiari): e pure
questo va sottolineato. Così come va sottolineato che, a queste condizioni,
Petrelli e Nardoni lasciano con eleganza. Rimediando un figurone, prima che la
questione si delinei del tutto. Ma, se qualcosa non dovesse funzionare, da qui
alla prossima settimana, nessuno potrà permettersi di rinfacciare qualcosa a
chi si, garbatamente, si è fatto da parte. Questo deve essere abbastanza
chiaro.
giovedì 12 giugno 2014
Bari, il successo oltre l'eliminazione
La piazza
è esuberante. Di fede, gente e colore. Il Bari attrae. Il Bari infervora gli
animi. Il Bari lotta lontano da casa, a Crotone. E il maxischermo, di fronte
alla Prefettura, dribbla la distanza. Dentro o fuori, in novanta minuti. O
centoventi: dipende. Ma il collettivo di Alberti e Zavettieri sa inquadrare il
match, carpirne l’essenza, scovare il momento giusto per schiodare lo zero a
zero che lo condannerebbe. Tre gol (a zero) fuori casa raccontano il magic moment della squadra, promuovendola
alla seconda fase dei playoff. E, per strada, la folla sente i traguardo,
quello della A, infinitamente vicino. Ma, di fronte, adesso c’è il Latina.
Doppia sfida: prima al San Nicola,
poi lontano dall’erba amica. Il primo round
si consuma in uno stadio ribollente: siamo vicini alle sessantamila presenze,
per una gara di B. Qui non si scherza. Ma non scherzano neppure i pontini,
sùbito pronti e in vantaggio per primi. Ma il cuore del Bari è grande. E la
reazione di Sabelli e soci ribalta il punteggio, che solo l’ex Ristovski, poco
prima del novantesimo, riesce a riequilibrare. A campi invertiti, ieri, il
match del responso definitivo. Che sorride al Latina. Un altro due a due: e la
corsa del Bari, imbattuto nei playoff, si interrompe alle porte della finalissima. La generosità della
ripresa non basta. E non è sufficiente neppure il gol di Polenta, quello del
vantaggio in dirittura d’arrivo. L’avversario si procura un penalty contestato
e poi completa il sorpasso. Galano, tuttavia, ci crede ancora e pareggia: ma,
ormai, è tardi. Tardi per sognare, ma non per esigere il rispetto della sua
gente e per pretendere gli onori del caso. Manca il premo finale, ma l’impresa
resta ugualmente. Salta la promozione, eppure lo spessore dell’obiettivo
centrato è incancellabile. Con l’energia della freschezza e la forza della
spavalderia, con molto orgoglio e parecchia dignità, questo Bari ottiene lo
stesso un traguardo preziosissimo: quello di riavvicinare la città al calcio.
Foraggiando motivazioni nuove, che verranno buone più avanti. Al di là del
risultato del campo, questo è un successo. Il suo successo.
domenica 8 giugno 2014
Lecce, sarà ancora C
Lecce e
Frosinone, di nuovo di fronte. Questa volta, però, la sfida (doppia) è
decisiva. Alla quale la gente di Lerda non arriva con la lucidità dei giorni
migliori. Eppure, essere in fondo alla strada è un distintivo di merito,
considerate le premesse. I ciociari, intanto, si prendono i favori del
pronostico e si presentano davanti al traguardo più tonici. Meglio strutturati.
La finale dei playoff è una storia che, tuttavia, la formazione salentina
sembra poter scalare: passando a condurre il match di andata, in Puglia (finirà
uno a uno) e pure quello di ritorno (i laziali si impongono tre a uno,
conquistando la B).
Alla distanza, cioè, il Frosinone si fa preferire: per la migliore gestione
delle situazioni, per la preferibile condizione mentale e per un miglior
approccio con le tensioni tipiche di un incontro così delicato. Il Lecce,
invece, si perde troppo presto: sull’erba di via del Mare come al Matusa. Dove finisce il match in
inferiorità numerica. E dove, dopo il novantesimo, si lascia tradire dalla
rabbia e dalla frustrazione. Onestamente, l’avversario produce di meglio e di
più. E, nell’arco delle due partite, legittima la propria superiorità. La
botta, così, è ancora più dura. Soprattutto in prospettiva futura. Dunque: il
Lecce fallisce la promozione per la seconda volta di seguito. Scoprendo quanto
è arduo risalire. E quanto è scomodo combattere con il dovere di imporsi.
Aprendo, in un certo senso, una crisi tecnica e societaria. Mancati introiti a
parte, la famiglia Tesoro dovrà, per esempio, cominciare a mettere in conto il peso di
qualche vecchia critica sopita che, vedrete, affiorerà nuovamente. E a
considerare il malcontento della piazza. Badando, contemporaneamente, a
rifondare l’organico. Che, tra partenze scontate oppure no (Miccoli sta
salutando, altri hanno ragionevolmente concluso l’avventura) e pedine da
restituire al mittente, dovrà necessariamente essere rivisitato con
intelligenza e perizia. Non sarà un’estate semplice, per capirci. Occorreranno
scelte nette, convincenti. In tempi brevi, ovviamente. Senza contare che andrà
risolto velocemente anche il problema legato alla panchina: Lerda potrebbe
rimanere, ma la conferma non sembra, al momento, neppure automatica. Ma,
innanzi tutto, si sta creando attorno al Lecce una certa atmosfera di
prostrazione, di pessimismo. La risalita, creduta un atto dovuto o una pura
formalità, rischia di diventare un gioco perverso, una maledizione. E Lecce, ormai
disabituata alle logiche della terza serie, rischia di perdersi dietro la
delusione, attorno alle difficoltà che pochi avevano previsto. O che tanti
avevano trovato normale evitare.
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