E’ squadra operaia, il Gallipoli. Un collettivo in cui ognuno, nessuno
escluso, coopera con l’altro. E in cui tutti si pongono al servizio del gruppo.
Una squadra che corre, si applica. Che sa sfruttare bene le corsie laterali.
Abbastanza rapida, quando occorre assaltare l’avversario. Destinata a durare
nel tempo, oppure no: non possiamo prevederlo. Ma, in questo momento,
legittimamente al potere del girone appulocampano di serie D. A punteggio
pieno. Il quarto successo stagionale arriva sull’erba di casa: la formazione di
Volturo si libera pure del Monopoli, facendosi bastare il gol siglato nel cuore
della prima frazione di gioco da Tedesco, attaccante ancora integro che
accorcia, pressa, fa salire la squadra e assicura movimento e movimenti. E lo score finale, se vogliamo, è persino
bugiardo, perché troppo stretto. Demerito, evidentemente, anche di un
avversario che, nel match, non entra mai. E che mai offre l’impressione di
poter raddrizzare la situazione. Che approccia la gara con morbidezza
eccessiva, perdendo il confronto nel mezzo (il dinamismo del solo El Kamch non
è sufficiente: in un 4-2-4 serve più sacrificio, da parte di tutti) e sulle
fasce, dove dettano legge Presicce e Negro. Mancano, al Monopoli, soprattutto i
suoi big, che si dimenticano di
prendersi le responsabilità del caso. Ma la gente di Passiatore delude anche
sotto pressione, dimostrando di soffrire le folate dell’avversario, che affonda
puntualmente. Forse, pure l’assenza fisica in panchina del tecnico (squalificato)
incide: manca la sua tensione vigile, la sua voce martellante. Il Gallipoli,
intanto, è lì, davanti a tutti. E con un vantaggio di tre punti sulla seconda,
ovvero la Fidelis Andria.
Numeri di spessore relativo, ma sempre indicativi. Ovvio, adesso viaggiare a
fari spenti si fa molto più difficile. Però, questa sembra una realtà che
alberga lontano dalla supponenza. Sin qui, è un particolare che è servito non
poco. Conservando questo spirito, oltre tutto, il Gallipoli potrà giocarsela
con tutti per un po’ di tempo ancora. E mettersi in prima fila per vedere come
andrà a finire.
lunedì 29 settembre 2014
domenica 28 settembre 2014
Martina, disavventure in serie
Concesso: il calendario, con il Martina, è stato
decisamente scontroso, sin qui. Per aver piazzato sulla strada della squadra di
Ciullo la Salernitana,
una delle due attuali capolista del girone meridionale di terza serie, il Foggia, la
Juve Stabia e il Catanzaro, formazioni di
livello medio alto (almeno se consideriamo gli organici: per il resto, possiamo
parlarne) e, proprio ieri, nell’anticipo pomeridiano, il Benevento. Che poi è
l’altra battistrada del campionato. Davvero niente male. Unica eccezione,
diciamo così, l’Ischia: effettivamente modesto, per quanto visto al Tursi. Da quest’angolazione, allora, i
soli due punti collezionati in sei gare rattristerebbero ugualmente, senza
però destare troppo scandalo. Cioè: certe difficoltà entrerebbero di diritto
nel preventivo di un gruppo allestito in ritardo e velocemente, quasi in
prossimità dell’avvio di torneo. Però, l’incapacità cronica di arrestare
l’avversario appena la pressione si intensifica e l’abitudine ad entrare in
confusione anche quando il match sembra ben saldo tra i piedi di Amodio e soci
continua a castigare la manovra – spesso intrigante – e le buone intenzioni di
un collettivo frizzante per larghi tratti e dopo, all’improvviso, timido e
involuto. Il Martina tiene sino ad un certo punto: poi, la condizione fisica
scade. E l’assetto si sfalda. La gente di Ciullo, evidentemente, comincia a
patire la controparte e, forse, anche se stessa. Si perde, si ritrae, smarrisce
molte certezze. E concede: troppo. Senza quei maledetti quarti d’ora finali,
sarebbe in alto. E, invece, la classifica è già amara. La prestazione
infrasettimanale contro la Juve Stabia,
ad esempio, è lo specchio delle contingenze: il vantaggio di due gol e la superiorità
numerica di un uomo non bastano. Così come non basta l’ora di calcio non brillantissima,
ma concreta, di Benevento: anche nel Sannio, prima o poi, il gol esce. Il
Martina, puntualmente, subisce nella fase più delicata della partita: quando
diventa particolarmente disagevole rimediare. Caricando il suo tecnico di
ulteriori tensioni e attenzioni. La tifoseria, nel frattempo, sembra aver già scovato il
colpevole: malgrado il coach di Taurisano possa vantare attenuanti non
generiche. Non ultima, l’inaffidabilità di alcune pedine: insistiamo su questo.
Tuttavia, Ciullo potrebbe anche cominciare a ripensare il modulo: il 4-2-4
adottato sin dal primo match è coraggioso e interessante, ma non assicura la copertura
necessaria: il dato è incontrovertibile. Magari, un centrocampista in più, a
presidio di una difesa spesso incerta, potrebbe giovare. Al costo dell'esclusione di una delle
quattro pedine avanzate, ovviamente. La salvezza, peraltro, passa attraverso
piccoli e grandi accorgimenti come questo. E la salvezza deve rimanere il primo
e l’unico obiettivo. Com’è giusto che sia.
sabato 27 settembre 2014
La settimana difficile del Brindisi
La settimana più difficile del Brindisi arriva
presto, all’alba della stagione. Nasce dalle cattive emozioni di un pareggio
indigesto (tre a tre a casa propria, di fronte all’ancora poco attrezzato - e
allenato - Grottaglie, innervato di forze fresche solo alla vigilia del match)
e cresce parallelamente alle notizie che sgorgano attorno alla squadra (il
tecnico Chiricallo è minacciato di esonero, Chiricallo si dimette, i suoi giocatori
lo salvano). La situazione, comunque, non si evolve. Perché resta congelata, a
disposizione degli eventi che seguiranno: la trasferta di domani, quella di
Andria, per intenderci. E, soprattutto, il risultato che garantirà. Del resto,
il Brindisi edificato per vincere, senza se e senza ma, non ammette amnesie,
intralci, delusioni. E il presidente Flora non vuole attendere. Vincere si
deve, necessariamente. E la partenza è
già fortemente penalizzante. Per la classifica (quattro punti in tre uscite) e
per la qualità del calcio dettato (squadra pesante, manovra mai totalmente
sbocciata, sindrome di appagamento al parziale che non si conferma al
novantesimo). Ma il Brindisi, è vero, è un collettivo composito e anche
fragile, sotto alcuni aspetti: quello psicologico, prima degli altri. Obbligato
ad imporsi e, innanzi tutto, da modellare sul massimo comun divisore della
qualità dei suoi singoli. Quella qualità dei singoli che, in casi come questi,
finisce per scontrarsi inevitabilmente con le differenti personalità di un
gruppo importante. Mentre l’integrità dello stesso gruppo, assemblato in
diversi momenti del mercato, continua ad essere minacciata dall’ingaggio di
nuove pedine. Ma, forse, è il momento che il Brindisi, al di là dell’affidabilità
di certe scelte, cominci seriamente a lavorare sulle forze di cui dispone,
piuttosto che sondare nuove strade e confondere ulteriormente il già labile
progetto tattico.
martedì 23 settembre 2014
La sorpresa Gallipoli
Il girone più difficile della D non riconosce il
Brindisi, costruito per stravincere. Bacchetta un po’ l’Andria e, semmai, promuove
il Bisceglie e il Taranto, pur senza affidare loro la leadership. La capolista, per il momento, è un’altra. La capolista
è il Gallipoli. Il neopromosso Gallipoli. Allestito con uno sguardo al
portafoglio da una struttura societaria infiacchita da certe dinamiche estive.
Ma il calcio è così: chi è atteso, spesso delude. E chi viaggia a fari spenti,
talvolta, emerge. Nessuno, prima dello start,
avrebbe scommesso sulla formazione jonica, ammettiamolo tranquillamente. Noi
tra gli altri. Nessuno avrebbe pronosticato tre successi in tre match: due
lontani da casa e uno, conseguito al Bianco,
contro la formazione più corazzata dell’intero lotto, ovvero il già citato
Brindisi. Però, il dato è sostanzialmente corretto: perché la squadra si è
ambientata velocemente al campionato e perché le pedine a disposizione di
Volturo, trainer arrivato a stagione già avviata, sembrano propedeutiche al
progetto. Pur non vantando, Tedesco a parte, un pedigrée lussuoso. Senza dimenticare un particolare: chi comincia
bene, guadagna entusiasmo e si rassoda più facilmente. Il Gallipoli precede
tutti e molti già gli assegnano il ruolo che, dodici mesi addietro, fu del
Marcianise. Potrebbe andare così, oppure no. Ma il pallone ci ha abituati a
determinate situazioni e non ci meraviglieremmo di nulla, se dovesse essere
così. Intanto, però, le basi per riscuotere il premio stabilito, ovvero la
permanenza, ci sono. L’atteggiamento operaio, del resto, in questa quarta serie
pagherà puntualmente: e questo Gallipoli coniuga spirito di sacrificio e
concretezza. Una lezione che qualche concorrente più quotato – ma anche più
distratto – dovrà digerire. Anche se, tra un mese o tra cinque o sette, la
formazione salentina non dovesse più veleggiare in acque alte. Il principio
vale a prescindere. Al di là di una preparazione atletica più o meno pesante. E
della possibilità economica di ciascun club: che, a metà del cammino,
sovvertirà molti equilibri. Come nel campionato passato. Come sempre.
lunedì 22 settembre 2014
Martina, il sospetto diventa certezza
Scricchiolava profondamente, l’assetto difensivo del
Martina. Squagliatosi sotto i colpi della Salernitana. In pochi minuti. Ed a
Catanzaro, una settimana dopo, non era andata per niente meglio: malgrado la
prima parte di gara, da considerarsi largamente positiva. Anche in Calabria, la
formazione di Ciullo si era garantita per metà match personalità e crediti:
puntualmente ceduti appena i padroni di casa avevano accelerato il ritmo e,
soprattutto, verticalizzato. Mettendo a nudo l’incapacità della mediana, più abile
ad appoggiare e a proporsi, di fare filtro e di coprire la terza linea. E,
ovviamente, quelle dell’intero pacchetto arretrato: svagato, lento e – per
questo - ripetutamente costretto al fallo, ultima chance di chi è puntato e saltato con illogica abitudine. E,
allora, con zero punti in tre match, non c’è più spazio per amnesie e distonie:
Al Tursi scende l’Ischia, collettivo
modesto, anche abbastanza remissivo. Sicuramente più digeribile dell’orario di
gioco: mezzogiorno e mezzo è roba da autolesionisti del pallone. Ciullo, anche
per esigenze contingenti (squalifiche) rivede lo scacchiere: fuori Caso e
Samnick (il coloured, probabilmente,
è ancora acerbo per ricoprire il delicato ruolo di centrale di difesa) e dentro
Memolla, schierato a sinistra (Patti scala al centro). Non c’è neppure
Montalto, davanti: e la sua predisposizione a lavorare per la squadra si
avverte. La manovra del Martina, però, è sufficientemente frizzante, almeno quando
la palla è tra i piedi. La verve e la
rapidità di esecuzione degli esterni è immutata, anche se la progressione è
discontinua, complice l’atmosfera afosa. Ma, soprattutto, l’Ischia si arrocca
in 5-4-1 che, alla distanza, rischia di devitalizzare la proposta di Amodio e
soci, di ingabbiare Magrassi, terminale offensivo di giornata, e di appiattire
la gara. Gli isolani non stuzzicano il Martina, preferendo nicchiare. Il gol
può piovere solo su calcio piazzato. E così è: il sigillo è di Patti. Dopo
l’intervallo, il trainer campano cambia il volto del proprio scacchiere,
azzardando il 4-2-4. Ma Caruso, subentrato a Pellecchia (meno appariscente del
solito, oggettivamente più disposto al sacrificio) sfrutta un’esitazione
grossolana di Alan e raddoppia. Confuso, l’Ischia fatica a risvegliarsi e la
scarsa qualità non lo soccorre: così il
Martina può governare tranquillo. Per una volta, dietro, si vive in
tranquillità. Sembra fatta, cioè. Almeno sino a quando De Giorgi, nuovamente in
difficoltà, non commette fallo da penalty. Dagli undici metri, Ciotola riapre
la gara. Tornano, all’improvviso, tutti gli incubi. La gente di Ciullo comincia
a cedere, l’avversario si riorganizza in tempo. E, ancora Ciotola, a recupero
inoltrato, crocifigge il Martina, ancora incapace di coprirsi. Due a due,
contestazione finale del pubblico e morale bassissimo: arriva solo un punto,
che aggrava le sensazioni. Il problema fondamentale rimane. Anzi, si
ingigantisce, considerato lo spessore dell’avversario. E’ questione di singoli,
evidentemente. Ma, anche di reparto. La fase difensiva è inadeguata: era un
semplice sospetto, adesso è una certezza. E, senza correttivi, si affonda:
questo è palese.
lunedì 15 settembre 2014
Bisceglie, troppo facile. Grottaglie, è dura
Il Grottaglie prova a ribellarsi all’ineluttabilità
degli eventi, alla noia di un campionato già scritto, ancora prima di nascere.
E, per il campionato approcciato male (caduta pesante a Francavilla sul Sinni:
uno a cinque), si irrobustisce con qualche pedina più spendibile: Faccini,
Pisano e Prete, per fare nomi. Trovando, al contempo, l’assenso di Vincenzo
Pizzonia, tecnico sin qui non troppo entusiasta della situazione e che, proprio nel corso di questa settimana, firma la pratica di
tesseramento per poter occupare la panchina. Ma sembra comunque dura, troppo
dura. Il calendario, oltre tutto, non soccorre: al D’Amuri, dall’altra parte del campo, spunta il Bisceglie dei big
e delle ambizioni. Immediatamente frustrate, forse, dal match di esordio (pari
interno col Potenza, vantaggio sprecato), ma sempre vive e legittime. Il
calcio, però, è anche una somma di indicazioni, molto spesso. E il vantaggio
veloce degli stellati (Zotti su calcio franco) non stupisce. Indirizzando da
sùbito una partita già segnata. A parte Gallaccio, Anaclerio e Gambuzza, De
Luca utilizza il meglio di cui dispone: in mezzo al campo, con Lanzillotta, c’è
Guadalupi: come dire, l’atteggiamento è altamente propositivo. Il 4-2-3-1 di
partenza, del resto, si nutre della facilitazione di molti compiti e, appena
scocca il decimo minuto, pure del sigillo della tranquillità. Due a zero di
Patierno e partita praticamente congelata. L’Ars et Labor non possiede sostanza
e neppure troppa grinta. Magari, neanche eccessiva convinzione. Al 13’ i gol del Bisceglie sono
già tre: non c’è molto altro da aggiungere. Da adesso in poi, si gioca soltanto
per dovere. Gli ospiti giostrano in scioltezza, il Grottaglie assiste
impotente. Patierno sciupa un paio di palle invitantissime, ma non c’è danno. I
ritmi, peraltro, assecondano la squadra che sta stravincendo, costringendo a
rinviare qualsiasi altra analisi ad un appuntamento più credibile. Finisce uno
a quattro, anche perché gli ospiti si moderano: e per la gente di Pizzonia è
uno schiaffo che non ne agevola il processo di crescita. Un processo che resta strettamente
legato, si intende, ad un eventuale piano di rafforzamento. E pure robusto. Non
sappiamo, tuttavia, da quali risorse supportato. In caso contrario, sarà
un’agonia. Lenta e lacerante.
lunedì 8 settembre 2014
Il Martina illude, la difesa non regge
L’esuberanza, il sacrificio, il podismo. Quella manovra più
diretta, coraggiosa, a tratti irruenta e irriverente. Il Martina gioca di più
della Salernitana, vagamente timida, per un tempo (il primo) e per la prima
metà della ripresa. E, ad un certo punto, si ritrova davanti per gli effetti di
una magia di Pellecchia, sistemato nel 4-2-4 come seconda punta, con poco più
di un quarto di match da gestire e salvaguardare. Ma la qualità dei campani
stipata in panchina si aggiunge a quella già sistemata sul campo: la reazione
della formazione di Menichini è possente, autoritaria. Lo schiaffo ricevuto,
probabilmente, si rivela particolarmente salutare. E l’assetto difensivo
pensato da Ciullo (scelte obbligate, sia chiaro), sin lì sufficiente per
l’incapacità dell’avversario di verticalizzare o affondare, si squaglia sotto
il peso di una pressione chirurgica. In pochi minuti, la Salernitana si prende
il campo, acquista in densità e denuda i difetti del Martina, costringendolo
all’affanno, stringendolo e assediandolo. Negro, entrato per garantire anche
alla sua squadra un 4-2-4 affidabile e incisivo, cambia il corso del gioco e
apre un nuovo capitolo. De Giorgi, a destra, va in difficoltà, commette fallo e
lascia la squadra in dieci. Immediatamente dopo, a sinistra, Tomi è costretto a
offrire ai granata il penalty della svolta, trasformato da Calil. In mezzo al
reparto di presidio, il giovane Samnick ammette di non poter coordinare strategie
e dinamiche. La
Salernitana sa, invece, che adesso può vincere e accelera
ancora: fallisce almeno tre occasioni da gol e, un minuto prima del
novantesimo, intasca i tre punti. Riscattando quella partenza un po’ anonima:
intrisa di giropalla, ma cieca. E confinando
il Martina in fondo alla classifica, da solo. E anche un po’ irritato. Ma
consapevole dell’esigenza di dover velocemente integrare alcuni tasselli
contrattualizzati recentemente: primo tra tutti, il centrale Fabiano, che il tecnico vorrebbe utilizzare stabilmente dietro.
La terza serie accoglie formazioni di caratura notevole, soprattutto in fase di
possesso: la Salernitana
è un esempio, non un’eccezione. Occorrerà tutelarsi.
sabato 6 settembre 2014
Grottaglie, buio denso
Salvare il campionato, ancor prima
che cominci. In attesa di affidare titolo sportivo e squadra (si fa per dire:
per il momento, continua a lavorare un gruppo di ragazzi senza mestiere e senza
una guida tecnica certa e definitiva) a chi, meglio dell’attuale staff
dirigenziale, potrebbe reggere economicamente blasone e speranze. A chi, per la
verità, si è anche affacciato, spaventandosi non poco del quadro finanziario
del club. E rinviando, al momento, ogni decisione in merito: un’operazione
tattica che, oggi, sembra l’anticamera della fuga. Il Grottaglie sta morendo,
questa è la verità. Ma, stoicamente, il presidente D’Amicis e il suo entourage provano ad allargare i tempi
della resa: spedendo, appunto, quella manciata di ragazzi verso l’esordio di un
campionato che potrebbe, peraltro, interrompersi presto. E assai bruscamente. A
Francavilla, il primo match è, cioè, assicurato. Di fronte ad una delle
formazioni più solide dell’intero girone, il risultato di domani sembra già
abbondantemente sbarrato: non c’è storia, non ci sarà storia. Il divario è
netto, incolmabile. Bypassato il
punto di penalizzazione per un’eventuale rinuncia, però, il problema resta per
intero: non è detto che il Grottaglie possa ripetere l’impresa di presentarsi.
Ricalcando, a meno di un anno di distanza, il tramonto del Nardò: che, in
realtà, galleggiò un paio di mesi, prima di inabissarsi. Con quei ragazzi,
specifica il club, viaggerà anche il tecnico Pizzonia, che non ha ancora
firmato il tesseramento e che, quasi certamente, non andrà in panchina: come è
già accaduto in Coppa, contro il Potenza (sei a zero a domicilio). E che pure
si era eclissato, non più tardi di un paio di settimane fa. La stagione
dell’Ars et Labor nasce male: neppure prima del campionato appena trascorso e
di quelli precedenti la situazione era così oscura, deteriorata. Ma la speranza
resiste, ancora per un po’. Giusto il tempo che servirà a Tonio Bongiovanni ed
Elisabetta Zelatore, già massimi responsabili del calcio (e del volley)
tarantino per consegnare l’ultima risposta. Però, certe cifre antiche mai
sanate sono un macigno troppo ingombrante. I campionati passano, i giocatori e
i tecnici si accontentano (o zittiscono), le salvezze si collezionano, una
dietro l’altra: ma, alla fine, i conti non tornano e riemergono. E’ la
puntualità della matematica, sono le certezze del pallone.
venerdì 5 settembre 2014
Taranto, speranze deluse: sarà ancora D
Una buona notizia: il campionato di
D sta per cominciare. Dopodomani, per la precisione. Così, almeno, cominceremo
a fare a meno di previsioni di calcolo, conteggi variabili, verbali di
agibilità, domande di ripescaggio, rinunce e regolamenti applicati per
convenienza. Questa storiaccia molesta delle promozioni a tavolino ci ha abbastanza
infastidito, sinceramente. Concetto valido per tutte le categorie: la B (il Novara non va bene, la
Juve Stabia neppure, il Pisa soccombe al fotofinish e, allora, affiora il
Vicenza, che inciampa nel realismo della gente comune), la C (che, solo da oggi, a torneo
già avviato, possiede la sua sessantesima concorrente) e la D (il Rieti presenta il ricorso
e sorpassa nell’ultima ora utile il Sondrio, che però ha già preparato valige e
squadra per la quarta serie). Ovvio, non ci costruiamo labile e patetiche
illusioni: della questione, purtroppo, si continuerà a discorrere ancora a
lungo: nelle aule di un tribunale, sportivo o civile, e sulle colonne dei
giornali, dei siti web, ovunque. Però, se non altro, si parte anche in D: con
tutti gli effettivi. Anche con il Taranto. Che, nell’enorme intrigo, ci è
entrato da protagonista: seppur in ritardo. Rinunciando, prima, a regolarizzare
la domanda, per una transizione societaria dilatatasi nei tempi e, dunque, per
una serie di operazioni tecnicamente difficili da mettere assieme in pochissime
ore. E, infine, ritrovandosi a inseguire il ripescaggio per la riapertura della
corsa (con il Vicenza in B, si è spalancato un nuovo spazio nel girone
settentrionale di terza serie), al fianco di Akragas – la meglio posizionata,
secondo la graduatoria generale di merito stilata in estate, ma priva di un
impianto a norma – e il premiato Arezzo. Quell’Arezzo che riesce a superare
indenne lo scoglio di una pratica creduta, almeno sui due Mari, carente sotto
un paio di angolazioni (lo stadio e il settore giovanile). E, probabilmente,
anche ben sponsorizzato dal pericolo di dover altrimenti inserire un club del
sud profondo nel girone più settentrionale d’Italia: un’eventualità che avrebbe
causato comprensibili fastidi, più che scompensi. Ma, in definitiva, anche la
società piazzata più avanti, rispetto al Taranto, nella classifica delle
ripescabili: se ci pensate bene, per quella gara di playoff vinta allo Iacovone a maggio. Immaginate, allora, i
rimpianti che si stanno coagulando in riva a Mar Piccolo. E quelli dell’Akragas
(e della Correggese): che, invece, alla lotteria di fine campionato sono
arrivati sino in fondo. Inutilmente. Tra un rimpianto e l’altro, allora, questa
serie D può salpare. Con il Taranto che dovrà attendere tempi migliori, dopo
una stagione di ulteriore rodaggio. Oppure attrezzarsi, per potersi misurare
con le più ambiziose del girone. Perché, così com’è oggi, non offre troppe
garanzie.
giovedì 4 settembre 2014
Bisceglie, una squadra per la categoria
Il grande impegno dopo il
disimpegno. Canonico ci ha abituati così. Prospettando un’altra fuga, rivedendo
la decisione e, infine, rilanciando. Nel segno della continuità, sul solco
delle ambizioni che non tramontano mai. Vuol dire che a Bisceglie, ancora una
volta, l’idea fondamentale è quella di battagliare per un obiettivo importante
come la serie C che, sul prato del Ventura,
ha transitato troppi anni fa, ormai. Un paio di mesi sono scivolati faticosamente
e tutto sembrava compromesso: persino il titolo sportivo. Invece, sistemati
alcuni particolari con l’amministrazione comunale, a metà estate si è riaccesa
la fiamma: il presidente, incassata l’impossibilità di ambire al Bari, si è
riaffezionato al progetto originario. Nuovo investimento, nuovo roster di partenza: confezionato con
acquisti che, oggi, prima ancora dell’avvio del campionato di serie D,
definiremmo mirati, più propedeutici alla stagione che il club stellato si
prefigge di ritagliarsi (il riferimento alle esperienze precedenti è
assolutamente voluto). Il nuovo trainer De Luca, assai stimolato nel seppellire
l’ultimo torneo consumato sulla panchina del Monopoli e l’onta
dell’allontanamento a lavori in corso, si ritrova a dover plasmare under interessanti e over di comprovato mestiere (due nomi su
tutti: Zotti e Lanzillotta, che l’allenatore castellanese ha già incrociato
proprio a Monopoli, ma anche Gambuzza, Lanzolla, l'ultimo acquisto Anaclerio, lo stesso Lacarra). Gente che, sul campo, fa della personalità una qualità
imprescindibile. Proprio il Bisceglie, anche e soprattutto in virtù di questo,
si candida sin da ora a contrastare il passo della più titolata del girone
appulocampano, il Brindisi di Flora e Chiricallo. Come l’antipasto della Coppa
Italia (scontro diretto, domenica scorsa: Bisceglie avanti, Brindisi eliminato)
sembrerebbe confermare. Malgrado sappiamo molto bene quanto poco sia
attendibile il pallone d’agosto, ma anche quello della competizione tricolore.
E nonostante lo stesso De Luca, con sagacia, si dedichi a opportuni esercizi di
realismo e di buon senso: nella speranza, magari, di allontanare quel po’ di
pressione che si sta lentamente creando attorno alla squadra. Un collettivo
completo, che ci piace. E che sembra piacere a più di un osservatore esterno.
Appostato, come accennavamo, un gradino appena sotto il Brindisi, in sede di
pronostico. Ma una formazione, attenzione, assolutamente di categoria. E’ un
dato pesante, non dimentichiamolo.
mercoledì 3 settembre 2014
Il Lecce e i fantasmi del passato
Terzo anno consecutivo di C: e
sembra già un’antipatica abitudine. Ma il Lecce, in terza serie, ci è
interamente dentro. E dovrà necessariamente adattarsi, una volta per tutte. E
sgomitare, soffrire. Più di prima. Anche perché, se il tempo passa invano, il
rancore aumenta. E si alimenta il pessimismo, così come la pressione, la
tensione, il nervosismo. Si riparte e, fortunatamente, si riparte con gli
stessi presupposti del campionato appena trascorso e di quello ancora
precedente: per vincere. Non ci sono fraintendimenti che reggano: anche in
questa occasione, la famiglia Tesoro punta alla prima piazza. La sola che dà il
diritto a partecipare alla prossima serie B. La questione playoff, del resto,
da questa stagione è molto più complicata: con tre gironi e quattro promozioni
complessive, capirete immediatamente il motivo. L’assalto alla promozione, poi,
è una faccenda che riguarda un gruppo di candidate davvero niente male:
dettaglio che non tranquillizza per niente. Si riparte per vincere: anche in
mezzo alle polemiche. La società e l’amministrazione comunale non si
risparmiano il fuoco incrociato, che bene non fa all’umore dell’ambiente. Anche
se l’opinione pubblica ritiene la squadra, riveduta e corretta in estate,
sufficientemente temprata. Ecco, la squadra: esordisce sull’onda emotiva della
sua qualità, sboccia sul bagaglio tecnico dei singoli e comincia a nutrirsi
degli episodi: ad Aprilia, che ospiterà l’intero torneo della matricola Lupa,
terza realtà del calcio romano, il Lecce forza immediatamente il risultato e,
in qualche modo, prenotando il primo successo di un lungo cammino. Ma, alla
distanza, riemergono certi limiti appartenuti alle formazioni di ieri ed
avant’ieri. Miccoli e soci non sanno governare il parziale, non si dispongono a
blocco unico e disperdono la chance.
Vince la Lupa,
in rimonta: ed è sùbito malumore. L’estro e la giocata, più o meno isolata, non
bastano: come sempre. Il Lecce, piuttosto, ammette i primi scompensi di
continuità. Troppo presto, ovviamente, per esprimersi: ma le ultime esperienze
maturate nel Salento ammoniscono e allarmano, diciamolo pure. Il passato
recente, inevitabilmente, incide. E, ancora più tenacemente, inciderà:
soprattutto se la traiettoria della formazione dello squalificato Lerda non
dovesse coincidere con il solco delle ambizioni. La gente che tifa potrebbe non
essere troppo disposta a perdonare e ad attendere: il pericolo è anche questo.
E fa male doverlo sottolineare già dopo soli novanta minuti di calcio vero. E
di Lecce ancora distante dalla realtà del campionato. E, forse, di nuovo
esuberante di pedine pregiate, ma anche sconosciute ai campi della C.
martedì 2 settembre 2014
Bari, spirito immutato
Il Bari, la sgroppata esaltante del
finale di stagione – quella appena passata – e i segreti del suo successo, al di
là del mero risultato guadagnato sul campo: playoff senza promozione finale.
Roba di metà giugno scorso. Adesso, però, si sta disegnando una storia tutta
nuova. In cui palcoscenico ed attori sono cambiati. Cominciando da Gianluca
Paparesta, timoniere di un travaso storico: quello che conduce dal lunghissimo
regno dei Matarrese a una società gestita con un nuovo profilo manageriale,
lontana dai pericoli sofferti nel recentissimo passato (l’antica Associazione
Sportiva, sommersa dai debiti, infatti, non esiste più) e, raccontano i più maligni,
ancora avvolta dal mistero dei finanziatori (chi sono, dove sono, sono legati
all’ormai potentissimo Lotito oppure no?). Passando da Stefano Antonelli,
incaricatosi del peso non indifferente di surrogare l’abbandono del vecchio ds
Angelozzi, mente pratica dell’ultimo Bari. Transitando da Denis Mangia, tecnico
rampante che si trascina l’alto gradimento di Arrigo Sacchi, ma ormai titolare
di una certa esperienza sulla panchina (Varese, Palermo, Under 21, Spezia). E
sostituto designato della coppia Alberti-Zavettieri: che, magari, altrove
sarebbero stati riconfermati senza indugi: per la bontà del lavoro sbrigato e
per il riscontro tangibile ottenuto. Per arrivare a qualche protagonista della
squadra che si sta consolidando: Stevanović, Stoian, De Luca,
Rossini, Ligi, Wolski, Minala, Donnarumma, Gomelt, Donati e altri ancora.
Protetti, intanto, dal blocco conservato
(Sabelli, Galano, Sciaudone, Calderoni, Romizi, Guarna, lo stesso Defendi).
Senza dimenticare Caputo: un acquisto vero e proprio, malgrado non lo sia, in
realtà. Un attaccante che, smaltita la lunga squalifica, si fa trovare pronto,
monetizzando bene rabbia e motivazioni. E che, di fatto, inaugura il campionato
di questo Bari. La vittoria contabilizzata sabato a Chiavari, casa della neopromossa Entella, parte
dalla sua firma, a cui si affianca il sigillo di Galano, a match quasi
esaurito. Ma il successo in Liguria è, senza volersi soffermare sullo spessore
dei singoli, il prodotto di un atteggiamento ancora spavaldo e genuino. Questo
collettivo, ad una prima analisi, sembra cioè aver ereditato la mentalità di
quello che l’ha preceduto. La squadra osa e trova. Imposta e rifinisce. In
certi scampoli di match, anzi, il compito diventa persino facile: lo ammette
senza perifrasi pure il tecnico avversario. Ed è proprio questo, forse, il
dettaglio che deve insospettire. Mangia, così, attende la controprova e fa bene. Ma, se lo spirito
del gruppo è immutato, confidare nel domani è perfettamente lecito. La spinta
della gente sugli spalti, oltre tutto, ci sarà ancora. Come nel rush finale di un campionato fa.
lunedì 1 settembre 2014
Monopoli e San Severo, primi indizi utili
La Coppa Italia,
come tradizione, distribuisce i primi indizi. E le impressioni ricavate
spingono ad approvare l’approccio alla stagione del Monopoli. Al di là del
risultato (tre a uno sul San Severo e passaggio automatico al secondo turno
della competizione, dove adesso dovrebbe incrociare il Francavilla), la
formazione curata da Passiatore si sforza – riuscendoci – di perseguire una
manovra fitta, dove la palla resta a terra, il più possibile ordinata. Malgrado
l’impatto con la gara risulti un po’ pesante, lento. Anzi, da sùbito, sembra
più pronto l’avversario: il 4-1-4-1 pensato dal tecnico dauno De Felice si
modifica solo ed esclusivamente quando si punta la porta avversaria e i due
laterali in mediana (l’interessante Mastrangelo, un ’95, e Ferrante) salgono.
Il giovane San Severo (c’è anche un ’97, dietro: si tratta di Galullo,
tecnicamente un po’ acerbo, ma fisicamente dotato e in possesso di buona personalità)
ci mette spensieratezza e coraggio. L’idea tattica si sviluppa principalmente
attorno alle verticalizzazioni che cercano il maturo Carminati, nutrendosi
della quantità di Dell’Aquila e della vivacità di un altro under interessante, il laterale basso Cicerelli. Quanto basta per
preoccupare l’esperienza del pacchetto arretrato del Monopoli: a cui, peraltro,
il giovane portiere Pino non riesce a garantire totale tranquillità. La
formazione di casa (si fa per dire: il neutro
è quello di Fasano: il Veneziani è
ancora sottoposto a lavori di maquillage)
s’industria per architettare un calcio più cerebrale: ma El Kamch si accosta
alla gara con un po’ di ritardo e Gori deve ancora sbocciare (lo farà alla
mezz’ora). Il vantaggio ospite, dopo diciotto minuti, ha il sapore dello
schiaffo morale e, allora, il Monopoli (4-2-4 in fase di possesso) si
sveglia. Murano, uno che possiede lo spunto, il fisico, la progressione,
discreti mezzi tecnici e che, soprattutto, sa interagire con la squadra,
rimedia immediatamente. Assieme a lui, lievita anche il compagno di reparto
Manzo, che si lascia apprezzare più in fase di ultimo passaggio, piuttosto che
nel ruolo di finalizzatore (e, comunque, il terzo sigillo del match porterà in
calce la sua firma). Come detto, con il passare dei minuti, Gori si impossessa
delle chiavi della mediana e, nel frattempo, la terza linea si assesta. Ma,
soprattutto, piace la catena di destra: Russo (‘96) scende con autorità e,
nonostante si perda in un paio di occasioni, garantisce sostegno continuo e verve; il più avanzato Difino (’95), corre,
suggerisce e, appena può, conclude. Il Monopoli, trovate le coordinate giuste e
i colpi dei singoli, raddoppia prima dell’intervallo e triplica in apertura di
ripresa, chiudendo virtualmente il match con anticipo largo. Rischiando,
peraltro, di dilagare appena il San Severo si affloscia atleticamente. De
Felice, oltre tutto, a metà gara ringiovanisce ulteriormente la base difensiva
con Pepe (tre under su quattro, orchestrati
dal navigato Campanella): alla distanza, cioè, la differenza di mestiere e di
caratura globale si sente tutta. La gente di Passiatore, così, si guadagna un
po’ di consensi che garantiscono morale, alimentando l’entusiasmo della piazza.
Logico, però, che la prestazione positiva debba finire per essere inquadrata nel
contesto: giusto per non accarezzare illusioni che potrebbero rivelarsi
ingannevoli. E che le possibilità del Monopoli debbano quanto prima essere
verificate di fronte ad una squadra più esperta e più longeva. Due
caratteristiche che la volontà del San Severo non è riuscita a consegnare a se
stesso e al campionato che sta per partire.
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